IL GIORNALE DI BORJÈS
22 settembre 1861.
Caracciolo1 spinto in parte dalla stanchezza, in parte dalle istanze di
un tal Maura, mi fece sapere a due ore dopo mezzo giorno che egli
erasi deciso a ritornarsene a Roma. Gli feci molte obiezioni per
ritenerlo, ma inutilmente. Copiò l'itinerario, e, verso sei ore
della sera, mi chiese 200 franchi, e se ne andò con colui
che deve aver contribuito alla sua partenza. NOTA. - Le montagne
della Nocella e di Serrastretta sono assai coltivate: tuttavia l’ultima
è sguernita a mezzogiorno; folta di pini al settentrione,
e di castagni a ponente.
23 settembre.
Dalla montagna di Serrastretta ho marciato verso quella di Nino, ma
cammin facendo mi fermai ad una cascina di Garropoli, ove feci
uccidere un montone che mangiammo. Le genti della cascina furono
cattive con noi, e per conseguenza misero le truppe nemiche sulle
nostre tracce. Esse rovistarono i boschi cercandoci;
fortunatamente lasciarono un angolo di terra, ove come per
miracolo ci trovavamo. A quattro ore della sera batterono in ritirata
con nostra grande soddisfazione; e noi, non appena avemmo
mangiato alcune patate arrostite su carboni, ci mettemmo in
marcia (a sei ore) per seguire la direzione delle montagne.
NOTA. - Le montagne di Nino e di
Garropoli sono assai coltivate, ma hanno poco bosco. Vi è
molta selvaggina, e in particolare delle pernici rosse: vi abbonda
anche il bestiame.
24 settembre.
Questo Caracciolo, officiale napoletano, si mise allora in marcia,
solo, per andare a Napoli. Fu arrestato per via dalla Guardia
nazionale. Confessò e dichiarò con una lettera resa di
pubblica ragione, che erasi arruolato con Borjès, sperando
trovare in Calabria un'armata realista, ma che non rinvenendovi che una
banda di briganti, aveva per disgusto lasciato il capitano
spagnuolo. Rispetto a Mittica, di cui il Giornale non fa più
parola, fu ucciso con tutti i suoi uomini da' liberali di
Calabria e da' soldati italiani.
Dalla montagna di Nino mi diressi verso la valle dell'Asino, che in
questi tempi ho trovata piena di capanne abitate da moltissima
gente: gli abitanti vi raccolgono delle patate e vi nutriscono i
loro armenti. Questa pianura da levante a ponente ha una lunghezza di
un'ora e un quarto di cammino, e una larghezza di un'ora. In
fondo, e a levante, scorre un ruscello, il quale parte da
settentrione a mezzogiorno. Sulla sua riva sinistra si presenta una
salita assai aspra, ma dopo una mezz'ora di cammino la via si
allarga, la scesa diventa insensibile, tanto è agevole.
Quand'ebbi raggiunto l'altura, la Provvidenza volle che io udissi
un sonaglio: feci alto, e ben sicuro che alla nostra dritta eravi
una cascina, lasciai la strada e allettato dalla fame, mi ci indirizzai
felicemente: dico felicemente, perché in quell'istante
giunsero 120 Garibaldini, che si posero in una imboscata per
prenderci, allorquando fossimo giunti alla sfilata che noi dovevamo
traversare e che lasciammo così sulla nostra sinistra.
Giungemmo alla cascina e fummo benissimo ricevuti: furono uccisi
due montoni: ne mangiammo uno, portammo con noi il secondo per
mangiarlo all'indomani. Indi ci sdraiammo, e alla punta del
giorno ci riponemmo in marcia, accompagnati da un pastore, per
recarci ad Espinarvo, o, come si chiama in paese, al Carillone, ove
fummo alle sette del mattino.
25 settembre.
Giunto sulla montagna di Espinarvo feci alto, affinché i miei
officiali si riposassero tutta la giornata. Al nostro arrivo
incontrammo un contadino di Taverna, che se ne partiva con due
muli carichi di legname da costruzione. Dopo averlo lungamente
interrogato, gli detti dei denari, perché ci portasse
delle provvigioni per l'indomani. L'attendemmo invano. Invece del pane
e del vino che gli avevo pagato a caro prezzo, ci inviò
una colonna di Piemontesi, che ci costrinsero a partire in gran
fretta: ma siccome essa non potè vederci, nulla ci avvenne, se
non teniam conto della fatica di cui questo contrattempo ci fu
causa. Marciammo dunque, perchè essi perdessero le nostre
tracce: a otto ore e mezzo di sera ci conducemmo ad una cascina della
montagna di Pellatrea, che lasciammo alle undici, conducendo con
noi uno de' pastori, e ci recammo a riposarci a poca distanza
dalla medesima.
NOTA. - Espinarvo è una
montagna frammista di ricche pasture e per conseguenza abitata da
molti bovini e da altro bestiame. Nella pianura sorgono pini ed abeti,
e la chiamano Carillone: essa è cinta da un bosco assai
folto e assai tristo: il terreno è ottimo e ferace: que' boschi
sono, è vero, assai freddi, e in questa stagione la
brinata si fa sentire assai duramente: ma se gli alberi fossero
in parte atterrati, e le terre coltivate, è certo che la
temperatura sarebbe più dolce, dacché gli alberi vi
sono così fitti che il sole non vi penetra giammai; e questa
è la causa naturale del freddo che vi si trova.
26 settembre.
Alla punta del giorno mi sono posto in marcia, e dopo aver traversato
la montagna, sono entrato al Ponte della Valle; questa specie di
piccola pianura che da levante va a ponente e che avrà
all'incirca sei ore di lunghezza sopra dieci minuti di larghezza,
abbonda di armenti, e di gente armata. Ma nessuno ci recò
fastidio. Pure, quando la lasciammo per raggiungere il monte
Colle Deserto, cinque uomini armati vennero a noi e ci chiesero
chi fossimo. Ma siccome gli rispondemmo amichevolmente, ci
lasciarono in pace. Frattanto giungemmo alla montagna nel luogo
in cui essa offre il suo fianco diritto, e allorché fummo al
vertice scuoprimmo la valle di Revale. Scendemmo tranquillamente
per traversarla, e la traversammo. Ma allorché ci
preparavamo a salire un altro monte, il nome del quale era ignoto alla
guida, scorgemmo una casetta a trecento passi da noi e una
sentinella che camminava dinanzi a quella e che non
avvertì la nostra presenza.
Vedendo alcuni contadini che preparavano del lino, chiesi loro che
significasse quella sentinella, ed essi mi risposero:
«É la sentinella di un distaccamento Piemontese – È
egli numeroso? chiesi - 200 uomini; ma rassicuratevi, stamani
hanno salito il monte, verso il quale vi indirizzate».
Questi schiarimenti mi costrinsero ad una contromarcia di quattr'ore,
credendo poter lasciare i nemici dietro di noi, e ho potuto
farlo; ma essendo in vista della piazza di Nieto, seppi che
eranvi cinquanta custodi armati da Guardie nazionali; per il che
rimanemmo nel bosco fino al cader del giorno. Allora, scendemmo,
prendemmo una guida, e andammo a dormire sul monte Corvo, dove
arrivammo verso mezza notte.
NOTA. - La montagna di
Pelletrea, da noi lasciata la mattina del 26, è fertile e assai
ben coltivata: produce patate, legumi, fichi e altri frutti
eccellenti. I ricchi di Crotone vi inviano i loro armenti a
pascervi. Noi mangiammo un montone alla cascina del capitano della
Guardia nazionale di quella città , chiamato Don Chirico
Villangiere. Se potesse arrestarci, ci farebbe pagar ben cara la
nostra audacia: pure abbiam dato quaranta franchi al pastore, e parmi
che fosse ben contento di questo inaspettato guadagno. Ponte
Della Valle è una pianura in parte descritta nell'itinerario
del 25 settembre: ma molto mi resta da dirne. Questa valle
è traversata in tutta la sua lunghezza da un fiume che la
bagna anche troppo. Quelle acque, mancando di un canale alquanto
profondo per scorrere, rendono quel luogo paludoso; se vi fossero
condotti per disseccarlo, diverrebbe il più bel giardino
del mondo. Malgrado ciò, produce una gran quantità di
lino, ed è una abbondante pastura. Gli armenti che vi si
vedono sono innumerevoli. Le capanne di coloro che preparano il
lino sono fittissime, di guisa che si scorge moltissima gente che
va e viene. La montagna di Colle Deserto ha molto bosco; malgrado
ciò, la parte meridionale di essa sarebbe suscettibile di
produrre buon vino, se vi fosser piantate delle viti. La valle di
Rovale, piccolissima, riunisce le stesse condizioni della
precedente, con questo di più, che mi sembra più sana ed
è meno umida. La valle di Nieto, che avrà forse una
quindicina di leghe di circonferenza, è oltre ogni dire
sorprendente. Giardini, pasture, ruscelli, casette, palazzi con
ponti levatoi, e a piccole distanze, boschetti, rendono questo
luogo il soggiorno di estate il più incantevole che io abbia mai
veduto. Non parlo delle donne che vanno attorno con panieri pieni
di formaggio, di frutta o di latte; degli uomini che lavorano o
zappano; de' pastori che appoggiati al tronco de' salici, cantano o
suonano il flauto o la zampogna. In breve è un'Arcadia,
ove le pietre, se volassero, si fermerebbero per vedere,
ascoltate e ammirare. - La montagna di Corvo ha molto bosco, e non
offre di interessante che i bei pini che cuoprono i suoi fianchi
e coronano la sua cima. Pure la parte meridionale ben coltivata,
compenserebbe largamente le fatiche di chi prendesse a lavorarla.
27 settembre.
Mi son posto in cammino per recarmi alla montagna di Gallopane, e verso
le 9 del mattino ci siamo giunti: abbiam mangiato un pezzo di pane e
delle cipolle, che andammo a cercare ad una casa situata all'orlo
del bosco, dove incontrammo una Guardia nazionale, che non
riconoscemmo per tale. Questa circostanza, nota a noi più
tardi, mi decise a raggiunger la cima, dove arrivai verso
mezzogiorno. Là feci alto co' miei uomini, che estenuati dalla
fame e dalla fatica non ne potevano più. Dopo un quarto
d'ora di riposo, vedemmo un giovanetto di venti anni, snello di
corpo, che mi parve assai sospetto; quest'idea mi fece prender il
partito di cercare una strada che conducesse a rovescio della
montagna. Dopo dugento passi, il capitano Rovella, che ci
precedeva in qualità di esploratore, mi fece segno di
arrestarci, e mi disse che vedeva 15 Guardie nazionali, che
venivano incontro a noi. A questa notizia m'imboscai: ma quando furono
a un tiro di fucile da noi, ci videro e si fermarono. Li
aspettammo una mezz'ora; e vedendo che non si muovevano, temei
qualche accordo, e mi decisi subito a cambiare direzione. Seguii
dunque, senza guida e per il bosco, la parte settentrionale, come
punto del nostro viaggio per quella sera. Verso le cinque, io ero
estenuato dalla fatica e affranto dalla fame, e mi trovai sopra una
piccola montagna chiamata Castagna di Macchia. Pieno di angoscia
e di perplessità , non sapevo più dove andare, nè
che fare; ma siccome la Provvidenza veglia sempre sui propri
figli, essa ci fece apparire, pregata senza dubbio dalla Vergine
Santa, un pastore, che si avvicinò a noi e ci disse che ci
avrebbe dato vitto e alloggio a tutti; il che fece. Se per
disgrazia il Cielo ci avesse rifiutato questo favore, eravamo
perduti. Appena entrati nella casupola del pastore (ed è degno
di nota che questa è la sola volta che abbiamo dormito al
coperto dacchè siamo sbarcati), scoppiò un terribile
uragano. La pioggia cadde a torrenti per tutta la notte, e invece
di soccombere sotto il peso della stanchezza, della fame e della
tempesta, mangiammo e dormimmo benissimo, e ringraziammo Dio con tutto
il cuore per questa grazia accordataci.
