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Fonte:
L'IMBROGLIO NAZIONALE, ALDO SERVIDIO (Guida Editore, Napoli, 2000) pagg. 112-113

Nessuno si e chiesto perchè in quelle realtà industriali avanzate

Aldo Servidio

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Nessuno si e chiesto perchè in quelle realtà industriali avanzate (lo si ripete: non protoindustriali ma industriali e  per il tempo  avanzate) che detenevano addirittura primati oscillanti dalla dimensione mediterranea (cantieristica ed armamento navale) a quella sudeuropea (siderurgia) fossero stati attratti ingenti capitali stranieri (Pattison per le locomotive e le macchine agricole a Pietrarsa, Mayer e Zollinger a Scafati, per limitarsi alle industrie avanzate ed ai nomi di maggior peso).


Forse per produrre fuori mercato o per un mercato interno che si awiava ad assorbire  ma certamente non assorbiva ancora gran che  una parte delle produzioni di scala chiaramente destinate solo al mercato europeo in grado di assorbirle? Forse le concorrenti industrie del nord (sostanzialmente inesistenti) non potevano competere gia prima del 1860 con quelle delle Due Sicilie sui mercati esteri?


Tutte domande chiaramente retoriche, almeno quanto di retorica patriottarda sono rivestite le stesse giustificazioni di quelle tesi. Una retorica patriottarda che e dura a morire, se e vero, come e vero, che ancora alla fine degli anni '90 del XX secolo in ambienti di studio meridionalistici (che passano per essere fra i più acuti e spregiudicati) non era infrequente che si continuasse a comparare la struttura manifatturiera del sud nel 1860 a quella di Francia ed Inghilterra, per derivarne  e tanto vero quanto assurdo!  il ritardo del Mezzogiorno preunitario non rispetto a Francia ed Inghilterra ma al nord italiano di quel tempo. Queste illogicità circolano libere e sole ancora oggi e fanno opinione "culturale"!


Eppure sarebbe bastato (come basterebbe ancora) che questi studi avessero posto attenzione non ai casi di industrie avanzate (metalmeccanica e siderurgia) tali considerate al tempo, ma alla situazione del più ordinario dei settori industriali di quel momento: il tessile.


Si sarebbero subito accorti che il più grande stabilimento industriale (lo si ribadisce: non proto industriale) d’Italia al 1860 era l'azienda del signor Egg (di nazionalità svizzera) che a Piedimonte d'Alife (' Caserta) utilizzava il quadruplo degli operai dell'azienda Conti che era, a sua volta, il più grande stabilimento di filatura non solo della Lombardia ma dell'intero nord unito: e, naturalmente, aveva un fatturato quadruplo della Conti e la stessa proporzionale quota d'esportazione.


Sarebbe bastato die gli stessi studi avessero fatto lo sforzo di ricordare che non solo in Puglia (da sempre indicata  ed a ragione come regione industre e produttiva) ma nella Lucania, nella Calabria e nella Sicilia la gran parte dei prodotti industriali era destinato all'estero e, grazie alla capacità di trasporto della prima flotta mercantile del Mediterraneo (quella delle Due Sicilie), anche oltre Atlantico.


E si potrebbe continuare per un pezzo, con settori di sicuro interesse manifatturiero come le pelletterie, la vetraria, la ceramica, le paste alimentari (gia dal primo Ottocento dominate dalla Sicilia), le seterie di gran pregio (cioe, il comparto setiero con il più alto valore aggiunto di quei tempi), se non si ritenesse opportuno escludere questi settori anche dagli interrogativi retorici fin qui sviluppati per smorzare sul nascere ogni possibile sorriso di supponenza intellettualistico rispetto a produzioni  normalmente, quanto impropriamente liquidate come appartenenti agli aspetti "coloristici" del Mezzogiorno produttivo.


Non e frutto di assistenza protezionistica un comparto che produce talmente fuori mercato da destinare all’esportazione (e senza particolari protezioni doganali) quasi l'intera produzione "avanzata", poco meno di quella "pregiata", riservando all'uso interno l'80% delle manifatture "ordinarie", con l'obiettivo pressoche raggiunto dell'autosufficienza interna per prodotti ordinari essenziali come il tessile.


L'apparato manifatturiero meridionale non era certamente "assistito" ne operava "fuori mercato" ma aveva una caratteristica specifica che lo rendeva sensibile alla gestione politica del Paese ben oltre quello che tale gestione poteva significare per qualunque altro apparato produttivo della Penisola.

Quella caratteristica derivava dalla stessa genesi formativa dell'apparato del sud, determinato e cresciuto in perfetta simbiosi con un disegno politico tipico e caratterizzante.


Un disegno che sia per il tasso di assorbimento "pubblico" della produzione (le commesse. di Stato) sia per il livello dei dazi doganali si muoveva sullo stesso metro di quanto aweniva in tutta Europa, superpotenze d'epoca comprese, ma che affidava la formazione dei capitali necessari allo sviluppo delle manifatture all'accumulo degli utili da esportazione in mezzi di pronta conversione (oro e argento) ed a criteri utili per indirizzarne, con equilibrio, rinvestimento in iniziative manifatturiere a target sempre più interno. evitando l'innesco di meccanismi inflattivi nelle more del loro impiego gradualistico.


Nel sud, cioe, si erano sviluppate "prima" le manifatture di pregio destinate prevalentemente all'esportazione, proprio per trasformare i risultati del lavoro in mezzi di pronta conversione. Mezzi che, secondo il metodo gradualistico di scuola tanucciana, venivano, poi, investiti in produzioni "coerenti e di massa" per soddisfare la domanda interna.

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