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SOLDATI NAPOLITANI A FENESTRELLE (1860-1867)


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RdS, luglio 2008

Le esistenze degli individui e quelle dei popoli si assomigliano, spesso sono legate al capriccio del destino, a volte ad atti di volontà, spesso al prepotere altrui.

Quando siamo arrivati a Mentoulles, la sera del 5 luglio, eravamo a corto di batterie nella fotocamera digitale e così ci siamo recati al centro di Fenestrelle per fare scorta. Non ne abbiamo trovate perché era tardi e i negozi erano chiusi.

Avevamo parcheggiato l'auto nella piazzetta, all'inizio del paese, da dove si scorge il forte. Non abbiamo resistito alla tentazione di fare una prima capatina. Senza attendere l'indomani mattina.

Arrivati davanti al forte, abbiamo dato un'occhiata prima di cominciare a scattare fotografie.

ALLE PORTE D'ITALIA

"Ma già di lontano avevamo visto uno dei più straordinari edifizi che possa aver mai immaginato un pittore di paesaggi fantastici: una sorta di gradinata titanica, come una cascata enorme di muraglie a scaglioni, che dalla cima d'un monte alto quasi duemila metri vien giù fin nella valle, presentando il contorno d'uno di quei bizzarri colossi architettonici che vedeva Gustavo Dorè coi suoi grandi occhi di mago: l'immagine di un vastissimo chiostro medie-vale, d'un tempio smisurato di Cheope, d'una immane reggia babilonese; che so io? un ammasso gigantesco e triste di costruzioni, che offre non so che aspetto. misto di sacro e di barbarico, come una necropoli guerresca o una rocca mostruosa, innalzata per arrestare un'invasione di popoli, o per contener col terrore milioni di ribelli. Una cosa strana, grande, bella davvero. Era la fortezza di Fenestrelle.".

E. De Amicis


Lì per lì non ci è sembrato un granché quel forte, la prima immagine che era apparsa dinanzi agli occhi era stata quella dell'ingresso e del fossato che lo cinge verso destra. Di rocche ne abbiamo viste tante, tutte eguali, tirate a lucido per i vandali dell'epoca moderna, ovvero per i turisti.

Quella visione non ci faceva un effetto particolare, quando però ci siamo girati verso il monte e abbiamo visto quella serie di edifici (1) che si abbarbicavano al crinale, snodandosi verso l'alto, ci ha preso qualcosa allo stomaco. E ci siamo domandati cosa avessero provato i soldati napolitani deportati a cavallo del 1860-61 nel ritrovarsi relegati fra quelle pietre, su quel monte, lontano dalle loro spose, dalle loro madri e dal tepore del sole del Sud.

La luce iniziava ad affievolirsi, ci siamo affrettati a scattare qualche decina di foto degli esterni del forte e ce ne siamo tornati in albergo per la cena.

L'indomani nonostante avessimo raccolto la raccomandazione di Duccio di ritrovarci al forte verso le nove, per colpa delle sveglie che non suonano mai quando devono, ci siamo precipitati giù dal letto alle 8.32 e dopo una colazione consumata fugacemente siamo andati a Fenestrelle. Acquistate le pile per la digitale, siamo saliti verso il forte dove, ovviamente, il piccolo parcheggio si era già riempito e così abbiamo lasciato l'auto in strada, come tanti altri che sopraggiungevano in quel momento. Piovigginava, giunti nello spiazzo dentro il forte abbiamo subito notato la bandiera delle due Sicilie che copriva quella che presumibilmente dovesse essere la lapide la cui foto avevamo già ricevuto giorni prima da Fiore Marro, prima che fosse spedita alle "gelide casematte di Finestrelle"  (2)..

Sulla destra dinanzi a quella che doveva essere la chiesa stazionava uno sparuto gruppo che a occhio e croce doveva essere composto da “napolitani”. Mi pareva di riconoscere anche “masaniello”, il napoletano-lombardo con cui ci eravamo sentiti varie volte negli anni precedenti, e che avevo visto in webcam e nelle foto di uno dei tanti incontri che si fanno a Sud per cercare di avviare la costituzione di un movimento politico di riscossa meridionale.

