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…..a proposito di Carmine Crocco

di Antonio Armenti

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14 Febbraio 2012

Dopo la messa in onda su Rai Uno della fiction in due puntate sulla figura di Carmine Crocco abbiamo avuto la riprova, qualora ce ne fosse stato bisogno, che anche dopo circa 150 anni certi accadimenti fanno ancora polemizzare e non soltanto per il fatto che  molti ancora  ignorano cosa realmente accadde in quegli anni nel Sud Italia.

L’insabbiamento culturale messo in atto dalla propaganda dei vincitori ha partorito generazioni di italiani convinti ancora che si combatté una guerra di liberazione dal giogo dello straniero e che i “buoni” Savoia, con spirito totalmente altruistico si sacrificarono per l’unificazione di tutta la penisola sotto una unica bandiera. La loro.

Le mitizzate figure di Garibaldi, Mazzini, Cavour e Vittorio Emanuele II, definiti “padri della patria” campeggiano ovunque nelle piazze a loro intitolate, sui libri di testo scolastici, addirittura in molti spot televisivi a conferma della loro indiscussa popolarità. Tipica  immagine questa dell’Italia dei tamburini sardi e delle piccole vedette lombarde

Quando poi qualcuno comincia a scavare ed a portare alla luce verità volutamente taciute che contrastano con la vulgata ricorrente ecco che cominciano i distinguo, la delegittimazione, la guerra all’untore che osa bestemmiare mettendo in dubbio verità ormai conclamate.

Sulla scia di ciò il Dr. Roberto Casirati, presidente dell’Istituto della Reale Casa di Savoia, con un comunicato stampa del giorno 11/02/2012, quindi il giorno antecedente alla prima  puntata della fiction su Carmine Crocco, manifestava tutto il proprio dissenso sull’iniziativa della Rai che, a suo dire, in quanto servizio pubblico e per di più in concomitanza con i 150 anni di proclamazione del Regno d’Italia, si lasciava andare ad apologie sui briganti sminuendo quindi il ruolo dei liberatori.

A parte l’indubbio dono della preveggenza evidentemente insito nel presidente Casirati,  vorrei contestare certe sue affermazioni.

1) Accusa Carmine Crocco di essere un voltafaccia essendo passato dai Borbone, a Garibaldi e poi ancora con i Borbone. Evidentemente egli ha fatto proseliti perché in quanto a piroette e voltafaccia i Savoia non sono certo stati da meno in tutti gli 85 anni di loro dominio in Italia.

Sulle accuse di omicidio, saccheggio e violenza poi ci andrei piuttosto cauto, si può essere così anche indossando una divisa ed un cappello piumato!  Del resto nessuno si fece scrupoli nell’appoggiarsi alla mafia in Sicilia ed alla camorra in Campania. Quindi ognuno si tenga i propri scheletri nell’armadio evitando di dare lezioni di presunta superiorità agli altri…

2) Non   credo necessiti una “lectio magistralis” per sostenere che il brigantaggio non nacque  come  reazione all’invasione piemontese essendo il fenomeno ampiamente presente nella storia della penisola da tempi remoti. Il fatto Dr. Casirati è che si bollarono come briganti tutti coloro che in qualche modo osarono ribellarsi al nuovo ordine accomunandoli così, con un gioco molto sottile, al cosiddetto brigantaggio sociale, creando così un fumo negli occhi dell’Europa di allora   e questo lei lo sa benissimo. Come sa benissimo che un grande statista come Disraeli dalla Camera dei Comuni di Londra nel 1863  tuonò “ ….non vedo differenza tra i patrioti polacchi ed i briganti meridionali… o come il deputato Ferrari che commentò “…potete chiamarli briganti ma combattono per il loro Re e la loro terra...” 

3) Lei conclude affermando che in quegli anni “…si aprirono nuove speranze che la borghesia illuminata capì più di tutti..” Prendo atto che concorda con la matrice elitaria della “cosiddetta liberazione” del Sud. Curioso poi che più di uno ( Settembrini, Liborio Romano e tanti altri) si pentirono ben presto di questa scelta dopo aver assaporato come il Piemonte intendeva gestire le nuove colonie acquisite. Lo capirono invece fin troppo bene i contadini ingannati dalla promessa di terre da coltivare. Quando cercarono di ribellarsi fu troppo tardi. 

Antonio Armenti











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