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From: "Alessandro Romano"
To: elaml
Subject: MSG 04 - 179 - Ricordando l'eccidio di Pontelandolfo
Date: Fri, 13 Aug 2004 23:16:19 +0200
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Stemma Due Sicilie
Rete di Informazione delle Due Sicilie
Opinioni, storia, recensioni, rassegne stampa, iniziative culturali, convegni, appuntamenti, avvisi, manifestazioni, avvenimenti.
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Ricordando l'eccidio di Pontelandolfo
Il paese martire simbolo della devastante
conquista piemontese
Il 14 agosto del 1861 si consumò uno dei più efferati eccidi che la storia italica abbia mai conosciuto. Quello che fecero altri eserciti invasori alla nostra gente sbianca di fronte alla crudeltà ed alla spietatezza che la soldataglia piemontese riservò alla popolazione di questo antico paese del Sannio.
Ricordiamo con commozione, raccapriccio e sdegno i tristi eventi di una storia ancora celata dalla vergogna dei vincitori.
I sabaudo-piemontesi massacrarono, depredarono, e ridussero alla fame, alla disperazione ed alla emigrazione una Nazione antica, feconda e felice, considerando carne da macello e "beduini della peggiore specie" migliaia di contadini, pastori, donne, vecchi e bambini.
Pontelandolfo attende ancora le scuse, la pietà ed il risarcimento morale da quei fratelli cattivi di un'Italia matrigna che non ancora ha preso le distanze dai delittuosi fatti del 1861.
Il 14 agosto è un giorno di lutto per tutti i Meridionali, è il nostro giorno della memoria, è il giorno in cui si commemorano tutti i civili uccisi dai piemontesi, per ordine dei Savoia, nei bombardamenti e nei roghi dei loro paesi, è il giorno in cui si ricorda che c'è una ferita profonda ancora aperta, una ferita sanguinante che impedisce al cuore ed alle menti di un Popolo massacrato, umiliato ed offeso, di sentirsi pienamente partecipe di una nazione che continua a volere ignorare una storia fatta di dolore, di disperazione e di morte che da 144 anni attende di essere scritta nei libri di scuola.
Cap. Alessandro Romano

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 La lapide che "umilmente" e laconicamente ricorda l'eccidio di Pontelandolfo

La lapide che "umilmente" e laconicamente ricorda l'eccidio di Pontelandolfo
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Truppa Italiana Colonna Mobile - Fragneto Monforte li 14 Agosto 1861 ore 7 a.m.

Oggetto: Operazione contro i Briganti

Ieri mattina all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora. Il sergente del 36° Reggimento, il solo salvo dei 40, è con noi. Divido oggi le mie truppe in due colonne mobili; l'una da me diretta agirà nella parte Nord ed Est, l'altra sotto gli ordini del maggiore Gorini all'Ovest a Sud di questa Provincia la quale pure, come più prossima a Benevento, dovrà tenere frequenti comunicazioni colla S.V. Informi di ciò il Generale Cialdini ed il Generale Pinelli.

Il Luogotenente Colonnello Comandante la Colonna; firmato NEGRI.

Al Sig. Governatore della Provincia di Benevento ps. stasera sono a Fragneto l'Abate, ove, occorrendo può farmi tenere sue nuove fino alle nove di notte.


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Pontelandolfo:

Cronaca di una strage

A Pontelandolfo come in quasi tutti i paesi del Molise, degli Abruzzi, della Ciociaria, del Matese, del Chietino, degli Ausoni, la bandiera gigliata sventolava sui pennoni più alti. Tutto un popolo era insorto contro il Piemonte, contro Vittorio Emanuele II. Solo pochi volevano essere servi di uno Stato ritenuto il più retrivo e reazionario d’Europa. Qualcuno proponeva per la repubblica che Mazzini sognava, ma tutto il popolo contadino stava dalla parte dei Borbone. La libertà, la gente del Sud, l’ha sempre conquistata col sangue.