Qualche minuto di indugio, poi decidemmo di avvicinarci, proprio quando quelli se ne andarono verso il bar del forte. Dove li seguimmo di lì a poco, e 'abbordammo' Pino per poi conoscere di persona anche altri amici con i quali avevamo avuto solamente contatti in voce, via chat o per email, tra cui Emilio, Davide, Enzo.

Intanto fuori un acquazzone impazzava, minacciando di mandare all'aria tutti i piani per la giornata. Per fortuna dopo un po' smise di diluviare e potemmo uscire all'aperto, dove sopraggiunse l'auto con Duccio – che non conoscevamo – e il prete per la benedizione di lapide e corona e per la funzione religiosa che si sarebbe svolta in seguito nella chiesa.

Dopo alcuni minuti i figurati in divisa piemontese attraversarono lo spiazzo e si avvicinarono alla parete su cui era stata collocata la lapide – che, avremmo saputo poi, si era anche rotta durante il trasbordo ed era stata fatta restaurare dai responsabili del forte, un bel gesto, questo sì da Fratelli d'Italia. I “soldati piemontesi” rimasero schierati colà per un bel po' in quanto si attendeva l'arrivo da Napoli del segretario nazionale dei Comitati due Sicilie.

Nel frattempo noi stavamo documentando il tutto con decine di foto. Altri, come Davide, sistemavano amorevolmente la bandiera delle Due Sicilie, che il vento rischiava di far volar via dalla lapide. Insieme ad alcuni amici presenti, facemmo pure alcune prove audio passandoci, via etere con i telefonini, l'Inno Nazionale di Paisiello, a cui nessuno pare avesse pensato. Ovviamente neppure con due telefonini posti in punti diversi dello spiazzo si riusciva ad ottenere un effetto audio decente, rumori e vento coprivano il suono.

Ad un certo punto si decise di proseguire nella cerimonia. Anche perché il tempo non prometteva nulla di buono. A Duccio sembrò opportuno improvvisare un discorso per spiegare ai turisti presenti cosa si stesse facendo e perché.

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IL DISCORSO DI DUCCIO

[La registrazione audio-video “Fenestrelle: onorate le vittime dei lager dei savoia!”  – che potete trovare su Youtube nello spazio denominato Duesicilie, inizia con qualche secondo di ritardo, rispetto al discorso]

...in divisa d'epoca... piemontese... vorrei che voi notaste che ad un certo punto vi saranno anche tre soldati in divisa d'epoca, la stessa epoca io ritengo all'incirca, in effetti differente, comunque sempre di antica divisa, che non sono piemontesi, sono terroni, sono borbonici.

E... per non farla lunga... metteremo una corona di fronte ad una lapide, e inaugureremo una lapide. Con questa lapide... scusate, ma io mi commuovo.

Perdonatemi ma... a sessantacinque anni...tra una cosa e l'altra mi commuovo...

[Da un altoparlante di fortuna irrompe l'Inno Nazionale delle Due Sicilie, mentre i figuranti si apprestano a fare il presentat'arm]

Questi tre soldati... tre soldati di quel regno che fu, verranno qua... La lapide è per i circa ottomila, 8000 di 40000 che morirono qui a Fenestrelle. In questo forte vi fu un campo di sterminio, molto prima di Auschwitz-Birkenau, Belzec, Dachau e altri posti. Ottomila, nel giro di un anno o due, furono fatti morire di fame e di freddo. Non furono trattati da fratelli d'Italia.

Ora, con questo reparto piemontese qui schierato, con questi soldati, sia pure non autentici soldati, simbolicamente, noi vogliamo che rinasca anche qui uno spirito nuovo, di una nuova Italia, diversa da quella che fu fatta col ferro e col fuoco e col sangue, di tanti. Perché non fu fatta allegramente (3) o gioiosamente, l'Italia. Fu fatta con la sofferenza di milioni di persone.

Di ottomila tornarono a casa solo duecentocinquanta. Ed erano il fior fiore della gioventù del meridione, altri 6-7 mila furono fatti morire a San Mauro, altri 7-8 mila a San Maurizio Canavese, ad Alessandria, nella fortezza di Alessandria, a Milano, a Savona, a Gaeta. Quarantamila quasi, 30-40 mila, voi capite... quarantamila, il cuore, il nocciolo duro dello stato delle due Sicilie. Erano tutti giovani e forti. Furono distrutti. Fu come evirare una persona, evirare uno stato, decapitarlo. E dopo di allora questo stato decadde, anche moralmente.

