Nella banda di Andrea Santaniello aveva una posizione preminente
Maria Maddalena De Lellisi detta la Padovella, una specie di segretaria
della comitiva, e forse amanuense perché, si dice, era l'unica
che poteva usare un pezzo di matita fra tanti analfabeti. Dalla
montagna di Mignano in Campania la Padovella aveva scritto una lettera
al prete don Leone chiedendo una forte somma di danaro e mandandogli
un'orecchia del nipote catturato. Non rimase contenta delle 900 piastre
ricevute e proruppe: "ammazziamone uno, e mandiamo un'altra orecchia a
don Leone". Il povero don Leone finì ucciso, dopo i pagamenti.
Era isterica e sanguinaria. Le lettere della Padovella, suscitarono
polemiche letterarie nei salotti.
contadina di Serre, madre del capobrigante Gaetano Tranchella.
Manifestava antipatia per Garibaldi, ed aveva inculcato quest'odio
nell'animo dei figli Rosario e Gaetano. Dei due, Rosario finì
presto in galera; Gaetano divenne capo di una banda di cui la madre era
l'effettiva organizzatrice. Già imputata nel 1862 di
corrispondenza con banda armata, somministrazione di viveri ed
alloggio, fu successivamente assegnata a domicilio coatto quale
"sospetta manutengola di brigantaggio", per deliberazione della
Prefettura di Salerno. All'isola del Giglio Cannalonga incontrò
altre donne compromesse con il brigantaggio, Giovannella Mazzeo la
donna di Giuseppe Sofia, Angela Iacullo fidanzata di Vito Palumbo,
Sofia Martuscelli favoreggiatrice e spia, ed altre. Quando Gaetano
Tranchella venne ucciso il 14 agosto 1864, cessò la ragione del
domicilio coatto e Luigia Cannalonga venne rilasciata. Non
ritornò a Serre, fece perdere le sue tracce. Andò sulla
montagna dove era stato il figlio, e qui trovò una giovane donna
che ne era diventata l'amante ed aveva da poco partorito. Con la nuora
e la nipotina rientrò finalmente a Serre, ed il Prefetto di
Salerno annotava sul fascicolo: "27 marzo 1865, essendosi rinvenuta la
sunnominata Cannalonga, è cessato il bisogno di continuare le
pratiche". Così Luigia Cannalonga potè presentarsi a
testimoniare nel processo contro i briganti Rosario e Gennaro
Passamandi.
Maria o Marianna Oliviero detta Ciccilla sposò Pietro Monaco.
Questo suo matrimonio era stato preceduto da una tragedia. Il Monaco
aveva già sposato Concetta Oliviero, sorella di Ciccilla, ma le
sue attenzioni erano per Ciccilla non per la moglie Concetta, e
Ciccilla folle di gelosia, attrasse in inganno la sorella in casa e la
uccise a coltellate. Poi raggiunse il suo uomo e divenne brigantessa,
prendendo parte a sequestri ed uccisioni. Fra l'altro, i coniugi
briganti sequestrarono il vescovo di Nicotera e il canonico Benvenuto;
riuscirono ad arraffare 15.000 ducati, ma, durante un conflitto con la
Gguardia Nazionale, i due religiosi riuscirono a fuggire. La banda ne
aveva fatte tante che alcuni gregari si lasciarono convincere a far
fuori il capo. Pietro Monaco infatti fu ucciso, e Ciccilla,
benchè ferita, fuggì per la campagna, Divenne lei il capo
della banda. Catturata infine da un reparto del 58° fanteria
comandato dal capitano Dorna, fu rinviata a giudizio e condannata a
morte dal tribunale di Catanzaro, pena commutata in quella dei lavori
forzati. Fu una brigantessa "bella e crudele", come raccontavano i suoi
paesani, donna di fede con "carattere di comando". …….. Maria Oliviero
preparò la catasta di legna per bruciare il corpo del marito,
come si usava per i briganti uccisi in combattimento, ed al capitano
Dorna disse: "se non era per quel traditore, anche con Pietro Monaco
morto la banda restava, la guidavo io Maria Oliviero moglie di Monaco".
Arrestata fu deferita, al tribunale di Catanzaro, dove arrivarono altre
brigantesse tutte vestite in nero. La gente di Calabria cantava: "la
fimmina di lu brigante Monaco murìu, lu cori comu na petra mpttu
tinia". L'amore spinse Maria Oliviero al brigantaggio. Sua sorella
Concetta era stata moglie amante di Pietro Monaco, e Maria non glielo
perdonò, la uccise, e, con uno scoppio e con vestiti maschili,
si mise su un mulo e raggiunse il suo uomo.
brigantessa calabrese compagna di Domenico Strafaci detto Palma. La
loro relazione amorosa fu funestata dall'uccisione del padre di Maria.