NOTA. - La montagna di Gallopane
è in parte coltivata: potrebbe esserlo intieramente; e se
lo fosse, non si può calcolare quanta gente sarebbe in grado di
nutrire, tanto il terreno ne è buono. Produrrebbe, senza
grande fatica, grano, patate, gran turco e abbondanti pasture. La
Castagna di Macchia è una montagna piena di castagni; nutrisce
molti giumenti, bovi e montoni. Il basso popolo è
là , come ovunque, eccellente.
28 settembre.
A otto ore e mezzo ho lasciato la casa per raggiungere una tettoia, che
si trova a un'ora e un quarto di distanza. Due pastori ci
accompagnano, e lasciandoci ci promettono che andranno in cerca
di 20 uomini che vogliono venir con noi e di condurceli prima di sera.
Sono le nove del mattino, e Dio solo sa quello che può succedere
alle 7 di sera.
Mezzogiorno. - Nulla di nuovo relativamente al nemico. Gran regalo! Ci
portano delle patate cotte nell'acqua.
Otto ore di sera. - Gli uomini che mi erano stati promessi non
giungono. Dubito che sieno immaginarii, o che diffidino di noi.
29 settembre.
Sei ore del mattino. - Un corriere dell'agente del principe di
Bisignano mi prega d'inviargli qualche documento che possa constatare
la mia identità : gli invio due lettere del generale Clary, e
sto attendendo con impazienza i resultati che produrranno.
Sei ore e 3/4. - Sono informato che il nemico si è messo in
marcia per sorprendermi.
Questa notizia unita alla paura de' contadini che ci rubano assai, mi
costringe a lasciar la mia tettoia per dirigermi verso il bosco di
Muzzo, dove il corriere che è venuto a trovarmi stamani deve
raggiungermi.
Sette ore m. 40. - Giungiamo al bosco.
Nove ore e 20 minuti. - Il corriere atteso giunge, ma io debbo seguirlo
a Castellone, dove mi aspetta l'agente suddetto.
Dieci ore e mezzo. - Lo incontro con una diecina d'uomini; mi saluta
assai cortesemente, e subito dopo dà ordine per riunir gente:
ciò fatto, ci dirigiamo verso il territorio di Roce; ma gli
uomini che accompagnavano la nostra nuova guida si dileguano come il
vapore.
NOTA. - Serra di Mezzo è
coperta di boschi da costruzione, magnifici: vi sono anche molte
terre coltivate e fertili e de' ruscelli di un'acqua assai limpida. -
Territorio di Roce. É un paese sano, d'un clima assai
dolce: coperto di macchie assai folte e frondose. Si veggono qua e
là alcune querci e sugheri molto rigogliosi. Devo notare
che se si prendesse maggior cura di coltivare tali alberi, questi
monti sarebbero in futuro miniere di oro. Molte casette e molte cascine
sono seminate in questi luoghi. L'agricoltura è in buono
stato, ma è suscettibile di miglioramento.
30 settembre.
Territorio di Roce, 5 ore di sera. - Un confidente arriva e ci avverte
che i nemici hanno circondato i boschi di Macchia e di Muzzo per
sorprenderci: hanno arrestato sette contadini che ci accompagnavano
ieri sera. Questi disgraziati, vinti dalla paura, hanno indicato ai
nemici la nostra direzione; il che significa che sarem costretti,
malgrado l'oscurità , a toglier l'accampamento. I proprietari
della Sila essendo pessimi, bisognerà prendere una direzione
affatto opposta.
Dieci ore di sera. - Ci fermiamo al bosco di Ceprano, ad una ora di
distanza dal luogo onde siamo partiti, con questa differenza, che
invece di essere a mezzogiorno ci troviamo a settentrione.
NOTA. - Sono senza calzatura, e ho i
piedi rovinati, alla pari di altri officiali. Non sapendo come uscire
da questo stato miserando, mi rivolgo ad alcuni contadini. Vedendo la
nostra dolorosa situazione, partono ciascuno in direzione diversa, e ci
portano le loro scarpe. Ne provo una paio, non mi stanno: ne prendo un
altro paio, che pesa 3 chilogrammi, e lo conservo. Le altre son
distribuite e pagate a carissimo prezzo.
1 ottobre.
Sei ore del mattino. - Grande novità . Abbiamo pane bianco,
prosciutto, pomodori, cipolle, e un bicchierino di vino; cosa rarissima
qui.
Un'ora dopo mezzogiorno. - Sette guardie nazionali si presentano alla
Serra del Pastore, di fronte a noi, mentre una ventina di esse percorre
la Serra del Capraro; vi restano una mezz'ora, poi si ritirano dal lato
di Roce, d'onde sono venuti.
9 Dieci ore di sera. - Le guardie nazionali si riuniscono a Roce. Oggi
hanno rubato cinque capre alle fattorie del principe di Bisignano.
NOTA. - I proprietari della Sila sono antirealisti, perché
quando il re fosse sul trono non potrebbero comandare dispoticamente ai
loro vassalli. So che Roce e Castiglione sono buonissimi, e che quindi
vi si può far conto.
2 ottobre.
Sei ore del mattino. - Tutti coloro che presero parte alla sollevazione
del marzo decorso sono imprigionati.
Sette ore. - Le spie ci recano che coloro che comandavano le forze da
noi vedute ieri, erano i due figli del barone di Mollo e del barone
Costantino, e che la forza da essi guidata era composta soltanto di
loro guardie.
Otto ore. - Mi si dice che ieri sono uscite tutte le forze di Cosenza
per piombare sopra di me: ma avendo saputo per via che una banda de'
nostri avea sconfitto un distaccamento nemico, queste forze hanno
cambiato direzione per gettarvisi sopra. Non so quanto in ciò
siavi di vero, ma è un fatto che, malgrado tutti i miei agenti,
non ho potuto scuoprire una sola banda di realisti in campagna. Le
guardie nazionali di Roce hanno inviato stamani un dispaccio a Cosenza,
ma ne ignoro il contenuto. So che in questa città non vi sono
forze disponibili: ieri furono costretti a far montare la guardia a
contadini disarmati. Essendo morto un generale piemontese, non si
è trovato che una cinquantina d'uomini per accompagnarlo al
cimitero.
Cinque ore della sera. - Nulla so ancora delle forze che l'agente
credeva poter rinvenire: temo che questo sia un pio desiderio e nulla
più. Vengo informato che il 22 del mese scorso furono arrestati
due de' nostri e condotti a Cosenza: dicesi che avessero indosso alcune
decorazioni, fra le quali una del Papa, e un po' d'oro: ciò che
m'induce a credere che potessero essere gli sventurati Caracciolo e
Marra.
Cinque ore e venti minuti. - Le guardie nazionali hanno, or è
poco, imprigionato tutta la famiglia dell'agente del principe di
Bisignano.
NOTA. - Ho trovato per tutto un
affetto al principio monarchico, che si spinge al fanatismo, ma per
mala ventura accompagnato da una paura che lo paralizza. Malgrado
ciò, ho compreso che se si potesse operare uno sbarco con due
mila uomini, su quattro punti, vale a dire cinquecento nella provincia
di Catanzaro, cinquecento in quella di Reggio, cinquecento in quella di
Cosenza e il resto negli Abruzzi, la dominazione piemontese, sarebbe
distrutta, perché tutte le popolazioni si leverebbero in massa
come un solo uomo. I ricchi, salvo poche ecezioni, sono cattivi
dovunque1, e quindi assai detestati dalla massa generale. I figli del
barone di Mollo furono coloro che ordinarono il furto delle capre, di
cui ho parlato di sopra. Sono state cucinate e mangiate in casa del
capitano della guardia nazionale di Roce.
3 ottobre.
Quattro ore e mezzo di sera. - Nulla di nuovo intorno agli uomini che
mi erano stati promessi.
Sette ore e mezzo della sera. - Malgrado la risoluzione presa di
partire questa sera, rimango, vinto dalle preghiere dell'agente, al
medesimo posto per attendere otto uomini che hanno ucciso, a quanto
dicono, una guardia nazionale e un curato pessimo. Che orrore! 4
ottobre.
Gli otto uomini che io aspettava non sono venuti. I Piemontesi honno,
dicesi, disarmato ottanta guardie nazionali perchè eransi
rifiutati a marciare verso...1. Ora gli stessi individui chiedono di
porsi sotto i miei ordini, ma comprendendo i progetti che potrebbero
nascondere essi e i Piemontesi, li respingo.
Dieci ore del mattino. - Mi si parla di corrieri che debbono giungere,
di numerosi attruppamenti che debbono avere luogo in senso realista, ma
io non vi presto gran fede. Le guardie nazionali hanno saccheggiato
ieri 5 ville, di cui due appartengono a Michele Capuano. Fra 1 Questa
confessione è degna di esser considerata. Sotto la penna di
Borjès acquista un'importanza considerevole. Le classi agiate,
come le classi istruite, sono dunque liberali e italiane nelle
provincie. I miserabili e gli ignoranti parteggiano per Francesco II.
gli oggetti rubati da essi in una delle medesime si trovano 15 tomoli
di fichi, rappresentanti un valore di 70 ducati. I nemici ci credono in
Sila, e per questo battono il paese in tutti i sensi.
Dieci ore di sera. - Mi dicono che un distaccamento dei nostri è
sbarcato a Rossano. È un'illusione.
NOTA. - Dal mio accampamento veggo in fiamme i casini dei baroni
Collici e Cozzolino, uomini assai cattivi in politica, dacchè il
secondo ha dato 60 mila ducati (sic) ai rivoluzionari. Anche il primo
elargì loro una somma, di cui ignoro la cifra.
5 ottobre.
Sei ore del mattino. - Siamo accampati nel bosco di Pietra Fevulla: al
sud-est scuopriamo il bosco di Pignola, popolato di castagni: il primo
lo è di querci e di sugheri in abbondanza.
Nove ore della sera. - Il capo della banda Leonardo Baccaro giunge dal
suo paese, Serra Peducci, ove avevo mandato in cerca di lui per vedere
se era possibile far qualche cosa in senso realista; ma la sua
risposta, come quella di molti altri, è negativa. Gli ho
domandato il perchè, e la sua replica è stata conforme a
quelle altrui. - Che il Re venga con poca forza, e il paese si
solleverà come un solo uomo: senza di ciò, non vi
è da sperare. - Ed io lo credo al pari di essi. Questa gente
vuole la sua autonomia e il suo Re, ma il timore di veder bruciate le
loro case, imprigionate le donne e i fanciulli, li trattiene. Se
conoscessero la loro forza, ciò non avverrebbe. È un
danno, perchè questo popolo è più sobrio e
più sofferente di ogni altro; ma è debole di spirito
quanto è forte nel corpo. Se io fossi sbarcato tre settimane
prima, avrei trovato 1067 uomini e 200 cavalli a Carillone, e
ciò bastava per far loro vedere quanto valevano e in conseguenza
per moralizzarli. Per mala ventura al mio arrivo in quel luogo si erano
da diciassette giorni sbandati e presentati al nemico, e alcuni di essi
arruolati nelle file della guardia nazionale mobile. Il tempo che mi
fecero perdere a Marsiglia e a Malta ha recato un grave danno alla
buona causa da un lato, senza contare dall'altro che io vo errando a
caso, e, ciò che è più grave, questa circostanza
mi toglie una gloria che avrebbe costituito la felicità della
mia vita.
