Eleaml


La crittografia in Italia

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Sebastiano Gernone

Cifrari e repressione del brigantaggio

Trascrizione, purtroppo parziale, del codice cifrato per le comunicazioni telegrafiche usate dai Carabinieri per l'operazione del fermo di Garibaldi a Sinalunga nel 1867.

Il Codice ritengo sia lo stesso utilizzato, almeno dai Carabinieri, nella repressione delle rivolte dei contadini-briganti nell'Italia Meridionale. Nei documenti militari moltissimi documenti sono cifrati e, a tutt'oggi, non consultabili...

Quanto trascrivo è contenuto del testo "I Carabinieri", edizioni Carlo Bestetti Ed. d'Arte, Via Della Croce 77 Roma.


150 - Garibaldi; 151 - Somegli; 152 - ARRIVATO; 153 - treno; 154 - impossibile; 155 - ritornare; 156 - partito; 157 - confine; 158 - qui; 159 - evvi; 160 - truppe; 161 - bisogno; 162 - incartamento; 163 - risoluzione; 164 - scontro; 165 - sceso; 166 - chiusi; 167 - quieto; 168 - avvisi; 169 - generale; 170 - spedire; 171 - notizie; 172 - molto; 173 - poco; 174 - tranquillo; 175 - domani


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Cifrario di Vittorio Emanuele II


Cifrario di Vittorio Emanuele II

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Potete leggere il testo integrale all'indirizzo:  https://www.isspe.it/index.html

IL SOGNO DEL PRESTIGIO INTERNAZIONALE*

di

Daniela Adorni


È difficile comprendere la complessità della costruzione crispina in tema di politica estera e di relazioni internazionali senza soffermarsi sull’evoluzione dell’ideale nazionalitario nel pensiero politico di Crispi(1). In quest’ambito, il pensiero dello statista prendeva le mosse da un’idea di nazione che, sganciata dal fondamento volontaristico e dal carattere storico di derivazione democratico-russeauiana, si avvicinava piuttosto, attraverso la mitizzazione di elementi fisici e culturali, ad una metafisica della nazionalità con forti addentellati nell’elaborazione dottrinaria tedesca. La formula della natio quia nata, tanto cara a Crispi, di un’entità - la nazione, appunto - esistente a prescindere dalla scelta volontaria di un popolo e collocata al di fuori e prima dei prodotti della storia (gli Stati), si coniugava poi con lo "spirito del popolo" che, giunto finalmente a maturazione, aveva emancipato il territorio nazionale dallo straniero, restituendogli anche l’unità politica.

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La concentrazione nelle mani di Crispi della presidenza del Consiglio, del ministero dell’Interno e di quello degli Affari Esteri, era la migliore situazione perchè il tanto sospirato obiettivo della "patria grande, padrona di sé, amata e stimata dagli altri popoli"(8) potesse essere portato a compimento. Chi mi ha preceduto ha egregiamente illustrato quali furono gli indirizzi seguiti nel campo delle relazioni internazionali e della politica coloniale e quale fosse di volta in volta il valore attribuito a quelle che Crispi definiva ‘matrimoni di convenienza’, cioè alle alleanze. Nell’ambito della politica interna, invece, tre furono i pilastri su cui Crispi fondò il suo progetto di dare all’Italia il giusto prestigio internazionale:


1. l’educazione civile e militare del popolo perchè in ogni cittadino crescesse un buon soldato;


2. il potenziamento degli armamenti e l’efficienza dell’esercito;


3. la radicale riorganizzazione del ministero degli Affari esteri.

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Riguardo poi all’espletamento dei doveri d’ufficio con Roma, Crispi disponeva l’uso dell’italiano nella corrispondenza diplomatica e l’adozione di un nuovo cifrario in italiano per la corrispondenza telegrafica.


Con questa determinazione, ma attraverso una selva di leggine, decreti, circolari, ordini del giorno, istruzioni che finiva spesso col disorientare i destinatari e, alla lunga, col renderli insofferenti verso un ‘centro’ così incalzante ed onnipresente, il presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, aveva affrontato il cruciale problema della ‘nazionalizzazione’ della diplomazia, e nel 1889 poteva annunciare soddisfatto alla Camera l’apprezzabile esito di quel lavoro di demolizione delle "false abitudini" inveterate nel corpo diplomatico e consolare, prima tra tutte quella dell’uso della lingua francese nelle corrispondenze, nei cifrari e persino nelle normali comunicazioni.

