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PROCLAMA rivolto dal Re Vittorio Emanuele II ai popoli dell'Italia meridionale nel momento di passare il Tronto coll' esercito, per compiere l’annessione di quelle provincie al Regno.

[9 ottobre I860]

AI POPOLI DELL'ITALIA MERIDIONALE

In un momento solenne della storia nazionale e dei destini italiani, rivolgo la mia parola a voi, popoli dell' Italia meridionale, che, mutato lo Stato nel nome mio, mi avete mandato oratori di ogni ordine di cittadini, magistrate e deputati dei municipi, chiedendo di essere restituiti nell' ordine, confortati di liberta ed uniti al mio Regno.

Io voglio dirvi quale pensiero mi guidi, e quale sia in me la coscienza dei doveri, che deve adempiere chi dalla Provvidenza fu posto sopra un Trono italiano.

Io salii al Trono dopo una grande sventura nazionale. Mio Padre mi diede un alto esempio, rinunziando la Corona per salvare la propria dignità, e la liberta de' suoi popoli. Carlo Alberto cadde colle armi in pugno, e mori nell'esilio. La sua morte accomuno sempre più le sorti della sua Famiglia e quelle del popolo italiano, che da tanti secoli ha dato a tutte le terre straniere le ossa dei suoi esuli, volendo rivendicare il retaggio di ogni gente che Dio ha posta fra gli stessi confini, e stretta insieme col simbolo di una sola favella.

Io mi educai a quello esempio e la memoria di mio Padre fu la mia stella tutelare. Fra la Corona e la parola data, non poteva per me essere dubbia la scelta mai. Raffermai la liberta in tempi poco propizi a liberta, e volli che, esplicandosi, essa gittasse radici nel costume dei popoli, non potendo io avere a sospetto ciò che ai miei popoli era caro. Nella liberta del Piemonte, fu religiosaniente rispettata la eredita che 1' animo presago del mio augusto Genitore aveva lasciato a tutti gli Italiani. Colle franchigie rappresentative, colla popolare istruzione, colle grandi opere pubbliche, colla libertà dell'industria e dei tramci, cercai di accrescere il benessere del mio popolo, e volendo si rispettata la religione cattolica, ma libero ognuno nel santuario della propria coscienza, e ferma la civile autorità, resistetti apertamente a quella ostinata e procacciante fazione, che si vanta la sola arnica e tutrice dei troni, ma che intende a comandare in nome dei Re, ed a frapporre fra il principe ed il popolo la barriera delle sue intolleranti passioni.

Questi modi di governo non potevano essere senza effetto per la rimanente Italia. La concordia del principe col popolo nel proponimento della indipendenza nazionale e della liberta civile e politica, la tribuna e la stampa libera, l'esercito che aveva salvata la tradizione militare italiana sotto la bandiera tricolore, fecero del Piemonte il vessillo e il braccio d' Italia. La forza del mio principato non derivo dalle arti di un' occulta politica, ma dall' aperto influsso delle idee e della pubblica opinione. Cosi potei mantenere nella parte di popolo italiano riunita sotto il mio scettro, il concetto di una egemonia nazionale, onde nascer dovea la concorde armonia delle divise provincie in una sola nazione.

L'Italia fu fatta capace del mio pensiero, quando vide mandare i miei soldati sui campi della Crimea accanto ai soldati delle due grandi potenze occidentali. Io volli far entrare il diritto d' Italia nella realtà dei fatti e degli interessi europei. Al Congresso di Parigi, i miei legati poterono parlare per la prima volta all'Europa dei vostri dolori. E fu a tutti manifesto come la preponderanza dell' Austria in Italia fosse infesta all' equilibrio europeo, e quanti pericoli corressero la indipendenza, la liberta del Piemonte, se la rimanente penisola non fosse francata dagli influssi stranieri.

Il mio magnanimo alleato, 1' Imperatore Napoleone III, senti che la causa italiana era degna della grande nazione sulla quale impera. I nuovi destini della nostra patria furono inaugurati da giusta guerra.

 I soldati italiani combatterono degnamente accanto alle invitte legioni della Francia. I volontari accorsi da tutte le provincie e da tutte le famiglie italiane sotto la bandiera della Croce sabauda, addimostrarono come tutta 1' Italia mi avesse investito del diritto di parlare e di combattere in nome suo. La ragione di Stato pose fine Alla guerra, ma non ai suoi effetti, i quali si andarono esplicando per la inflessibile logica degli avvenimenti e dei popoli.

Se io avessi avuto quell' ambizione che e imputata Alla mia Famiglia da chi non si fa addentro nella ragione dei tempi, io avrei potuto essere soddisfatto dello acquisto della Lombardia. Ma io avea speso il sangue prezioso dei miei soldati non per me, per P Italia. Io aveva chiamato gli Italiani all' armi: alcune provincie italiane avevano mutato gli ordini interni per concorrere alla guerra d' indipendenza dalla quale i loro principi abborrivano. Dopo la pace di Villafranca, quelle provincie domandarono la mia protezione contro il minacciato ristauro degli antichi Governi. Se i fatti dell'Italia centrale erano la conseguenza della guerra Alla quale noi avevamo invitati i popoli, se il sistema delle intervenzioni straniere doveva essere per sempre sbandito dall' Italia, io doveva sostenere e difendere in quei popoli il diritto di legalmente e liberamente manifestare i voti loro.