Dopo centocinquanta anni, solo dopo centocinquanta anni, siamo riusciti a mettere una pietra. Questo vi da la misura della demoralizzazione del popolo meridionale. Ci son voluti centocinquanta anni prima che 8000 morti avessero un sasso, un sasso che ricordasse i loro nomi e la loro esistenza al mondo.

[Il vento copre le parole]

...e noi diamo grande importanza questo non è teatro per noi, sarà teatro per altri, per noi è vita vera... ci sono i piemontesi...

[Il vento copre le parole]

Benediremo la lapide, benediremo la corona, poi dopo diremo la messa e porteremo un'altra corona in uno stanzone, solo rappresentativo di quello che è successo, dove c'era gente e non soltanto lì, incatenata per mesi.

Molti morirono...

[Il vento copre le parole]

...e a 2000 metri la strada dei siciliani sulle montagne piemontesi la strada dei siciliani. A 1000 km di distanza dalle coste siciliane. Fu costruita proprio per stremare la gente, per farla morire.

I metodi di Auschwitz non sono nati ad Auschwitz, son nati molto prima, son nati con l'uomo. L'uomo ogni tanto nella storia, qua e là, manifesta la sua ferocia, dimostra che l'uomo è capace di cose sublimi che arrivano fino ai pianeti, ma di cose che arrivano anche fino all'infermo. Sempre e dappertutto.

Non è un discorso che vale soltanto per l'ebreo vale per tutti i popoli. Ricordiamoci, perché il pericolo dell'orrore è sempre presente, il male è sempre in agguato e può prenderci tutti e metterci contro tutti e farci arrivare a delle cose mostruose che neanche immaginiamo. Anzi con la tecnologia di adesso l'orrore è ancora più mostruoso. Si tortura come mai si è potuto torturare.

[Il vento copre le parole]

Spero di aver a tutti voi uno spirito unico

[Il vento copre le parole]

...un momento di affratellamento sia pure doloroso.

Grazie a tutti.

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Un discorso di alto profilo etico, che non si rinchiude in uno sterile etnicismo, facendo piazza pulita in partenza di certe rozzezze alla Bossi (4) che potrebbero, prima o poi, contagiare per rivalsa napolitani e siciliani o “duosiciliani” che dir si voglia.

Segue poi la inaugurazione e la benedizione della lapide, la benedizione della corona, la consegna da parte dei soldati in divisa borbonica delle insegne del Regno ai piemontesi. Infine Duccio invita gli astanti a partecipare – se lo vogliono – alla Santa Messa.

Prima di iniziare si procede alla benedizione della bandiera portata da Cassino e della corona destinata allo stanzone dei prigionieri.

Durante la messa tridentina (5), officiata dal prete francese portato da Duccio, assistiamo ad una omelia interattiva sugli inganni della vita moderna, una vera e propria invettiva contro i peggiori aspetti del modernismo fatta dialogando col pubblico dei fedeli, a volte per aver un suggerimento linguistico per esprimere con precisione un concetto in lingua italiana, altre volte solo per il gusto di coinvolgere i fedeli stessi .

Terminato il rito i due soldati prendono la corona e, seguiti dai presenti, si incamminano verso l'alto, dove si trova lo stanzone. A qualcuno del drappello durante il percorso viene un po' di fiatone, è tutto in salita e si procede a passo spedito, per tema della pioggia che minaccia di cadere da un momento all'altro.

Nello stanzone assistiamo ad un'altra impresa di Duccio che non ne vuol sapere di appoggiare a terra la corona. Le vuol trovare una collocazione dignitosa e ben visibile a chi entri in visita. Prima prova a spostare un prisma di pietra del peso di centinaia di chili, poi rischia di mettere in forse la stabilità di un soppalco di tavole di legno perché vuol utilizzare parte dell'impalcatura che lo sorregge. Infine trova una catena, la rimuove dal posto in cui si trova e l'aggancia ad una trave della parete situata di fronte all'ingresso.