Su ordine del Generale Cialdini il 13 agosto 1861 partì da Benevento una colonna di bersaglieri, tutti tiratori scelti. La colonna era comandata dal Generale Maurizio De Sonnaz, detto Requiescant per le fucilazioni facili da lui ordinate e per il massacro di parecchi preti e l’attacco ad abbazie e chiese.

Il generale piemontese era a capo di novecento bersaglieri assassini e criminali di guerra. Costoro avevano fucilato e violentato migliaia di meridionali, avevano saccheggiato chiese e casolari.

I piemontesi, barbari cisalpini e feroci assassini, usarono sistematicamente la violenza per avere il controllo del territorio; usarono la fucilazione come arma di democrazia liberale. Saranno maledetti per sempre da Dio e dagli uomini.

Il colonnello Negri procedeva a cavallo, con a suo fianco il garibaldino del luogo De Marco e due liberali pure del posto a far da guida ai cinquecento bersaglieri, che costituivano la colonna infame che stava dirigendosi verso Pontelandolfo. Era l’alba del 14 agosto. A tutto si poteva pensare fuorché ad un eccidio che, a memoria d’uomo, da quelle parti, nessuno ricordava.

Alla stessa ora un’altra colonna, sozza quanto la prima, stava dirigendosi verso Casalduni. Era composta da 400 uomini ed aveva per guida il liberal massone Jacobelli, traditore del popolo e servo dei piemontesi; a comandarla era il maggiore Melegari. Entrambe le colonne erano coordinate dal De Sonnaz.

Gli ordini di Cialdini erano precisi: distruggere i due paesi e dare una lezione esemplare ai cafoni; dovevano pagare con la morte la sfida fatta al potente Piemonte.

L’intera popolazione di Pontelandolfo doveva pagare per la fucilazione dei soldati del tenente Bracci. De Sonnaz era lì per questo.

La banda di Cosimo Giordano bivaccava ad un chilometro da Pontelandolfo, nella selva, tra i monti che dominano la città sannita. I partigiani avvertiti dai pastori e dal loro servizio di informazione capillare, s’erano appostati per tendere un agguato ai piemontesi, ma erano solo cinquanta (..). Erano tutti armati di fucili e provvisti di cavalli freschi e veloci, pronti a lunghe cavalcate per scoscesi sentieri. (…)

Il colonnello Negri, impettito e baldanzoso, sicuro di sé, a testa alta, in sella al suo cavallo nero, attorniato dai suoi sottoposti, con alla destra il traditore De Marco e alle spalle altri due "feccisti" liberali del paese nonché spie, avanzava spedito verso Pontelandolfo, e rivolgendosi al garibaldino disse: "De Marco, oggi assisterai ad una pagina che sarà scritta sui libri di storia; daremo una lezione a questi cafoni, la notizia si spargerà in tutto il Sud che ha osato ribellarsi ai voleri di casa Savoia….."

Una scarica di pallottole interruppe il colonnello piemontese. Tutti scesero dai cavalli, qualcuno cadde morto, altri furono feriti., altri ancora risposero al fuoco, ma era ancora buio e la selva copriva le ombre dei partigiani borbonici, i quali continuavano a sparare nel mucchio, alla cieca, non potendo mirare giusto data l’ora mattutina. La sparatoria durò non più di dieci minuti, fu feroce e ravvicinata. Gli uomini di Giordano, avvantaggiati dall’effetto sorpresa vedendo che i bersaglieri prendevano posizione di combattimento e presagendo una sconfitta, naturale, date le forze in campo si diedero alla fuga.

I bersaglieri contarono venticinque morti. Il colonnello Negri, anziché inseguire i patrioti di Giordano, diede ordine ad un plotone di comporre le salme dei soldati caduti.

Un vero soldato avrebbe dato la caccia a quelli che Negri chiamava briganti e che avevano steso venticinque dei suoi uomini, ma l’ufficiale piemontese, come la maggior parte dei militari savoiardi, era un assassino spietato, un delinquente, un codardo, un pusillanime, e preferì essere iscritto per l’eternità nell’albo dei più feroci criminali di guerra.

