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Nessuno si e chiesto perchè in quelle realtà industriali avanzate (lo si ripete: non protoindustriali ma industriali e per il tempo avanzate) che detenevano addirittura primati oscillanti dalla dimensione mediterranea (cantieristica ed armamento navale) a quella sudeuropea (siderurgia) fossero stati attratti ingenti capitali stranieri (Pattison per le locomotive e le macchine agricole a Pietrarsa, Mayer e Zollinger a Scafati, per limitarsi alle industrie avanzate ed ai nomi di maggior peso).
Forse per produrre fuori mercato o per un mercato interno che si awiava
ad assorbire ma certamente non assorbiva ancora gran che
una parte delle produzioni di scala chiaramente destinate solo al
mercato europeo in grado di assorbirle? Forse le concorrenti industrie
del nord (sostanzialmente inesistenti) non potevano competere gia prima
del 1860 con quelle delle Due Sicilie sui mercati esteri?
Tutte domande chiaramente retoriche, almeno quanto di retorica
patriottarda sono rivestite le stesse giustificazioni di quelle tesi.
Una retorica patriottarda che e dura a morire, se e vero, come e vero,
che ancora alla fine degli anni '90 del XX secolo in ambienti di studio
meridionalistici (che passano per essere fra i più acuti e
spregiudicati) non era infrequente che si continuasse a comparare la
struttura manifatturiera del sud nel 1860 a quella di Francia ed
Inghilterra, per derivarne e tanto vero quanto assurdo! il
ritardo del Mezzogiorno preunitario non rispetto a Francia ed
Inghilterra ma al nord italiano di quel tempo. Queste illogicità
circolano libere e sole ancora oggi e fanno opinione "culturale"!
Eppure sarebbe bastato (come basterebbe ancora) che questi studi
avessero posto attenzione non ai casi di industrie avanzate
(metalmeccanica e siderurgia) tali considerate al tempo, ma alla
situazione del più ordinario dei settori industriali di quel
momento: il tessile.
Si sarebbero subito accorti che il più grande stabilimento
industriale (lo si ribadisce: non proto industriale) d’Italia al
1860 era l'azienda del signor Egg (di nazionalità svizzera) che
a Piedimonte d'Alife (' Caserta) utilizzava il quadruplo degli operai
dell'azienda Conti che era, a sua volta, il più grande
stabilimento di filatura non solo della Lombardia ma dell'intero nord
unito: e, naturalmente, aveva un fatturato quadruplo della Conti e la
stessa proporzionale quota d'esportazione.
Sarebbe bastato die gli stessi studi avessero fatto lo sforzo di
ricordare che non solo in Puglia (da sempre indicata ed a ragione
come regione industre e produttiva) ma nella Lucania, nella Calabria e
nella Sicilia la gran parte dei prodotti industriali era destinato
all'estero e, grazie alla capacità di trasporto della prima
flotta mercantile del Mediterraneo (quella delle Due Sicilie), anche
oltre Atlantico.
E si potrebbe continuare per un pezzo, con settori di sicuro interesse
manifatturiero come le pelletterie, la vetraria, la ceramica, le paste
alimentari (gia dal primo Ottocento dominate dalla Sicilia), le seterie
di gran pregio (cioe, il comparto setiero con il più alto valore
aggiunto di quei tempi), se non si ritenesse opportuno escludere questi
settori anche dagli interrogativi retorici fin qui sviluppati per
smorzare sul nascere ogni possibile sorriso di supponenza
intellettualistico rispetto a produzioni normalmente, quanto
impropriamente liquidate come appartenenti agli aspetti "coloristici"
del Mezzogiorno produttivo.
Non e frutto di assistenza protezionistica un comparto che produce
talmente fuori mercato da destinare all’esportazione (e senza
particolari protezioni doganali) quasi l'intera produzione "avanzata",
poco meno di quella "pregiata", riservando all'uso interno l'80% delle
manifatture "ordinarie", con l'obiettivo pressoche raggiunto
dell'autosufficienza interna per prodotti ordinari essenziali come il
tessile.
L'apparato manifatturiero meridionale non era certamente "assistito" ne
operava "fuori mercato" ma aveva una caratteristica specifica che lo
rendeva sensibile alla gestione politica del Paese ben oltre quello che
tale gestione poteva significare per qualunque altro apparato
produttivo della Penisola.
Quella caratteristica derivava dalla stessa genesi formativa dell'apparato del sud, determinato e cresciuto in perfetta simbiosi con un disegno politico tipico e caratterizzante.
Un disegno che sia per il tasso di assorbimento "pubblico" della
produzione (le commesse. di Stato) sia per il livello dei dazi doganali
si muoveva sullo stesso metro di quanto aweniva in tutta Europa,
superpotenze d'epoca comprese, ma che affidava la formazione dei
capitali necessari allo sviluppo delle manifatture all'accumulo degli
utili da esportazione in mezzi di pronta conversione (oro e argento) ed
a criteri utili per indirizzarne, con equilibrio, rinvestimento in
iniziative manifatturiere a target sempre più interno. evitando
l'innesco di meccanismi inflattivi nelle more del loro impiego
gradualistico.
Nel sud, cioe, si erano sviluppate "prima" le manifatture di pregio
destinate prevalentemente all'esportazione, proprio per trasformare i
risultati del lavoro in mezzi di pronta conversione. Mezzi che, secondo
il metodo gradualistico di scuola tanucciana, venivano, poi, investiti
in produzioni "coerenti e di massa" per soddisfare la domanda interna.
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