Per non far torto a nessuno e per non ledere i diritti degli autori delle opere, riportiamo poche righe tratte dalla prima pagina di ogni testo, per invogliarvi allo studio personale degli argomenti.
La violenta comparsa, sulla scena politica e culturale italiana, della "questione settentrionale", ha provocato il parallelo oblio del Mezzogiorno e dei suoi problemi. Vi è, oggi, una occasionale, se non addirittura residuale attenzione verso la "questione meridionale", che pure, nonostante tutto, continua ad essere il punto di maggiore difficoltà dell'aggancio dell'Italia all'Europa.
Parlare di Mezzogiorno costituisce, talvolta, un attestato di arcaismo
culturale o di patetismo paternalista degno di miglior causa. Questo
libro intende porsi su una linea esattamente contraria a quanto il
senso comune e, sempre più spesso, il dibattito politico, stanno
facendo rispetto al Sud d'Italia.
Desidera, cioè, da un lato capire alcuni dei complessi motivi
per i quali il modello di sviluppo nazionale postbellico abbia
riservato a questa ampia parte del paese un ruolo marginale ed esterno
rispetto alla capacità di produrre ricchezza, dall'altro
analizzare le trasformazioni socio-economiche in atto durante gli anni
Novanta, periodo in cui, grazie al protagonismo degli attori locali
operanti sul territorio, la "questione meridionale" si è
riproposta con vigore e secondo termini nuovi ed inediti.
In tale senso va visto il tentativo di tornare alle origini moderne del
diverso sviluppo tra le due parti del paese: un ripensamento di
carattere eminentemente storico di questa sempre difficile e sofferta
relazione, ma con lo sguardo rivolto al presente e, addirittura, al
futuro.
Il bivio di fronte a cui la classe dirigente del paese si trova
è chiarissimo: insistere sulla strada intrapresa nel corso degli
anni Novanta, grazie principalmente alle esperienze di sviluppo locale,
che hanno coinvolto, per la prima volta in maniera attiva, le energie
migliori del meridione, correggendone errori e limiti, oppure
ripiombare nell'indifferenza, quand'anche non nel mero
assistenzialismo, frustrando cosi quei tentativi che hanno mirato, in
questi ultimi tempi, a fare emergere un "Sud di governo", positivo e
laborioso.
La strada non è semplice, poiché il senso comune di gran
parte degli italiani ha ormai classificato il Mezzogiorno ed i
meridionali come elementi irrimediabilmente negativi, simboli stessi di
un paese che non sa e non vuole cambiare.
La battaglia è, innanzitutto, di carattere culturale, mirata a
superare pesanti stereotipi che una parte consistente della cultura
italiana, con a capo le scienze storicoeconomico-sociali (grazie
all'aiuto dei colleghi di scuola anglo-americana) ha contribuito ad
elaborare, sin dalla metà degli anni Cinquanta, e che
l'ideologia leghista ha rafforzato e "volgarizzato" nel corso degli
anni Ottanta e Novanta.
Detto parenteticamente, i primi anni del nuovo secolo non depongono a
favore del meridione, tornato a rivestire il ruolo di cassaforte
elettorale per i partiti di governo, che appaiono incapaci di
affrontare i problemi anche più elementari di questa parte del
paese, a cominciare dal miglioramento dei servizi, quali
l'approvvigionamento idríco ed il trattamento dei rifiuti, per
tacere delle questioni più scottanti, simboleggiate dal
"caso-Fiat" o, per altri versi, dalla frenetica attenzione alle grandi
opere infrastrutturali, in primo luogo il ponte sullo Stretto.
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STUDI SUL MEZZOGIORNO REPUBBLICANO di Luca Bussotti Rubbettino - 2004
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