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Trasformismo, autoritarismo, meridionalismo.

Il ministro dell’interno Giovanni Nicotera

Marco De Nicolò

Casa editrice il Mulino, Urbino, 2001

Due le principali chiavi di lettura che questo saggio del prof. De Nicolò sollecita. Da un lato uno squarcio sulle vicende politiche di fine secolo XIX che vedono il conflitto tra Destra storica e Sinistra storica assumere nuovi contenuti dopo la breccia di Porta Pia poiché viene a cessare la diatriba sul «come» annettere Roma ed acquistano rilievo crescente la questione sociale e quella legata al Mezzogiorno d’Italia. Dall’altro le vicende istituzionali e amministrative che in quello stesso periodo caratterizzano la formazione dei governi della Sinistra storica e i conseguenti riflessi sull’apparato amministrativo e sul Ministero dell’Interno in particolare (in tema: P. Bumma, La sinistra al governo, in Pagine di storia del Ministero dell’Interno, edito a Roma nel 1998 per iniziativa della S.S.A.I. e curato da S. Sepe e L. Mazzone, pagg. 119-170).

L’Autore si produce in uno sforzo ricostruttivo e di analisi degli eventi particolarmente fruttuoso da entrambi gli angoli di visuale, mai trascurando l’obiettivo principe dello scritto ossia l’illustrazione della figura di Giovanni Nicotera di cui non intende offrire una rivisitazione in chiave agiografica rischiando l’accusa di revisionismo acritico ma, piuttosto, illuminare, sulla base di una scrupolosa indagine bibliografica e documentale, taluni aspetti spesso tralasciati o travisati.

Quanto alla prima delle indicate prospettive d’indagine, l’Autore sottopone ad attento scrutinio le personalità e le problematiche che caratterizzano la formazione del governo Depretis a seguito della travolgente vittoria della Sinistra storica nelle elezioni del novembre 1876.

Vittorio Emanuele II, che prima di conferire l’incarico a Depretis sembra avesse convocato lo stesso Nicotera quale potenziale primo ministro, ritornando poi sui suoi passi per salvaguardare il delicato gioco di equilibri tra le varie componenti della Sinistra, è consapevole del dissidio tra i due, che aveva radici caratteriali oltrechÈ politiche, ma non lo ritiene ostativo alla formazione del governo.

Nicotera viene a trovarsi in una situazione di oggettiva difficoltà; non rifiuta l’incarico e tuttavia la situazione in c ui opera lo induce a guardare verso nuove alleanze, la c.d. «pentarchia», cui darà luogo con Crispi, Cairoli, Zanardelli e Baccarini.

La scelta si rivelerà poco felice sia tatticamente, in quanto lo porterà alle dimissioni rassegnate nel dicembre del 1877, sia strategicamente in quanto tra gli stessi componenti della «pentarchia» si manifesteranno insolubili contrasti (le dimissioni furono occasionate da un clamoroso infortunio giornalistico del ministro, non privo di toni tragicomici, che passerà alla storia come «la gamba di Vladimiro», per i cui particolari si rinvia a pag. 222, nota 19 del testo in commento).

Può qui osservarsi come il termine «trasformismo», che assumerà poi nel linguaggio politologico valenza di per sé negativa, fu originariamente coniato dagli osservatori politici e dai pubblicisti dell’epoca con riferimento alla necessità che i partiti di entrambi gli schieramenti, il liberale ed il conservatore, dovessero, appunto, «trasformarsi», passando dalla dialettica legata a contrapposte visioni ideologiche al confronto connesso, quanto meno, ad una, diremmo oggi, «contaminazione» tra petizioni di principio ideali e problemi concreti.

Sennonché proprio la «pentarchia» diede al termine un significato non più meramente descrittivo ma valutativo e di segno negativo, avvalendosi, a tal fine, della stampa favorevole alle proprie posizioni per muovere, appunto, l’accusa di «trasformismo» a Depretis, accusato di essere il promotore di un innaturale connubio tra liberali e conservatori a puri fini di potere.

L’accusa, tuttavia, si ritorcerà contro i suoi stessi fautori e, in particolare, proprio contro Nicotera che, con il progredire degli anni e il mutare delle alleanze emergenti, di volta in volta, dal contesto politico, si spostò verso posizioni moderate, sempre più lontane dalle posizioni della Sinistra storica ed, ancor più, dal «ribellismo» giovanile che lo aveva visto convinto assertore di principi ideali «oltranzisti» e partecipe o promotore di cospirazioni.

