Il Regno delle Due Sicilie (cosí ufficialmente chiamato dal 1816 riportando in auge un antichissimo nome risalente ai Re d'Aragona) era uno dei piú antichi stati italiani, essendosi costituito nella sua integrità fin dal secolo XII sotto la casa di Svevia e cosí rimasto, pur attraverso una serie di passaggi da un dominio all'altro, fino all'unificazione politica di tutta la penisola. Dal 1734 regnava a Napoli un ramo dei Borboni di Spagna, staccatisi a loro volta dalla Casa Reale di Francia. Carlo di Borbone (VII come Re di Napoli), figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, già duca di Parma, conquistò il regno togliendolo agli Austriaci a seguito di una campaagna connessa con la guerra di successione polacca e tale conquista gli fu riconosciuta poi dal trattato di Vienna (1738).
A Napoli Carlo diede inizio ad una Dinastia che divenne presto
napoletana a tutti gli effetti (gli stessi sovrani erano soliti
esprimersi correntemente in puro dialetto partenopeo) e trovò
nelle classi piú umili della popolazione il principale sostegno
del suo trono. Contrariamente a quanto spesso affermato, il Regno delle
Due Sicilie era, infatti, uno Stato del tutto indipendente e retto da
sovrani italiani: non deve dimenticare l'offerta fatta a Ferdinando II
della corona di Re d'Italia da parte di un congresso di liberali
tenutosi a Bologna nel 1833.
I Borboni, però , non avevano ambizioni di conquista ed erano
troppo rispettosi del potere temporale del Papa per lasciarsi
invogliare da tali: l'offerta fu lasciata cadere per non ledere i
diritti altrui, come disse Ferdinando sul letto di morte, e le tendenze
politiche unitarie e monarchiche puntarono allora sui Savoia.
Quando Garibaldi, il 6 maggio 1860, salpava da Quarto col tacito
appoggio di Cavour e la benevola connivenza di Vittorio Emanuele II, la
situazione era dunque un po' diversa da quella tanto propagandata da
pochi esuli e poi fatta propria da una visione agiografica degli eventi
del Risorgimento. Garibaldi andava in realtà alla conquista, per
conto del Re di Sardegna, del più vasto e popolato tra gli Stati
italiani anteriori alla guerra del 1859 contro l'Austria.
Il Regno delle Due Sicilie comprendeva infatti tutta l'Italia a sud
dello Stato Pontificio: La Campania (che allora comprendeva anche parte
dell'attuale Lazio meridionale - i distretti di Gaeta e Sora -
assegnati durante il periodo fascista alla nuova provincia di Littoria,
poi Latina, e alla provincia di Frosinone*), gli Abruzzi (inclusa parte
della vecchia provincia dell'Aquila assegnata nel periodo fascista al
Lazio*), le Puglie, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia, con circa
nove milioni di abitanti.
Cosí sistemato da un punto di vista geografico, il Regno era
difeso, come soleva dire Ferdinando II, per tre lati dall'acqua salata
e per il quarto dall'acqua santa, tutte difese che poco servirono al
momento del bisogno. In realtà esistevano anche, almeno sulla
carta, però una forte flotta ed un esercito di circa centomila
uomini, discretamente armati ed addestrati, con l'unica grave pecca di
essere comandati da troppi generali, pavidi e pronti a farsi comprare
dall'oro piemontese.
Per queste cause sul soldato napoletano pesano ancora ingiustamente
luoghi comuni triti: ogni volta che i comandanti si dimostrarono
combattivi e capaci, la truppa si batté con coraggio e valore
scrivendo vere pagine di gloria sul Volturno, a Caserta, a Gaeta...
Da un punto di vista tencico ed economico il Regno vantava alcuni
troppo poco noti primati: dal 1839 era in funzione la prima linea
ferroviaria costruita nella penisola, e nel 1818 era stata varata la
prima nave a vapore italiana. Fiorenti industrie tessili e siderurgiche
prosperavano difese da un regime di stretto protezionismo e nelle casse
dello Stato erano racchiusi depositi per un ingente numero di milioni
in lire-oro che furono poi preda dei conquistatori.
Dalle Accademie napoletane uscivano i piú preparati ufficiali
d'artiglieria e del genio di tutta Italia. Indubbiamente a tutto
ciò faceva riscontro una situazione politica poco
«liberale» ed una generale arretratezza sociale e
culturale.
