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Fonte:
https://www.telestreetbari.it/

RISPOSTA DI S. M. IL RE

Delegati delle città di Napoli e di Palermo, delle Province Continentali ed insulari del Regno.

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Nel tempo in cui da ogni angolo del territorio Napoletano e Siciliano mi pervengono indirizzi coperti di migliaia di firme, lusinghiera memoria di fiducia ed attaccamento, sono oltremodo sensibile alle espressioni di affetto e fedeltà, che a nome delle Ventidue Provincie del Regno venite a presentarmi pel nuovo anno, espressioni di auguri e di speranza tanto più grate al mio cuore, in quanto che esternano i sentimenti delle nostre leali ed infelici popolazioni.

Vi ringrazio con tutta l'effusione della mia anima, e vi prego di trasmettere a quelli che vi han fatto organo dei loro voti, la testimonianza della mia viva riconoscenza. Esule dal Trono e dalla patria, tutti i miei sentimenti, i pensieri costanti di tutti i giorni si rivolgono ai miei amati ed infelici sudditi, alla dolce terra dove ebbi luce, dove riposano le ceneri de' miei antenati.

Non è la perdita di un Trono, non le miserie che accompagnano l'esilio, quello che addolora più la mia anima. In mezzo alle sventure personali, sento che il mio cuore rimarrebbe forte e sereno, se non dovessi assistere con inesprimibile angoscia allo spettacolo della oppressione, della rovina, della schiavitù dei miei popoli.

Il soffio dell'aria nativa, si dolce per l'esiliato, ma non mi reca qui che l'eco delle fucilate, che ogni giorno colpiscono oscure e fedeli vittime, le scintille dei paesi bruciati dal barbaro invasore, i lamenti degli infelici ammucchiati nelle carceri; o le grida degli agricoltori, i cui campi sono devastati da bandi draconiani de' prefetti piemontesi.

Abbiamo fiducia In Dio. Vedete che, come tutte le opere della iniquità umana, l'opera piemontese colpita di sterilità, segno fatale di decadenza e morte. Tanti decreti, tale cumulo di misure, tanto cambiamento di regime nelle Due Sicilie, ora di Dittature, ora di Luogotenenze, già di prefetti, e tutte queste prove fatte in due anni a che han mai servito? A che han servito le lusinghe, le calunni ed il terrore? A che l'incendio d'inermi paesi, le ecatombe umane rinnovate ogni giorno nelle nostre province?

Le carceri sono piene di detenuti: e si lagnano che si cospira ancora. Lo stato di assedio è stato per molti mesi il solo mezzo di governo, ed i mali ed i pericoli che doveva estirpare sono invece cresciuti.

La vita degli infelici popolani si trova nell'arbitrio dell'ultimo caporale, che comanda un distaccamento di truppa; i bandi delle nuove autorità, leggi inumane di sospetti, sottomettono alla passione o al capriccio la vita e la fortuna dei proprietari, e dei campagnoli; e le milizie Realiste perciò si estendono, e combattono ogni giorno con maggiore ardore ed accanimento. Le contribuzioni sono moltiplicate, i beni della Chiesa usurpati e venduti; tutte le ricchezze, accumulate da un savio sistema di risparmio, dilapidate, ed il Tesoro della usurpazione sempre esausto.

Il suo budget presenta un deficit normale spaventevole, ed il valore della rendita oltrepassa di poco la metà del prezzo, a cui erano giunte le nostre negli ultimi anni di nostra indipendente Monarchia.

Aspettiamo con dolore, ma con calma. Lasciate a quelli, che non credono nella Provvidenza Divina, calcolare sul trionfo della iniquità. Lasciate a quelli, pei quali la storia non ha insegnamenti né esempii, credere alla violenta annessione della prima Monarchia italiana, alla morte diffinitiva di un Regno, che, attraverso tanti secoli e tante dominazioni straniere, ha sostenuto gelosamente la sua autonomia, e conservate le frontiere tracciategli dai fondatori; che ha veduto passare tanti sconvolgimenti e conquiste, avanzando sempre nell'opera dalla indipendenza nazionale.

Lasciate, che quegli illusi veggano in un mero accidente rivoluzionario l'assetto definitivo delle sorti di un gran Regno. Lascateli sognare che si sradicano così facilmente le Dinastie, e si uccidano le Nazioni.

