Il Risorgimento? Una rivoluzione post-illuministica e post-protestante che si è diretta soprattutto contro la religione cattolica. E che ha perseguito e ottenuto il suo scopo contro il popolo e a prezzo di una «guerra civile» con il Mezzogiorno.
Un po' la radice di tutti i mali dell'Italia futura, dal fascismo, alla guerra civile (stavolta quella seguita all'8 settembre), fino a quelli attuali. Sono le tesi di molti studi recenti, che stanno sottoponendo a un attento «revisionismo» gli albori della nostra Patria. In questo filone si inserisce un volume collettaneo, «La rivoluzione italiana» (Il minotauro, pagine 430, lire 45mila), che fa il punto sulla situazione storiografica in materia.
L'opera è frutto di un pool di studiosi. Tra essi Massimo Viglione, che ha coordinato il lavoro. «Una delle accuse sbagliate che vengono mosse a una certa corrente di revisionismo sul Risorgimento è di essere antinazionale. - dice il curatore del volume - È un errore. Nessuno mette in discussione l'unificazione italiana, ma le sue modalità errate, di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
Lo stesso "nemico numero uno" del Risorgimento, Pio IX, era un fautore dell'unificazione dell'Italia. Ciò che non voleva era la cancellazione da parte di una élite potente dei legittimi sovrani e una vera e propria forma di laicizzazione, se non ateizzazione dell'Italia stessa».
Ma la perdita del potere temporale non
è stata, in fondo, un
bene per la Chiesa stessa?
«Il compito dello storico è di studiare i fatti e le loro
conseguenze. Noi denunciamo che per 140 anni si è nascosta una
vera e propria persecuzione nei confronti della Chiesa. Coloro che ne
furono protagonisti, Cavour e il cosiddetto partito piemontese, hanno
portato avanti questo processo esclusivamente ai danni della Chiesa,
dei legittimi sovrani, e soprattutto con una vera e propria
persecuzione laicista, come avverrà negli anni Cinquanta,
Sessanta e anche dopo Cavour.
Purtroppo in maniera peggiore lo statista piemontese capiva le situazioni, i suoi epigoni non avevano questa intelligenza. Ciò ha provocato una grande frattura all'interno del popolo italiano. Che dura ancora oggi. Come si evince dagli studi di Galli della Loggia, Rusconi, Emilio Gentile o Paolo Mieli. La prima di queste divisioni, a monte, è proprio dovuta al fatto che il Risorgimento come rivoluzione, invece di portare avanti il processo unitario secondo le linee della nostra nazionalità, civiltà e identità, le ha attaccate».
Questo un carattere della Rivoluzione.
Altri?
«Il fatto del tutto illegittimo di aver abbattuto dinastie
secolari. In qualche modo quello che accade nel Sud, dieci anni di
guerra civile con almeno 60-70mila morti. Aver mandato negli anni
Sessanta ben 120mila uomini per reprimere quello che è stato
definito brigantaggio fa chiedere: ne occorrevano tanti? È
chiaro che si trattava di una guerra civile. Metà del nuovo
Stato era contrario all'unificazione».
Lei si è occupato delle
Insorgenze. Perché la
storiografia le ha considerate un fenomeno "oscurantista"?
«Qui entriamo nel solito discorso su chi ha fatto la cultura
italiana negli ultimi decenni. Prima e durante il fascismo molti
studiosi hanno scritto volumi sul fenomeno. Anche se poi,
nazionalisticamente o fascisticamente, lo interpretavano come una
specie di prima, orgogliosa, rivolta italiana. È stato dopo la
seconda guerra mondiale, con il trionfo di quello che Augusto Del Noce
ha chiamato "crociogramscismo accademico", che è calato un velo
nero su questa storia. Fino all'ultimo decennio».
Cosa ha rotto questo velo?
«Sta cambiando molto. Tant'è che anche gli esponenti della
vulgata risorgimentale sono piuttosto agitati. Sulle Insorgenze sono
ormai uscite decine di libri, sia a carattere generale che a livello
locale. Si fanno molte conferenze e anche gli intellettuali noti ne
parlano. Il fenomeno ormai è venuto fuori. Nel '99 l'Istituto
Gramsci è stato costretto, dopo 50 anni, a farci un
libro».
Più in generale qual è
stato il cambiamento nella
storiografia risorgimentale?
«Siamo agli inizi. Molto hanno contribuito le opere di Angela
Pellicciari. Speriamo che si possa riscoprire e rivedere la nostra
storia. Per capire che nel Risorgimento ci sono le radici dei nostri
mali attuali».
Nel libro viene indicato un "filo
rosso" che unisce Risorgimento,
fascismo e "guerra civile", seguita all'8 settembre con la «morte
della patria», indicata da Galli della Loggia. Uno sviluppo
davvero così lineare?
«Questo è l'aspetto più delicato della questione.
L'attacco alla Chiesa – al di là dell'imprigionamento di vescovi
e cardinali e della confisca dei conventi - è stato la
volontà imperterrita, proseguita per decenni, di cancellare il
cristianesimo, sostituendolo con una religione delle patria, di cui
l'"Altare della patria" era l'ara. Avanzava il nazionalismo, incarnato
soprattutto in Francesco Crispi, massone e anticattolico. Era una vera
congerie spirituale generale, che è sfociata nelle fallimentari
guerre coloniali e nella Grande Guerra. Ora, come si fa ad affermare
che tutto il nazionalismo fascista e tutta la sua retorica sulla patria
non sono stati la perfetta continuazione del cinquantennio
precedente?».
Ultimamente alcuni studi tendono a non
vedere Crispi come antesignano
del fascismo.
«Nessuno lo è in se stesso. Ma è improponibile
continuare a sostenere sulla linea di Croce che il fascismo è
stato una "calata degli Iksos". Dal punto di vista delle idee e della
mentalità la colpa va data al Risorgimento. Tanto che Mussolini,
Gentile e Bottai (i due uomini di cultura del regime) hanno sempre
detto: noi siamo i realizzatori di Giuseppe Mazzini. Lo stesso fascismo
si autoproclamava secondo Risorgimento. Durante la guerra civile, i
partigiani hanno voluto cancellare il fascismo e dire la stessa cosa.
In realtà tutti e due i fenomeni sono riconducibili al
Risorgimento».
Magari più la matrice
azionista. E i cattolici?
«C'è la doppia faccia di Mazzini, nazionalista e
azionista. L'anima cattolica è una novità. Dal
Risorgimento era stata esclusa e si era riaffacciata col partito
sturziano. Ma i cattolici non sono stati tutti con la Resistenza, una
buona parte sono andati al Nord. Quindi gli italiani hanno continuato a
essere divisi».
Ma c'era stato un regime, una guerra
mondiale. La cosiddetta
«morte della patria» si deve ricollegare proprio al
Risorgimento?
«La Prima guerra mondiale è stata è conseguenza del
nazionalismo Risorgimentale. A sua volta il fascismo ha estremizzato
questo processo ed è entrato nella Seconda. È tutto
collegato. Il vero problema è che, come lasciano intendere Galli
della Loggia e Gentile, fascismo e antifascismo sono due facce delle
stessa medaglia: la rivoluzione italiana. Gli italiani che si regolano
i conti fra di loro».
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