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Potete leggere il testo integrale all'indirizzo:  https://www.sissco.it/

Il Messaggero - 13/02/1993

Fabio Isman

Faccio l’Italia e ti scrivo

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Nell’archivio, sono numerose le missive che usano scambiarsi i sovrani d’Europa: così consci dei loro privilegi, nonché d’appartenere quasi ad una casta o congrega, che ciascuno di loro chiamava l’altro «caro cugino», e in questo modo, anche se oggi potrà risultare difficile comprenderlo, iniziano appunto tutte le lettere. Assolutamente incomprensibile ci risulta invece un altro tipo di documenti, che in queste tredici casse sono sicuramente non poco numerosi: si tratta dei dispacci che, prima a Torino e quindi a Roma, venivano inviati dalle Legazioni italiane all’estero, e che le varie diplomazie si scambiavano tra di loro; sono tutti in codice, poiché all’epoca si usavano inoltrare attraverso un mezzo di comunicazione non propriamente riservato, quale era e rimane il telegrafo. Il problema è che tra i documenti dell’archivio sono stati reperiti almeno tre cifrari (per sicurezza, spesso venivano sostituiti), ma bisognerà riscontrare che permettano l’accesso ai dispacci. Infatti, oltre alla Casa Reale detenevano la “chiave” soltanto gli ambasciatori e i ministri del re; e sembra che nessuno di loro l’abbia trasmessa ai posteri.

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«I periodi storici meglio documentati sono quelli relativi alla guerra d’Oriente del 1877; alla campagna garibaldina in Sicilia e a Napoli, fino all’Aspromonte; il periodo di Carlo Alberto, del cui intendente oggi abbiamo l’archivio completo. E le vicende relative a Cavour e Mazzini. Di quest’ultimo, poi, potrebbero essere contenuti nell’archivio anche preziosi inediti, come i rapporti segreti al re, ma, per accertarlo, saranno necessari tempo e confronti», spiega la direttrice dell’Archivio di Stato di Torino.

Alcune notazioni su questi carteggi appena restituiti. Intanto, buona parte sono scritti in francese: la lingua, allora, delle diplomazie ma per tutti il regno di Carlo Alberto e almeno per la prima parte di quello di Umberto I, anche la lingua di Corte, quella abitualmente usata dai Savoia e dal loro entourage, poco da sorprendersi, quindi, per qualche strafalcione di troppo. Poi, i documenti dell’archivio sono contenuti in una sorta di cartelline che, tecnicamente si chiamano camicie, ebbene le camicie di molti tra quelli consegnati l’altro ieri sono redatte di pugno da Vittorio Emanuele III, probabilmente per ragioni di studio assai più che non per motivi di riserbo. Su ogni camicia, il re annotava gli estremi del documento, la data, mittente e destinatario; talora vi apponeva l’indicazione di «riservato», talaltra completava il tutto con una sorta di breve riassunto dell’atto, due o tre righe da lui scritte.

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Potete leggere il testo integrale all'indirizzo:  https://www.sissco.it/

Gente (02/1993)

Gilberto Bazoli

Arriva in Italia l’eredità di Umberto

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Adesso, finalmente, a dieci anni dal testamento di Umberto II, i documenti sono ritornati in Italia. Tredici casse piene di storia ma anche di pettegolezzi, vicende di politica ma anche vicende piccanti, ottantotto dossier contenenti ciascuno 200 fascicoli. Duecentomila documenti in tutto.

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Le tredici casse promettono di svelare molti misteri della diplomazia e della politica di Casa Savoia ma, nello stesso tempo, raccontano retroscena sulla vita privata dei reali. Su questa parte dell’Archivio la professoressa Ricci e i suoi collaboratori non si sbilanciano. Ma qualche notizia filtra. Sono conservati, per esempio, i documenti che si riferiscono alla Bella Rosina. La Bella Rosina aveva una relazione con Vittorio Emanuele II che, però, non poteva sposare l’amante perché era in vita la moglie, Maria Adelaide. Ma nemmeno alla scomparsa della consorte, il problema era risolto. La Bella Rosina, infatti, era di umili origini. Gli archivi dei Savoia hanno restituito il documento che consentì di aggirare l’ostacolo: il decreto con cui Vittorio Emanuele II nominò il padre dell’amante, un plebeo, Conte di Mirafiori, un feudo sabaudo. Pochi giorni dopo il conferimento del titolo, il re poté finalmente portare davanti all’altare la Bella Rosina. A proposito delle donne del Risorgimento, molte carte, contenute nel fascicolo numero 23 della cassa numero 6, riguardano la chiacchierata contessa di Castiglione, con tutti i risvolti pubblici, ma soprattutto privati delle sue “missioni” a Parigi.

