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esercito - Operazioni in Patria
 
REPRESSIONE REGIONE DAL AL
Rivolte Alcamo Castellammare
PRIMO STATO D'ASSEDIO
Sicilia 1862 1862
Renitenza alla leva
SECONDO STATO D'ASSEDIO
Sicilia 1863 1863
Legge Pica - LEGGE SPECIALE Sud 1863 1865
Rivolta del sette e mezzo Sicilia 16/09/1866  22/09/1866
Fasci Siciliani  Sicilia  gennaio 1893 gennaio 1894
Lotta alla Mafia - Mori Sicilia 2 giugno 1924 12 ottobre 1925
Dopoguerra siciliano Sicilia 1946 1951


Fonte:
D.Mack Smith – Storia d’Italia dal 1861 al 1997 Laterza, Bari 2002

“Nel 1863 l’esercito fu costretto a scendere in campo contro questo stato di disordine nonché contro il brigantaggio nelle province continentali del Mezzogiorno. Il generale Govone era un piemontese che aveva imparato sul continente che la severità e magari anche la crudeltà potevano essere necessarie, e la Sicilia dovette così sopportare sei mesi di operazioni militari su vasta scala. Famiglie e villaggi interi vennero trattenuti in ostaggio e dovettero subire gravi violenze. Govone tagliò a diversi villaggi l’erogazione dell’acqua proprio nel pieno della calura siciliana, fece ricorso alla tortura per ottenere informazioni e addirittura lasciò bruciare viva la gente nelle case. Le cose peggiorarono ancor più quando egli spiegò pubblicamente a sua giustificazione che i siciliani erano barbari e non si poteva trattarli che duramente.”

Fonte:
https://www.carabinieri.it/

Nel 1863 venne spedito nell'isola il giovane generale piemontese Govone che poteva contare su un forte corpo di soldati e sui pieni poteri conferitigli dal governo nazionale. Govone aveva già maturato una solida esperienza nella lotta al brigantaggio sul continente. Sapeva come ci si doveva comportare nelle operazioni di guerriglia. Per sei mesi il corpo di spedizione manovrò con estrema durezza. Govone venne perfino accusato in parlamento di aver tagliato l'acqua per rappresaglia a diversi villaggi durante l'estate, di aver usato la tortura e di aver fatto bruciare la gente nelle case. Nonostante la reazione negativa dell'opinione pubblica a certe sue dichiarazioni ("Quelli sono barbari e incivili", si lasciò sfuggire Govone, "e devono essere trattati con durezza"), Govone restò al suo posto. Se i risultati ci furono (su 25mila renitenti, 4mila furono catturati; le liste elettorali vennero accuratamente revisionate; furono recuperati notevoli arretrati d'imposta), questo avvenne anche a prezzo dell'impopolarità del governo centrale, esposto alla rabbia e al risentimento delle popolazioni siciliane.

Fonte:
"Le sette giornate di Palermo di Orazio Ferrara"

Le sette giornate della rivolta di Palermo del settembre 1866 furono la testimonianza tangibile di una cosiddetta "unità nazionale", malamente perseguita e peggio attuata. Manco a farlo apposta i più decisi tra i rivoltosi furono proprio i "picciotti", che sei anni prima avevano permesso le "strepitose" vittorie di Garibaldi. 

Essi furono i più determinati nella lotta perché erano stati traditi nel peggiore dei modi: nella loro buona fede. La politica perseguita in Sicilia dal governo italiano, o per meglio dire sabaudo, fu in quegli anni veramente miope, sciocca e, non ultima, violenta. 

La verità è che, come scrive Paolo Alatri (Lotte politiche in Sicilia, Torino 1954): 

"I funzionari, per lo più settentrionali... consideravano spesso le popolazioni affidate alle loro cure come non ancora pervenute al loro stesso grado di civiltà, come barbari o semibarbari... Questo estremo disprezzo, intollerabile per un popolo d'antica civiltà come quello siciliano, unitamente a molte altre cause tra cui, non secondarie, la crescente miseria, l'introduzione di misure poliziesche inutilmente vessatorie e di nuovi e gravosi balzelli, provocò l'impossibile: l'alleanza tattica dei gruppi filoborbonici con i circoli del radicalismo democratico, cioè l'ala oltranzista del vecchio partito filogaribaldino, e di questi due con gli autonomisti e gli indipendentisti, componenti politiche quest'ultime perennemente presenti nella storia dell'isola".

FASCI SICILIANI

Francesco Crispi, il protagonista dei moti risorgimentali, presidente del Consiglio, manda in Sicilia 40.000 soldati al comando del criminale Generale Morra di Lavriano, per distruggere l'avanzata impetuosa dei Fasci. All'eroe della resistenza catanese Giuseppe De Felice vengono inflitti 18 anni di carcere.

Sotto il fuoco dell'esercito e dei campieri mafiosi caddero militanti e partecipanti alle manifestazioni (108 morti in un anno, dal gennaio del 1893 al gennaio del 1894). I capi furono processati e condannati a lunghe pene detentive. Circa un milione di persone lasciò la Sicilia. Destinazione: soprattutto l'America.

Lotta alla Mafia - Prefetto Mori -1924

Ancora oggi si discute sui metodi impiegati da Mori nella sua lotta al fenomeno mafioso. È indubbio che la sua azione fu vigorosa ed efficace: ebbe la fama di personaggio scomodo per la sua capacità di colpire molto in alto, senza curarsi dell'opposizione di molti fascisti della prima ora. Alla fine degli anni venti, il "prefetto di ferro" era un personaggio estremamente noto ed alcune sue imprese, che la macchina propagandistica del regime copriva di consensi plebiscitari, erano giunte a rasentare la popolarità di Mussolini. Cesare Mori non si fece problemi nemmeno a perseguire (con il consenso del Duce) sia l'uomo più in vista del fascismo in Sicilia, Alfredo Cucco, sia l'ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio. Molti mafiosi dovettero emigrare negli Stati Uniti dove diedero origine alla Cosa Nostra americana. 