I cinquecento bersaglieri circondarono il paese, tutti ben appostati, fucili alla mano, pronti a far fuoco. Ad un cenno del colonnello Negri, un plotone, con il De Marco e due liberali, entrò nella città ad indicare le case dei settari massoni da salvare. Prelevarono dalle loro abitazioni Giovanni Perugino e Iadonisio.

Portata a termine l’operazione salvataggio dei settari, che non superavano la decina, i bersaglieri si gettarono a capofitto nei vicoli e nelle strade di Pontelandolfo. Dar fuoco alle case fu cosa facilissima, in quanto i bassi erano colmi di fieno e stipati di legna secca che i contadini erano soliti mettere al riparo per usarla d’inverno. I bersaglierei di alcuni plotoni erano intenti a mettere fascine di paglia agli ingressi delle stalle, con i calci buttavano a terra le porte e con le torce appiccavano il fuoco. I vicoli erano sbarrati da tre o quattro soldati, la città in meno di mezz’ora era diventata un immenso rogo.

Iniziò così l’eccidio di Pontelandolfo.

L’ora mattutina e soprattutto la convinzione della restaurata libertà facevano fare sonni tranquilli e beati alla popolazione. Alzarsi di botto e vedere quegli assassini che stavano incendiando le loro case provocò, in molti, un’autodifesa naturale.

Molti si armarono di roncole e forche ma i fucili dei pennuti piemontesi avevano la meglio su di loro. Alcuni vennero stesi nella propria abitazione, altri dormienti nel proprio letto; altri mentre fuggivano. Qualcuno riusciva ad oltrepassare la porta di casa ma veniva abbattuto sull’uscio. Pochi riuscivano a raggiungere la fine del vicolo, subito abbattuti dai piemontesi, senza pietà. Grida, urla, gemiti dei feriti, pianti di bambini. Pontelandolfo fu messa a ferro e a fuoco.

Tutto il paese bruciava; i lamenti salivano al cielo, ed ancora grida ed urla.

Nicola Biondi, contadino di sessantanni, fu legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri, i quali denudarono la figlia Concettina, di sedici anni e la violentarono a turno. Dopo un’ora la ragazza, sanguinante, svenne per la vergogna ed il dolore.

Il bersagliere che la stava violentando, quasi indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alzò e le sparò. Il padre della ragazza cercava di slegarsi, usava tutte le forze, cercava di liberarsi dalla fune che lo teneva inchiodato al palo, e nello sforzo il sangue gli usciva dalla pelle. A dare fine al suo tormento e alla sua pena pensarono i bersaglieri con una scarica micidiale. Le pallottole ruppero persino la fune e Nicola Biondi cadde carponi nei pressi della diletta figlia Concettina.

Nella casa accanto abitava Santopietro; con il figlio in braccio, stava per scappare, ma fu intercettato dai soldati savoiardi, che gli strapparono il bambino dalle mani e lo freddarono senza misericordia. Il maggiore Rossi, con coccarda azzurra al petto, era il più esagitato, dava ordini, gridava come un ossesso, sembrava ubriaco, forse lo era, sembrava un vampiro. Era assetato di sangue e con la sciabola infilzava i fuggitivi mentre i suoi sottoposti non erano da meno, sparavano, sparavano, sparavano.

I cadaveri erano tanti, ma per il colonnello Negri non bastanti per la vendetta e allora ancora a snidare i pontelandolfesi dalle loro case.

Angiolo De Witt, del 36° fanteria bersaglieri così ha descritto quell’episodio:

"….il maggiore Rossi ordinò ai suoi sottoposti l’incendio e lo sterminio dell’intero paese. Allora fu fiera rappresaglia di sangue che si posò con tutti i suoi orrori su quella colpevole popolazione. I diversi manipoli di bersaglieri fecero a forza a snidare dalle case gli impauriti reazionari del giorno prima, e quando dei mucchi di quei cafoni erano costretti dalle baionette a scendere per la via, ivi giunti, vi trovavano delle mezze squadre di soldati che facevano una scarica a bruciapelo su di loro.

