Intervista a Paolo Mieli, autore di "Storia e Politica"
Dal 1796 a oggi, la storia italiana è la vicenda di varie guerre civili. Su tutti questi conflitti s'è imposta regolarmente la visone semplificata dei vincitori. Ma oggi è venuto meno il tempo di un esame sereno. La storiografia di sinistra? Non nega la necessità di una revisione. Pretende però di imporne i criteri. Emblematico il caso della mancata pubblicazione, due anni fa, della prefazione di Herling ai "Racconti di Kolyma" di Salamov. La memoria condivisa?on è la memoria uguale per tutti, ma quella che affronta i capitoli più scomodi.
Paolo Mieli è tra gli uomini di cultura che cercano di liberare
il dibattito storiografico dalle ipoteche dell'ideologa. E' una visione
autenticamente laica del passato quella che emerse dal suo libro Le storie, la storia pubblicato due
anni fa. Lo stesso approccio viene ora confermato dal suo nuovo volume,
Storia e politica - Risorgimento,
fascismo e comunismo pubblicato in questi giorni da Rizzoli
(pp. 387, L.35000).
La particolarità del discorso di mieli sta nella sua
capacità di abbracciare i problemi della memoria storica
italiana in un grande sguardo di due secoli. Uno dei motivi
dell'insufficiente modo di "sentirci nazione è la permanenza,
lungo un lunghissimo arco di tempo, di una sorta di "sindrome" di
guerra civile.
La tendenza alle lotte intestine
è dunque una costante della vicenda italiana dagli anni delle
insorgenze ai nostri giorni?
Certamente. Nel mio libro considero i due secoli ed oltre che vanno dal
1796 a oggi come la storia di una lunga e complicata guerra civile, o
per meglio dire, di più guerre civili. A volte questo conflitto
è stato combattuto direttamente, altre volte è rimasto
allo stato latente.
Occorre andare tanto indietro nel
tempo per capire le anomalie del presente?
Occorre andare alla sorgente del fiume della storia. Non ci dobbiamo
limitare a giudicare i problemi che arrivano alla foce.
Non dipenderà anche dal ruolo
svolto dalla storiografia italiana?
Bè, diciamo che la storiografia coeva o immediatamente
successiva agli avvenimenti si impone normalmente come storiografia dei
vincitori. Come tale, nasconde le ragioni dei vinti e ne demonizza il
ruolo. Si tratta comunque di un fenomeno fisiologico. Il problema nasce
dalla storiografi, per così dire, del "secondo momento", quella
che narra gli eventi a partire dai trenta o quarant'anni seguiti al
loro verificarsi.
E questa seconda generazioni di
storici tende, anch'essa, a essere faziosa invece di…
Invece di cominciare a depositare la parte più violenta della
memoria e riflettere sulle zone d'ombra e le aree grigie.
Perché si verifica un
così curioso fenomeno?
Perché la storia italiana è una storia travagliata,
circostanza che ha complicato il lavoro degli studiosi. Prendiamo a
esempio il periodo a cavallo tra l''800 e il '900. In quel periodo
emerse una tendenza a considerare gli aspetti problematici del processo
di unificazione nazionale. Poi però il dibattito sul
Risorgimento come mito finì dentro il fascismo.
Per cui, il nuovo dibattito storiografico, quello del secondo
dopoguerra, risultò condizionato dalla necessità di
trovare radici sane al Risorgimento. Capitò così che
figure come quella di Filippo Buonarroti, visto come un protocomunista
dalla cultura di sinistra, risultarono sopravvalutate rispetto al ruolo
storico che avevano effettivamente svolto.
Siamo insomma a un'idea politicizzata
di Nazione. Quali altre anomalie sono state prodotte da questo
approccio storiografico?
A esempio, il rimane in ombra di una strana circostanza.
Vale a dire?
Il fatto che Il Risorgimento fu compiuto senza consenso di popolo,
laddove il brigantaggio (ma si tratta di un'espressione fuorviante) e,
prima ancora le insorgenze furono invece movimenti ad ampia
partecipazione popolare. Mi pare davvero strano che non siano stati
dedicati volumi e volumi ad analizzare tale particolarità.
Certo, vari studiosi hanno affrontato, qua e la, il fenomeno, ma rimane
il fatto che, fino a tre anni fa, fino cioè al momento in cui se
ne occuparono alcun storici di matrice cattolico-tradizionalista, le
insorgenze erano pressoché ignorate nella "vulgata".