Dopo aver sistemato la corona, va a pretendere due vecchie corone appoggiate negli angoli della parete destra – una delle quali portata l'anno precedente dell'associazione due Sicilie di Vicenza – commendando “così si fanno compagnia”.

Seguono poche parole che riprendono i temi trattati prima nel discorso ai turisti. Anche il presidente della onlus fa un brevissimo intervento. Spiega in particolare agli astanti che la parete nell'ottocento non esisteva, i prigionieri vivevano a contatto con la nuda roccia da cui colava di tutto. Poi si ferma a chiacchierare con quelli più vicini della difficoltà di reperire notizie sui prigionieri oltre a quelle poche note.

Noi ribattiamo che forse qualche traccia degli spostamenti dei prigionieri di guerra si potrebbe trovare negli archivi dell'esercito a Roma. Mentre il Presidente, forse non sapendo cosa rispondere, ci guarda perplesso, interviene un signore che indossa una maglia verde con la scritta “onlus” dicendo – citiamo a memoria – “archivi teoricamente accessibili ma di fatto è molto difficile consultarli" (6).. Evidentemente si trattava di persona bene informata: era un ex-ufficiale! Ce lo avrebbe ribadito in seguito, giù nello spiazzo, dopo pranzo, ribattendo al nostro commento “lei è una delle poche persone che sa dell'archivio” con un “sarebbe grave se non lo sapessi, sono stato ufficiale per 35 anni”.

Dopo circa una decina di minuti, tutti i visitatori presenti nel forte vengono invitati ad uscire da una uscita secondaria perché la principale sarebbe stata coinvolta nello scontro fra le due armate, la francese e la piemontese.

La battaglia inizierà una quindicina di minuti più tardi, con delle cannonate assordanti, che tengono tutti quanti bloccati, sotto una pioggia battente che ci farà perdere di vista tutti gli amici intervenuti alla cerimonia.

NELL'ARCHIVIO DEL PRIORATO DI MENTOULLES

Nel pomeriggio proviamo a sapere qualcosa di più del famoso archivio del priorato di Mentoulles, il più ricco archivio ecclesiastico del pinerolese dopo l'Archivio vescovile di Pinerolo, che contiene più di un migliaio di preziosi documenti. Facciamo la spola tra alcuni responsabili – uno dei quali si scusa di non poterci aiutare in quanto impegnato in lavori domestici e ci rimanda ad altra persona – e il parroco di Fenestrelle. Dal prete riusciamo a sapere che l'archivio parrocchiale di Fenestrelle si trova nell'archivio di Mentoulles e non nella sua chiesa, contrariamente a quanto ci era stato detto da altri.

Contattiamo, tramite un recapito telefonico avuto precedentemente, la responsabile che ci fissa un appuntamento davanti alla sede dell'archivio del Priorato di Mentoulles.

Alle 18:00 siamo davanti all'ingresso. Sopraggiunge una signora, gentilissima, e dopo vari tentativi apriamo una porta che faceva i capricci a causa della deformazione del legno. Nell'archivio improvvisiamo, non abbiamo mai fatto una ricerca del genere. Da un rapido esame del voluminoso catalogo, deduciamo che occorre puntare sul registro degli atti di morte.

Da dove volete cominciare?” ci chiede la signora presumendo che qualcosa ne capiamo. Un veloce ripasso mentale della storia patria ci convince che i primi soldati potrebbero essere stati portati in ottobre visto che Garibaldi entrò in Napoli il 7 settembre 1860. Le chiediamo di prendere il registro del 1860.

Primo inghippo, il registro è stampato e compilato in francese. Man mano che procediamo con la lettura delle pagine, dobbiamo imparare a orientarci tra i fogli e al tempo stesso capire anche cosa cercare. Partiamo dai nomi, ma dopo un po' ci rendiamo conto che a volte i nomi vengono stroppiati o francesizzati, quindi ci concentriamo sul termine “maison” che praticamente indicava la dimora del deceduto.

Fort Saint Charles” diviene la parola magica per cercare i nomi giusti velocemente. Il tempo passa e non ne abbiamo molto a disposizione, nel frattempo abbiamo dovuto compilare un modulo con tutti i nostri dati e gli estremi di un documento, indicando pure le motivazioni della ricerca.