Fervente mazziniano, partecipò ai moti antiborbonici del 1848; poi, nel 1857, alla spedizione di Sapri, in esito al cui fallimento fu condannato a morte e poi graziato, pare anche per pressioni della diplomazia inglese (nel 1877, accusato da un giornale toscano di aver tradito Pisacane, intentò un processo per diffamazione contro l’organo di stampa e, al termine della vicenda giudiziaria, seguita con grande interesse dall’opinione pubblica, ebbe riconosciute le proprie ragioni; cfr.: Storia d’Italia, De Agostini, Novara, 1991 - pag. 180).

Fu ideatore di più d’un progetto di invasione dei territori pontifici ma i tempi non erano ancora maturi; seguì Garibaldi nell’impresa dei Mille, partecipando alla storica battaglia d’Aspromonte.

Eletto deputato nel 1861 si schierò su posizioni ascrivibili alla sinistra più radicale.

Mutò poi progressivamente, come accennato, questa scelta iniziale.

De Nicolò, tuttavia, è scettico sull’accusa di trasformismo tout court o, per lo meno, tende ad attenuarne fortemente le ragioni, come emerge, in particolare, dalle considerazioni, supportate da puntuali riferimenti bibliografici, di cui alle pagg. 121 e seguenti del testo in rassegna che illustrano, tra l’altro, i sempre più laceranti dissidi insorti nell’interno della «pentarchia».

Quanto alla rete di clientele «non sempre limpide» di cui Nicotera indubbiamente si avvalse, l’Autore del saggio in esame non le giustifica ma ne prospetta una motivazione plausibile, ritenendole l’indispensabile base di consenso per portare alla costante attenzione del Parlamento la questione meridionale, sia in termini generali che in certe sue peculiari sfaccettature.

Machiavellicamente, il fine avrebbe giustificato i mezzi.

Tra gli aspetti specifici, Nicotera, calabrese di origine e salernitano di elezione, conferì rilievo al progetto di potenziamento delle vie di comunicazione ed in particolare alla costruzione della ferrovia Eboli - Reggio Calabria, sulla cui realizzazione ebbe ad insistere in modo quasi «ossessivo» nel corso del suo mandato parlamentare e della sua azione di governo.

Da questo punto di vista, la sua progettualità politica fu contraddistinta da lungimiranza, evidenziando problemi ancora oggi insoluti, benché l’ombra di sospetti per favoritismi ad imprese o concessionari legati o addirittura parte delle surrichiamate «non sempre poco limpide» clientele continuerà ad aleggiare sulla sua attività politica.

Tornando, ora, alla premessa metodologica della presente recensione, ovvero la doppia chiave di lettura che il saggio sollecita, in questa sede è il secondo approccio che si ritiene, per intuitive ragioni, preminente: l’incarico che Nicotera ebbe a ricoprire per due volte, dapprima nel governo De Pretis (1876-1877) e, quindi, ben tredici anni dopo, nel governo Di Rudinì (1891-1892), è l’occasione che l’Autore saggiamente sfrutta per illustrare non solo il ruolo di «ministero-leader» riconosciuto all’Interno ma anche per descrivere le connesse dinamiche organizzative ed operative, in una fase storica che denotò evoluzioni significative dell’apparato, cui l’azione del Nicotera non fu, nel bene e nel male, affatto estranea.

Va precisato che l’interesse per la storia dell’Amministrazione pubblica, e per il Ministero dell’Interno in particolare, da parte del prof. De Nicolò aveva già trovato espressione, oltreché in singole ricerche (cfr.: Una relazione del prefetto di Cagliari Carlo Torre al Ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi (maggio 1863), in: Instrumenta, anno III, n. 7, pagg. 338-350), in un interessante volume dedicato alla Prefettura di Roma, ch’Egli ha curato con efficace tecnica investigativa («La Prefettura di Roma 1871-1946», il Mulino, 1998, edito per iniziativa di vari istituti di cultura, tra cui la S.S.A.I.) e che tale impegno s’inserisce a pieno titolo nella non mai abbastanza numerosa serie di pubblicazioni finalizzate ad indagare, su base documentaria prevalentemente archivistica o, comunque, inedita, l’evoluzione storica delle strutture della pubblica Amministrazione italiana.

Attività difficile e specialistica nella quale, tuttavia, i contributi di taluni studiosi, si ricordano senza far torto ad altri - e soprattutto a Colleghi della carriera prefettizia - i professori Guido Melis ed il già citato Stefano Sepe, vanno producendo ricerche di sempre più ampio ed apprezzato spessore speculativo, sollecitando, in pari tempo, l’interesse di giovani ricercatori per la ricostruzione del passato, che aiuta a comprendere il presente ed a progettare il futuro.

