Intervista di Maurizio Blondet con Ernesto Galli della Loggia
Difensore del diritto alla parola per gli storici cattolici
che hanno criticato il Risorgimento, Ernesto Galli della Loggia
s'è visto dare del "neoguelfo" dagli storici dell'asse
laicista-piemontese che scrivono su Repubblica. "Un mio
bisavolo comandò i cavalleggeri di Novara", replica lui: "E per
il volume Miti e storia dell'Italia Unita (il Mulino) ho
scritto due voci, "brigantaggio" e "conquista regia", che brillano per
ortodossia risorgimentale. E tuttavia...".
Tuttavia?
"Tuttavia mi interessa conoscere gli argomenti di chi non la
pensa come me, o non giunge alle mie conclusioni. Penso che si
può essere italiani e ritenere che il Risorgimento ebbe pagine
oscurissime: come pensavano don Sturzo e Gramsci, due italiani ottimi.
E soprattutto sul Risorgimento voglio sentire le altre voci,
perché mai come in quella fase la storia è stata scritta
dai vincitori. Qui, il divieto di fare ricerche, l'intimazione a tacere
è inammissibile".
Lei s'è chiesto come mai gli storici cattolici con
cattedra non partecipano al dibattito, perché non dicono la loro.
"Già. Non voglio giudicarli però. Perché
c'è in giro un fortissimo livello di intimidazione di tipo
ideologico, che mira a mettere fuori dalla legalità
costituzionale chi eccepisce sul modo in cui fu fatta l'Italia.
"Questo" tipo d'intimidazione, ideologica appunto, non critica gli
argomenti o i documenti dei nuovi storici, ma le loro intenzioni; e da
questo metodo è difficile difendersi. Quando si viene accusati,
per una ricerca storica, di voler restaurare il potere temporale, o di
voler riabilitare il fascismo, si è subito sul banco degli
imputati".
Lei ci è finito per aver scritto che l'8 settembre
fu la morte della nazione. Gian Enrico Rusconi, della linea
storico-torinese, ha scritto il contrario: la nazione italiana nasce
con la Resistenza. Com'è possibile che due italiani abbiano idee
così opposte della storia d'Italia? Che ogni gruppo e partito
abbia la "sua" storia?
"La nostra storia nazionale è divisa ab origine:
la nazione nasce da due nazioni che si son combattute con le armi e
messe fuori legge. Il grave è che la storiografia sia stata lo
specchio fedele di questa frattura della storia, anziché
provarsi a comporla, a comprenderla".
Comincia a farlo la sua generazione, che è la
generazione dei Mieli, dei Ferrara, "giovani" nati di sinistra ed oggi
su posizioni di ascolto delle voci cattoliche. Con gran dispetto dei
sacerdoti della storiografia azionista-piemontese.
"Forse perché la mia generazione è la prima che
non abbia dovuto affrontare con le armi la frattura italiana. Non ha
dovuto combattere la guerra civile, come quelli che lei chiama i
sacerdoti del laicismo. Io quelli li capisco: hanno visto il sangue.
Noi abbiamo avuto una caricatura studentesca della guerra civile: forse
per questo ne abbiamo colto il carattere ridicolo".
Ma non vi impegnate a difendere i "sacri valori": è
questo che vi rimprovera la generazione dei Calamandrei, dei Galante
Garrone. Che poi loro siano di sinistra, e conservatori dei "sacri
valori", non le pare buffo?
"Gramsci disse nel 1926 quel che dicono oggi i nuovi storici
revisionisti cattolici, che "nel Sud lo Stato italiano si
comportò come in una colonia". Oggi, gli eredi di Gramsci
intimano il silenzio a chi "parla male della patria"... E gli
intellettuali di sinistra agiscono da retroguardia conservatrice".
E perché gli intellettuali?
"Da una parte perché dovrebbero confessare: non abbiamo capito nulla. E ciò è duro, per degli intellettuali. Dall'altra, perché nella sinistra resiste l'impulso a considerare ciò che è "nuovo", ossia non pensato a sinistra, non solo come un errore, ma come una malvagità morale. Da smascherare e da denunciare. Manca loro l'idea che esista lo spazio delle cose opinabili, su cui possono esserci più opinioni legittime".
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