Quando incrociamo per la prima volta la dizione “prisonnier de guerre napolitain” non nascondiamo di aver sentito un groppo alla gola. Mentre sfogliamo le pagine, io mi concentro su “maison”, mia moglie scrive i nomi e il numero del foglio corrispondente, poi passiamo il tutto alla signora che non solo ce li fotocopia, ma viene anche di tanto in tanto a darci una mano a decifrare la grafia del verbalizzante. Lei è una valligiana, riconosce i nomi della zona, così alcuni li escludiamo senza pensarci troppo. Intanto apprendiamo che si tratta di una collega, una ex maestra, quindi con l'occhio abituato a leggere diverse grafie.

Quando passiamo al registro del 1861 ci troviamo subito nei problemi, la dizione “prisonnier de guerre napolitain” non appare più, troviamo un “Soldat du corps de chasseur francs” che lì per lì ci fa pensare a soldati arruolati nel novello esercito italiano. Nel registro del 1862 siamo di fronte alla lingua italiana e la parola prigioniero non la ritroviamo mai. Neppure nel 1863. Allora torniamo indietro e cominciamo ad annotare tutti i nomi che per certo o per nostra presunzione suonano di origine meridionale ed hanno l'annotazione “Soldat du corps de chasseur francs” oppure “Soldato Corpo Cacciatori Franchi" (7).

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Fonte:

https://www.carabinieri.it/

CACCIATORI FRANCHI

Era così denominato nell'Esercito sardo-piemontese il reparto di punizione al quale venivano trasferiti i militari d'ogni Corpo, compresi i Carabinieri. L'origine dei reparti disciplinari nell'Esercito risale al 1741, anno in cui nel Piemonte venne deciso di riunire in compagnie speciali i disertori graziati. Nel 1815 esse furono raggruppate nel Battaglione "Cacciatori Franchi" al quale venivano destinati anche i militari di cattiva condotta.

Nel 1821 le compagnie del Battaglione vennero distinte in compagnie di rigore, ordinarie e scelte. Nel 1849 il battaglione assunse la denominazione di "Corpo dei cacciatori franchi" (o "Corpo Franco") ordinato su tre Battaglioni. Il militare dell'Arma poteva esservi assegnato per motivi disciplinari, sempre che questi non fossero tali da dar luogo a procedimento penale.

Motivo di tale provvedimento poteva essere anche il matrimonio contratto senza autorizzazione. Il militare dell'Arma colpito dalla sanzione veniva tradotto a destinazione, dai carabinieri incaricati, nel corso della notte, con esclusione assoluta dalla traduzione di ogni individuo estraneo all'Arma.

Il Corpo dei Cacciatori Franchi esistette sino al 1878, anno in cui vennero istituite le compagnie di disciplina.

Un foglietto dell'ospedale con la scritta “Reggimento: treno” ci colpisce particolarmente: cosa vuol dire? Che il soldato ha percorso una tratta col treno? (8)

Ripercorriamo tutti gli anni, fino al 1867. Il tempo stringe, cerchiamo di accelerare i tempi di consultazione, ciononostante usciamo dall'Archivio Storico del Priorato di Mentoulles verso le 20:15!

Siamo grati alla signora Bruna per averci assistito, nel nostro modesto ma appassionato lavoro di ricerca, con tanta grazia e disponibilità umana.

L'indomani mattina, avevamo avuto anche l'idea di un ricerca differente, in un altro archivio, ma abbiamo saputo che è inscatolato da anni ed aspettano i fondi per catalogarlo e dargli una sistemazione definitiva, in modo che posa essere consultato dagli studiosi e dal pubblico.

FU PULIZIA ETNICA?

In questi giorni abbiamo analizzato le fotocopie, confrontando i risultati con l'elenco stilato da Antonio Pagano (9). Possiamo sintetizzare i risultati in questo modo:

Uno dei dati che ci ha più colpito – e sin da subito, mentre spulciavano i registri parrocchiali, nonostante la nostra ignoranza in materia di ricerche d'archivio – è il 1861.