La storia di questa donna comincia con un incontro furtivo con il
brigante; appare improvvisamente il padre, e Vulcano, il compagno di
Palma, che era addetto alla vigilanza gli vibra una coltellata. Maria
Brigida sperava che Palma la sposasse, ma Palma correva verso altri
delitti ed altre donne. Palma e Vulcano decisero di sbarazzarsi di
Maria Brigida, diventata fastidiosa, e, con il pretesto di
accompagnarla per una missione, l'abbandonarono in un burrone. Maria
Brigida riuscì a riguadagnare la strada del paese, e si mise a
servizio del capitano della Guardia Nazionale. Una sera Palma, lacero,
ferito, affamato, chiese ricovero proprio nella casa del capitano, e
Maria Brigida nel vederlo, rimase atterrita e sorpresa. Il brigante
ebbe i primi soccorsi, ma il capitano lo fece andar via per non
compromettersi. Palma chiese due cavalli, Maria Brigida li
preparò, ma avvertì anche alcuni soldati. Una pattuglia
irruppe, sparò alla cieca, colpì Maria Brigida ma
colpì anche il brigante e il suo amico Vulcano che fuggirono con
i cavalli. Maria Brigida morì per dissanguamento, era stata
"donna di brigante" ma non crudele come una brigantessa. Palma
scontò nel penitenziario di Portoferraio tutte le sue colpe,
anche quella di aver profittato dell'amore della ragazza che sperava in
lui.
detta Peppinella "bella di viso e di tratti" era la fidanzata che
"serviva solo per lui" di Giacomo Parra detto Scorzese. Il brigante
Michele di Gè racconta nella sua autobiografia come una volta
Parra mandò a chiamare per la biancheria e i viveri Peppinella
che da allora rimase con lui e si aggregò alla banda. Fu una
delle tante scelte che facevano madri, sorelle, mogli, amanti di
briganti ….. un tale Alfonso Panaro convinse il manutengolo Pasquale
Lisanti ad uccidere Parra e Peppinella. Le due teste non furono portate
al sindaco di Muro Lucano, che aveva garantito l'impunità al
Lisanti, ma al Sindaco di Bracigliano con cui segretamente il Lisanti
aveva avuto altri contatti. E ci fu contesa fra i due Comuni, Muro
Lucano e Bracigliano, per avere le teste degli uccisi!
in un rapporto dei carabinieri reali di Salerno del 18 marzo 1867 si
legge: "in seguito di perlustrazioni ed appostamenti, riuscì il
13 andante ai carabinieri della stazione di Acerno e Giffoni imbattersi
in otto briganti con a capo Cerino in luogo detto Filettone. Non appena
vista la forza i briganti si buttarono per burroni e dirupi spaventosi
dirigendosi verso la pianura e la masseria Spaccone, costretti a
spogliarsi dei loro mantelli per essere più leggeri; colà
giunti, si cacciarono nel fiume, gettando armi ed indumenti che davano
impaccio, per riparare dall'altra sponda. Tentarono i briganti, appena
giunti in posizione elevata, di far fuoco, ma di nuovo volsero le
spalle inseguiti fino a Campo Rotondo". Segue la narrazione del
recupero di indumenti ed oggetti abbandonati e del rinvenimento di un
brigante ormai senza vita. Non era un brigante, ma la brigantessa Maria
Orsola D'Aquisto, di Palinuro, arruolata nella banda da un anno", che
(continua il rapporto) "si era data alla campagna col brigante Ielardi
Pietro del quale supponesi druda". Un rapporto di qualche tempo prima
aveva riferito: "rimane una sola brigante della banda Scarapecchia, ed
è la brigantessa D'Aquisto, di cui si fanno le pratiche per
indurla a presentarsi o per impadronirsene". Maria Orsola dalla banda
Scarapecchia era passata a quella di Pietri Ielardi, che agiva senza
legami con altre bande. E un altro rapporto completa la storia: "giova
ricordare che la druda D'Aquisto avventuratasi in questo circondario,
ne venne scacciata, dopo aver perduto per ferite in combattimento e per
presentazione volontarie quattro briganti che l'accompagnavano; non
ebbe tempo di consumare alcun reato perché scappò facendo
in tempo di cibarsi di carne cruda. Stamane è stato trovato il
cadavere di una donna di 27 anni, l'infelice mostrava gravi ferite,
un'orecchia recisa, e risultava essere Maria Orsola D'Aquisto, capelli
foltissimi, occhi celesti, colorito naturale, vestito centolese". Era
morta in combattimento con i Carabinieri Reali, Ielardi era lontano,
verso altre avventure. L'avventura di Maria Orsola era cominciata sette
anni prima, quando aveva vent'anni. Una notte avevano bussato alla sua
porta Salvatore D'Avino e Agostino Visconti; scappavano dal paese ed
avevano una "mappata" di biancheria e con trentasei ducati d'argento;
Maria Orsola li aveva ospitati fino al mattino; poi se n'erano andati,
lasciandole un lenzuolo, due federe, e un ducato.