Da molto tempo, però, si è dileguata la favola dei
fratelli piemontesi venuti a liberare il Sud dal giogo tirannico dei
Borboni. Non di «liberazione» si trattò, infatti, ma
di pura e semplice annessione, con immediata estensione ai nuovi
territori delle leggi piemontesi, della coscrizione obbligatoria, di
tasse completamente ignote al sud. Prova di questa realtà
è il fatto che ancora nel 1865 su 59 prefetti esistenti in
Italia ben 43 erano piemontesi ed il resto emiliani e toscani.
Il Re Ferdinando II («Re Bomba» come veniva chiamato
spregiativamente dai liberali dopo il bombardamento di Messina**), uomo
molto criticato ma intelligente e dotato di indubbie capacità di
governo, di buon senso e di spirito pratico, morí a soli 49 anni
il 22 maggio 1859, lasciando il trono in uno dei piú burrascosi
momenti storici dell'Italia ad un giovane timido ed impreparato a
regnare. Francesco II, salito al trono lo stesso giorno morte del
padre, dovette abbandonare Napoli il 6 settembre 1860 in seguito
all'avanzata delle truppe garibaldine.
Dopo la grande battaglia Volturno (2 ottobre) in cui per poco i
napoletani non riuscirono a battere il nemico, il Re dovette riparare
nella fortezza di Gaeta in cui si rinchiuse con circa 20.000 uomini.
Qui, dopo aver sostenuto un assedio quattro mesi, dovette alla fine
capitolare ed il 14 febbraio 1861 si imbarcava alla volta di Roma dove
restò fino al 1870, ospite del Pontefice con quanto restava
della sua Corte.
Secondo l'uso di quei tempi, anche a Napoli ed in Sicilia ci si
preoccupò indire appena possibile dei plebisciti che potessero,
col loro voto, dare valore alla «liberazione» effettuata da
Garibaldi. Nei territori continentali del Regno la votazione diede
1.032.064 «sí» e 10.313 «no»; in,
regione per la quale si tenne un conteggio distinto, vi furono 432.053
«sí» e 667 «no». Mentre in questo modo
si legittimavano i desideri unitari di quanti volevano l'unione del
Regno al resto dell'Italia (però vi furono solo un milione e
mezzo di votanti su nove milioni di abitanti) già era scoppiata
la guerriglia promossa da quanti avversavano la nuova sistemazione
politica.
Ciò mentre, dopo la capitolazione di Gaeta, truppe regolari
borboniche resistevano nella cittadella di Messina fino al 13 marzo, e
la fortezza di Civitella del Tronto ammainava per ultima la bianca
bandiera dei Borboni il 20 dello stesso mese. Dopo questa data, per
parecchi anni ancora, gruppi di soldati sbandati, di volontari
cattolici giunti da tutta l'Europa, di contadini renitenti alla leva ed
anche di autentici briganti, sostenuti da aiuti in denaro provenienti
dal sovrano spodestato impegnarono piú di centomila uomini
dell'esercito del Regno d'Italia. In esilio a Roma fino al 1870,
Francesco II morí ad Arco, in Trentino, il 27 dicembre 1894.
Privo di discendenza, trasmise i diritti al trono al fratello Alfonso,
conte di Caserta, il cui pronipote S.A.R. il principe Ferdinando Maria,
duca di Calabria, è l'attuale pretendente al trono e Gran
Maestro degli Ordini Dinastici di Casa Borbone Due Sicilie. Fra questi
è l'importantissimo Sovrano Militare Ordine Costantiniano di S.
Giorgio che anche oggi gode dell'ufficiale riconoscimento dello Stato
Italiano quale «legittimo Ordine Dinastico della Casa Reale di
Borbone delle Due Sicilie» (D.P.R. 20 luglio 1963).
Il Re delle Due Sicilie si fregiava anche dei titoli di Re di
Gerusalemme, duca di Parma, Piacenza e Castro, gran principe ereditario
di Toscana: tutti questi attributi figurano portati fino all'ultimo
giorno di regno anche da Francesco II che cosí si intitolava
negli atti ufficiali. L'arma completa di allusivi ai sopra citati
titoli.
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