1 Nel manoscritto questa parola non è intelligibile.
12 6 ottobre.
Sei ore e mezzo del mattino. - Magnifico colpo d'occhio! Dal bosco di
Fiomello ove sono accampato, scorgo il forte e lo spedale di Cosenza,
Castiglione, Paternò, Castelfranco..... San Vincenzo, Santa
File, Montalto, San Giovanni, Cavallerizza, Gelsetto, Monarvano e
Cervecato; di contro a me vedo un immenso bosco di castagni, poi una
valle tanto fertile quanto bella, piena di campi, di case bianche come
i fiocchi della neve; prati più verdi dell'edera, boschetti di
alberi disseminati come tanti bottoni di rose; piante regolari di
olivi, fichi e altri alberi fruttiferi. Questo complesso di cose
suscita la mia ammirazione, e susciterebbe anche quella di chiunque
fosse meno di me affezionato ai prodotti di una natura dotata di tutto
ciò che può renderla bella allo sguardo di chi ha il dono
dell'intelligenza.
Sei ore di sera. - Tolgo il campo per recarmi al bosco della Petrina,
posto al mezzogiorno della pianura di questo nome, distante di qui
circa tre ore.
7 ottobre.
Sei ore del mattino. - I contadini passano sull'orlo del bosco dove
siamo: li faccio interrogare: dalle loro risposte rilevasi, che si
recano a portar danaro a otto briganti nascosti nella Valle di Macchia.
Dieci ore. - I nemici in numero di cento praticano una recognizione nel
bosco di Piano d'Anzo, ma sono da noi distanti un miglio. Non so se ci
scacceranno, ma è probabile.
Tre ore di sera. - I Piemontesi si sono ritirati senza vederci; questa
sera attendiamo una buona cena. Luzza, Busignano ed Astri che scorgiamo
dal nostro campo sono appoggiati alla montagna di Cucuzzelo e offrono
una graziosa prospettiva. Questi luoghi sono ben coltivati, e i boschi
che vi si scuoprono debbono essere assai produttivi: specialmente i
castagni e i sugheri vi debbono essere in abbondanza.
8 ottobre.
Ieri alle sette della sera lasciammo il bosco della Petrina e ci
avviammo verso i fiumi Morone e Crati, dove io dovevo prendere, come
infatti presi, la strada regia, chiamata Strada Nuova, dopo averli
passati a guado.
Marciammo dunque seguendo la direzione di Cunicella; giuntivi,
prendemmo a sinistra, lasciando la strada sulla diritta. Ci
arrampicammo sul monte di Campolona. - Luongo, dove riposammo una
mezz'ora continuando poi a marciare verso il fiume di San Mauro che
traversammo tranquillamente e verso il fiume d'Essero, che fu da noi
passato al luogo che divide i possedimenti del signor Longo da quelli
del principe di Bisignano.
Alle cinque e mezzo accampavamo alle falde di Farneto, estenuati dalla
fatica, lo che non è meraviglia, avendo percorso ben 30 miglia
in quella notte. Siamo tre miglia lungi da Rossano, e ad un'egual
distanza di Firma: a quattro miglia dal lato di mezzogiorno abbiamo
Altamonte: e tutto ciò senza contare che questa notte abbiam
lasciato sulla diritta Tarsi e Spezzano-Albanese.
Rossano, toltine una ventina d'abitanti, è eccellente; ma Firma
e Luongo sono cattivi, come tutti i paesi che si chiamano Albanesi.
Altamonte è buonissimo.
Ho saputo oggi che tutte le forze rivoluzionarie che si trovano in
questo paese sono state otto giorni in imboscata sopra diversi punti
per sorprenderci; ma ho saputo altresì che, deluse in questa
aspettativa, sono rientrate ieri proprio a tempo, per lasciarmi libera
la via.
NOTA. - Il fiume Morone, che scorre da ponente al settentrione,
è assai stretto e rapido, il che rende difficile il suo
passaggio. Le acque alimentano due molini e bagnano quasi tutta la
pianura della Petrina, rendendola fertilissima: le zucche, i fagiuoli,
i cocomeri, le patate, il formentone e altri legumi vi si trovano. - Se
si aprissero passaggi alle acque che si scatenano dalle montagne a
sinistra, questo paese se ne avvantaggerebbe assai. - Traversato questo
fiume, prendemmo la strada nuova che in questo luogo non è
ancora finita: non vidi cosa alcuna degna di essere osservata, salvo
alcune cascine e la cattiva influenza dell'aria, in specie in questa
stagione.
9 ottobre.
Lasciammo ieri sera alle 7 il bosco Farneto diretti verso i monti di
Cermettano. Per la via traversammo la pianura Conca di Cassano piena di
piccoli ruscelli e quindi assai incomoda. La notte è stata
orribile: non ho mai sofferto tanto, fisicamente e moralmente.
Fisicamente, per la fatica e per le piaghe de' piedi: moralmente, per
le disgrazie che ci colpiscono tutti, a causa delle circostanze.
Marciando e saltando questi innumerevoli fossi, anche assai profondi,
uno vi cade colle armi e col bagaglio, vi perde il fucile che bisogna
ripescare, l'altro la baionetta che bisogna abbandonare. Quegli co'
piedi rovinati si getta in terra e chiede la morte: questo si toglie le
scarpe credendo marciar meglio scalzo; un altro mette il fucile ad
armacollo e prende due bastoni per appoggiarvisi. Soffro alla pari di
essi, ma il mio animo non è scoraggiato: voglio comunicar loro
questo mio coraggio, e a tale effetto rammento ad essi le imprese de'
grandi uomini che militarono prima di noi. Prendono, così
rassicurati, ardire, e faccio loro operare prodigi; quello che non
può marciare, si trascina alla meglio: e in tal guisa, senza
rammaricarci, senza pane nè acqua giungiamo ad un bosco di olivi
dove passiamo la giornata del 9.
Dieci ore della sera. - Lasciando Francavilla alla diritta,
Castrovillari alla sinistra, ci rechiamo sulla montagna Serra Estania.
La prima conta sei mila abitanti, la seconda dodici mila. In entrambe
lo spirito pubblico è buono. Giungendo nel cuore della montagna
abbiamo trovato una mandra di capre, e ne abbiamo fatte uccider due,
che erano pessime, perché magrissime: ma siccome eravamo
digiuni, le mangiammo quale cosa prelibata. Dopo questo pasto abbiamo
marciato anche un'ora, poi ci ponemmo sdraiati.
10 ottobre.
Quattr'ore e mezzo del mattino. - Giunge un giovanetto di 12 anni
montando un ronzino, e io l'arresto. Lo interrogo, e resulta che
può recarmi del pane dal convento della Madonna del Carmine.
Mando perciò con lui un soldato.
Sette ore. - Non vedo nè il giovanetto nè il soldato,
sebbene in un'ora si vada al convento e in un'ora si ritorni;
ciò comincia a rendermi inquieto.
15 Sette ore e 10 minuti. - Grazie al cielo, il pane giunse.
Ott'ore e venti minuti. - Abbiamo fatto colazione, e ci rimettiamo in
marcia per giungere al culmine della montagna.
Dieci ore. - Vi giungiamo, e ci riposiamo per non scuoprirci.
Quattr'ore di sera. - Ci rimettiamo in marcia per le montagne di Acqua
Forano o Alberato di Pini, ove contiamo mangiar qualche cosa, se
è possibile. La nostra aspettativa fu delusa.
OSSERVAZIONI GENERALI. - Ho notato che i monti da me percorsi fino ad
oggi, 10 ottobre, sono suscettibili di moltiplicare le loro ricchezze
intrinseche; ed ecco come, secondo le osservazioni da me fatte in
fretta. 1º Circondare di grandi strade, che sbocchino al mare e
nei paesi, i fianchi delle montagne. 2º Alle cime di queste, porre
corpi di guardia di dieci uomini, d'ora in ora, e aprire una
comunicazione dall'uno all'altro in tutta la sua estensione, vale a
dire sulla cima di tutte le montagne di questa provincia. Ne
resulterebbe: 1º che non vi sarebbero più ricoveri per i
ladri, che è impossibile prenderveli, e che quindi sono il
flagello non solo de' monti, ma delle valli e delle pianure vicine;
2º che gli alberi da costruzione che vanno perduti per mancanza di
comunicazioni non lo sarebbero più; e siccome il trasporto al
mare costerebbe poco, tutti questi boschi diverrebbero una miniera
d'oro inestinguibile, tanto per il paese in generale, quanto per le
casse dello Stato in particolare. Nelle grandi strade laterali
bisognerebbe porre dei cantonieri, di due ore in due ore, una brigata
di gendarmi a piedi sia per recar le corrispondenze, sia per esercitare
sorveglianza. - I corpi di guardia che sarebbero sulle cime de' monti
dovrebbero esser chiusi al principio dell'inverno, e trasportati ne'
luoghi ove la neve non giunge, onde non lascino riposo o tregua ai
ladri, fino a che non fossero scomparsi. Questi provvedimenti, che
potrebbero essere adottati senza grandi spese, accrescerebbero la
popolazione, i bestiami, i fieni, i grani, gli orzi, la vena, le
patate, e poi si potrebbe trarne dalle legna da ardere in gran
quantità , che si riporrebbero in magazzini dove fosse
più facile procurarne la vendita. - Ho osservato anche che i
monti non boschivi racchiudono minerali di ogni sorta; e siccome non
son privi di acqua che bagnino le loro falde, così si potrebbero
aprir miniere che produrrebbero valori inestimabili. Qualora i filoni
di esse 16 non fossero fruttiferi, il che non credo, si potrebbe
profittar di tali acque, sia per lavorare il ferro, sia per preparare
le lane e il lino.
[BASILICATA] 11 ottobre 1861.
Un'ora dopo mezzanotte. - Giungiamo alla destra della Donna, dove,
perduti, ci ricoveriamo sotto una tettoia e ci sdraiamo, a malgrado
della prossimità di Torre Nuova. Questa notte abbiamo passato
quattro ore pessime, ma Dio ha voluto che giungessimo senz'altra
perdita fuori di quella di un uomo, il quale era un po' malato. Si
chiamava Pedro Santo Leonato, figlio di Rosa.
Ore tre e mezzo di sera. - Ci mettiamo in marcia e passiamo dinanzi a
Torre Nuova, la cui popolazione è assai buona, e fra San
Costantino, Casale Nuovo, Noja e San Giorgio. Costantino e Casale Nuovo
sono pessimi, come tutte le popolazioni greco-albanesi.
12 ottobre.
Sei ore del mattino. - Siamo giunti alla montagna Silfera, ai confini
di San Giorgio a due ore dal mattino, vale a dire dopo dieci ore e
mezzo di marcia per strade detestabili, tanto il terreno è
scoglioso. Ieri fummo senza pane, e quindi dovemmo fare strada digiuni.
Comincio a disperare di giungere a Roma: le nostre forze diminuiscono e
il mio malessere aumenta. Poco nutrimento e quasi sempre mal sano,
acqua solo per bere, e molte fatiche, distruggono i più robusti.