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«Molti dei dispacci contenuti nelle casse sono in codice. Non sarà facile leggerli tutti perché nell’archivio sono stati ritrovati almeno tre cifrari. Non sono invece in codice, in quanto venivano consegnati direttamente al re e ai suoi collaboratori e non telegrafati, i rapporti che ministri come Rattazzi e Farini stilavano per il sovrano sulle varie realtà politiche del Paese. Poco prima dell’unificazione del 1866, Rattazzi descrive la situazione di Venezia, che cosa si dice nei più influenti circoli della città, cosa riferiscono i giornali e le gazzette. Insomma, scopriamo che anche nell’800 i governanti avevano i loro servizi segreti».

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Il testo è tratto da sito del Liceo Foscarini, dove potete trovare una interessante storia della crittografia con delle ottime indicazioni sia bibliografiche che sitografiche.

La Crittografia italiana nella Grande Guerra

di Paolo Bonavoglia


Luigi Sacco a Chantilly nel luglio 1915
Luigi Sacco a Chantilly nel luglio 1915


All'inizio del XX secolo la crittografia in Italia, che pure vantava tradizioni di tutto rispetto (L.B.Alberti, Bellaso, Porta), aveva toccato uno dei suoi livelli più bassi; basti pensare che era ancora in uso il cifrario militare tascabile, una variante della tavola di Vigenere di cui da tempo era noto un metodo di decrittazione (quello del Kasiski).

All'inizio della Grande Guerra la stazione radiotelegrafica di Codroipo era in grado di intercettare i messaggi austriaci ma non di decrittarli, poichè l'Esercito Italiano non disponeva di un Ufficio Cifra! Per rimediare il Comando Supremo inviò nel luglio 1915 il cap. Sacco, comandante della stazione di Codroipo, in Francia presso il gran quartier generale di Chantilly, per cercare l'aiuto del ben organizzato ufficio cifra francese. All'inizio del 1916 il Sacco fu messo a capo di un servizio di intercettazione radio che doveva ancora passare ai Francesi i messaggi perchè fossero decrittati. Ma la collaborazione con i Francesi si rivelò insoddisfacente; i crittanalisti d'oltralpe riuscivano a decrittare molti messaggi austriaci, ma rifiutarono sempre di istruire gli Italiani sui loro metodi.

Irritato da questa situazione il Sacco propose al suo superiore gen. Marchetti di creare un Ufficio Crittografico autonomo ("Se i Francesi sono riusciti in questa impresa, non vedo perchè non dovremmo riuscirci anche noi"); fu preso in parola, e incaricato di organizzare tale Ufficio.

Sotto la guida del Sacco e dei suoi collaboratori Tullio Cristofolini, Mario Franzotti, e Remo Fedi, furono forzati il cifrario campale austriaco, quello diplomatico, e quello navale. Furono forzati anche alcuni cifrari tedeschi in uso nei Balcani, p.es. il crittogramma relativo al viaggio del gen. Falkenhayn in Grecia nel gennaio 1917, episodio ricordato dal Sacco nel suo manuale di Crittografia.

Paradossalmente però ci volle la disfatta di Caporetto nel 1917 perchè il Sacco riuscisse a convincere gli alti comandi italiani ad abbandonare i vecchi cifrari, che come poi si seppe venivano facilmente decrittati dagli austriaci, e di adottare quei nuovi più sicuri sistemi che avevano fino allora rifiutato perchè troppo complicati! Unica attenuante per questa incredibile leggerezza il fatto che gli alti comandi italiani, a differenza di quelli di altri paesi, evitarono sempre di trasmettere per radio i messaggi più importanti.

La possibilità  di intercettare e decrittare i messaggi austriaci ebbe un'importanza non trascurabile nel 1918, per fronteggiare l'offensiva austriaca del Piave.


