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Fonte:
https://www.cassino2000.com/

Terra di Lavoro

Con l'Unità d'Italia iniziò il declino economico del Mezzogiorno

di Emilio PISTILLI

L'unità d'Italia, specialmente in Terra di Lavoro, che era la seconda provincia borbonica, dopo quella di Napoli, per benessere economico e sociale, nel giro di qualche decennio provocò il tracollo delle attività produttive, che non erano solo agricole ma anche industriali; sollevò enormi problematiche sociali innescando una spirale di malessere a tutti i livelli, con effetti irreversibili su tutto il centro sud d'Italia (la "questione meridionale"). Immagino che il lettore si stia chiedendo su quale libro di storia ho letto queste cose. Ha ragione a chiederselo perché non esistono libri di storia che dicano tali cose. 

Nelle scuole si fa studiare l'epopea risorgimentale illuminata da gloriose figure di eroi della guerra e della politica, si evidenzia la separazione netta tra i santi patrioti e i diabolici oppressori; ma quella è la storia scritta dai vincitori, è il risultato della "propaganda di regime" – così si direbbe oggi –; basti pensare che se i Borboni fossero ancora al potere nel loro regno, i fratelli Bandiera li conosceremmo non come eroi ma come sovversivi . Analogamente, se si fosse affermato vittoriosamente in Italia il moto delle Brigate Rosse, quei brigatisti oggi sarebbero i salvatori della patria. Le cose vanno sempre così. 

Allora uno storico sereno e una mente liberamente pensante, riguardo agli avvenimenti dell'Ottocento italiano, dovrebbero cominciare a chiedersi: ma se l'unità d'Italia arrecò benessere e progresso sociale, perché nella seconda metà del secolo migliaia di italiani abbandonarono le loro terre del meridione per cercare fortuna altrove all'estero o al nord del Paese? 

Non furono certo degli avventurieri quelli che diedero vita al vasto fenomeno dell'emigrazione: era gente che abbandonava la propria casa per sfuggire alla miseria. Nel precedente Regno di Napoli, invece, non si conosceva emigrazione. Dovrebbero cominciare a chiedersi: da dove nacque il doloroso fenomeno del brigantaggio? Di sicuro dal diffuso malessere sociale, ma anche dalle migliaia di ex soldati dell'esercito borbonico e dell'armata Garibaldi, reduci dalla spedizione dei Mille, tutti liquidati senza complimenti e destinati ad un ruolo di disadattati nel nuovo contesto sociale. 

Leggo nella relazione di Luigi Gargiulo (Napoli 1863) luogotenente dell'armata meridionale garibaldina: "... con soprusi, maneggi ed infamie si riuscì a sciogliere l'esercito dei volontari e più di 20.000 giovani furono gittati sulla strada ... i 70.000 soldati borbonici fatti prigionieri dal ministro Fanti furono poi rinviati alle loro case, scalzi, laceri e senza mezzi ... Per tal modo in meno di un mese venivano posti in balìa della fortuna e senza mezzi più di 100.000 uomini fra borbonici e garibaldini". 

Ma ancora: furono tutti briganti quelli cui le truppe piemontesi diedero la caccia per anni? 

Anche quelli del famigerato "sergente Romano" che nel loro giuramento recitavano: "Promettiamo e giuriamo di sempre difendere con l'effusione del sangue Iddio, il sommo Pontefice Pio IX, Francesco II, re del Regno delle Due Sicilie ed il comandante della nostra colonna degnamente affidatagli ..."? 

Furono briganti i padri Cappuccini espulsi da Cassino nel 1866 con l'accusa di brigantaggio? Lo fu anche il sacerdote di Cassino D. Vittorio Grossi, arrestato nel 1861 con la stessa accusa? 

E che dire della fucilazione dei cassinati Renzi e Coletti nel 1862 perché disertori? – Solo per citare alcuni casi –. Queste cose non sono scritte nei libri della storia d'Italia perché la vera storia d'Italia ancora non è stata scritta; né è necessario essere filoborbonici per occuparsene; trovo nel prezioso lavoro del prof. Aldo Di Biasio, docente di storia nell'Università di Napoli e di idee politiche sicuramente non di destra, La Questione Meridionale in Terra di Lavoro (Napoli, 1976), precisa conferma a quanto ho appena detto: "Quella che era la più vasta, la più popolata, la più ricca, la più produttiva provincia del regno delle Due Sicilie, con la sua agricoltura fiorente e le sue manifatture prestigiose, la prediletta dimora estiva dei sovrani, l'area più fornita di infrastrutture dell'intero Meridione, anche per il crollo degli investimenti pubblici e un insostenibile aggravio del sistema fiscale doveva diventare una delle più depresse e diseredate aree del nuovo Regno d'Italia, ricca solo di pauperismo e di disoccupazione": a parlare è il prof. Carlo Zaghi, anch'egli esponente illustre della sinistra italiana, nella prefazione al citato lavoro di Di Biasio. Ma Zaghi, cifre alla mano, rincara la dose. Mi limito ad una rapida selezione dei numerosi dati forniti dallo studioso e relativi alla provincia di Terra di Lavoro.

Nel 1871 soltanto in 17 comuni della provincia 8.000 persone sopravvivevano grazie alla beneficenza pubblica.




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