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Un punto di vista che in taluni passaggi non condividiamo, per esempio laddove tende ad accrediatre la tesi secondo cui il Nord avrebbe fatto da solo senza sfruttare le risorse dell'ex Regno delle Due Sicilie

 

Zenone di Elea

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Il Brigantaggio

di MIRNA BONCINA

da: "G.D.E." UTET, Torino, 1992

Nel corso della storia furono definiti "briganti" coloro che, da soli o in bande, anche con scopi diversi, agivano al di fuori delle leggi attentando a mano armata alle persone e alle proprietà, compiendo vendette, rapine e violenze di ogni genere.

Il fatto che molto spesso godessero delle simpatie delle classi più povere e oppresse, da cui d'altra parte traevano alimento, porta a concludere che il più delle volte non si trattava di violenza gratuita di gente refrattaria alle leggi, ma di una reazione motivata ad una situazione di miseria ed oppressione insostenibili.

Ciò si verifica più facilmente in concomitanza con momenti di crisi politica dovuta ad una fragilità delle strutture dello stato, determinata da cambiamenti di potere ai vertici o da grandi sommovimenti interni.

Particolare importanza nella storia italiana riveste il Brigantaggio che imperversò nel Mezzogiorno dopo l'annessione allo stato unitario: non solo per l'estensione del fenomeno e la gravità della situazione di disagio sociale che esso mise in luce, ma anche perché il modo con cui esso fu affrontato dalla classe dirigente sabauda contribuì a provocare quella mancata integrazione delle plebi rurali meridionali nel nuovo stato che si sarebbe protratta a lungo costituendo uno dei maggiori problemi sociali dell'Italia unita.

Se, come si dirà più avanti, già nei secoli precedenti il Mezzogiorno era stato teatro di un Brigantaggio endemico (diffuso peraltro anche in varie zone dell'Italia centrale m particolare nella Campagna Romana - e settentrionale) che aveva avuto fasi di recrudescenza in occasione di particolari momenti di crisi economica e politica, l'origine del Brigantaggio postunitario va però vista in modo contestuale al compimento dell'unità nazionale.

Ne furono infatti causa le difficoltà politiche incontrate dal governo nazionale nelle province meridionali, la debolezza dei legami che queste ebbero con la rivoluzione nazionale, accentuata dal contrasto tra liberali e democratici, ma soprattutto l'esito sanguinoso ed anarchico di una mancata rivoluzione agraria.

Il Mezzogiorno nel sec. XIX era una grande "disgregazione sociale" (Gramsci) che affondava le sue radici nel secolo precedente, col processo di erosione del feudalesimo, di privatizzazione e concentrazione della terra, di avanzata del capitalismo.

Ne conseguiva uno squilibrio tra la disponibilità di terra e il numero dei contadini che si sarebbe potuto risolvere solo con la creazione di un ceto vitale di contadini proprietari attraverso una rivoluzione o una riforma agraria. Ma ciò era problematico perché le terre appartenevano non solo alla nobiltà, ma anche alla borghesia ed alla nobiltà imborghesita che, nell'ottobre del 1860, rappresentavano quelle forze che si schierarono per l'annessione al regno sabaudo, ritenendo che ormai questa fosse l'unica via, assai più sicura di un'ipotetica restaurazione borbonica o di una soluzione autonomistica, per farla finita con la rivoluzione.

Questo blocco fra borghesia agraria meridionale e borghesia liberale piemontese rese impossibile l'attuazione del progetto democratico che era per la continuazione della guerra rivoluzionaria fino alla liberazione di Roma, e la formazione di un assemblea costituente nazionale che avrebbe dato al nuovo stato unitario una struttura democratica. Avrebbe potuto esservi un'alternativa a questa situazione?

La vittoria delle forze garibaldine democratiche nel 1860-61 avrebbe portato ad esiti diversi? E assai probabile che il malcontento dei contadini ci sarebbe stato anche se i democratici garibaldini non fossero stati esautorati dai piemontesi, dal momento che Garibaldi mirava a condizionare ma non ad impedire l'estensione al Sud di casa Savoia; inoltre non voleva una rivoluzione agraria: tipico è il caso di Bronte dove fece reprimere con spietata violenza una sollevazione contadina. Ma è anche probabile che una collaborazione fra forze moderate e garibaldine avrebbe evitato nelle campagne quel vuoto di potere che invece ci fu, e il fenomeno del Brigantaggio non avrebbe avuto proporzioni così tragiche.

Se la prima fase del programma unitario era l'annessione, la seconda, data la relativa esiguità delle forze sociali su cui si basava il nuovo regno d'Italia, fu l'accentramento dell'ordinamento politico-amministrativo; per il Mezzogiorno questo aveva il duplice scopo di rimediare all'arretratezza civile di quelle regioni e di emarginare le forze democratiche garibaldine.