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Potete leggere il testo integrale all'indirizzo: https://www.fub.it/telema

Odoardo Brugia

Così la crittologia difende l'informatica

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L'atto di nascita della moderna crittografia reca la data del 1949, quando Claude E. Shannon applicò la sua teoria dell'informazione allo studio dei sistemi crittografici a chiave non riutilizzabile. La formulazione del primo moderno algoritmo a chiave privata e di uno dei più famosi algoritmi a chiave pubblica risalgono rispettivamente al 1970 e al 1978. L'avvio dell'attività di ricerca della Fondazione nell'area della crittologia si colloca agli inizi degli anni Ottanta. Alla fine del decennio, il campo di ricerca fu esteso verso l'area più generale della sicurezza dei sistemi informativi.

I due gruppi: "Crittografia" e "Protezione dell'informazione", che attualmente operano nelle due suddette aree, furono istituiti rispettivamente nel 1986 e nel 1989; entrambi sono inquadrati nel Settore "Comunicazioni Numeriche", secondo una logica coerente con la considerazione che il substrato teorico (matematico-statistico) su cui poggia il mondo dei sistemi numerici di comunicazione coincide largamente, o è strettamente interconnesso, con quello su cui poggia il mondo della crittografia: l'anello di congiunzione tra i due mondi è costituito proprio da quello scrambler di cui si è parlato nell'introduzione.


Dal 1981 al 1994 i ricercatori della Fondazione impegnati nelle aree della crittologia e della sicurezza hanno prodotto più di 250 lavori di cui 150 pubblicati sulle maggiori riviste o presentati nei più prestigiosi congressi internazionali. Questi numeri, da soli, non lasciano intravedere né la qualità né le finalità dei lavori, quantunque il fatto di aver superato il vaglio di severe équipe internazionali di revisori già deponga favorevolmente riguardo alla qualità. Quanto alle finalità, esse non sono né narcisistiche (scrivo solamente per dimostrare quanto sono bravo) né utilitaristiche (pubblico unicamente per vincere un concorso a una cattedra universitaria). Sono invece volte a diffondere nella comunità scientifica i risultati delle proprie ricerche, a sostenere l'industria nazionale nella progettazione e nella realizzazione di apparecchiature d'avanguardia, a orientare le scelte del fornitore e del gestore di quei servizi che richiedono l'impiego della crittografia. A testimonianza di tali affermazioni basta citare pochi esempi: l'algoritmo per l'esecuzione rapida delle operazioni aritmetiche su grandi numeri, pubblicato da Bucci nel 1989, che è alla base del chip RSA 512 prodotto industrialmente alla fine del 1994; gli algoritmi sviluppati da Di Porto e Bucci nel 1990 per l'esecuzione rapida delle prove di primalità di grandi numeri, su cui si basa la fattibilità di un importante progetto definito nel 1994; la rappresentazione dei numeri proposta da Brugia, Di Porto e Filipponi nel 1984 e ripresa da David Naccache nel 1995 ai fini della realizzazione di carte intelligenti per il controllo d'accesso. La recente maturazione di questi frutti, nati dal seme gettato anni fa, è conferma della validità della politica della Fondazione, orientata a perseguire la strada della ricerca a lungo e medio termine.


Sui temi della crittografia, della sicurezza dei sistemi informatici e della protezione elettromagnetica dell'informazione, la Fondazione ha organizzato finora sei congressi e numerosi seminari e tavole rotonde; ha partecipato all'organizzazione di Eurocrypt '94 ed è attualmente coinvolta nei comitati scientifici di vari congressi e riviste.

Intense sono state e sono altresì: le attività svolte o in corso di svolgimento nell'ambito di progetti comunitari (Insis, Race 1044, Cost 225, Euroradio) e nazionali (cooperazioni con il ministero della Difesa, con Telecom Italia, ecc); le collaborazioni con enti come il Forum per la tecnologia dell'informazione e l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione; la partecipazione ad attività di standardizzazione in ambito nazionale (gruppo di lavoro GL/ITSEC del Cimeco - Centro italiano di metodologie di controllo), europeo (gruppo di lavoro Stag - Security techniques advisory group, dell'Etsi) e mondiale (sottocomitato SC/27 del comitato tecnico congiunto ISO/IEC). Fattivo è l'impegno, recentemente assunto, di cooperare in ambito internazionale alla regolamentazione dell'uso della crittografia.

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