L'unità d'Italia,
specialmente in Terra di Lavoro, che era la seconda provincia
borbonica, dopo quella di Napoli, per benessere economico e sociale, nel giro di
qualche decennio provocò il tracollo delle attività produttive, che non erano
solo agricole ma anche industriali; sollevò enormi problematiche sociali
innescando una spirale di malessere a tutti i livelli, con effetti irreversibili
su tutto il centro sud d'Italia (la "questione meridionale"). Immagino che il
lettore si stia chiedendo su quale libro di storia ho letto queste cose. Ha
ragione a chiederselo perché non esistono libri di storia che dicano tali cose. Nelle scuole si fa studiare l'epopea risorgimentale illuminata da gloriose
figure di eroi della guerra e della politica, si evidenzia la separazione netta
tra i santi patrioti e i diabolici oppressori; ma quella è la storia scritta dai
vincitori, è il risultato della "propaganda di regime" – così si direbbe oggi –;
basti pensare che se i Borboni fossero ancora al potere nel loro regno, i
fratelli Bandiera li conosceremmo non come eroi ma come sovversivi .
Analogamente, se si fosse affermato vittoriosamente in Italia il moto delle
Brigate Rosse, quei brigatisti oggi sarebbero i salvatori della patria. Le cose
vanno sempre così. Allora uno storico sereno e una mente liberamente pensante,
riguardo agli avvenimenti dell'Ottocento italiano, dovrebbero cominciare a
chiedersi: ma se l'unità d'Italia arrecò benessere e progresso sociale, perché
nella seconda metà del secolo migliaia di italiani abbandonarono le loro terre
del meridione per cercare fortuna altrove all'estero o al nord del Paese? Non
furono certo degli avventurieri quelli che diedero vita al vasto fenomeno
dell'emigrazione: era gente che abbandonava la propria casa per sfuggire alla
miseria. Nel precedente Regno di Napoli, invece, non si conosceva emigrazione.
Dovrebbero cominciare a chiedersi: da dove nacque il doloroso fenomeno del
brigantaggio? Di sicuro dal diffuso malessere sociale, ma anche dalle migliaia
di ex soldati dell'esercito borbonico e dell'armata Garibaldi, reduci dalla
spedizione dei Mille, tutti liquidati senza complimenti e destinati ad un ruolo
di disadattati nel nuovo contesto sociale. Leggo nella relazione di Luigi
Gargiulo (Napoli 1863) luogotenente dell'armata meridionale garibaldina: "...
con soprusi, maneggi ed infamie si riuscì a sciogliere l'esercito dei volontari
e più di 20.000 giovani furono gittati sulla strada ... i 70.000 soldati
borbonici fatti prigionieri dal ministro Fanti furono poi rinviati alle loro
case, scalzi, laceri e senza mezzi ... Per tal modo in meno di un mese venivano
posti in balìa della fortuna e senza mezzi più di 100.000 uomini fra borbonici e
garibaldini". Ma ancora: furono tutti briganti quelli cui le truppe
piemontesi diedero la caccia per anni? Anche quelli del famigerato "sergente
Romano" che nel loro giuramento recitavano: "Promettiamo e giuriamo di sempre
difendere con l'effusione del sangue Iddio, il sommo Pontefice Pio IX, Francesco
II, re del Regno delle Due Sicilie ed il comandante della nostra colonna
degnamente affidatagli ..."? Furono briganti i padri Cappuccini espulsi da
Cassino nel 1866 con l'accusa di brigantaggio? Lo fu anche il sacerdote di
Cassino D. Vittorio Grossi, arrestato nel 1861 con la stessa accusa? E che dire
della fucilazione dei cassinati Renzi e Coletti nel 1862 perché disertori? –
Solo per citare alcuni casi –. Queste cose non sono scritte nei libri della
storia d'Italia perché la vera storia d'Italia ancora non è stata scritta; né è