Vi è un morto all'inizio, a gennaio, poi si salta ad agosto. Solo tre morti durante tutto l'anno. Come è possibile? 

Se pensiamo allo svolgersi convulso degli eventi a cavallo fra il 1860 e il 1861, agli scontri fra esercito borbonico ed esercito piemontese, agli assedi e alle capitolazioni delle fortezze borboniche di Messina, Gaeta, Civitella del Tronto, ci si aspetterebbe tanti morti nei primi sei o sette mesi del 1861.

Invece ne troviamo solo tre – due nell'elenco di Pagano.

Siamo sinceri, il termine “pulizia etnica” riferito al comportamento dei piemontesi nel Regno delle Due Sicilie ci è sembrato sempre se non eccessivo, comunque inadatto al periodo (siamo nell'ottocento) e al tipo di eventi (unificazione nazionale), ma questo buco temporale ci ha fatto cambiare opinione.

Vorremmo che qualche solone della ricerca storica con strumenti di conoscenza ben più sofisticati dei nostri ce lo spiegasse. Altrimenti questo buco temporale ci fa pensare che almeno per un periodo una “pulizia etnica” nei confronti dei soldati borbonici deportati ci sia stata effettivamente.

Mentre le tre fortezze resistevano e l'Europa cominciava a fare qualche domanda su cosa stesse accadendo nelle Due Sicilie e magari alcuni stati si prendevano tempo per un eventuale riconoscimento dello stato italiano nascente, evidentemente una parte delle alte gerarchie piemontesi pensò di accelerare la soluzione del problema dei soldati napolitani prigionieri, risolvendolo alla radice e in un modo che non si può definire altrimenti se non come “pulizia etnica”.

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Fonte:

IL SOLDATO – 15 ottobre 1863 – pag. 46

Tribunali militari.

― II tribunale militare permanente della Divisione di Torino si occupava nelle udienze del 12 e 13 ottobre 1863 del reato seguente:

Si trattava di otto soldati, appartenenti al corpo cacciatori franchi, imputati:

Matta Michele d'insubordinazione e disobbedienza per avere, nel giorno 3 maggio dell'anno / corrente, al capitano Bracchi, il quale gli dirigeva qualche osservazione relativamente alla qualità ed al prezzo del vino che, come cantiniere, il Matta spacciava nell'interno del forte delle Valli a Fenestrelle, risposto arrogantemente le seguenti parole: insomma se mi vuole un uomo, sono un uomo; se una bestia, sono una bestia; ― e perché, essendogli stato in seguito a ciò intimato di passare al prevosto, il medesimo Matta si rifiutò di ottemperare all'ordine che gli venne ingiunto.

Gli altri, cioè: Pinto Giuseppe, Sirigatti Gennaro, Corigliano Antonio, Greco Giambattista, Bove Vincenzo, Romeo Giovanni e Nuzzi Sante, imputali di rivolta per avere nelle circostanze di tempo e di luogo suaccennate, previo concerto, e nel colpevole intendimento di aprire colla forza la cantina condotta dal Matta, stata chiusa per ordine del capitano Bracchi, e di liberare il commilitone Giangrande sostenuto in carcere, prese le armi senza essere autorizzati, essere discesi nel cortile del quartiere e, mandando grida sediziose contro i superiori accorsi, tentato di aprire colla violenza la cantina, continuando a tumultuare e ad istigare altri soldati alla rivolta, malgrado le ripetute intimazioni del capitano e dei sottotenenti, i quali furono costretti ad adoperare la forza per disarmarli e ricondurli al dovere, essendo stati agenti principali del disordine Pinto, Sirigatti e Corigliano.

Pinto, poi in particolare, di provocazione a diserzione perché all'indomani della rivolta partecipando al soldato Romeo essere stato imprigionato Corigliano, e scoperto il complotto, lo istigò a se colui disertare nell'occasione che il di seguente sarebbero stati di guardia alla Ridotta.

E il Sirigatti, anche in particolare, per avere armata mano sforzata la sentinella Leto Francesco, posta a guardia della cantina colla consegna di non lasciarvi entrare od uscire alcuno.

