Dopo sessant'anni repubblicani di distruzione sistematica di ogni valore «nazionale», politico, culturale ed etnico, dopo l'abbattimento della sovranità e degli interessi economici e territoriali della repubblica italiana, il presidente e banchiere Carlo Azeglio Ciampi non perde occasione per far cantare l'inno di Mameli o per sventolare varie fogge di tricolore, persino quello a rombi della giacobina repubblica cispadana.
Non vuole accorgersi che questa Italia, americanizzata, banchierizzata,
resa multirazziale, i valori della «patria» resi
evanescenti, ha perduto anche il senso dell'onore. La perdita della
sovranità per l'eurocentrismo, infatti, l'ha portata al
servilismo e alla sudditanza di altre nazioni.
E si può dire che ha perso anche il senso del ridicolo.
Del resto che si può pretendere da questa Italia nata non per
spinta naturale di un popolo unico, ma con una sanguinosa e vile
aggressione militare da parte di uno Stato corrotto e fallimentare, il
Piemonte, a danno degli altri popoli della penisola? Così si
spiegano le incongruenze politiche e, soprattutto, la mancanza di onore
che ha sempre contraddistinto le vicende di questa Italia nata nel 1861.
Ma cos'è questa Patria?
Chiariamo il significato di questa parola. Patria è il
«bene comune» di un popolo, che, proprio per avere questo
bene comune, può definirsi «popolo». Essa è
la terra su cui il popolo ha sviluppato la sua civiltà, ha
creato le proprie tradizioni e ha vissuto la continuità tra
passato e futuro. Cose che tutte insieme sono necessarie perché
un popolo esista. Un popolo senza patria non è un
«popolo».
Sembra che in Italia esista veramente un unico popolo? Sembra che ci
sia una patria comune per tutti noi «italiani»? Tra gli
abitanti del Sud e quelli dei Nord non c'è mai stato nulla in
comune per migliaia di anni, nemmeno nel lungo periodo dell'Impero
romano. Diverse le origini, diversi i costumi e le tradizioni. Basta
andare indietro con la storia per accorgersi che non è mai
esistito un «popolo italiano», né una «patria
italiana». 1 palestinesi o gli irakeni hanno oggi una patria, noi
dei Sud no.
Noi del Sud una Patria ce l'avevamo da più di 2500 anni, ma i
savoiardopiemontesi ce l'hanno tolta subito dopo l'annessione al
Piemonte. Incominciarono a distruggerci il senso d'identità e,
quindi, i valori della «nostra» Patria per sostituirli con
quelli savoiardopiemontesi. Lo dissero gli stessi invasori dopo
l'occupazione delle nostre terre: «L'Italia è fatta, ora
bisogna fare gli italiani».
E dunque, perché questa Italia, che sfrutta ogni occasione per
santificare questo «risorgimento», a rinnegare e nascondere
i mali inferti a noi duosiciliani, a cancellare la nostra storia, a
perseguire costantemente una politica coloniale nel nostro territorio,
dovrebbe essere la nostra patria?
Fa forse parte della «nostra» storia Pietro Micca o il
conte Biancamano? Ogni vicenda anteriore al 1861 è riferita al
Piemonte come facente parte della storia «italiana»: che
forse gli altri Stati preunitari non avevano la loro storia, eroi o
tradizioni?
Iniziarono anche a criminalizzare il nostro passato, operazione non
ancora ultimata, cercando sempre in ogni modo di creare dentro di noi
veri e propri complessi di colpa e di inferiorità: Il Sud
è camorra e mafia, il Sud succhia i soldi al Nord che lavora,
ecc. ecc. Eppure dalle statistiche ufficiali e dalla storia risulta che
i più grandi ladri e truffatori sono sempre stati nel Nord, ma
su questo si sorvola con indifferenza. Questa continua azione di
mistificazione è sotto gli occhi di tutti e solo chi non vuol
vedere non se ne accorge.
Gli alti vertici dello Stato italiano non fanno che abboffarci di
«risorgimento», ma questo «risorgimento», per
come è nato, apportatore di stragi, di ladrocinii, di odio,
è stato anche la principale fonte del fascismo, cioè
dell'integralismo nazionalistico giacobino e totalitario. Ora i vertici
italiani ipocritamente lo rinnegano, ma illogicamente non rinnegano il
«risorgimento» che lo ha originato. Perché?
La risposta è abbastanza semplice: evidentemente nulla è
cambiato da quel lontano 1861. Lo Stato non riesce, non potendo
rinnegare se stesso, ad andare avanti nella Storia. t rimasto fermo a
quella guerra di conquista: l'Italia è solo un Piemonte
allargato.
Dopo aver perso tutto con le varie avventure militari, l'unica colonia
rimasta è il Sud e, perciò, consapevolmente non riconosce
che anche i «meridionali» sono «italiani». Con
tutte le conseguenze che ciò comporta. Infatti lo Stato
«italiano» ha fatto pochissimo o nulla per il Sud e vi
continua a creare danni con scelte politiche che ne impediscono lo
sviluppo.
Tutti i movimenti estremisti affermatisi in Italia sono sempre nati al
Nord e, quindi, non sono un bene comune anche per noi del Sud. Come non
è un bene comune il movimento della Lega Nord Paludania,
emblema di ipocrite e puerili spinte centrifughe e secessioniste, altro
movimento del Nord, ancorato al Nord.
Questi del Nord, insomma, non stanno mai fermi. Non solo ci hanno
invaso, rubato i nostri averi, ammazzata la nostra gente e annesso le
nostre terre ai loro territori, ma ci hanno mandato, e ancora ci
mandano (come in Irak), anche a morire come loro ascari nelle loro
guerre mondiali e coloniali per le loro squallide ambizioni di
conquista. Mai domi, imperterriti, continuano a parlarci ipocritamente
di «unità» e di «patria».
Questo Nord è fonte di tutti i guai per tutti coloro che abitano
in questa penisola. Usque tandeni ... ?
C'è ora da chiedersi perché noi del Sud siamo così coglioni.
La prima causa è che non riusciamo ad esprimere una classe
politica «nostra», che guardi cioè al Sud come la
«propria» terra e, quindi, diriga i suoi sforzi per il suo
bene. Gli sforzi dei politici nostrani sono solo diretti a mantenere la
loro poltrona, ragion per cui si guardano bene dal non inimicarsi g li
interessi del Nord.
Nessuno di costoro, quando sono andati al governo ha mai fatto nulla
per il Sud. Non è questione di destra o di sinistra, basta
osservare che quando perdono voti al Sud, fanno apparire qualche
specchietto delle allodole (come ora il Ministero per il Sud), salvo
poi dimenticarsene quando le elezioni sono passate.
I politici, si dice, sono i camerieri dei banchieri. In effetti i veri
poteri sono trasversali, non hanno colore politico. Gli schieramenti
politici sono solo una suggestiva invenzione necessaria per confondere
il popolo che, costretto a focalizzare il suo interesse sulle
votazioni, non si accorge dei maneggi dei poteri forti.
D'altra parte, l'assoluta mancanza di idee della classe politica
nostrana, quella che riesce ad arrampicarsi sulla greppia dello Stato,
blocca anche la fantasia dei nostri giovani aspiranti politici che non
sanno nemmeno quale sia il loro popolo!
Tutto ciò è una perversa spirale, una trappola, che
fatalmente sta portando all'estinzione la nostra gente, quella
cioè che si sente ancora duosiciliana.
E potrà anche accadere che la nostra millenaria civiltà
venga ridotta, in futuro, a riempire solo libri di archeologia per
studenti forse di incerta nazione.
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