druda del brigante salernitano Angelo Croce che terminò la
sua carriere nel marzo 1866 dopo che il Sindaco del paese, già
in rapporti con la sua banda aveva arrestato l'amante Maria Pelosi, con
molte promesse per la collaborazione e la dissociazione. In questa
occasione Maria Pelosi si lasciò sfuggire nomi, rapine e il
nascondiglio delle provviste. Al processo, celebrato a Salerno, Maria
Pelosi rilevò anche i rapporti che il Sindaco aveva avuto con la
banda; il Sindaco reagì con un'ingiuria, e Maria Pelosi, esile e
mingherlina, divenne una belva, lo afferrò per la gola, gli
sputò in faccia, lo pestò, lo graffiò. Il pubblico
gridava "Viva Maria". Non era l'invocazione della Madonna, come si
faceva nelle processioni, ma l'applauso a Maria Pelosi.
anni 20, informatrice di Gennaro Cretella detto Diavollillo;
diventò poi la sua compagna secondo un rapporto del funzionario
di polizia del salernitano: "era latitante alla montagna e non
compariva in paese che per partorire quando era resa incinta".
nacque il 5 maggio 1844 a Cercemaggiore ed ivi morì il 4 novembre 1903. Fu catturata da Michele Caruso in una delle sue incursioni a Cercemaggiore in contrada Cappella. Aveva diciotto anni e era di condizione fra le più umili, bracciante agricola quando trovava lavoro e donna di fatica nella casa del possidente Leopoldo Chiaffarelli del Paese. La sua bellezza notevole e raccolta; i suoi sentimenti semplici e puri. Costretta a soggiacere a Caruso, era stata da lui rapidamente istruita nell'uso delle armi e sotto la guida di quel maestro, era diventata in pochi mesi di permanenza nella banda, soldato esemplare. Per il suo istruttore ebbe rispetto da subordinato a superiore, nella ingenuità delle anime semplici ed illetterate che capiscono le doti e le limitazioni del prossimo molto prima degli intellettuali tanto proclivi all'analisi dei fatti e pur lenti ed incompleti nelle sintesi. Per lei il colonnello Caruso era un primitivo, duro e spietato perché cresciuto in un ambiente arretrato entro una natura avversa ed inclemente, in cui per sopravvivere, si doveva lottare come nei tempi di molto remoti. Noi lo diremmo un individuo che nella protostoria dei contadini meridionali, anelava al riscatto della servitù, ad una vita civile e più umana. Quali mezzi nativi aveva per lottare? Quelli da fiera selvaggia, dando e ricevendo la morte. Una donna passò attraverso un esercito senza contaminarsi; certo il colonnello non avrebbe tollerato affronti personali, ma gli uomini capivano tante cose, da come fingeva di non guardarla, sentendosi in soggezione, quando si era abbandonato ad una di quelle esplosioni di collera bruta e ruminava forse pentimenti tardivi; era abituato prima a fare e dopo a pensare. Da sempre la natura si ribella, rompe gli argini, distrugge campi e seminati, quando altri ne sovverte l'ordine insito e la rende schiava di assurde sovrastrutture. Tutte queste cose, intuiva Maria Luisa Ruscitti di sanissima morale ed illibatissimi costumi (così dissero di lei nei rapporti, nelle udienze giudici e testimoni), affine per solitudine interiore alla solitudine dell'altro, in quel tenergli testa, pacata e silenziosa. Maria Luisa la briganta è tuttavia per impegno e disciplina, una capitana. Quando uscì di galera nel 1888, era stata condannata dalla Corte di Assise di Trani a 25 anni di reclusione, per avere, durante uno scontro a fuoco, ucciso un ufficiale, sopportò per tutta la vita la sorveglianza speciale.
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