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"Iddio
conservi il Re per lunga e lunga età come nel cor ci sta viva Fernando il Re Iddio lo serbi al duplice trono dei Padri suoi Iddio lo serbi a noi viva Fernando il Re" |
Il testo citato è tratto da una partitura datata tra il 1835 ed il 1840, destinata alla principessa Eleonora Galletti di Palazzolo, moglie del diplomatico Folco Ruffo di Calabria, ambasciatore napoletano a Torino.
La partitura prevede l’esecuzione con due parti di canto: soprano e basso.
Gli strumenti sono: flauti, clarinetti in do, oboi, corni in fa, trombe in do, fagotto e serpentone (antico strumento simile ad una canna d’organo).
Più volte è stato sollevato il problema del testo dell’Inno del Re, di Giovanni Paisiello.
Secondo diverse fonti l’Inno non aveva precisamente un testo e le sue parole vennero modificate in più occasioni.
La versione che riportiamo, trovata nel 1996 da Roberto de Simone in una libreria antiquaria, acquistata dal collezionista Claudio Lamberti e donata alla Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella, doveva, tuttavia, essere quella utilizzata in occasioni ufficiali. L’ambasciatore Folco Ruffo di Calabria, in occasione dei suoi viaggi all’estero, probabilmente la consegnava insieme alla musica, per l’esecuzione.
Il testo della parte corale si riferisce al tempo in cui si distinguevano i Regni di Napoli e di Sicilia, quando Ferdinando I era IV Re di Napoli e III di Sicilia.
L’espressione “Iddio lo serbi al duplice trono dei Padri suoi” fa intendere che l’Inno fu composto prima del 1799. Ferdinando, infatti, rientrato a Napoli dopo l’occupazione francese, modificò per sé e per i discendenti il titolo in Re delle Due Sicilie.
Il Principe Folco Ruffo di Palazzolo, nato a Napoli l’11 giugno 1801, fu ambasciatore dei Borbone a Torino ed in Svizzera. Morì il 17 aprile 1848.
La partitura ritrovata faceva parte di un fondo di spartiti appartenuti alla famiglia. La sua provenienza è attestata dalla dicitura Palazzolo scritta a penna sulla copertina.
Lo
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l'Inno zip-mp3 |
Ritratto dal Libretto dei Giuochi di Agrigento - Venezia, Archivio storico del Teattro la Fenice |
Litofrafia di Vicenzo Roscioni - Taranto, Biblioteca Civica P. Acclavio |
Fonte:
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera Giovanni PaisielloGiovanni Paisiello o Paesieixo (Taranto, 9 maggio 1740 - Napoli, 5 giugno 1816) fu un compositore italiano del periodo classico. Nella città di Taranto frequentò il liceo dai Gesuiti ma la bellezza della sua voce attirò talmente l'attenzione che nel 1754 venne inviato a studiare al conservatorio di Sant'Onofrio a Napoli, dove studiò sotto la supervisione di Francesco Durante, divenendo a tempo debito assistente maestro. Per il teatro del conservatorio, che lasciò nel 1763, scrisse alcuni intermezzi, uno dei quali attrasse così tanto l'interesse dell'opinione pubblica che fu invitato a scrivere due opere, La Pupilla e Il Mondo a Rovescio, per la città di Bologna, e una terza, Il Marchese di Tidipano, per Roma. Essendo la sua fama oramai stabile, si trasferì per qualche anno nel capoluogo campano, dove - nonostante la popolarità di Nicola Piccinni, Domenico Cimarosa e Pietro Guglielmi, dei cui trionfi si dice fosse amaramente geloso - produsse una serie di opere altamente di successo, una delle quali, L'Idolo Cinese, provocò grande scalpore presso il pubblico napoletano. Nel 1772 Paisiello iniziò a dedicarsi alla musica sacra, componendo un requiem per Gennara Borbone. Lo stesso anno si sposò con Cecilia Paolini, e il matrimonio fu felice. Nel 1766 venne invitato dalla zarina Caterina II di Russia nella neonata San Pietroburgo, dove rimase 8 anni, producendo, tra le altre opere, il suo capolavoro, Il Barbiere di Siviglia, che raggiunse subito una fama di livello europeo. Il destino di quest'opera segna un'epoca nella storia dell'arte italiana: con essa morì la gentile soavità coltivata dai maestri del XVIII secolo, lasciando spazio all'abbagliante splendore del periodo successivo. Quando, nel 1816, Gioacchino Rossini mise lo stesso libretto in musica, con il titolo Almaviva, venne fischiato in palcoscenico; ciò nonostante, con il titolo modificato, Il Barbiere è oggigiorno riconosciuto come il più grande lavoro di Rossini, mentre l'opera di Paisiello è stata consegnata all'oblio: uno strano esempio di vendetta poetica postuma, dal momento che Paisiello stesso aveva molti anni prima tentato di eclissare la fama di Pergolesi, rimusicando il libretto del suo famoso intermezzo, La Serva Padrona. Paisiello abbandonò la Russia nel 1784, e, dopo aver prodotto Il Re Teodoro a Vienna, si mise al servizio di Ferdinando IV a Napoli, dove compose numerose tra le sue migliori opere, incluse Nina e La Molinara. Dopo molte vicissitudini, derivate da cambiamenti politici e dinastici, venne invitato a Parigi (1802) da Napoleone, il cui favore si era conquistato cinque anni prima con una marcia composta per il funerale del generale Hoche. Napoleone lo trattò munificamente, mentre crudelmente trascurava due compositori largamente più meritevoli, Luigi Cherubini e Etienne Méhul, verso i quali il nuovo favorito trasferì l'odio che aveva precedentemente riservato a Cimarosa, Guglielmi e Piccinni. Paisiello dirigeva la musica di corte alle Tuileries con uno stipendio di 10 mila franchi, oltre a 4800 per vitto e alloggio, ma fallì completamente nei confronti del pubblico parigino, che accolse così freddamente la sua opera Proserpina che, nel 1803, egli richiese e con difficoltà ottenne il permesso di ritornare in Italia, con la scusa della cagionevole salute della moglie. Al suo arrivo a Napoli venne reinstallato nei suo precedenti compiti da Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, ma aveva sfruttato il suo genio oltre le proprie capacità, ed era ora incapace di accontentare le richieste di nuove idee che gli venivano fatte. Anche le sue aspettative erano precarie. Il potere della famiglia Bonaparte barcollava in discesa, e la fortuna del compositore con esso. La morte della moglie nel 1815 lo colpì duramente. La sua salute si guastò con rapidità, e la sua gelosia nei confronti della popolarità altrui era una fonte di preoccupazione continua. Le opere di Paisiello (se ne conoscono 94) abbondano di melodie, la cui bellezza leggiadra è tuttora caldamente apprezzata. Forse la più conosciuta tra queste arie è "Nel cor più" dalla Molinara, immortalata anche nelle variazioni di Beethoven. La sua musica sacra fu molto voluminosa, comprendendo 8 messe, oltre a numerosi lavori minori: produsse anche 51 composizioni strumentali e svariati pezzi separati. Manoscritti delle partiture di molte sue opere vennero donate alla biblioteca del British Museum da Domenico Dragonetti. La biblioteca dei Girolamini a Napoli possiede un'interessante raccolta di manoscritti che registrano le opinioni di Paisiello sui compositori a lui contemporanei, e ce lo mostrano come un critico spesso severo, soprattutto del lavoro di Pergolesi. Opere
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