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Tratto da:
Avvenire - 7 OTTOBRE 2000
GIOVANNI RUGGIERO

STORICI, TROPPI PARAOCCHI

La polemica sul revisionismo: parla Perfetti, erede di De Felice
"Domina ancora l'ideologia di stampo marxista e azionista Vedi l'ultimo Asor Rosa"
"Perché chiamare sovversivo chi indaga sul Risorgimento?"
 

Ecco lo spettro del revisionismo. Si sa: si può bollare tutto in questo modo. A rischio, dunque, anche la Cattedra Sturzo quando passa ad analizzare il ruolo del movimento cattolico nelle vicende italiane, specie del dopoguerra?


Lo storico però sorride, e propone: cancelliamo la parola revisionismo dal dizionario storiografico. Francesco Perfetti è ordinario di storia contemporanea alla Luiss e direttore di "Nuova storia contemporanea" che riprende la rivista di Renzo De Felice.


Ci spiega i motivi di questa cancellazione. Professor Perfetti, esiste un revisionismo o è il semplice progredire della scienza storica?


"La parola revisionismo dovrebbe essere eliminata perché si è caricata di una valenza squisitamente politica e ideologica, che è l'esatto contrario della ricerca storica, vale a dire conoscenza di come si sono svolti i fatti, al di là delle posizioni ideologiche. Il revisionismo in quanto tale nasce nell'area della cultura marxista, e, nel comunismo realizzato, diventa una sorta di meccanismo per individuare il nemico oggettivo da eliminare".


La storia è sempre revisionista, come dice Furet?


"Ma in questi termini: ogni volta che uno studioso individua un fatto nuovo o rilegge un fatto vecchio in una nuova ottica fa opera di revisione. Poi, però, il revisionismo è stato interpretato come una categoria utilizzata da un certo tipo di destra per riscrivere la storia, il che è del tutto fuori luogo. Non è un caso che si presentavano come revisionisti tutti quegli storici eminentemente politici che sostenevano la negazione dell'olocausto (Faurisson e via dicendo). Da qui a mettere Nolte nella stessa categoria il passo è stato breve, mentre i due personaggi sono completamente diversi per impostazione e formazione culturale. Data questa confusione sarebbe allora il caso di eliminare il termine ed elencare delle regole, per così dire, di ricerca storica".


Come ha fatto Galasso?


"Ed infatti Galasso è tra quelli che hanno firmato il manifesto sul revisionismo del Risorgimento. L'ideale - sostiene - sarebbe tornare a uno storicismo che abbia il conforto della ragione critica, poiché lo storicismo puro ha, quanto meno, due pericoli. Il primo, è di considerare la storia come un fatto completamente passato, con tutta una serie di conseguenze di carattere etico-politico, come la legittimazione del nuovo per il nuovo; il secondo è concepire il passato come un "passato che non passa" ma che pesa sui cittadini e sulla società".


È però innegabile che l'accusa di revisionismo sia diventata arma della sinistra per delegittimare tutto quello che non appartiene a quell'area culturale.


"Avviene nella sinistra di derivazione marxista e nella sinistra che si riallaccia alla cultura dell'azionismo, cioè alla cultura che mette a monte della ricerca un giudizio di tipo virtuistico: il bene da una parte, il male dall'altra, e poi procede ad analizzare la storia in questa chiave. Tanto per fare dei nomi, da Bobbio in poi, che finiscono per essere, volenti o nolenti, i reggicoda del marxismo".


C'è un metodo per un revisionismo per così dire corretto?


"Basterebbe non partire da un giudizio a monte. Lo storico non può porsi davanti alla ricerca con un giudizio di tipo moralistico già predefinito. Moralistico non morale. Il giudizio morale giunge a posteriore, dopo la ricerca. Come sarebbe asserire prima che la Rivoluzione francese, ad esempio, sia il bene o il male assoluto e dopo andarla a studiare, rapportando tutta la ricerca su questo parametro. Quindi, non si può parlare neppure di un revisionismo di destra o di sinistra. Eppure si fa per colpire certi testi che possono essere apparsi scomodi a una parte o ad un'altra".


Ad esempio?


"Quello che fa Asor Rosa quando dice che certi revisionisti (il richiamo forse è a Mieli) si rifanno a storici come Romeo, e lascia intendere: figuriamoci cosa avrebbe detto Romeo del Risorgimento. Il che significa non conoscere né la metodologia storiografica di Romeo, né i suoi stessi scritti. Romeo è stato il primo a presentare Furet come un modello del revisionismo storiografico e il suo libro sulla critica della Rivoluzione francese che operava una revisione sostanziale della rivoluzione intesa ancora come un solo blocco, che era l'idea del marxismo".


Il che è già bastante. Stesso discorso per il Risorgimento. Perché dire una parola diversa sul Risorgimento equivale a dichiararsi sovversivi?


"Perché c'è il timore di una certa cultura laica di un ritorno dei cattolici in politica, di un nuovo attivismo dei cattolici. Il Risorgimento è un processo storico: un fatto che si è realizzato e che andrebbe valutato con i criteri dello storicismo critico. Il che significa non la retorica del Risorgimento, nata subito dopo il moto risorgimentale e che aveva una sua funzione tutto sommato di nazionalizzazione delle masse, ma rivalutare il Risorgimento nel quadro europeo: rendersi conto e capire, oltre la polemica, che forse tutto sommato non è stata fatta, su Pio IX, quali fossero le ragioni di una certa linea e non espungere questo Papa dal Risorgimento. Presentarlo invece come portatore di una certa visione del Risorgimento che non si è realizzata. Una visione tra le tante, come era stata quella di Cavour che, invece, si è realizzata. Tutto questo, però, implicherebbe una demarcazione netta tra politica e storiografia".


Si teme la storiografia cattolica per la cultura che rappresenta?


"È il timore da parte di un mondo laico che assume il laicismo come valore assoluto che ci sia una reviviscenza di cattolicesimo integralista, cioè il timore di una sorta di rivendicazione del mondo cattolico nell'ambito del politico. State attenti - dicono - perché questa lettura del Risorgimento fatta dai cattolici integralisti è un tipo di lettura che porta ad una società teocratica, e cose del genere".


Qual è questo ruolo degli storici cattolici?


"Lo dico da storico non di formazione cattolica: intanto, la storiografia cattolica ha il compito di ricostruire, anche nei dettagli, il ruolo dei cattolici nella storia italiana. Le etichette restano però il problema di fondo. Dovremmo dire storia scritta dai cattolici, cioé una storia che non metta a monte principi moralistici, ma che studierà la presenza dei cattolici nel quadro dell'evolversi della società, e solo dopo, alla fine del lavoro, esprimerà un giudizio morale. Questo non sarebbe revisionismo.

Quando ho detto eliminiamo la parola revisionismo, avrei dovuto dire: eliminiamo tutte le etichette".

 

 

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