Pure io marcerò fino a che potrò: ma se Dio vuole che io
soccomba, consegnerò questi appunti a Capdeville,
affinchè li faccia pervenire al generale Clary, o a Scilla, e se
Capdeville morisse, dovrebbe consegnarli al maggiore Landet,
affinchè questi faccia ciò che Capdeville dovea fare. Mi
preme che questo scritto pervenga a S. M., affinchè Ella sappia
che io muoio senza rimpianger la vita che potrei aver l'onore di
perdere servendo la causa della legittimità .
17 13 ottobre.
Ieri sera avemmo del pane e della carne: il pane ci è giunto da
Colobrara, la carne siamo andati a mangiarla alla Serra di Finocchio,
ove siamo giunti alle 7 circa di sera. Dopo il pasto ci sdraiammo sulla
paglia in luogo coperto: il che ci fu di gran sollievo. Avevo pensato
di passarvi tutta la giornata d'oggi: ma sventuratamente non ho potuto
farlo.
Verso le quattro del mattino un pastore è venuto a dirmi che le
guardie nazionali di San Giorgio a Favara, eransi riunite per
attaccarci oggi, e sebbene io abbia tenuta in conto di falsa tale
notizia, pure si è avverata..... Alle sette del mattino sono
stato avvertito dal maggior Landet che una compagnia di guardie
nazionali percorreva i boschi, ove passai la giornata di ieri. Ho
guardato col canocchiale, e infatti l'ho veduta. Allora ho pensato che
un pastore che si aveva rubato cinque piastre sotto il pretesto di
recarci delle scarpe, aveva fatto il colpo, lo che mi ha dato da temere
di qualche tradimento. In questa previsione ho ordinato che i miei
soldati prendessero le armi, e poi immediatamente ho tentato di
raggiunger la cima della montagna per non esser preso tra due fuochi.
Non appena fui sul punto culminante, ho veduto una compagnia che ci
prendeva alle spalle, il che mi ha obbligato a ritirarmi verso il
settentrione della montagna, ove mi sono imboscato. Là ho saputo
che questa forza era la guardia nazionale di Rotondella.
Mezzogiorno e dieci minuti. - I nemici prendono riposo alla fonte dove
noi attingevamo l'acqua stamane.
Tre ore della sera. - I nemici ripiegano nella nostra diritta a
mezz'ora di distanza: tuttavia ne rimane ancora una parte a tiro di
fucile che ci cerca ne' boschi: pure, a malgrado di ciò,
persisto a credere che non ci vedranno.
Tre ore e un quarto. - La squadra che avevamo sopra di noi batte in
ritirata, dirigendosi sulla nostra diritta come la precedente.
Tre ore e venti minuti. - Sono informato che quegli che ieri ci
portò il pane, ci ha venduti al capitano della guardia nazionale
Don Gioacchino Mele di Favale.
Tre ore e 35 minuti. - Il restante de' nemici si ripiega sulla riserva.
Tre ore e 40 minuti. - I nemici si ritirano prendendo la direzione di
Rotondella e di Belletta.
18 Quattro ore e 45 minuti. – I nemici si fermano.
Quattro ore e 46 minuti. - I nemici si ripongono in marcia.
Quattro ore e 50 minuti. - Levo il mio piccolo accampamento per
dirigermi verso il fiume Sinna, che ho l'intenzione di passare un poco
al disotto di Favanola, se è guadabile.
Nove ore di sera. - Passo il fiume al punto indicato per seguire la
direzione del bosco di Columbrara. Per la strada chiedo ovunque del
pane, e ne ho a mezzanotte per tutti.
14 ottobre.
Un'ora del mattino. - A un quarto di lega dal bosco faccio fare alto e
do riposo alla mia truppa, fino alla punta del giorno. A tale ora mi
metto in via per imbarcarmi, e mi accorgo, una volta stabilito, che il
sottotenente Don Benito Zafra è scomparso, sebbene lo abbia
veduto seguire il nostro accampamento. Questa circostanza unita alla
poca o punta fiducia che m'ispira Zafra, mi costringe a cambiar
posizione e direzione.
Sei ore del mattino. - Mentre io stava per partire, Zafra ricomparisce,
dicendo che si era smarrito, ed io fingo di crederlo; perché
ciò mi permette di conservar la mia posizione, e la conservo.
Sei ore e mezzo della sera. - Ci mettiamo in marcia per passare il
fiume Acri, ma verso mezzanotte scoppia un uragano e ci costringe a
ritirarci nel casino chiamato Santanello, ove giungiamo verso un'ora
del mattino, bagnati fino alla pelle. Due contadini, profittando della
nostra stanchezza e dell'oscurità della notte per evadere, si
recano a darne avviso alla guardia nazionale di Sant'Angelo, luogo che
trovai sulla nostra diritta, a 4 miglia di distanza dai nostri alloggi.
15 ottobre.
Il mattino verso cinque ore e mezzo i contadini si presentano infangati
fino ai ginocchi.
Questa circostanza risveglia i miei sospetti, e mi decide a dirigermi
verso il fiume sopra indicato, e a condurre meco quelli che mi hanno
venduto, perchè mi servano di guida. Appena l'ebbi guadato, vidi
la guardia nazionale di Sant'Angelo che marciava verso di noi.
Minacciai allora le guide se non 19 ci salvavano; e tale minaccia ha
fatto loro operar miracoli: ci hanno condotto così bene, che
poco dopo non abbiamo visto nemici da alcuna parte. Un po' più
tardi abbiam passato il fiume di Rosauro, lasciando Albano alla
sinistra, e ci siamo diretti verso la taverna Canzinera, dove abbiamo
mangiato un boccone. Di là abbiamo fatto strada, con una pioggia
tremenda, verso il fiume Salandra, che avevamo traversato verso le due
dopo mezzogiorno: e siccome avevamo percorso una ventina di miglia,
facemmo alto per riposarci: ma dopo una mezz'ora la pioggia riprese e
ci costrinse a ricoverarci in una villa di proprietà di Don
Donato Scorpione, capitano della guardia nazionale di Formina. A sei
ore della sera, ci ponemmo nuovamente in marcia per raggiungere i
boschi della Salandra; ma verso le sette una pioggia forte ci sorprese,
e il terreno, che è assai grasso, cominciò a divenir
talmente melmoso, da impedirci di marciare. Tuttavia pazientammo fino
alle dieci della sera, e vedendo che la pioggia non cessava e che era
impossibile proceder oltre, ci arrestammo alla montagna Ferravante
nelle stalle di Niccolò Provenzano; ci rasciugammo un poco, e
dopo aver dato ordine al padrone che nessuno dalle baracche si muovesse
senza mio ordine, ci sdraiammo.
NOTA. - I contadini sono realisti qui
come altrove, ma molto più vili. Il timore di esser imprigionati
e il desiderio di aver danaro fa loro commettere ogn sorta di bassezze.
Il 12 non mi sono state restituite quattro piastre, il 13 mi hanno
rubato 30 franchi che dovevano servir per comprare scarpe e altre cose
necessarie. In quel medesimo giorno, o meglio nella notte, mi hanno
denunziato alla guardia nazionale di Sant'Angelo, e stanotte hanno
fatto lo stesso, ma ignoro dove.
16 ottobre.
Sei ore del mattino. - Il padrone e due de' suoi pastori sono scomparsi
furtivamente, e indovino il perchè. Ciò mi decide a
fuggire al più presto verso il bosco della Salandra, a malgrado
della pioggia che cade a torrenti. Conduco meco un fanciullo che
avrà dodici anni, per conservarlo in ostaggio tutta la giornata.
Sette ore. - Ci fermiamo per mangiare un po' di pane.
Sette ore e mezzo. - Ci mettiamo nuovamente in marcia.
Otto ore e dieci minuti. - Vedendo che debbo scuoprirmi se vado
più oltre, mi fermo per attendere gli eventi o l'ora propizia
per mettermi in via.
Due ore della sera. - L'umidità , il freddo e la fame mi
costringono a togliere il campo.
Tre ore e mezzo. - Scuopriamo una baracca, ove troviamo una mezza
razione di pane, che fo dividere, e mi ripongo in cammino.
Quattro ore e mezzo. - Giungo ad una casupola, dove trovo degli
armenti. Faccio uccidere due montoni: ne mangiamo uno, e serbiamo
l'altro per domani.
Otto ore. - Mi ripongo in via per traversare il fiume Grottola.
Nove ore. - Avevamo appena passato il fiume, che cinque uomini armati
si slanciano sopra di noi, intimandoci di fare alto. Noi cadiamo loro
addosso, fuggono a gambe, e passano in senso opposto il fiume, che io
lascio dietro di me, senza far fuoco. Subito dopo prendiamo la via di
Grassano, ove havvi una guarnigione piemontese, per evitare un lungo
giro.
Undici ore. - Giriamo attorno alla parte settentrionale esterna della
città aspettando un chi va là che non udiamo. Siamo
passati vicinissimi alla chiesa e senza nessuno incidente.
NOTA. - Il bosco della Salandra è magnifico, e vi occorrerebbero
15 ore per farne il giro. Il terreno è assai buono e quindi
suscettibile di produrre tutto, anche fichi e olivi, ma non vi si
è tentata la minima cultura: gli alberi che abbondano sovra ogni
altro in questo grande spazio, sono le querci. Potrei parlare di altre
specie, se ne avessi il tempo; ma credo che ciò basti per dare
un'idea della bella vegetazione di questo luogo. I secoli passarono
sulle frondose cime di questo Re delle foreste, e non hanno lasciato
traccia sulla loro freschezza. Sono ciò che potevano essere
cento anni indietro, e credo che un secolo di più non
cangierà il loro aspetto, se il fuoco o la scure non se ne
immischiano. Un ceppo colossale ed intiero, rami proporzionati alla
loro altezza e alla loro grossezza, una fronda fitta e fresca come le
acque delle fontane che spesso scorrono a' loro piedi, completano
questo ritratto disegnato a grandi linee. Tuttavia debbo dire qualche
cosa delle foglie di questi alberi: ne ho colte in diversi luoghi
alcune lunghe quattro pollici e larghe tre. La parte superiore ha una
forma ovale, senza cessare per questo di essere sui bordi graziosamente
smerlata.
17 ottobre.
Quattro ore dei mattino. - Giungiamo alla montagna Piano della Corte, e
alloggiamo in una baracca di Don Giuseppe Santoro, capitano della
guardia nazionale di Tricarico, ove io mi decido a passare la giornata,
sebbene abbia a diritta e a mezzogiorno Montesolero, città di
sei mila anime, e Tricarico alla sinistra e per conseguenza a
settentrione.
Tre ore e mezzo di sera. - Mi ripongo in marcia per raggiungere la
provincia di Avellino, ove arriveremo fra due tre giorni, se il tempo
si rimette, e se le circostanze lo consentono.
NOTA. - Abbiamo traversato una
pianura assai grande e ricca, ma io ho osservato che l'agricoltura
è molto addietro. Pure, siccome la terra è buona, produce
molto grano e molte frutta, quasi per forza naturale. Che sarebbe, se
vi fosse a Napoli un buon ministro che desse impulso al lavoro, e un
altro che regolasse con mano franca la giustizia, che trovo incurata da
pertutto? A senso mio, è necessaria una legge, se non esiste,
che proibisca il matrimonio alla gioventù, prima che non abbia
servito e ottenuto il congedo.
18 ottobre.