I metodi del Mori generarono diffuso malcontento nelle popolazioni interessate e queste finirono dunque per vedere nelle forze di polizia un esercito straniero da temere e nello Stato un nemico di cui diffidare a futura memoria,

Notizie tratte, in parte, da https://it.wikipedia.org/

DOPOGUERRA IN SICILIA
Fonte:
https://www.carabinieri.it/

Preoccupante la situazione in Sicilia dove si svilupparono - interagendo tra loro - tre categorie criminali: la separatista, la mafiosa e il banditismo (prioritario quello di Giuliano). Solo la banda Giuliano compì: 305 omicidi, 178 tentati omicidi, 37 sequestri di persona, 245 estorsioni e rapine, 11 stragi (comprese Portella e Bellolampo), 86 conflitti a fuoco; caduti delle forze dell'ordine: 98 carabinieri, 26 della Pubblica Sicurezza, 34 civili e 60 feriti. Occorreranno cinque anni, soprattutto grazie al Comando Forze Repressione Banditismo del colonnello Luca, per disintegrare la banda.


Fonte:
https://piolatorre.blogspot.com/

Il progetto prevedeva che i contadini di dodici paesi (Corleone, Campofiorito, Contessa Entellina, Valledolmo, Castellana Sicula, Polizzi, alcune borgate di Petralia Soprana e di Petralia Sottana, Alia, S. Giuseppe Iato, S. Cipirello, Piana degli Albanesi) confluissero a Corleone da dove, la mattina di domenica 13 novembre 1949, sarebbero partiti una serie di cortei che avrebbero occupato e preso possesso di tutte le terre censite come incolte e mal coltivate. Partecipano quasi seimila persone che all’alba della domenica partono da Corleone e si dirigono verso i feudi da occupare, tra questi anche quello in cui Luciano Liggio era gabellotto, il feudo Strasatto. Dopo la strage di Melissa la polizia aveva qualche remora ad intervenire duramente, così l’occupazione continuò per molti giorni, sviluppandosi anche nei comuni fuori Palermo.

Il governo, viste le dimensioni che la rivolta aveva assunto, decise allora di tentare la via della repressione arrestando alcuni dirigenti sindacali e braccianti agricoli e scatenando scontri, il più grave dei quali, a S. Cipirello, portò in carcere diciotto persone. L’occupazione comunque ebbe successo e quasi tremila ettari di terreno vennero coltivati a grano.


Fonte:

https://www.duesicilie.info/

BREVI NOTIZIE BIOGRAFICHE SUGLI AUTORI

DELLA BARBARA REPRESSIONE CONTRO LE POPOLAZIONI MERIDONALI

Nino Bixio, luogotenente garibaldino, responsabile delle stragi di Bronte, di Biancavilla e di altri paesi della fascia etnea.

Raffaele Cadorna, generale, fu inviato a Palermo in occasione della rivolta del 1866. L’indiscriminata repressione provocò diverse migliaia di vittime.

Enrico Cialdini, luogotenente a Napoli nel 1861. Fu uno dei maggiori responsabili degli eccidi consumati durante la repressione del brigantaggio.

Giuseppe Govone, generale, operò nella valle del Liri e poi in Sicilia, introducendo nell’isola “uno stato di emergenza e di dittatura delle autorità militari, effettuando massicci rastrellamenti di renitenti, di sospetti, di evasi dalle carceri e di pregiudicati” (Franco Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l’Unità, pag. 280).

Alfonso La Marmora, generale, prese il posto di Cialdini a Napoli e ne continuò la feroce opera di repressione. Definì “branco di carogne” i soldati borbonici deportati in nord Italia solo perché non intesero passare nell’esercito sabaudo.

Giuseppe Pica, deputato. Insieme al toscano Peruzzi fu il presentatore della legge che instaurò in diverse province meridionali lo stato d’assedio (cosiddetta legge Pica). Questa legge comportò la strage di migliaia di persone incolpevoli e una guerra fratricida.

Ferdinando Pinelli, generale di brigata, ordinò repressioni e violenze inaudite nel Piceno, Teramano ed Aquilano fucilando tutti coloro che “con parole o con denaro o con altri mezzi eccitassero i villici ad insorgere” oppure “con parole od atti insultassero lo stemma di Savoia, il ritratto del re, la bandiera nazionale”.

Pietro Quintini, colonnello, particolarmente famigerato per la strage di Scurcola Marsicana (AQ) del 22 gennaio 1861, dove ordinò il massacro dei prigionieri.

Gaetano Sacchi, generale, comandante della divisione militare di Catanzaro. Mise a ferro e fuoco l’intera provincia.

Silvio Spaventa, quale direttore dell’Interno e di polizia del governo luogotenenziale a Napoli, fece fucilare, imprigionare e deportare moltissimi meridionali, talvolta solo perché tiepidi nei confronti del nuovo Stato unitario. Fu definito “una canaglia” dallo stesso Alfonso La Marmora.


Ancor oggi i contadini siciliani, davanti alla desolazione e miseria, esclamano:
"Pari cci passò casa Savoia! “,e:
Ciànciunu Regalbutu e Pulimenti.
lu cannizzu non civa a la tramoja.
ppi la fami gastìmanu li genti,
ervi e carduni sunu la sò gioia:
arsi li terri, persi li simenti,
pari ca cci passò casa Savoia!
Senza eresii, campani e sacramenti,
megghiu lu Papa ni dassi a lu boia!








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