necessario essere filoborbonici per occuparsene; trovo nel prezioso lavoro del
prof. Aldo Di Biasio, docente di storia nell'Università di Napoli e di idee
politiche sicuramente non di destra, La Questione Meridionale in Terra di
Lavoro (Napoli, 1976), precisa conferma a quanto ho appena detto: "Quella
che era la più vasta, la più popolata, la più ricca, la più produttiva provincia
del regno delle Due Sicilie, con la sua agricoltura fiorente e le sue
manifatture prestigiose, la prediletta dimora estiva dei sovrani, l'area più
fornita di infrastrutture dell'intero Meridione, anche per il crollo degli
investimenti pubblici e un insostenibile aggravio del sistema fiscale doveva
diventare una delle più depresse e diseredate aree del nuovo Regno d'Italia,
ricca solo di pauperismo e di disoccupazione": a parlare è il prof. Carlo
Zaghi, anch'egli esponente illustre della sinistra italiana, nella prefazione al
citato lavoro di Di Biasio. Ma Zaghi, cifre alla mano, rincara la dose. Mi
limito ad una rapida selezione dei numerosi dati forniti dallo studioso e
relativi alla provincia di Terra di Lavoro. Investimenti pubblici:
nel Regno borbonico assommavano ad un terzo di tutti gli investimenti, dopo
l'Unità scesero a meno della decima parte. Tassazione,
essenzialmente indiretta ("pressoché inesistente nel Regno borbonico"):
solo nell'anno 1870 l'odiata tassa sul macinato consentì alle casse sabaude di
incassare ben 1.382.447 lire; nello stesso anno la provincia di Terra di Lavoro
versò all'erario 21.415.760 lire; nel 1857 ogni cittadino del Regno delle Due
Sicilie contribuiva in media con 16,06 lire all'anno, nel 1859 poco più (16,11
lire), nel 1867, Regno d'Italia, la contribuzione salì a £. 35,99 per abitante;
è da tener presente che nel 1865 la rendita annuale di un'ara di buon terreno in
Cassino era di £. 9. Occupazione: Nel 1876 gli
operai impiegati nelle maggiori industrie della provincia erano 8.360, dodici
anni dopo si erano dimezzati (4.716 nel 1887/88); per avere un termine di
confronto si cita il caso di Arpino, che nel 1845, Regno delle Due Sicilie, gli
occupati negli opifici erano oltre 12.000. Nel 1871 soltanto in 17
comuni della provincia 8.000 persone sopravvivevano grazie alla beneficenza
pubblica. Agricoltura: gli occupati
nel settore alla fine del regno borbonico erano 265.966, dieci anni dopo (1871)
erano scesi a 246.260; la produzione agricola diminuì gradatamente negli anni
settanta e crollò in quelli successivi; basti l'esempio del frumento, che nel
1864 è di ettolitri 4.790.080, nel 1897 è appena di 788.300
ettolitri. Criminalità: nel 1855 i
crimini erano 500, nel 1870 erano 5.000; i reclusi nel 1855 non raggiungevano il
migliaio, nel 1870 salirono a 10.000. Brigantaggio: nella zona
militare di Gaeta nel 1861 furono fucilati o uccisi in scontri a fuoco o
arrestati 381 briganti, nel 1862 altri 329; in tutta la provincia per sospetto
di brigantaggio furono arrestate 1.400 persone nel 1866, 1.036 nel 1867, 3.000
nel 1868. Emigrazione: nel periodo
dal 1876 al 1887 emigrarono 17.270 persone, poi 3.000 nel solo 1890, 4.000 nel
1891, 7.641 nel 1893, 9.122 nel 1896, 14.065 nel 1900, 23.901 nel 1901, 28.210
nel 1913; dati a dir poco dolorosi per noi comuni mortali, ma quasi
trionfalistici per il Consiglio Provinciale del 1900: "L'emigrazione porta
questi vantaggi: non condanna alla fame coloro che emigrano e rende migliori le
condizioni di coloro che restano"
Ai sensi della legge n.62
del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e
del web@master.