In altre pagine di questo sito [ https://www.alalba.it/ NdR] abbiamo visto insediarsi nella nostra Penisola, e rimanervi a lungo, predatori rudemente voraci, dagli Angioini agli Aragonesi, dagli Spagnoli di Carlo V ai Francesi di Francesco I: tutti molto impegnati nel salassare le nostre popolazioni del Meridione, oltre che del Milanese, per rimpinguare le fameliche casse delle loro Corone. Una condizione di vera schiavitù per gran parte dell'Italia, che si protrae per secoli, praticamente dalla seconda metà del Duecento alla fine del Seicento.
A questo punto accade un avvenimento che ridistribuisce i ruoli fra i
dominatori di turno, ferma restando, naturalmente, la condizione
dell'Italia come territorio perennemente dominato. Verso la fine del
Seicento, il ramo spagnolo degli Asburgo, discendente da Carlo V (Carlo
I come re di Spagna), giunge all'estinzione con Carlo II, che muore
senza eredi e lascia vacante il trono di Spagna. Si apre quindi la fase
della successione spagnola, sulla cui Corona avanzano le loro pretese
"dinastiche" gli arraffatori del momento, Luigi XIV di Francia (il Re
Sole) e l'imperatore Leopoldo I d'Asburgo, che dell'ultimo re spagnolo
avevano sposato le sorelle.
L'erede designato per testamento fu Filippo di Borbone-Angiò,
nipote del re di Francia, che salì al trono col nome di Filippo
V; ma questo nuovo assetto, in base al quale Francia e Spagna venivano
a trovarsi sotto la Corona della stessa dinastia dei Borboni di
Francia, provocò ovviamente la reazione dei principali Stati
europei, Austria in testa, che in quella unione vedevano un indebito
arricchimento territoriale a favore della Francia e, di questa, il
sorgere di una possente egemonia. Si giunse quindi al formarsi di una
coalizione contro Luigi XIV e alla cosiddetta Guerra di successione
spagnola, che si protrasse dal 1700 per ben tredici anni, e si concluse
con la Pace di Utrecht del 1713. Con essa Filippo di Borbone viene
riconosciuto re di Spagna, a condizione però che non vengano mai
unite le corone di Spagna e Francia (vanificando così il
progetto del Re Sole che, fra i due Stati, "non esistano più i
Pirenei"), e che nè l'uno nè l'altro sovrano avanzi
pretese sullo Stato confinante. L'anno seguente, però, l'Austria
pretese la sua parte, e fu così che la Spagna dovette cederle la
Fiandra, il Milanese, il regno di Napoli e la Sardegna. In tal modo,
dopo circa due secoli, cessava il predominio spagnolo in Italia e ad
esso si sostituiva quello dell'Austria, nuova potenza egemone in
Europa, e il nostro Meridione tornò nelle mani degli Asburgo,
questa volta al ramo austriaco. Gira e rigira, cambiano i manici, ma i
buchi dove ficcarli sono sempre gli stessi...
A questo punto, siamo nel 1715, entra in scena una donna, intelligente,
volitiva e scaltra politica. E' l'italiana Elisabetta Farnese, erede
del ducato di Parma e Piacenza, che sposa il re spagnolo Filippo V
rimasto vedovo; il re, ormai malandato e in perenne stato depressivo,
finisce col lasciare le redini del regno quasi completamente nelle mani
di lei, che con un'accorta politica e dopo alterne vicende diplomatiche
e militari, finirà, nel 1735, col veder insediato sul trono di
Napoli (divenuta capitale di un nuovo regno) il proprio primogenito.
Nacque così in Italia, con l'accorto e paziente operato di
questa abile donna, un regno autonomo e indipendente da potenze
straniere, il regno di Napoli e Sicilia, che sarebbe poi stato chiamato
regno delle Due Sicilie.
Ebbe inizio in tal modo la dinastia dei Borboni di Napoli: una casata
che, pur essendo una costola dei Borboni di Francia e direttamente
derivando da quelli di Spagna, ebbe una matrice italiana, e
italianissima fu e divenne col tempo (i suoi re parlavano addirittura
in dialetto napoletano). Italiana e con una politica estera ispirata a
grande indipendenza dalle altre potenze, anche da quella spagnola,
della quale era pur sempre una filiazione.