Come voi, non dubito, non ho dubitato giammai del mio ritorno. Non ho dubitato, quando in giorni di tradimenti e di sventure lasciai Napoli, la mia patria, la mia capitale, la mia privata fortuna, le mie risorse di Governo per conservare illesa la diletta Metropoli. Non quando soldato della indipendenza nazionale difendeva il decoro del mio nome e l'onore della nostra armata sulle linee del Volturno e sulle mura di Gaeta. Questa fiducia assoluta nella giustizia della mia causa, questa risoluzione di riconquistare ad ogni costo l'indipendenza del mio paese, sono la fede e la consolazione del mio esilio.

E come dubitarne, quando più di due anni sono scorsi dopo la mia assenza, e dappertutto mi giungono testimonianze di amore e di rispetto, di fiducia e rimembranze de' miei sudditi? Quando vedo la parte più numerosa e considerevole della Nobiltà del Regno, condannarsi volontariamente all'ostracismo per seguire la mia causa; quando, con rarissime eccezioni si astiene quella che è rimasta di parteggiare in modo alcuno con l'usurpazione; quando da tutti i Comuni del Regno mi offrono Proprietarj e Contadini la loro vita e servigj; quando contemplo quel nobil popolo abbandonato da tutti, senza verun appoggio, senza istigazione mia (voi lo sapete) lottare contro l'oppressione straniera, e morire pronunziando il mio nome, dico a me stesso, che una causa sostenuta dalla giustizia, e radicata in tanti cuori Leali non può soccombere, e che l'avvenire è suo.

Ma quando giungerà il giorno inevitabile della restaurazione (ponderatelo bene) l'opera di rendere la pace e la prosperità ad un paese rovinato è delicata e difficile. Avrò bisogno dei lumi, del concorso di tutti. Dite a quelli che v’inviano che i miei principii sono inalterabili ed immutabili le mie intenzioni. L'amnistia, il perdono pei fatti politici passati sono un sentimento del mio cuore, e la massima cardinale della mia politica. Sotto l'egida di un regime sinceramente rappresentativo, potrà il Paese efficacemente intervenire nella sua amministrazione e nel suo governo, applicando tutte le nostre forze alla grande opera della sua rigenerazione politica. La Sicilia, da canto suo, avrà indipendenza economica, amministrativa e parlamentaria; e Palermo parteggerà con Napoli l'onore di essere la residenza del Monarca.

Inculcate bene e fate diffondere dappertutto queste idee. Dissipate i timori, che procura la rivoluzione d'insinuare, di reazioni personali, di castighi, di vendette. Tali cose non le permetterebbe il mio cuore.

Raccomandate nel mio nome a tutti la concordia. Ripetete a ciascuno che fra quanti ebbero natale al di là del Tronto non voglio conoscere nemici; voglio solamente vedere in tutti figli e compatriotti, la cui unione è necessaria per risanare le piaghe del nostro desolato paese.

Rammentate a tutte le forze indigene, che esse sono ordinate per tutelare la proprietà e la sicurezza dei Cittadini, per sostenere e non per combattere le coloro aspirazioni di patriottismo e d'indipendenza: che si ricordino che sono Napoletani e Siciliani, che verrà presto un giorno in cui avrà bisogno della loro devozione il proprio paese; ed allora mediteranno bene della patria, ed io sarò lieto di mostrar loro la mia stima e gratitudine.

Che i popoli delle due Sicilie considerino la loro forza, la loro popolazione, il loro territorio in paragone del resto d'Italia, rammentino la loro storia ed in essa troveranno nobili esempj. Non aspettino di poter conseguire la loro redenzione dallo straniero solo. Quando il momento sarà giunto, la giustizia di Dio e l'equità dei popoli saranno con essi. Sappiano far da loro, ed il mondo intiero plaudirà ai loro sforzi.

Vi ringrazio di nuovo, Napoletani e Siciliani, del vostro attaccamento e de' vostri augurj, e da questo asilo, dove sono colmato delle più affettuose dimostrazioni e della paterna ospitalità di Colui, che rappresenta sulla terra l'Eterna Giustizia ed a cui fu affidata dalla Provvidenza la difesa della oppressa virtù, e spero fra non molto trovarmi presso di voi, vedervi intorno a me concordi, forti e felici; quando, stendendo una mano amica e fraterna ad altri Stati d'Italia, avrà a gloria di aprire le porte dei parlamenti veramente nazionali, nelle due grandi metropoli del Continente e della Sicilia.

Da Roma, Palazzo Farnese 16 Gen. 1863.

firmato FRANCESCO

Il Ministro Segretario di Stato funzionante da 

Presidente del Consiglio de' Ministri ed incaricato 

della referenda degli Affari di Sicilia.

Firmato Cav. G. Croce Pietro C. Ulloa.

Fonte:
https://www.regnoperduto.altervista.org/

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