Due ore e mezzo della sera. - Mi pongo nuovamente in cammino senza
guida, come ieri, per seguire a tasto la direzione di Napoli.
Tre ore e mezzo. - Zafra mi significa che vuol partire col soldato
Moutier, ed io vi consento.
L'intemperie della stagione, la fame, la fatica, il letto a ciel sereno
non possono convenire a uomini di fibra molle e di costumi effeminati.
Avrei potuto fucilarlo, ma forse non sarebbe stata una pena.
Quando potrò, farò conoscere la loro vigliaccheria
dovunque, e in specie in Spagna, perchè sieno da per tutto e
sempre spregiati.
Tre ore e tre quarti. - Mi dirigo facendo un gran giro, per evitare un
villaggio, verso il famoso bosco di Barile, e di là verso il
bosco di Manguesci Pichitello, ove conto mangiare qualche cosa.
Cinque ore e mezzo. - Erriamo nel bosco di Barile, senza trovare un
egresso, e per conseguenza senza sapere dove andiamo.
Cinque ore e tre quarti. - Udiamo una campanella e la seguiamo! Poco
tempo dopo ci imbattiamo in una baracca e in tre uomini che guardano i
giumenti. Ne prendiamo due che ci guidano al bosco Manguesci, ove
mangiamo un montone e un agnello con del pane, che trovammo per
miracolo.
Undici ore di sera. - Ci mettiamo in cammino per prender posizione nel
bosco di Monte Marcone; strada facendo lasciamo sulla nostra sinistra
Barile, Gensano e Forenza.
19 ottobre.
Bosco di Lagopesole - Due ore e mezzo del mattino - Giungemmo al bosco
sopra indicato non senza fatica. La pioggia ci incomoda assai, e i giri
cui siamo costretti ci fanno perdere un tempo immenso: per quattro
miglia e mezzo abbiamo impiegato più di otto ore. Piove tutto il
giorno: siamo senza pane, ma ho preso provvedimento per averne.
Dieci ore del mattino. - Abbiamo avuto un po' di pane e un po' di
pimento.
Tre ore della sera. - Alcuni soldati de' nostri giungono, e mi dicono
che a otto miglia di distanza si trovano mille uomini sotto gli ordini
di Crocco Donatello. Mi decido a inviargli il signor Capdeville con una
lettera, scortato da due soldati per vedere se possiamo intenderci, del
che dubito, giacché osservo il più grave disordine. Quel
danno che io non abbia trecento uomini per sostenere i miei ordini! Oh
allora le cose prenderebbero una piega favorevolissima per la causa di
S.M.
Quattro ore della sera. - Cambiamo di luogo, ma restiamo nello stesso
bosco.
Tre ore. - Sono informato che le forze piemontesi del circondario son
poche, sebbene non mi sia noto giustamente il loro numero; mi si dice
che siano bersaglieri e che abbiano seco due pezzi da montagna.
20 ottobre.
Sei ore del mattino. - Nulla di nuovo; la notte è stata assai
rigida.
23 Dieci ore. - Mi dicono che qui avviene quello che ordinariamente ha
luogo in tuti i posti da cui sono passato: si imprigionano i realisti a
torto o a ragione.
21 ottobre.
Sette ore del mattino. - I due soldati che hanno scortato Capdeville
ritornano senza di lui e senza sue lettere; lo che per parte sua non
è regolare: ci dicono che dobbiamo andare a raggiungere la
forza, e lo faremo dopo aver mangiato.
Dieci ore. - Ci mettiamo in marcia per raggiungere l'altra truppa e
Capdeville che non è tornato, e che si trova con essa nel bosco
di Lagopesole.
Un'ora e dieci minuti della sera. - Faccio alto per riposarci.
Tre ore e mezzo. - Ci riuniamo ad una piccola banda; la credevamo
più numerosa; ma altre devono giungere col suo capo.
22 ottobre.
Sei ore del mattino. - Il capo della banda è giunto questa
notte, ma io non l'ho veduto. Egli è andato a dormire con una
sua concubina, che egli tiene in uno de' boschi vicini, con grande
scandalo di alcuni.
Otte ore e mezzo. - Il capo della banda giunge: gli faccio vedere le
mie istruzioni, ed egli cerca di esimersi con falsi pretesti. Temo di
non poterne trarre partito; tuttavia non ho perduto ogni speranza: mi
dice che dobbiamo attendere l'arrivo di un generale francese, che
è a Potenza e che giungerà domani sera, e da lui
sentiremo ciò che dice, prima di decidere qualche cosa di
definitivo.
Due ore della sera. - Il capo della banda parte, senza dire dove va: si
fa dare il titolo di generale. Ho dimenticato di dire che gli ho
proposto di prendere 500 uomini d'infanteria e 100 cavalli,
assicurandolo che con questa forza mi sento capace di tener la
campagna: mi rispose che i fucili da caccia sono inutili per
presentarsi in faccia al nemico; io combatterò quest'obiezione,
ma senza frutto.
23 ottobre.
Otto ore del mattino. - Il signor De Langlois giunge con tre officiali:
si spaccia come generale e agisce come un imbecille. Lo lascio fare per
vedere se la sua nascita lo rincondurrà al dovere: ma vedendo
che egli prende maggior coraggio dal mio silenzio, lo chiamo a me e
gl'intimo ad esibire le sue istruzioni. Risponde di non averne in
iscritto; e allora abbassa il suo orgoglio.
Carmine Crocco, capo della banda, per il momento è assai
attento, ma non si dà cura di riunire le sue forze per
organizzarle. Qual danno che io non abbia 500 uomini per farmi obbedire
prontamente! 24 ottobre.
Sei ore del mattino. - Nulla di nuovo per ora. Passiamo la giornata
nello stesso luogo.
25 ottobre.
Sei ore e un quarto del mattino. - Tre colpi di fucile ci annunziano
l'apparizione del nemico.
Sette ore. - Ci scontriamo col nemico a cento passi di distanza; una
viva fucilata s'impegna fra una quarantina de' suoi bersaglieri e una
ventina de' nostri. Sostengo gli sforzi del nemico per un'ora.
Otto ore. - I nemici ci hanno circondato: abbandoniamo questi che ci
attaccano di fronte per gettarci su quelli che ci attaccano di dietro.
Otto ore e mezzo. - Gravi perdite: il mio ufficiale della diritta, il
maggiore La Candet, è colpito alla testa da due palle e rimane
sul campo. Quattrocento piastre che avea indosso e il suo fucile
rimangono in potere de' nemici, i quali lo spogliano di tutto, meno de'
pantaloni e della camicia. Nel tempo stesso vien ferito gravemente uno
de' quattro Calabresi che mi hanno accompagnato, per nome Domenico
Antonio il Rustico: la palla che lo ha colpito mi ha salvato da una
ferita.
Due ore e mezzo della sera. - Il nemico si pone in imboscata nella
foresta, mentre io invio il Calabrese al medico. Ho decorato due
individui della banda per la bella condotta da essi tenuta la 25
mattina; ma non so i loro nomi. Il capitano di cavalleria Salinas non
è più con noi: ignoro se sia morto.
26 ottobre.
Sei ore del mattino. - Occupiamo lo stesso bosco. Il capitano Salinas
manca sempre: son convinto che egli è morto.
Otto ore. - Crocco, che è assai astuto, guadagna tempo e non
mantiene la promessa di organizzare da lui fattami. Non posso intendere
quest'uomo, che, a dir vero, raccoglie molto danaro: cerca l'oro con
avidità .
Nove ore. - De Langlois mi narra che Crocco ha ricevuto una lettera di
un canonico che gli promette completa amnistia se si presenta colla sua
banda! il suo silenzio di fronte a me in un affare sì grave mi
fa temere che egli, ricolmo di danaro, vinto dalla sua concubina che
egli conduce con noi, non commetta qualche viltà . L'affare di
ieri non diminuisce i miei sospetti. Allorché vedemmo che il
nemico veniva a noi, egli si è messo in marcia per il primo; ma
giungendo ad una certa distanza ha fatto una contromarcia,
talché quando io mi credeva appoggiato da lui sulla diritta, mi
son trovato attaccato a rovescio. In breve Crocco, Le Langlois e gli
ufficiali napoletani non hanno udito fischiare una palla: co' miei
uomini e con due della banda di Crocco ho pagato le spese del
combattimento, e mi è costato ben caro.
27 ottobre.
Il capitano Salinas è ricomparso or è poco in buona
salute. I nemici hanno ucciso Nicola Falescio ammogliato con cinque
figli, mentre ci recava del vino. La vedova di lui si è
presentata a me, ed io le ho assegnato nove ducati mensili in nome di
S.M. Ieri l'altro i nemici hanno bruciato le capanne e le casette che
si trovano alle falde del bosco.
28 ottobre.
Sette ore del mattino. - Dal medesimo bosco. - Ci riuniamo per saper
quanti siamo e per organizzarci.
Sette ore e mezzo. - Il capo dà un contrordine, e dice che non
vuole che noi formiamo due compagnie, fino a che non sieno giunti 130
uomini che egli attende, ma inutilmente.
Dieci ore e mezzo. - De Langlois, uomo che temo assai intrigante, mi
narra che ieri sera ha avuto una conferenza di più di due ore
con Crocco, e che questi gli ha detto: «Se io ammetto una
organizzazione, non sarò più nulla; mentre restando in
questi boschi sono onnipotente, nessuno li conosce meglio di me: se
entriamo in campagna, ciò non accadrà più. Del
resto i soldati mi hanno nominato generale, ed io ho eletto i
colonnelli e i maggiori e gli altri ufficiali, i quali nulla più
sarebbero, se cadessi. Del resto io non sono stato che caporale, lo che
vuol dire che di cose militari non me ne intendo! dal che ne segue che
non avrò più preponderanza il giorno in cui si
agirà militarmente».
29 ottobre.
Sette ore del mattino. - Dallo stesso luogo di ieri. - De Langlois mi
riferisce quanto segue: «Ieri sera ho avuto un colloquio col
nipote di Bosco, il solo cui Crocco si confidi e gli ha detto.....1
Egli pretende, e mi ha incaricato di dirvelo, un brevetto di generale
sottoscritto da S.M. e altre promesse che non specifica per il futuro,
una somma corrispondente di danaro, e non so che altro ancora».
De Langlois avrebbe risposto che non può garantire tutto, ma che
il modo di regolarizzare queste faccende era quello di riconoscere i
capi. Crocco e i suoi hanno rubato molto, e quindi hanno molto danaro
che vogliono conservare e aumentare; se vedono che si aderisce a questo
loro intendimento, consentiranno a lavorare per la causa di Sua
Maestà , ma in caso contrario non si adopereranno che per loro
medesimi, come hanno fatto fin qui.
Mezzogiorno. - Sono informato che quattro guardie nazionali di
Livacanti, hanno fucilato ieri la donna Maria Teresa di Genova,
perchè il suo fratello era con noi.
Nove ore di sera. - Giungono in questo momento alcuni nostri uomini che
si sono imbattuti in una guardia nazionale che ha fatto villanamente
fuoco sopra di essi. Sono saltati addosso a lui, e dopo avergli tirato
cinque colpi di fucile l'hanno ucciso e disarmato.
30 ottobre.
Nove ore del mattino. - Siamo nel medesimo luogo: in questo momento
abbiamo un allarme; la gente di Crocco fugge come un branco di pecore:
resto con i miei officiali al posto e mostro disprezzo per quei
vigliacchi, onde farli arrossire, e costringerli a condursi meglio, se
è possibile; ma tutto è inutile.