Dal tuo libro emerge una critica a
certo "antirevisionismo"della storiografia di sinistra. Questa non nega
la necessità di una revisione, ma si chiude poi a riccio quando
tale operazione non è essa stessa a condurla. Pare di capire che
l'intellighenza di sinistra pretenda di continuare a fissare i criteri
dello "storiograficamente corretto" e dello storiograficamente
scorretto".
Emblematico mi sembra il caso di Gustaw Herling, del quale parlo nel
capitolo conclusivo. Si tratta di un grandissimo scrittore che due anni
fa, nel suo ultimo anno di vita, scrisse una prefazione per "I racconti
di Kolyma" di Salamov, pubblicati da Einaudi.
In quello scritto Herling metteva sullo stesso piano i "gemelli
totalitari", cioè il comunismo e il nazismo. Ebbene, per aver
scritto quelle cose, vide la sua prefazione cassata dal libro. Oggi,
dopo due anni, questo concetto viene invece ammesso tranquillamente
perché, nel frattempo , tale idea è stata fatta propria
da autori di sinistra. Chi se ne fa portavoce dovrebbe però,
prima di tutto, chiedere scusa alla memoria di Herling per non averlo
difeso quando era il momento.
Insomma, ancor oggi è difficile
discutere di storia.
Ed è sbagliato. Bisogna partire dal presupposto che tutto si
può discutere. La storia non è fatta di asserzioni ma di
intelligenti indagini, sempre suscettibili di essere capovolte da chi
dispone di nuovi documenti oppure ritiene di dover avanzare nuove idee
e punti di vista. Questo non significa che si debba imporre una "nuova
vulgata", ma che non ci debbano essere più "vulgate".
Intendiamoci, è comprensibile che alla fine di una guerra o di
una grave lacerazione si imponga una visione semplificata dei fatti. Mi
sembra però assurdo che un simile atteggiamento si mantenga per
cinquant'anni o addirittura un secolo. A questo proposito vorrei
ricordare un episodio curioso accaduto a Mac Smith.
Vale a dire?
Nel 1946, quando era un giovane studioso appassionato dell'Italia,
venne a Torino e chiese di consultare le carte di Cavour. Con sommo
stupore, apprese che non era possibile visionare quei documenti dal
momento che riguardavano il modo in cui il Sud era stato conquistato da
Piemonte: in quell'anno infuriava il moto separatista siciliano e si
temeva che la divulgazione di quelle carte avrebbe appiccato l'incendio
anche in altre parti del Paese. Ne nacque un caso e solo alcun anni
dopo, per l'intervento di benedetto Croce, fu possibile consultare i
documenti di Cavour. Parliamo di carte che erano ritenute pericolose
anche ottanta, novant'anni dopo.
Lo stesso discorso vale per il
fascismo e l'antifascismo?
In questo caso entrano in campo anche i sentimenti e le memorie
personali. Io per esempio sono di famiglia antifascista da più
generazioni. Mio padre era ebreo e abbiamo avuto parenti morti nei
campi di concentramento. Lungi da me quindi l'idea di rivalutare in
alcun modo il fascismo. Dico però che, se mi avvicino oggi in
sede storica agli avvenimenti del '43-'45, devo saper distinguere. Mi
chiedo perché dei giovani parteciparono alla Repubblica sociale
senza avere la benché minima idea di cosa stesse accadendo nei
campi di concentramento in germani. Mi interessa saperli perché
la mia ostilità al nazismo e al fascismo si rivolge anche contro
le altre forme di totalitarismo.
Non tutti la pensano così.
Ho il sospetto che tutti quelli che lanciano invettive non lo facciano
perché temono davvero che si voglia riabilitare il fascismo, ma
perché si oppongono alle indagini sull'altro versante, quello
comunista. Tutto questo è sleale.
Com'è da intendere l'idea della
memoria condivisa?
Non è la memoria uguale per tutti. Bisogna conservare la propria
memoria, ma nel rispetto di quella altrui. Non si tratta di semplice
omaggio a tutti i morti, ma della capacità di indagare tutte le
zone d'ombra. Il rispetto per i caduti è un primo passaggio. Il
secondo consiste nel cambiare atteggiamento verso i capitoli ritenuti
scomodi. Il loro esame non deve essere visto come un riconoscimento
compiuto verso i "nemici", ma come la conquista di un modo corretto,
sincero e intellettualmente onesto di custodire la propria memoria.
Intervista di Aldo Di Lello
Storia e politica. Risorgimento,
fascismo e comunismo
Paolo Mieli
Edizioni Rizzoli - Pag. 390 - euro 17,04
Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del web@master.