Da questo punto di vista, l’opera in rassegna si configura, per ricorrere ad una metafora geometrica, come un doppio cerchio concentrico di cui il più ampio è il sopra descritto scenario storico-politico che funge da sfondo all’azione di Nicotera ed il più ristretto è quello dedicato all’attività dallo stesso svolta come vertice politico di un apparato amministrativo che ha avuto e tuttora conserva, non fosse altro per l’ambito e la delicatezza di attribuzioni che ad esso pongono capo, un ruolo di prim’ordine nella gerarchia delle amministrazioni italiane (con l’aggiunta che, all’epoca considerata, il concetto di amministrazione e quello di ministeri, tra l’altro molto meno numerosi di oggi, in gran parte si identificavano).

Numerosi gli spunti degni di particolare attenzione che il libro offre seguendo questa direttrice.

Iniziando dagli uomini, risorsa prima e decisiva per la funzionalità di qualsivoglia organizzazione, l’Autore tiene ad evidenziare che: «Sui funzionari del Ministero dell’Interno, scelti o trovati da Nicotera, risultano molto interessanti le annotazioni di Crispi, elaborate durante la permanenza al Ministero dopo l’avvicendamento del 1877».

A tal proposito, il lettore, sia pure per indiretta testimonianza crispina, trova, in una decina di pagine (da pag. 121 in poi), tutto un «florilegio» di definizioni o considerazioni generalmente impietose, ove, a nomi e cognomi indicati con meticolosa precisione, seguono valutazioni del tipo: «un imbecille qualunque» o un lapidario «mediocrità assoluta» aggravato dalla precisazione: «in rapporto con tutti i ruffiani del Quirinale, cui deve la sua posizione» o, ancora, «è stato promosso sempre per intrighi», come pure un inappellabile «mediocrissimo» e così via.

Non mancano ovviamente i giudizi positivi, mai, peraltro, eccessivamente generosi: usualmente viene fatto ricorso all’aggettivo «intelligente» accompagnato dall’annotazione sul grado di conoscenza della materia trattata dai singoli funzionari. Crispi, osservando i funzionari di cui Nicotera si era avvalso, nota che la conoscenza di un certo settore deriva sovente dal lungo periodo di gestione della stesso (problema sempre di grande attualità: è preferibile privilegiare, almeno a livello centrale, l’esperto di settore, creando in tal modo evidenti «rendite di posizione» o il criterio della rotazione negli incarichi? La recente riforma della carriera prefettizia, tuttora in fase di gestazione, propende per il criterio di rotazione, adottando, peraltro, una formula piuttosto elastica).

Interessante il giudizio riservato a Carlo Astengo, di certo una delle menti più brillanti che all’epoca poteva vantare Palazzo Braschi; la valutazione è lusinghiera ma tagliente: «Intelligente. Di accordo con Tonarelli fece raccogliere i pareri del Consiglio di Stato, per pubblicarli all’interesse del Governo. Dopo fatti i lavori degli impiegati, li pubblicò nell’interesse suo» (corsivo di chi scrive cui vien fatto di pensare che, verosimilmente, il pur giustamente celebrato Astengo non sia stato né il primo né l’ultimo della serie).

Ciò che accomuna tutti i funzionari, ma anche altri dipendenti, quali i responsabili della contabilità o gli archivisti, è l’indicazione della provenienza geografica.

Ci si avvede, così, che proprio in quel periodo alla burocrazia di estrazione piemontese, tipica della fase immediatamente post-unitaria, si affianca, in misura ancora minoritaria ma in modo sempre più marcato, quella di estrazione meridionale, nelle sue varie componenti regionali (sulla «spiemontesizzazione» dei ranghi prefettizi, ma anche di altre componenti l’apparato ministeriale, si rinvia all’accurata ricerca di S. Sepe in: Amministrazione e storia, Maggioli, Rimini 1995, pagg. 307-322, con numerose tabelle riepilogative sull’estrazione geografica della burocrazia prefettizia).

Nicotera, assistito da Pietro Lacava che aveva nominato Segretario generale (e che Depretis, con forse soverchia acredine, chiamò «il lupo di Corleto», perché originario di Corleto Perticara, in provincia di Potenza; cfr. Pagine di storia, cit. pagg. 148-149), si pose subito il problema di riformare l’ordinamento del personale promuovendo vari regi decreti mirati a conferire un assetto organizzativo più rispondente alle finalità istituzionali dell’Amministrazione.

Per quanto concerne, più specificamente, l’atteggiamento di Nicotera nei confronti dei prefetti, De Nicolò distingue due fasi.

Nella prima, esemplificata dalla circolare del 4 aprile 1876, il ministro affronta con chiarezza il tema cruciale dell’assoluta imparzialità che deve contraddistinguere l’esercizio delle funzioni prefettizie: «... è particolarmente nelle elezioni amministrative e politiche che i funzionari dello Stato han da ricordare siffatti intendimenti del Governo (ovvero l’evitare «preoccupazioni partigiane»). I cittadini debbono essere lasciati completamente liberi nell’esercizio dei diritti elettorali».