Dieci ore e mezzo. - Cambiamo luogo a un'ora di distanza da quello da
noi lasciato; ma sempre nel medesimo bosco.
Cinque ore dalla sera. - De Langlois viene ad avvertirmi che il padre
di Crocco si trova in relazione con il general La Chiesa e che questi
ha scritto una lettera a Crocco, esortandolo a presentarsi colla sua
banda. Questi avrebbe risposto, secondo Langlois, che il general La
Chiesa dovea presentarsi a noi. La Chiesa avrebbe soggiunto che se gli
davano sei mila ducati e 30 pezze al mese, avrebbe dato in nostro
potere la provincia. Ora siccome io vedo che la reazione è
fatta, ciò che ho di meglio a fare si è di trarne il
miglior partito possibile. Non ho, è vero, i ducati in
questione: ho detto a Langlois, malgrado ciò, che appena La
Chiesa ci avesse consegnato una grande città , gli avrei
sborsato i sei mila ducati.
Ho però fatto notate a De Langlois che io dubitava di quanto mi
diceva, e che Crocco non mi aveva di ciò fatto parola. Crocco vi
presta fede, rispose, ma non ve ne parla, perchè vuol far
ciò senza discorrervene.
De Langlois mi ha detto ancora che Crocco vorrebbe conservare in
apparenza il comando di generale. Sta bene, ho detto, che ei faccia
trionfare la causa e vi acconsento; ma io so che egli pensa ad una
cosa, e che potrebbe accader che ne avvenisse un'altra. I soldati e il
paese ci ammirano dopo il fatto del 25; ed io credo che il giorno in
cui mi converrà alzar la voce, Crocco 1 Il manoscritto non
è intelligibile; però lasciamo questi spazii, che
indicheranno al lettore non essere stato possibile 28 non sarà
nulla. Qualunque cosa ei trami, sono deciso a rimanere, per assistere
allo scioglimento di questi intrighi, e per vedere se essi offriranno
alcun che da permettermi di trarne partito. Se io avessi qualche
centinaio di migliaia di franchi, trecento uomini, e un numero di
officiali, probabilmente diverrei il padrone della situazione.
31 ottobre.
Sette ore e mezzo del mattino. – Crocco mi legge una lettera di un capo
di una banda, nella quale pone 500 uomini a mia disposizione. Se non
cambia consiglio, stanotte senza fallo anderemo a raggiungerli e
formeremo domani il primo battaglione.
1 novembre.
Ieri ci siamo posti in marcia per andare al bosco… di Potenza. Cammin
facendo abbiam costeggiato la Serra Iacopo Palese che va dal
settentrione a mezzogiorno: alle sue falde abbiamo trovato il fiume
della Serra del Ponto, e siamo giunti verso le 2 del mattino al luogo
sopra indicato.
2 novembre Un’ora di sera. – Nulla di nuovo, se ne accettuiamo la
mancanza di razioni. Ci dicono che ne avremo più tardi: io ne
dispero, perché l’ora è avanzata: i soldati muoiono di
fame.
3 novembre Nulla di nuovo.
Undici ore. – usciamo dal bosco, ci rechiamo a Trevigno, distante di
qui quattro miglia.
Un’ora e mezzo della sera. – Giungiamo al luogo indicato e siamo
ricevuti a colpi di fucile.
Tre ore e mezzo. – Dopo un combattimento di oltre due ore, ci
impadroniamo della città ; ma debbo dirlo con rammarico, il
disordine più completo regna fra i nostri, cominciando dai capi
raccogliere il pensiero di chi scriveva il Giornale.
stessi. Furti, eccidii e altri fatti biasimevoli furono la conseguenza
di questo assalto. La mia autorità è nulla.
4 novembre.
Sei ore e mezzo del mattino. – Lasciamo Trevigno e ci dirigiamo verso
Castelmezzano, ove arriviamo alle undici e mezzo. Vi facciamo un alto
di due ore.
Tre ore della sera. – Ci mettiamo in marcia dirigendoci verso il bosco
di Cognato, ove giungiamo alle 7. Alle 8 e ½ sono informato che
Crocco, Langlois e Serravalle hanno commesso a Trevigno le più
grandi violenze. L’artistocrazia del luogo erasi nascosta in casa del
sindaco, e i sopraddetti individui, che hanno ivi preso alloggio,
l’hanno ignobilmente sottoposta a riscatto. Più: percorrevano la
città , minacciavano di bruciare le case de’ privati, se non
davano loro danaro.
Langlois interrogato da me intorno alle somme raccolte in quel luogo,
mi ha risposto che il sindaco gli aveva dato 280 ducati soltanto, e che
questo era tutto quanto avean potuto ottenere.
5 novembre.
Sei ore e mezzo. – Ci vien dato l’ordine di riunirci, per dirigerci non
so in qual luogo.
Undici ore. – Ci imbattiamo in otto guardie nazionali, che inseguiamo
fino a Caliciana; là ci arrestiamo; è stato saccheggiato
tutto, senza distinzione a realisti o a liberali in un modo orribile:
è stata anche assassinata una donna e, a quanto mi dicono, tre o
quattro contadini.
Cinque ore e mezzo. – Giungiamo a Garaussa, ove il curato insieme ad
altre persone è uscito col Cristo, chiedendoci una pace che io
gli accordo ben volentieri. Dio voglia che gli altri facciano lo
stesso. – Non racconto cosa alcuna della scena che è avvenuta
dopo la mia partenza, cagionata dall’indignazione che mi avea suscitato
il disordine.
6 novembre.
Dieci ore del mattino. – Ci mettiamo in marcia per andare ad attaccare
la Salndra, ma havvi una guarnigione di un centinaio di Garibaldini e
un distaccamento di Piemontesi. Appena ci hanno 30 scorto, hanno preso
posizione sopra un'inespugnabile altura a settentrione. Allorchè
sono stato a mezzo tiro di fucile, ho spedito il maggiore Don Francesco
Forne alla testa di una mezza compagnia, che, malgrado il declivo del
luogo e il fuoco che si faceva contro di lui, si è impossessato
del punto che i nemici occupavano pochi momenti prima. I nemici
respinti hanno preso le case, dove hanno provato una più
vigorosa resistenza; ma essendosi accorti che io andava a prenderli
alle spalle colla mia colonna, hanno lasciato la città a passo
di corsa. Quando li ho veduti, son piombato sopra di essi; ne abbiamo
uccisi dodici, abbiam preso la loro bandiera e abbiam fatto de'
prigionieri. Dal lato nostro Serravalle è stato ferito, ma non
gravemente, alla testa. - La città è stata saccheggiata.
7 novembre.
Serra di Cucariello, Comune di Salandra, 2 ore e mezzo di sera. - Il
signor Angelo Serravalle muore in questo momento. Mi pregano di
scrivere a S.M. di far innalzare un castello in questo luogo.
8 novembre.
3 ore del mattino. - Riuniamo la truppa, e prima di partire Crocco
fucila in una sala della città Don Pian Spazziano; poi noi
abbiam fatto strada verso Cracca, ove siam giunti a tre ore di sera: la
popolazione intiera ci è venuta incontro; e malgrado di
ciò, avvennero non pochi disordini.
9 novembre.
Sei ore e mezzo del mattino. - Usciamo da Cracca e marciamo verso
Alliano: ma circa due ore dopo mezzogiorno nella pianura bagnata
dall'Acinella, troviamo una quarantina di guardie nazionali, che
attacchiamo con vigore. - Vedendoci, si danno ad una fuga precipitosa e
si 31 nascondono in un bosco vicino; malgrado ciò, la cavalleria
li raggiunge, ne uccide quattro, fa un prigioniero, che ho posto in
libertà , perchè non aveva fatto uso del suo fucile.
Sette ora della sera. - Giungiamo ad Alliano, dove la popolazione ci
riceve col prete e colla croce alla testa, alle grida di Viva Francesco
II; ciò non impedisce che il maggior disordine non regni durante
la notte. Sarebbe cosa da recar sorpresa, se il capo della banda e i
suoi satelliti non fossero i primi ladri che io abbia mai conosciuto.
10 novembre.
Nove ore del mattino. - I miei avamposti mi avvertono che una forza
nemica è comparsa sull’Acinella. Io esco immediatamente per
incontrarla e mi accorgo che è un corpo di 550 a 600 uomini.
Faccio riunire la mia gente, che non supera i 400 uomini, in faccia ad
essi, e attendo le disposizioni del nemico per prenderle noi. Mi
persuado ben presto che il capo piemontese era un nemico che non
conosceva il suo mestiere. Vedendo la sua inesperienza, mi rivolgo ai
miei soldati e prometto loro la vittoria, ove mi prestino fede: me ne
fanno sicuro, ed io mi pongo in marcia.
Allorchè ebbi raggiunto la cappella, distante un tiro di fucile
e sul declive del villaggio, invio la prima compagnia sotto gli ordini
del (maggiore) capitano Don Francesco Forne prevenendolo di spiegare in
bersaglieri la metà della sua forza e di seguire col rimanente
per proteggerli, percorrendo la via che da Alliano conduce al fiume.
Nel tempo medesimo ordino al luogotenente colonnello di cavalleria
comandante la seconda compagnia, di marciare sopra una cresta che il
terreno forma a dritta, e di prender il nemico di fianco; il che
eseguì con grande precisione, mentre la prima compagnia lo
attaccava di fronte.
Siccome lo spazio del letto del fiume è assai grande,
così ho posto la cavalleria a retroguardia della prima compagnia
ordinandole di passar il fiume e di porsi in un'isola piantata di olivi
per prender il nemico alle spalle.
Quanto a me, col resto dell'infanteria marciai in colonna al centro
delle due ali per proteggerle in caso di scacco: ma l'impulso delle due
compagnie è stato così vivo, che il nemico non ha potuto
sostener il primo scontro. Vedendolo sbandato, attesi che la cavalleria
gli facesse 32 mettere le armi in basso. Vana speranza. Guardo e la
vedo alla mia dritta a piedi, in un burrone che faceva fuoco, anzi che
eseguire i miei ordini. Questa circostanza ha reso dubbiosa l'azione;
ma siccome a colpi di sciabola ho fatto avanzare la cavalleria, e ho
marciato rapidamente colla riserva verso il centro del fiume, ho avuto
il di sopra anche una volta sul nemico, il quale si è riunito ai
piedi di un mulino. Vedendolo in una posizione forte, ho staccato una
sezione della mia compagnia di riserva per prenderlo alle spalle,
mentre la prima compagnia lo attaccava di fronte e la seconda a
sinistra. Questa manovra è bastata per sloggirlo dalla sua
formidabile posizione; ma siccome l'altezza della montagna che dal
mulino si spinge fino a Steggiano è piena di piccoli colli che
si difendono da sè stessi, il nemico si è nuovamente
riformato e ha preso l'offensiva caricandoci alla baionetta. La seconda
compagnia ha sostenuto la mischia per dieci minuti sulla dritta e la
prima ha fatto altrettanto a sinistra. In questo tempo son potuto
giungere con la riserva, e allora la sconfitta del nemico è
stata completa. Egli si è sparpagliato per i boschi, ma noi
abbiamo ucciso 40 individui, fra i quali un luogotenente che è
morto da eroe mentre ci caricava alla baionetta: abbiamo fatto cinque
prigionieri che si sono arruolati nelle nostre truppe... Abbiamo fatto
alto a un miglio da Astagnano lasciando in pace i nemici.