Molti mordevano il terreno, altri rimasero incolumi, i feriti rimanevano ivi abbandonati alla ventura, ed i superstiti erano obbligati a prendere ogni specie di strame per incendiare le loro catapecchie. Questa scena di terrore durò un’intera giornata: il castigo fu tremendo….."

Non sappiamo se il maggiore Rossi, il colonnello Negri ed il generale De Sonnaz ebbero una medaglia al valore per quell’azione ardimentosa, ma una cosa è certa: questi assassini, questi criminali di guerra sono stati fatti passare per eroi dalla storiografia ufficiale sabaudo-risorgimentale, molte strade e molte piazze sono ancor oggi a loro intitolate:

Via Rossi, maggiore ed Eroe di Pontelandolfo;

Via Gaetano Negri, sindaco di Milano ed eroe di Pontelandolfo;

Via De Sonnaz, Conte e Generale piemontese, Eroe di Casamari, Perugia e Pontelandolfo;

Via Cialdini, Eroe di Gaeta, di Pontelandolfo, Casalduni, Venosa; Montefalcione, Auletta, ecc., ecc.

Ecco come il grande Piemonte portava i segni della civiltà cisalpina nella culla della barbarie; ecco come i Savoia intendevano l’unità d’Italia!

Il generale Cialdini aveva sempre una coccarda azzurra al petto e dava ordini dalla sua luogotenenza di Napoli al generale De Sonnaz, altro azzurro con coccarda. Il De Sonnaz a sua volta trasmetteva gli ordini assassini al colonnello Negri, anche lui incoccardato con grande stoffa di seta azzurra, che a sua volta illuminava di disposizioni il maggiore Rossi, che prediligeva incendiare interi paesi e sparare su donne e bambini col suo revolver, anche lui incorniciato dalla coccarda azzurra, come incoccardati erano tutti i bersaglieri, compreso il De Wit. Ebbene, questi delinquenti di guerra, questi bastardi del risorgimento italiano stavano portando a compimento l’ennesimo truculento eccidio con forsennata ferocia e senza pietà alcuna verso una popolazione fiera del suo Re Borbone, fiera della sua dignità, fiera della sua libertà, fiera della sua storia, fiera di essere italiana, fiera della sua religione, fiera di battersi per l’Altare e per il trono del suo Re. Quando mai gli austriaci nel Lombardo –Veneto usarono simili metodi? Gli austriaci erano tedeschi, cattolici e soprattutto erano soldati e si battevano contro soldati, erano un popolo civile e fiero. I piemontesi, che i romani avevano accomunati all’Italia, come Caino, stavano assassinando e massacrando i loro fratelli napoletani.

L’eccidio cominciò alle 4 di mattina. I partigiani, che erano accampati sulle Campetelle, dopo aver ammazzato 25 piemontesi, diedero l’allarme. Uno di essi riuscì ad andare dal sagrestano, prese la chiave del portone del campanile e cominciò a suonare a stormo le campane…..

Il paese venne dato alle fiamme, la prima casa che bruciò fu quella dell’arciprete Epifanio De Gregorio ….

Un solo guerrigliero fu ucciso (presumibilmente il partigiano che era andato a suonare l’allarme sul campanile)…. Dopo i soldati si abbandonarono al saccheggio e ad atti di lascivia….

Alle ore sei metà paese era già in fiamme, i bersaglieri continuarono la mattanza.

Ancora uccisioni, stupri, fucilate, grida, urla. I vecchi venivano fucilati subito e così i bambini che ancora dormivano nei loro letti. Molti bersaglieri, avendo finito le munizioni in dotazione, per non tornare a rifornirsi al campo base situato fuori il paese, usavano la baionetta in canna al fucile e passavano all’arma bianca i poveri disgraziati di Pontelandolfo.