Come acutamente nota l’Autore, più che ad una direttiva burocratica, ci si trova di fronte ad una «dichiarazione d’intenti», finalizzata a rassicurare anche lo schieramento moderato sull’uso corretto dell’apparato amministrativo da parte del Governo.

Non a caso nella circolare si fa espresso riferimento al principio di alternanza di forze politiche di diversa ispirazione al timone dello Stato. «I partiti - scrive Nicotera rivolgendosi ai prefetti ma sostanzialmente a tutte le Istituzioni - in un regime costituzionale lottano nell’arena politica; vincitori oggi, vinti domani si succedono nel Governo dello Stato».

Questa impronta così chiaramente rispettosa della legge come unica e suprema fonte disciplinatrice dell’azione amministrativa si andrà stemperando nel corso del mandato ministeriale dell’uomo politico calabrese.

Ed ecco la seconda fase, quella della «rivoluzione prefettizia».

Il sistema elettorale dell’epoca e la necessità di assicurare alla compagine governativa il massimo dei consensi, produrrà effetti negativi sugli iniziali intenti di trasparenza ed imparzialità, coinvolgendo i funzionari di governo in situazioni quanto meno contraddittorie rispetto alle petizioni di principio poste a base della direttiva ministeriale citata.

De Nicolò dà conto di questi cambiamenti in negativo ed afferma che i prefetti vengono «invitati» a relazionare sulle vicende politiche delle rispettive circoscrizioni, come pure a dar conto di eventuali fermenti rivoluzionari per agire con fermezza nella repressione di organizzazioni illegali (siamo nella fase storica in cui il movimento operaio non dispone di strutture ben definite e la contrapposizione è tra l’anarchismo internazionalista influenzato da pensatori quali Proudhon e Bakunin ed i primi sostenitori del socialismo organizzato che seguivano piuttosto i filoni ideologici legati a Marx, Mazzini e Sorel; esemplificativa, in proposito, la vicenda umana ed ideale di Alceste De Ambris; cfr.: Gian Biagio Furiozzi, Alceste De Ambris ed il sindacalismo rivoluzionario, Editore Franco Angeli, Milano 2002).

Di qui ad un uso politico delle autorità di governo, esposte al ricatto di trasferimenti punitivi, il passo fu breve.

E lo fu anche perché Nicotera, da ex cospiratore, comprende l’importanza di quella che oggi chiameremmo, ma in un contesto ordinamentale improntato ai principi di libertà individuale e collettiva e quindi conferendo tutt’altra valenza al termine, attività d’intelligence.

Il ministro non si fa scrupoli nell’ordinare schedature sistematiche degli avversari politici dando, con ciò, inizio alla istituzionalizzazione dell’attività svolta in tal senso che sarà posta in essere da Crispi a partire dal 1887 (fu dunque Crispi il vero «ideatore» dell’attività di servizi segreti ante litteram nel nostro Paese, secondo l’opinione del prof. Melis che De Nicolò condivide; cfr. pag. 130).

Senza assolvere il Ministro dell’Interno, l’Autore ne tratteggia, comunque, anche aspetti della personalità e dell’azione politica che inducono ad una cauta rivalutazione.

Tra questi il rapporto con il Parlamento: sia pure a fasi alterne, Nicotera appare rispettoso delle prerogative dell’organo parlamentare come dimostra, in particolare, la preoccupazione di tracciare un bilancio dell’attività del Dicastero affidato alla sua responsabilità sia in termini di azione politica in generale che con riguardo a specifici settori d’intervento, cosa non frequente per i Governi dell’epoca.

Relaziona, in particolare, sullo stato dell’ordine pubblico nell’Italia meridionale dimostrando non solo una profonda conoscenza delle organizzazioni più pericolose ed agguerrite operanti in Campania ed in Calabria ma anche una decisa volontà di contrastare la mafia siciliana.

Sostituisce il prefetto di Palermo e chiede con successo al Ministro della Giustizia analoghi provvedimenti nei confronti di taluni vertici giudiziari, convinto della collusione dei più delicati gangli dell’apparato preventivo e repressivo dello Stato con gli esponenti di spicco della criminalità organizzata.

Benché anche questa attività sia stata variamente valutata, la relazione al Parlamento del 1877 costituisce un documento di notevole rilievo e dà conto della considerazione, ben chiara all’esponente politico calabrese, che non poteva esservi efficace azione meridionalista, soprattutto in termini di sviluppo economico, senza un’altrettanto efficace azione di contrasto al crimine organizzato.

Ecco, quindi, emergere il definitivo giudizio di De Nicolò: Nicotera, come politico e Ministro dell’Interno, commise molti e rilevanti errori nella propria azione di governo ma dipingere tale azione tutta e soltanto a fosche tinte non corrisponde al vero; lasciamo piuttosto prevalere toni chiaroscurali.








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