Le nostre perdite sono meschinissime, il che è piuttosto un
miracolo che frutto del caso. Il luogotenente colonnello Don Agostino
Lafont ha ricevuto un colpo di una bocca di cannone al di sopra del
sopraciglio dell'occhio sinistro: ma non è nulla: un altro
soldato ha avuto una parte della testa sfiorata da una palla; ecco
tutto.
Dopo un'ora di riposo, un corriere di Astagnano viene ad avvertirci che
la popolazione ci attende, e ci prega di andarvi. In conseguenza di che
faccio metter la truppa sotto le armi, e mi pongo in marcia. Appena
avevamo sfilato, scorgo delle croci e de' preti che venivano verso di
noi, e una folla immensa che riempiva la strada con bandiere bianche e
gridava Viva Francesco II. In mezzo a tale entusiasmo siamo entrati
trionfalmente nella città , con ordine ai soldati, che abbiamo
pagati prima di alloggiarli, di osservar la più stretta
disciplina. Ma siccome hanno l'abitudine del male, hanno cominciato a
farne delle loro solite, di guisa che siamo stati costretti a fucilarne
due; provvedimento che ha ristabilito subito l'ordine.
11 novembre.
Astagnano. Abbiamo passato la giornata tranquillamente, o meglio
lavorando. Ci si presentarono 300 uomini di diversi paesi, di guisa
che..... contiamo 700 uomini assai bene armati.
12 novembre.
Nove ore del mattino. - Partiamo da Astagnano per recarci a disarmare i
Nazionali di Cirigliano e..... al primo luogo siamo rimasti due ore, o
per meglio dire ne siamo usciti a un'ora e mezzo della sera per recarci
al secondo: ma quando siamo stati al principio della salita, fummo
avvertiti che il nemico era ad un miglio di distanza. Vedendo la mia
posizione assai compromessa, inviai il maggior Forne comandante la
prima compagnia al villaggio, ed io col resto della forza presi
posizione sulle alture che avevo alla mia sinistra: una volta che fui
in grado di difendermi, attesi, spiegato in battaglia, gli eventi. Dopo
un quarto d'ora scorsi la testa della colonna nemica forte di 1200
uomini, che si poneva nella strada che divide i due villaggi suddetti;
ma era troppo tardi.
Comprendendo la forza della mia posizione ho offerto la battaglia al
nemico il quale ha manovrato fino al cadere della notte, senza nulla
intraprendere. Dopo di che ci ponemmo in marcia diretti al bosco di
Montepiano di Pietra Portassa.
13 novembre Sei ore del mattino. - Partiamo dal bosco, facendo via
verso l'Autura: arrivando in questo luogo ho fatto, malgrado la
volontà di Crocco, accampar la truppa per prevenire una sorpresa
e il disordine, ordinando che ci fosse recato del pane e del vino, il
che è stato eseguito di buon grado.
Mentre si distribuivano le razioni, il clero vestito de' suoi abiti
sacerdotali, colla croce alla testa, si è presentato per
complimentarci, e per pregarmi di andar ad ascoltare una messa co' miei
officiali: l'ho ringraziato, dicendo che sebbene io desiderassi molto
di accettar tal proposta, non mi era possibile: tuttavia ho aggiunto
che quanto era differito non era perduto. In questo mentre fui
avvertito che il nemico veniva incontro a noi: ho fatto riunire la
truppa e ho congedato i preti.
34 Nove ore e mezzo. - Gli avamposti scuoprono il nemico, ed io mi
pongo in moto per prender posizione ad Arause, ove giungo a mezzogiorno.
Due ore della sera. - Il nemico è alla vista. Faccio battere la
generale e gli offro battaglia: il nemico si pone sulle difensive.
Sei ore della sera. - Mi ripiego nel bosco chiamato la macchia del
Cerro, dove ci accampiamo per passarvi la notte.
14 novembre.
Sei ore del mattino. - Ci mettiamo in marcia verso Grassano, dove
giungiamo a 10 ore del mattino. Alloggiamo la truppa, e i nostri capi
vanno a rubare dove più lor piace.
Due ore della sera. - Il nemico si avvicina, e gli offro battaglia, ma
egli non l'accetta, sebbene abbia il doppio della mia forza. Ci
scambiamo alcune fucilate nel resto della giornata.
Otto ore di sera. - Vedendo che il nemico non sa decidersi, lascio gli
avamposti, e mi ritiro con tutto il rimanente della mia forza in
città per passarvi la notte.
15 novembre.
Sette ore e mezzo del mattino. - Il nemico rimane nelle stesse
posizioni d'ieri sera.
Otto. - Ritiro i miei avamposti per andare verso San Chirico, ove sono
giunto verso le undici: ho fatto alloggiare un officiale in casa del
capitano delle guardie nazionali per impedire che gli si arrecasse dei
danno, e credo che questi me ne fosse grato. In questo luogo vi
è stato un po' d'ordine; il che mi ha fatto un gran piacere.
Tre ore di sera. - Ci mettiamo in via per attaccare il villaggio
Loagle: ma ad un miglio di distanza ci accampiamo e aspettiamo il
giorno.
16 novembre.
Sei ore del giorno. - Riconosco la posizione e la trovo fortissima;
malgrado ciò, mando innanzi la quarta compagnia per attaccar la
sinistra del villaggio: invio la terza sulla diritta: la prima 35 al
centro: il resto dell'infanteria rimane con me sull'altura a diritta
della nuova strada e in faccia al villaggio.
Destino una parte della sedicente cavalleria a sinistra e una parte a
diritta, e questa per togliere la ritirata del nemico a Potenza.
Allorchè l'infanteria è giunta al ponte che trovasi a
piedi della salita, il nemico fa una forte scarica e ferisce un uomo
della prima compagnia; ma la truppa si slancia all'assalto. Il nemico,
accortosi della nostra fermezza, ripiegò e si racchiuse in un
gran palazzo: una parte fugge per cadere nelle mani de' nostri che li
massacrano.
Il capitano della prima compagnia attacca il palazzo e l'incendia con
della paglia e con delle legne resinose: il nemico cominciò a
saltare da un balcone: ma in questo mentre, taluno, non so chi, si
permettè di far battere la generale: la truppa si riunisce e
l'operazione rimane incompiuta.
Due de' nostri feriti rimangono nel villaggio: abbiamo due morti e
alcuni feriti.
Cessato l'allarme, ci mettiamo, in marcia per attaccare Pietragalla,
dove giungiamo alle 3 della sera. Riconosciuta la posizione, invio la
terza e la quarta compagnia sulla diritta della città , la
quinta e la sesta con porzione della cavalleria verso la sinistra, la
prima e la seconda verso il centro. Il nemico in forti posizioni dietro
una muraglia aprì un fuoco vivisimo. Ma il maggior Don Pasquale
Marginet, luogotenente della seconda compagnia, si slancia come un
fulmine seguito da alcuni soldati e si impadronisce delle prime case
della città .
Il capitano lo segue col resto della compagnia, e la città ,
meno il castello ducale, ove i nemici si sono racchiusi, fu presa in un
batter d'occhio. Abbiamo avuto quattro morti e cinque feriti, o
piuttosto 9 feriti ne' punti che abbiamo attaccato, e fra essi il
luogotenente Laurano Carenas. Compiuto il fatto, abbiamo preso
alloggio, per non esser testimonio di un disordine contro il quale sono
impotente, perché mi manca la forza per far rispettare la mia
autorità . Temo che Crocco, il quale ha molto rubato, non
commetta qualche tradimento.
17 novembre.
36 Dieci ore del mattino. - Ci riuniamo per accamparci nel bosco di
Lagopesole, ove giungiamo a quattro ore della sera. Crocco ci lascia
sotto pretesto di andare a cercare del pane, ma temo che sia piuttosto
per nascondere il danaro e le gioie che ha rubato durante questa
spedizione.
18 novembre.
Un'ora dopo mezzogiorno. - Siamo nel medesimo bosco senza Crocco e
senza pane. La condotta del capo ha fatto sì che in tre giorni
abbiamo perduto la metà della forza, circa 350 uomini.
Quattro ore della sera. - Noi sloggiamo per accamparci ad un miglio
più lontano. - Crocco non è venuto.
19 novembre.
Otto ore del mattino. Crocco è giunto, ma non si è
presentato ancora dinanzi a me.
Mezzogiorno. - Crocco ha fatto battere l'appello dopo aver tirato
diversi colpi di fucile.
Monto la collina e chiedo cosa significhi ciò. Crocco mi
risponde che noi dobbiamo andare ad attaccare e prendere Avigliano,
città di 18 mila anime. Gli dissi che era impossibile, che i
Nazionali di quella città erano assai superiori in numero. Mi
obiettò che in qualche luogo dovevamo andare: gli risposi
che..... ci attendeva con impazienza: replicò che ciò gli
andava a genio e che mi vi condurrebbe. Dopo ciò disparve, e
andò a consigliarsi con gente che non avrebbe mai dovuto
nè vedere nè ascoltare, e venne a dirmi che potevamo
metterci in cammino; il che facemmo.
Dopo aver marciato per qualche tempo chiesi ad un uomo del paese, quale
era la via che noi seguivamo. Mi rispose esser quella di Avigliano. Non
ho di ciò parlato ad alcuno: ma ho pensato che quell'uomo senza
fede mi aveva ingannato. Non era passato un quarto d'ora che il
maggiore di cavalleria venne a dirmi: Mio generale, noi prenderemo una
graziosa città . - Noi andiamo a Avigliano, dunque? gli chiesi -
Sì, signore - Ebbene io protesto contro questa impresa.
Tre ore e mezzo di sera. - Siamo giunti ad Avigliano. Crocco mi dice di
prendere le disposizioni opportune per assalirla e impadronircene. Gli
rispondo che avendo fatto egli il 37 contrario di quanto avevamo
stabilito, prendesse le disposizioni che più gli piacevano,
dacchè io non voleva assumere la responsabilità di una
impresa che non poteva riuscire. Allora ha fatto attaccare la piazza
con tutta la forza e senza lasciar riserva; aperto il fuoco, egli si
è ritirato sulle alture e vi è rimasto per vedere
ciò che accadeva.
Il fortino che è al fianco della città e al settentrione
fu preso di primo slancio dalla prima compagnia sostenuta dalla
seconda: ma non si è potuta prendere una cappella che si trova
sulla stessa linea e protegge le vicinanze del centro della
città . La diritta è stata attaccata dalla forza
rimanente; ma è stata tenuta in scacco da un muro che
servì di barricata alla parte di ponente della città . In
breve, la notte è sopraggiunta e con essa una nebbia e una
pioggia intollerabile, tanto era fredda. Crocco ha fatto suonare la
ritirata e ci siamo condotti ad una piccola borgata chiamata Pavolo
Duce, dove abbiamo passati gelati e bagnati fino alla pelle una pessima
notte . . .
. . Questa circostanza, unita ai disordini precedenti, ha scemato la
nostra forza, che era assai piccola. Durante la notte non ho mai potuto
sapere dove fosse Crocco.
20 novembre.
Cinque ore del mattino. - Faccio battere la sveglia.
Sei ore e mezzo. - Faccio batter l'appello. Ninco Nanco si presenta e
mi dice che mi servirà di guida, come ha poi fatto. Dopo una
mezz'ora di marcia, mi vien detto che Crocco si trova ad una piccola
casa di campagna alla distanza di 200 passi a sinistra della strada da
noi percorsa. Nel momento medesimo (8 ore) mi fa avvertire di far alto;
mi fermo e l'aspetto, ma inutilmente.