Dopo aver ammazzato i proprietari delle abitazioni, le saccheggiavano: oro, argento, soldi, catenine, bracciali, orecchini, oggetti di valore, orologi, pentole e piatti.

Pochi di quegli eroi conoscevano la lingua italiana, e la maggior parte dei soldati piemontesi, analfabeti ed ignoranti, qualche parola l’avevano imparata al di qua del Tronto, comunque una parola sapevano pronunciare: "Piastre! Piastre!", la dicevano entrando di prepotenza nelle case dei pontelandolfesi: "Dove avete le piastre, piastre o morte". I barbari non si accontentavano delle piastre d’argento borboniche, bruciavano anche le case e ammazzavano senza pietà i loro occupanti.

La morte, a volte, valeva una, due, tre piastre. Intanto il sangue scorreva a fiumi per le strade di Pontelandolfo. Prima ad essere saccheggiata fu la chiesa di San Donato, ricca di ori, di argenti, di bronzi lavorati, di voti: persino le statue dei santi furono trafugate! Il saccheggio e l’eccidio durarono l’intera giornata del 14 agosto 1861.

Donne seminude, sorprese mentre dormivano, cercavano scampo fuggendo; ma, se vecchie, venivano subito infilzate, se giovani ed avvenenti, venivano violentate e poi uccise.

Due giovani che erano stati salvati dal De Marco in quanto liberali, nel vedere tanta barbarie e tanto accanimento contro i loro concittadini e contro la loro città, dopo essersi consultati col proprio padre, si diressero verso il colonnello Negri. Non avrebbero dovuto!

I due giovani avevano appreso le idee liberali frequentando circoli culturali di Napoli, sognavano un’Italia Una, libera, indipendente; sognavano la fratellanza. La loro adesione al liberalismo fu vanificata da quelle scene di terrore e di orrore; di colpo s’accorsero che il re sabaudo era un macellaio e che il vero liberale era il Re Borbone.

Il più giovane aveva finito da poco gli studi all’università di Napoli e stava per cimentarsi nella libera professione dell’avvocatura; il più grande era un buon commerciante di Pontelandolfo.

I due benpensanti liberali pontelandolfesi furono accompagnati al cospetto del colonnello Negri dal garibaldino De Marco: L’avvocato si rivolse verso l’ufficiale piemontese, quasi a rimproverarlo: "Sig. colonnello siamo venuti qui da liberali, da unitari e nazionali quali siamo sempre stati a fare pubblica rimostranza per quello che sta accadendo nel paese".

Negri:" Cosa sta accadendo?"

Rinaldi, così si chiamava l’avvocato:" I bersaglieri stanno incendiando tute le case di Pontelandolfo e stanno uccidendo tutti. In nome di Dio, li fermi!"

Negri: "Quei luridi reazionari hanno massacrato quaranta soldati piemontesi, quaranta eroi; per ogni soldato moriranno cento cafoni, capito?"

Rinaldi: "Sig. colonnello, ciò che lei dice è contro le più elementari leggi, è immorale, devono essere presi i responsabili e giudicati da un tribunale."

Negri: "Da un tribunale? Io conosco un solo tribunale, quello che stai vedendo. La vendetta militare."

Rinaldi: " Ma lì non ci sono militari, vi è solo gente indifesa".

Negri; "Quella gente ha massacrato quaranta piemontesi e pagheranno con la morte"

Rinaldi: "Sig. colonnello, questo è un eccidio, passerete alla storia come un criminale di guerra, un assassino!"

Negri:" Guardie, guardieee! Prendete questi due e fucilateli, sono come gli altri, liberali o non liberali, fucilateli."

Dieci bersaglieri presero i due, gli svuotarono dei soldi che avevano nelle tasche e li portarono nei pressi della chiesa di San Donato. I due fratelli chiesero un prete per l’ultima confessione, gli fu negato.