Ritirai il mio Governo, essi fecero un Governo ordinato: ritirai le mie truppe, essi ordinarono forze regolari: ed a gara di concordia e di civili virtù vennero in tanta riputazione e forza, che solo per violenza d'armi straniere avrebbero potuto esser vinti. Grazie al senno dei popoli dell'Italia centrale, 1' idea monarchica fu in modo costante affermata, e la monarchia modero moralmente quel pacifico moto popolare. Cosi 1'Italia crebbe nella estimazione delle genti civili, e fu manifesto all' Europa come gl' Italiani siano acconci a governare sè stessi.

Accettando l'annessione, io sapeva a quali difficoltà europee andassi incontro. Ma io non poteva mancare Alla parola data agli Italiani nei proclami della guerra. Chi in Europa mi taccia di imprudenza, giudichi con animo riposato che cosa sarebbe diventata, che cosa diverrebbe 1'Italia il giorno nel quale la monarchia apparisse impotente a soddisfare il bisogno della ricostituzione nazionale.

Per le annessioni, il moto nazionale, se non muto nella sostanza, piglio forme nuove: accettando dal diritto popolare quelle belle e nobili provincie, io doveva lealmente riconoscere l'applicazione di quel principio, ne mi era lecito di misurarla colla norma dei miei affetti ed interessi particolari. In suffragio di quel principio, io feci per 1' utilità dell' Italia il sacrificio che più costava al mio cuore, rinunciando due nobilissime provincie del Regno mio.

Ai Principi italiani che han voluto essere miei nemici, ho sempre dato schietti consigli, risoluto, se vani fossero, ad incontrare il pericolo che 1' accecamento loro avrebbe fatto correre ai troni, e ad accettare la volontà dell'Italia. Al Granduca io aveva indarno offerta 1' alleanza prima della guerra. Al Sommo Pontefice, nel quale venero il Capo della Religione dei miei avi e de' miei popoli, fatta la pace, indarno scrissi offerendo di assumere il vicariato per 1' Umbria e per le Marche. Era manifesto che quelle provincie, contenute soltanto dalle armi di mercenari stranieri, se non ottenessero la guarentigia di governo civile che io proponeva, sarebbero tosto o tardi venute in termine di rivoluzione.

Non ricorderò i consigli dati per molti anni dallo potenze al re Ferdinando di Napoli. I giudizi che nel Congresso di Parigi furono proferiti sul suo Governo, preparavano naturalmente i popoli a mutarlo se vane fossero le querele della pubblica opinione o le pratiche della diplomazia. Al giovane suo successore io mandai offerendo alleanza per la guerra del1' indipendenza. La pure trovai gli animi chiusi ad ogni affetto italiano, e gli intelletti abbuiati dalla passione. Era cosa naturale, che i fatti succeduti nel1' Italia settentrionale e centrale sollevassero più e più gli animi nella meridionale.

In Sicilia questa inclinazione degli animi ruppe in aperta rivolta. Si combatteva per la liberta in Sicilia, quando un prode guerriero, devoto all' Italia ed a Me, il generale Garibaldi, salpava in suo aiuto. Erano Italiani. Io non poteva, non doveva rattenerli. La caduta del Governo di Napoli raffermo quello che il mio cuore sapeva: cioe quanto sia necessario ai Re l'amore, ai Governi la stima dei popoli.

Nelle due Sicilie il nuovo reggimento si inauguro col mio nome. Ma alcuni atti diedero a temere che non bene interpretasse per ogni rispetto quella politica, che e dal mio nome rappresentata. Tutta 1' Italia ha temuto che, all' ombra di una gloriosa popolarità, di una probità antica, tentasse di riannodarsi una fazione pronta a sacrificare il vero trionfo nazionale Alla chimera del suo ambizioso fanatismo.

Tutti gli Italiani si sono rivolti a Me, perchè scongiurassi questo pericolo. Era mio obbligo il farlo, perchè nell' attuale condizione di cose non sarebbe moderazione, non sarebbe senno, ma fiacchezza ed imprudenza il non assumere con mano ferma la direzione del moto nazionale, del quale sono responsabile dinanzi all' Europa. Ho fatto entrare i miei soldati nelle Marche e nell'Umbria disperdendo quell'accozzaglia di genti d'ogni paese, d'ogni lingua, che qui si era raccolta, nuova e strana forma di intervento straniero, e la peggiore di tutte. Io ho proclamato 1'Italia degli Italiani, e non permettero mai che 1'Italia diventi il nido di sette cosmopolite, che vi si raccolgano a tramare i disegni o della reazione o della demagogia universale.

POPOLI DELL' ITALIA MERIDIONALE !

Le mie truppe si avanzano fra voi per raffermare 1' or dine ; io non vengo ad imporvi la mia volontà, ma a far rispettare la vostra. Voi potrete liberamente manifestarla: la Provvidenza che protegge le cause giuste, ispirerà il voto che deporrete nell'urna.

Qualunque sia la gravita degli eventi, io attendo tranquillo il giudizio dell' Europa civile, e quello della storia, perchè ho la coscienza di compiere i miei doveri di Re e di Italiano. In Europa la mia politica non sarà forse inutile a riconciliare il progresso dei popoli colla stabilita della monarchia. In Italia so che io chiudo 1' era delle rivoluzioni.

Dato in Ancona, addi  9 ottobre 1860.

VITTORIO EMANUELE

FARINI








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