La conseguenza fu di favorire l'instaurarsi di un rapporto fra Nord e Sud di tipo imperialistico, anche se il Sud faceva parte dell'area dell'economia capitalistica e anche se gli studi più recenti tendono a ridimensionare l'affermazione che lo sviluppo del Nord sia stato possibile grazie allo sfruttamento del Sud. Ciò non toglie comunque nulla al fatto che un aspetto dell'imperialismo è anche dato dalla sola presenza di una potenza capitalistica che, in quanto tale, impedisce al paese arretrato di uscire dal sottosviluppo.

Crisi sociale ed economica, dunque, che esplode quando la crisi diventa anche politica: lievita così il fenomeno del Brigantaggio che durò per circa quattro anni, dal 1861 al 1865 (una delle prime più importanti azioni fu quella dell'aprile 1861 in Basilicata, quando la banda di Crocco di Rionero organizzò l'insurrezione dei contadini di Lagopesole e dei paesi vicini spingendosi fino a "conquistare" Venosa e Melfi).

Già altre volte, nei tempi immediatamente precedenti, il malcontento dei contadini meridionali era esploso in rivolte in cui, alla protesta sociale, si era aggiunto un orientamento politico reazionario: era successo nel 1799 quando l'insurrezione sanfedista aveva travolto la repubblica giacobina, ma anche nel periodo napoleonico quando nelle campagne calabresi imperversò la guerriglia antifrancese.

Adesso come allora il Brigantaggio rivelava nel Mezzogiorno una società arretrata, dominata da un'indistinta esigenza di trasformazione che non sapeva però esprimersi ideologicamente.

E ancora una volta fu politicamente strumentalizzato: da Roma la spodestata monarchia borbonica, con l'appoggio del governo pontificio e di gruppi di legittimisti di altri paesi, si sforzò di alimentare il Brigantaggio e di dargli un indirizzo politico reazionario, poggiandosi sia su agenti appositamente inviati, sia sui militari del disciolto esercito napoletano, rimasti sul luogo ma sbandati.

Difficili, però, furono i rapporti tra gli inviati borbonici ed i maggiori capibanda, come dimostra il fallimento, nel novembre del 1861, dell'impresa di José Borjes.

Questi era un avventuriero legittimista catalano mandato da Francesco II per unificare le bande dando loro una direzione politico-militare che avrebbe dovuto preludere ad una restaurazione per via insurrezionale.

Il pericolo per il regno unitario fu senz'altro notevole perché Borjes riuscì a convincere i maggiori capibanda della Basilicata, primo fra tutti Carmine Crocco, ma l'inadeguatezza militare delle bande a condurre una vera e propria campagna di guerra e l'impossibilità politica di un'insurrezione generalizzata fecero fallire il tentativo: Crocco riprese le sue azioni contro pattuglie isolate dell'esercito o il ricatto contro i proprietari terrieri, Borjes venne catturato e fucilato (8 dicembre) sulla strada del ritorno a Roma.

Alcuni dati possono far intendere la consistenza del fenomeno del Brigantaggio: 388 bande accertate con un numero variabile di componenti da 5-15 persone a 100; 13.853 "briganti" eliminati nel periodo luglio 1861-dicembre 1865.

Il nuovo stato, che temeva di dare l'impressione, sia all'interno che all'esterno, di instabilità e debolezza, reagì duramente: i generali inviati a ripristinare l'ordine procedettero alla distruzione di interi paesi che avevano accolto le bande di briganti, spesso alzando bandiera borbonica, e a fucilazioni sommarie.

Dopo un'inchiesta parlamentare, che doveva accertare le cause della rivolta e stabilire i metodi della repressione, il parlamento votò la legge Pica (13-VIII-1863) che sospese le libertà costituzionali nelle province infestate dai "briganti" e ne affidò ai tribunali militari i processi. Fu una vera e propria guerra che vide impegnati fino a 120.000 soldati e che portò alla cattura o all'uccisione dei capi più famosi, quali Crocco, Caruso, il sergente Romano, ed alla dispersione delle maggiori bande a cavallo.

La rivolta, nel 1865, era stroncata, almeno nelle sue forme di massa; ma nello stesso tempo questo tipo di repressione (non seguita da misure di riforma che attenuassero le cause del malcontento dei ceti rurali del Meridione, pur evidenziate dalla Commissione di inchiesta parlamentare) pesò molto nel conferire all'apparato dello stato quel carattere di struttura violentemente contrapposta alle masse che manterrà a lungo nel tempo.

 

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