Istantaneamente furono bendati e fucilati. Morirono gridando ai piemontesi: "Assassini maledetti!"

Furono raggiunti dai pallettoni mente sputavano verso il plotone di esecuzione.

L’avvocato morì subito mentre il fratello, nonostante fosse stato colpito dalle pallottole era ancora vivo. Il colonnello Negri, si avvicinò e lo finì con un colpo di baionetta.

La strage continuò: ogni casa veniva rovistata, saccheggiata, incendiata. I morti venivano accatastati l’un sull’altro, e fra quei corpi vi era anche qualcuno ancora vivo, che per il dolore mordeva il corpo del cadavere sottostante. Chi non riusciva a morire subito doveva anche sopportare la tortura del fuoco, che veniva appiccato sopra i cadaveri con legna secca e fascine fatte portare lì da giovani sotto la minaccia delle baionette.

Il colonnello Gaetano Negri, il generale De Sonnaz, il generale Cialdini, il maggiore Rossi erano orgogliosi di portare la coccarda azzurra come segno della fedeltà a Casa Savoia. Tutti appartenevano alla casta militare piemontese, tutti di provata fede massonica.

Pontelandolfo stava bruciando; i saccheggi continuavano senza sosta come pure gli assassinii.

Moltissime donne furono violentate e poi ammazzate; alcune che s’erano rifugiate nelle chiese furono trucidate dopo essere state denudate davanti all’altare. Una, nell’opporre resistenza graffiò a sangue il viso di un piemontese; le vennero mozzate entrambe le mani e poi finita a fucilate. Furono uccisi uomini, donne e bambini. Tutte le chiese furono profanate e spogliate dei doni centenari. Le ostie sante furono gettate, le pissidi, i voti d’argento, i calici, le statue, i quadri, i vasi preziosi e le tavolette votive, rubati.

Due di quei soldati di fede cattolica, rubarono il mantello della Madonna e la corona inghirlandata che cingeva la sua testa. Poiché per un cattolico è peccato mortale profanare i luoghi sacri, i due eroi piemontesi credendo che crollasse la chiesa dopo tale misfatto, fuggirono impauriti. Due settimane dopo, uno di essi tornò davanti alla Madonna spogliata e sfregiata, piangendo ed implorando il perdono, in quanto il compagno che aveva rubato e profanato con lui la chiesa era morto improvvisamente.

Dopo ore di stragi, di eccidi, di massacri, di ruberie, il generale De Sonnaz fece suonare l’adunata ed il ritiro della colonna infame.

I bersaglieri erano stanchi di assassinare, stanchi di correre, madidi di sudore dovuto al caldo afoso di quel giorno d’agosto ed al fuoco che divampava nelle case. A molti sanguinavano le dita e le mani per aver sparato troppo. I loro zaini erano pieni di refurtiva e le loro tasche piene di piastre d’argento.

Al suono del trombettiere tutti si ritirarono. Inquadrati e sull’attenti al cospetto del generale De Sonnaz.

La colonna degli eroi infami si diresse verso Fragneto e poi a Benevento, ove il giorno dopo, nei loro alloggiamenti, i piemontesi mercanteggiarono tutto il bottino sacro profanato; e per questo motivo dai beneventani fu chiamata caserma del Gesù.

Liberamente tratto da "I Savoia ed il massacro del Sud" di Antonio Ciano
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 Pontelandolfo qualche giorno prima la sua devastazione
 Pontelandolfo qualche giorno prima la sua devastazione


 
Pontelandolfo: Chiesa di San Donato

 Gaetano Negri

 Gaetano Negri


 Enrico Cialdini
 Enrico Cialdini


 I Briganti Capipolo
 I Briganti Capipolo
da sinistra: Cosimo Giordano, Carlo Sartore e Francesco Guerra  


 Il liberale Giuseppe De Marco
 Il liberale Giuseppe De Marco


 I bersaglieri entrano a Benevento il 13 febbraio 1861
 I bersaglieri entrano a Benevento il 13 febbraio 1861



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