Nove ore del mattino. - Ninco Nanco, Donato, e un altro degli officiali
mi dicono che Crocco ci ha lasciati. Riunisco gli offlciali tutti per
chieder loro che intendono di fare, assicurandoli che io era deciso di
andare fino in fondo, se avessero persistito ne' loro propositi. Bosco
prende la parola e scorre assai bene: ma un altro officiale dice, che i
soldati non ci seguiranno se saranno comandati da offlciali spagnuoli;
che dall'altra parte io era destinato al comando in Basilicata, il che
mi spiegò tutti gli intrighi di costui. Pure ho fatto dare la
dimissione a tutti i miei officali, per provare a quelli della banda
che noi servivamo per devozione e non per interesse. De Langlois 38
durante questa riunione si è tenuto in disparte, ma ascoltandone
il resultato. Comprendendo che egli era l'anima di tutti ciò, ho
detto agli officiali della banda di deliberare fra di loro, promettendo
di aderire alla loro decisione.
Terminata la deliberazione, hanno posto gli officiali della banda a
capo delle compagnie e De Langlois alla loro testa, senza che io sia
stato fatto consapevole di quanto avevano risoluto, sebbene mi sia
facile intenderlo, giacchè De Langlois dà ordini, fa
batter l'appello ec. senza dirmi perchè, senza domandarmene
licenza. In breve, sono stato destituito e anche con mal garbo.
21 novembre.
Ieri sera De Langlois mi inviò il suo aiutante per prevenirmi di
essere pronto a partire oggi alla punta del giorno: sono le otto e siam
sempre nel bosco di Lagopesole.
Otto ore e mezzo. - Ci mettiamo in marcia per andare non so dove.
Nove ore e mezzo. - Facciamo alto in uno spulito d'onde scopriamo
Rionero.
Dieci e 45 minuti. - Ci mettiamo in marcia per andare a Santa Laria,
dove arriviamo a un'ora 45 minuti.
22 novembre.
Noi ci mettiamo in marcia a 6 ore e mezzo del mattino diretti alla
Bella, ove giungiamo a mezzogiorno. De Langlois si ferma, riunisce la
truppa, ed io che mi trovo alla retroguardia mi fermo del pari. De
Langlois viene a trovarmi per chiedermi se contavo di prendere il
comando per attaccar la città . Gli rispondo, che colui che
tutto si arroga deve dar la direzione anche a questo affare. Non
sapendo che rispondere, se ne è andato e ha preso le sue
disposizioni, per provarmi senza dubbio che non è mai stato
militare: ora sono quattro ore da che abbiamo attaccato questa
posizione, senza che siasi potuto prenderla, e pure un quarto d'ora
bastava per impadronirsene.
Quattro ore 1/4 della sera. - La città è attaccata da
ambo le parti, poichè vedo bruciare tre case; ma il fuoco del
nemico non rallenta in guisa alcuna.
Sei ore della sera. - Abbiamo preso una strada verso la parte
meridionale della città : il centro e una gran parte del
settentrione resta in potere dei rivoluzionari. La parte di cui ci
siamo impadroniti comincia a bruciare in un modo spaventoso.
23 novembre.
Sei ore e mezzo del mattino. - Usciamo dalla città o meglio
dalla terza parte di cui ci eravamo impadroniti. Un luogotenente vi
resta ferito mortalmente. Andiamo a riunirci al levante sotto il tiro
de' nemici.
Otto ore e mezzo. - Ci mettiamo in marcia per raggiungere le forze
sparse, che si trovano dalla parte meridionale della città .
Dieci ore. - Crocco, che è ricomparso ieri, brucia le ville che
si trovano nella parte di ponente della città .
Undici ore. - Ci rimettiamo di nuovo in marcia diretti a Mure.
Mezzogiorno. - Alcuni colpi di fucile si odono dall'avanguardia:
l'infanteria grida all'allarme: la cavalleria si spinge innanzi. Ben
presto mi accorgo che si distribuiscono le compagnie in varie direzioni
e malamente.
Un'ora. - Arrivo al culmine della serra e vedo tutta la nostra gente
dispersa. Alcuni colpi di fucile si scambiano contro una capanna: vi
vado per veder di che si trattava. A mezza strada trovo Crocco e Ninco
Nanco che fuggono a spron battuto. A malgrado di ciò mi inoltro,
sebbene non avessi alcun ordine, per sapere il numero de' nemici che ci
attaccavano. In questo istante scorgo De Langlois che, solo, si mette
in salvo dalle palle nemiche. Gli chiedo dove sono i capitani delle sue
compagnie. Non mi risponde. Tiro innanzi cogli officiali che mi
rimangono e con alcuni soldati italiani e scuopro il nemico, che uccide
con un colpo di fuoco uno di questi ultimi. Faccio una recognizione, e
mi accorgo che la sua sinistra si dà alla fuga e che la destra,
appoggiata ad un boschetto di querci, sostiene la posizione. I nostri
soldati vedendosi senza officiali si sbandano, abbandonano i feriti, il
frutto delle loro rapine, i bagagli e alcuni fucili e fuggono dinanzi a
40 guardie nazionali, provenienti da Balbano. In mezzo a questi
disordini, noi ci siamo riparati verso 40 un piccolo fiume, che scorre
ai piedi di una montagna, e traversatolo, De Langlois ha fatto
riformare la sua truppa, lo che non gli è stato difficile, non
avendo il nemico osato seguirci. Indi dopo aver fatta via, seguendo il
corso del fiume che dal settentrione scende a mezzogiorno, e dopo
un'ora di marcia abbiamo incontrato una compagnia di 47 uomini,
egregiamente formata e disciplinata. Questa forza ci ha preceduti e noi
l'abbiamo seguita nella direzione di Balbano, ove siamo giunti a 7 ore
di sera. La città era illuminata, e al nostro ingresso fummo
gradevolmente assordati dalle grida di Viva Francesco II.
Il vescovo, alcuni preti e la guardia nazionale si racchiusero nel
castello situato al mezzogiorno, in una posizione inespugnabile. I
nazionali ci han fatto dire che sarebbero ben contenti se avessimo
rispettato le proprietà , e che non avrebber fatto fuoco sopra
di noi, se non quando i nostri avessero tirato su di essi. Il capitano
è uscito e si è abboccato con Crocco. Don Giovanni e De
Langlois sono stati al castello, ma ignoro ciò che abbian detto
e fatto. So unicamente che la cosa che più mi è grato
scrivere si è che l'ordine il più completo è
regnato nella città durante la notte.
24 novembre.
Balbano, sette ore e mezzo del mattino. - Ascendiamo la montagna, e
allorché siam giunti a mezza via per una contromarcia ci
dirigiamo a Ricigliano, dove siam giunti a un'ora dopo mezzogiorno, e
dove siam ricevuti con ramoscelli d'olivo in mano.
Undici ore della sera. - I disordini più inauditi avvennero in
questa città ; non voglio darne i particolari, tanti sono
orribili sotto ogni aspetto.
25 novembre.
Sei ore del mattino. - Ci riuniamo: ma siccome a ciò si richiede
un gran tempo, non so se per marciare o per qualche altro motivo.
41 Otto ore e mezzo. - Crocco ordina all'avanguardia di avanzare,
perchè il nemico segue le nostre traccie.
Nove ore. - Odo una fucilata assai viva.
Nove ore e cinque minuti. - . . . . . e i nazionali si ritirano. I
Piemontesi in numero di 100 hanno preso una forte posizione e non si
muovono.
Mezzogiorno e 45 minuti. - Ci riuniamo e riprendiamo la marcia diretti
ad alcune baracche distanti cinque miglia, nelle quali ci riposiamo
assai male, avendo un freddo orribile.
26 novembre.
Nove ore e mezzo del mattino. - Ci mettiamo in marcia in mezzo a monti
altissimi e freddissimi. A mezzogiorno scendiamo la montagna e
scuopriamo un distaccamento di 40 uomini: si preparano al
combattimento, ma senza aver il coraggio di resistere al primo scontro;
una carica di cavalleria bastò per farli fuggire a Castello
grande.
Due ore e mezzo di sera. - Proseguiamo il nostro cammino alla volta di
Pescopagano, ove giungiamo a 3 ore e 45 minuti della sera. La
città è investita; una viva fucilata si impegna: ma i
nostri soldati oscillano. Il luogotenente colonnello Lafont e il
maggiore Forne, fermandosi, dicono alla truppa: «noi non abbiamo
comando: pure, se volete seguirci, prenderemo la città ».
Ottenuta risposta affermativa, si slanciano e si impadroniscono della
posizione in un quarto d'ora.
27 novembre.1 Cinque ore del mattino. - Invio il capitano di cavalleria
Martinez a Crocco per fargli dire esser tempo di suonare la diana, ma
egli non presta attenzione alla mia preghiera.
Sei ore del mattino. - Vedendo che non si fa suonar l'appello, vado in
cerca di Crocco: egli era nella strada discorrendo con taluno de' suoi.
Giungo e lo saluto, e gli dico subito esser mestieri uscire dalla
città , altrimenti avremmo perduto molta gente. In questo
momento giunge un trombetta, ed io gli ordino di suonar l'appello alla
corsa. Crocco glielo proibisce: lo prego allora di 1 Qui nel
manoscritto sono cinque versi cassati in guisa tale, che è
impossibile leggervi ciò che v'era scritto far suonare l'appello
ordinario: lo nega. Riflette un momento e subito dopo se ne va, ed io,
prevedendo il pericolo che ci minaccia, me ne vado del pari. Il
resultato di ciò è stata la perdita di 25 uomini, secondo
gli uni, di 40 secondo gli altri. È certo però che abbiam
perduto molti soldati di linea e anche alcuni cavalli. La mancanza di
soldo, il disordine e l'apparizione di una forza assai considerevole
producono la dispersione della banda.
Quattro ore di sera. - La forza nemica di cui ho parlato di sopra sta
sempre di fronte a noi, ma non osa attaccarci.
Cinque ore - Entriamo nel bosco di Monticchio, dove ci accampiamo,
digiuni e senza pane.
Sette ore del mattino. - Ci mettiamo in marcia per internarci nel bosco.
Mezzogiorno. - Facciamo alto nel centro del bosco senza aver pane: la
banda si scioglie.
Mezzogiorno e mezzo. - Ci prepariamo a marciare, ma non so dove; se la
direzione che prenderanno non mi anderà a genio, prenderò
la via di Roma.
Tre ore della sera. - Scena disgustosa. Crocco riunisce i suoi antichi
capi di ladri e dà loro i suoi antichi accoliti. Gli altri
soldati sono disarmati violentemente, prendono loro in specie i fucili
rigati e quelli a percussione. Alcuni soldati fuggono, altri piangono.
Chiedono di servire per un po' di pane: non più soldo, dicono
essi: ma questi assassini sono inesorabili. Si danno in braccio ai
capitani della loro tempra, e li congedano dopo un digiuno di due
giorni.
Tutto ciò era concertato, ma lo si nascondeva con molta astuzia.
Alcuni soldati venivano da me piangendo, mi prendevano le mani e me le
baciavano dicendo: - Tornate con una piccola forza, e ci troverete
sempre pronti a seguirvi. - Per conto mio pregai Crocco a salvar questa
gente, e piangendo con i soldati, per quanto era in mio potere, cercai
di consolarli.
29 novembre.
Abbiamo marciato tutta la notte.
30 novembre.
Abbiamo marciato assai, e vinti dalla fatica facciamo alto...1