Questo atteggiamento dei re borbonici finì, nell'Ottocento, col
suscitare la malevolenza dell'Inghilterra, che, dopo la caduta di
Napoleone, era diventata padrona incontrastata del Mediterraneo e che
vedeva, al centro di questo mare, un regno niente affatto disposto a
una pedissequa acquiescenza alla sua politica imperialista, un regno
che voleva essere padrone in casa propria. La motivazione ufficiale di
questa ostilità era, da parte dell'Inghilterra, il continuo
rifiuto da parte dei re borbonici di concedere al regno la
Costituzione, nonché la reazionaria e repressiva conduzione
dell'amministrazione della giustizia: in realtà le cause erano,
come sempre negli attriti internazionali, esclusivamente mercantili. Ne
fu un esempio la querelle sorta fra i due Paesi nel 1836 sullo
sfruttamento delle miniere di zolfo siciliane (a quell'epoca le
più importanti del mondo, con una produzione del 90% del
fabbisogno mondiale). Il re Ferdinando II° aveva abolito nei propri
territori la tassa sul macinato, e, per compensare la perdita di questo
introito per le casse dello Stato, era venuto alla decisione di vendere
lo zolfo siciliano non più ai mercanti inglesi (che glielo
pagavano una miseria e lo rivendevano a prezzi altissimi), ma ad una
società francese che gli garantiva maggiori guadagni, pagandogli
il doppio di quanto avevano sborsato gli inglesi. Non l'avesse mai
fatto: non avendo avuto soddisfazione in sede giudiziaria, il primo
ministro inglese lord Palmerston mandò la flotta britannica nel
golfo di Napoli, minacciando il bombardamento della città.
Dovette intervenire, come mediatore, Luigi Filippo di Francia. "Il risultato fu che lo Stato napoletano
dovette annullare il contratto con la società francese e pagare
gli inglesi per quel che dicevano d'aver perduto e i francesi per il
guadagno mancato. È il destino delle pentole di terracotta
costrette a viaggiar tra vasi di ferro. Chi ci rimise fu il povero
regno napoletano; ma l'Inghilterra se la legò al dito come
oltraggio supremo." (Carlo Alianello, "La conquista del
Sud" - Rusconi edit., 1982).
E questa ormai dichiarata ostilità britannica favorì poi,
nel 1860, anche il successo dello sbarco dei Mille a Marsala: è
ben risaputo che questi ebbero la provvidenziale copertura della flotta
britannica che, con il pretesto ufficiale di proteggere gli interessi
dei cittadini inglesi che lì risiedevano, incrociava fra la
costa e le navi garibaldine, rendendo quindi pressocché
impossibile all'artiglieria borbonica di cannoneggiare le barche e
contrastare lo sbarco, per il rischio di colpire le navi inglesi
e provocare l'intervento armato della Gran Bretagna.
La dinastia dei Borboni di Napoli regnò sul nostro Meridione per
centoventisei anni, fino a quando l'impresa garibaldina e il Piemonte
dei Savoia non ne debellarono l'ultima resistenza a Gaeta nel 1861.
"Generali, uffiziali e soldati di Gaeta. La sorte della guerra ne separa. Combattuto insieme cinque mesi per la indipendenza della patria, sfidando e sofferendo gli stessi pericoli e disagi, debbo in questo momento metter fine a' vostri eroici sacrifizii. La resistenza divenuta era impossibile. Se il desio di soldato spingevami a difendere con voi l'ultimo baluardo della monarchia, sino a caderne sotto le mura crollanti, il dovere di re e l'amore di padre oggi mi comandano di risparmiare tanto generoso sangue, la cui effusione or non sarebbe che l'ultima manifestazione d'inutile eroismo. Per voi, miei fidi compagni, pel vostro avvenire, per premiare la vostra lealtà e costanza e bravura, per voi rinunzio al bellico vanto di respingere gli ultimi assalti d'un nemico che questa piazza difesa da voi non avrebbe presa senza seminare di cadaveri il cammino. Voi da dieci mesi combattete con impareggiabile coraggio. Il tradimento interno, l'assalto di rivoluzionarii stranieri, l'aggressione d'uno Stato che dicevasi amico, niente v'ha domato, nè stancato. Tra sofferenze d'ogni sorta, passando per campi di battaglia, affrontando tradigioni più terribili del ferro e del piombo, siete venuti a Capua e a Gaeta, segnando d'eroismo le rive del Volturno e le sponde del Garigliano, sfidando per tre mesi in queste mura gli sforzi d'un nemico padrone di tutta la potenza d'Italia. Per voi è salvo l'onore dell'esercito delle Due Sicilie; per voi il vostro sovrano può tenere alto il capo, e nella terra dell'esiglio dove aspetterà la giustizia di Dio, il ricordo della vostra eroica lealtà gli sarà dolcissima consolazione nelle sventure. Sarà distribuita una medaglia speciale che ricordi lo assedio; e quando i miei cari soldati torneranno in seno delle loro famiglie, gli uomini d'onore s'inchineranno al loro passaggio, e le madri mostreranno a' figliuoli come esempio i prodi difensori di Gaeta.
Generali, uffiziali, soldati, io vi
ringrazio; a tutti stringo le mani con affetto e riconoscenza; non vi
dico addio ma a rivederci. Serbatemi intatta la lealtà, come
eternamente vi serberà gratitudine e amore il vostro re
Francesco".
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