Consumata
all'indomani dell'Unità d'Italia, la repressione delle
popolazioni meridionali eufemisticamente dettata dalla Legge Pica
promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 «per la
repressione del brigantaggio nel Mezzogiorno», scatenò
violenze e tragedie pari a quelle su cui oggi si esercitano pietosi i
bravi borghesi, davanti ai loro televisori. Milletrentacinque
esecuzioni in due mesi, seimilacinquecentosessantaquatto arresti.
Non
da un elettrodomestico invece, ma da un grande schermo cinematografico,
a partire dall'autunno prossimo, l'orrore della guerra contro i cafoni
sarà raccontato da «Briganti!», un film
assolutamente eversivo dell'assolutamente eversivo Pasquale Squitieri.
Sarà la storia raccontata al modo dell'antistoria, «con le
lagrime agli occhi e veleno nel cuore».
Una storia che si svela
capovolta, giustamente capovolta, attraverso le mani feroci di aguzzini
le cui divise, quelle di Carabinieri e Bersaglieri, ci sono anche care,
ma sono le stesse mani che uccidono i preti, sputano addosso all'Ostia,
rubano l'oro a Dio e il pane ai Poveri. Fu allora che scappò
dalla bocca della disperazione l'urlo della rivolta: «A chi ti
leva il pane, levaci la vita». Fu la stagione che diede avvio
alle tasse e al servizio di leva.
Se fosse possibile immaginarne un
esito della pubblica visione di «Briganti!», già si
vedono gli eredi di quelli che furono i cafoni, eredi di tutti gli
Zapata e i Pancho Villa sconfitti, all'assalto delle prefetture. Il
film ha momenti di epica lazzarona, bellissimo quando il prete esce dal
confessionale per trascinare fuori dalla chiesa una spia al soldo dei
piemontesi.
Epico, perché la storia ha verità che
saturano oltre la rassegnazione delle sconfitte. E comunque un film che
cerca nel pubblico una reazione che va oltre il rimpianto, certamente
una presa di coscienza, magari lo stravolgimento di un'abitudine,
quella di sollevare i terroni &endash;- per come spiega Ulderico
Nisticò, studioso revisionista -- dal senso di colpa «per
non essere nati a Milano».
In un libro di Fulvio Izzo, «I
lager dei Savoia», un volume ormai affidato al passaparola, la
storia del Risorgimento che passa attraverso il sentiero infame
«dei campi di concentramento per meridionali» descrive un
affresco inedito. Ma inedita è anche l'immagine del Sud che in
età borbonica era già quella California che tutti, oggi,
vorrebbero far diventare: i pastifici di Gragnano, le acciaierie di
Pietrazza, le antiche ferriere di Mongiana sullo Ionio.
L'indebitato
Cavour potè riprendersi dalle sue fruste, con i
quattrocentomilioni di ducati sottratti alle casse del felicissimo
Regno delle Due Sicilie. La Calabria, come spiega Ulderico
Nisticò, «era ufficialmente indicata ancora nel 1870,
ancora per poco dunque, come un'area ad alta densità
industriale».
L'attuale Sarno, nota per essere diventata
l'inferno di fango che ha portato appena ieri morte e distruzione, era
un gioiello agricolo in virtù di quella ridistribuzione idrica e
dal terrazzamento cancellati dopo con l'abusivismo edilizio, le cave e
lo sradicamento degli alberi, conseguenze tipiche dell'urbanistica
democristiana.
La California di Terra di Lavoro aveva il sole e il
sudore di un popolo che nutriva un'unica superstizione: quella di farsi
la croce ogniqualvolta veniva speso un soldo. Chiunque si affidi
all'attuale «viceré» di Caserta, Nicolò
Cuscunà, potrà infatti farsi raccontare quello che fu San
Leucio nel casertano, la filanda dove si lavorava la seta, una
cittadella socialista voluta dal Borbone con le casette a schiera per
gli operai, un esempio di lungimiranza sociale.
Oppure visitare
Carditello, il casino di caccia, o gli straordinari Ponti alla Valle,
l'acquedotto carolino che sovrasta la strada dove ci sono ancora le
tracce dei soldati arrivati da ogni parte della Penisola per concludere
la più incomprensibile delle guerre. La questione meridionale fu
innanzi tutto un capitolo di rapina.
Lo stesso panettone altro non
è che il buonissimo panreale borbonico catanese riaggiustato al
gusto stoppaccioso della nebbia eterna.
Fu un capitolo di ruberia e
saccheggio in concerto con una congiura internazionale. Ma all'origine
della minorità sociale ed economica del Sud, c'è dunque
un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e
dall'emigrazione forzata, quella stessa che chiude il film di Squitieri
nell'inesorabile comandamento di destino: «O briganti, o
emigranti».
Deportazioni, l'incubo della reclusione nella
fortezza di Fenestrelle a Torino, persecuzione della Chiesa cattolica,
profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine
(«figlie di briganti») costretti ai ferri carcerari.
I
contadini erano decapitati e le loro teste erano inscatolate in burnie
di vetro con la formalina: feticci su cui si sarebbero adoperati gli
scienziati della criminologia, quelle avanguardie di Cesare Lombroso
che, pur accettando la sentenza di cretinismo per i pellagrosi del
Nord, certificavano al Sud l'inesorabile determinismo dell'antropologia
delinquenziale.
Una pulizia etnica peraltro consumata in un territorio
dove i «serbi» di allora, i garibaldini, non potevano certo
rivendicare altro diritto di redenzione patriottica se non l'esplicito
sopruso, a differenza dei serbi di oggi che nel Kosovo hanno comunque
la «culla sacra» della loro nazione, sacra tanto quanto per
gli irlandesi l'Irlanda.
La conquista del Sud è il capitolo
più lordo di sangue della storia italiana, ed è
contemporaneamente il capitolo più fortemente ignorato. Non
esistono foto, se non le surreali documentazioni dei medici
lombrosiani. Esistono libri faticosamente strappati alla nebbia
dell'archivio, esiste una vaga nostalgia di quel Regno che parlava
napoletano ai napoletani e siciliano ai siciliani, esiste il deserto
culturale e sociale di oggi, quello di una terra dove la politica
è spesso preda di «avventurieri, delinquenti o avvocati
falliti».
Quando i ragazzi rinchiusi nelle carceri vedranno i
film, quando lo vedranno i sindaci, i parroci, i nullafacenti che nulla
tengono di quel destino con cui si fa la storia, quando finalmente
Pasquale Squitieri potrà raccontare questa inedita e terribile
storia fatta di atrocità e sangue, il Sud non sarà altro
che la vittima dimenticata, irrigidita mummia qual è,
nell'armadio delle fortune altrui.
Dietro ad ogni fortuna c'è
appunto un delitto, dietro al trionfo dell'ideologia italiana, dentro
il panettone, c'è solo la conquista del Sud.
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