Non ostante le splendido arringhe degli avvocati difensori, il tribunale pronunciò la pena di morte pel reato di rivolta contro Sirigatti e Greco, e condannò per complicità Pinto a 10 anni di reclusione militare, Bove e Corigliano a 7 anni per ciascheduno, Romeo a 4; Matta a 6 mesi per disobbedienza, escluso il titolo di insubordinazione, e rimandò assolto il Nuzzi. (Dall'Opinione)

Altro elemento che sottoponiamo all'attenzione degli amici che si interessano di storia patria – ovviamente ci riferiamo alla storia del Regno delle Due Sicilie – è la dizione “Soldat du corps de chasseur francs” che sostituisce nella pagina dedicata al soldato Scopettino Matteo, morto nell'agosto del 1861, la dizione “Soldat prisonnier de guerre napolitain” che troviamo nella pagina compilata per Genovese Lorenzo, deceduto nel gennaio 1861.

Il 17 marzo 1861 viene proclamato a Torino il Regno d'Italia. Si tratta di una mera prosecuzione del regno sabaudo, non certamente di una creazione originale. Se guardiamo tra le righe del dibattito politico svoltosi nei primi due o tre anni - anche a Napoli, dove esisteva la cultura giuridica per gettare le fondamenta di uno stato nuovo che fondesse armonicamente le diverse realtà esistenti nella penisola, maldestramente aggregate con plebisciti fasulli - ci rendiamo conto che prevalse la linea del concentramento amministrativo.

Venne imposto un regime bonapartista con la forza delle armi e le complicità di tanti che si illusero, soprattutto al Sud che pagò il prezzo maggiore in termini di risorse umane ed economiche, che lo si dovesse fare in nome della patria una e indivisibile.

Non si creò un nuovo stato neppure da un punto di vista formale. Vittorio Emanuele II conservò, come Re d'Italia, la medesima numerazione che aveva come Re di Sardegna.

Si fece strame di tante belle promesse, dall'autonomia per i Siciliani a Napoli capitale del nuovo regno.

Il nuovo stato però, a partire dal 17 marzo 1861, non avrebbe potuto continuare a dichiarare degli ex-militari borbonici “Soldat prisonnier de guerre napolitain”, la definizione strideva da tutti i punti di vista con la mitologia dei fratelli d'Italia, accorsi nel Sud perché spinti dal “grido di dolore che da tante parti d'Italia” si levava (10).

Allora come soluzione al problema la perfidia sabauda ha una genialata; i prigionieri vengono arruolati d'ufficio nel Corpo dei Cacciatori Franchi!  Un corpo di disciplina – destinato ai riottosi  e ai disertori dell'esercito piemontese da decenni – si attaglia benissimo a coloro i quali non hanno voluto riconoscere il nuovo regime. La nostra, ovviamente, è solo una ipotesi, ma tra le decine di morti finiti nel cimitero parrocchiale di Fenestrelle tra il 1860 e il 1867, noi abbiamo trovato pochissimi nomi non meridionali.

O forse nel Sud c'era la corsa ad arruolarsi in un corpo di disciplina per morire prima dei 25 anni in una gelida valle alpina?

***

Abbiamo stilato, in formato open calcin formato jpg, un elenco dei Soldati Napolitani seppelliti nel cimitero di Fenestrelle – lo mettiamo a disposizione degli amici della rete e di quanti vogliano approfondire la storia nostra.

Se avete altre notizie, su Fenestrelle o sui  Soldati Napolitani di quel periodo, inviatecele, noi le metteremo tutte a disposizione degli utenti della rete. Insieme possiamo riappropriarci della storia che hanno cercato di cancellare per sempre.


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BREVE CRONOLOGIA
  • Il 4 aprile 1860 - Scoppia la rivolta della Gancia a Palermo.
  • Il 18 aprile 1860 - La rivolta siciliana è finita, soffocata dall'esercito borbonico.
  • Il 5 maggio 1860 - Parte da Quarto la spedizione dei Mille.
  • L'11 maggio 1860 - I Mille sbarcano a Marsala.
  • Il 14 maggio 1860 - A Salemi Garibaldi si proclama dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele re d'Italia.
  • Il 15 maggio 1860 - A Calatafimi le truppe borboniche di Landi vengono sconfitte dai garibaldini.
  • Il 2 giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna le terre demaniali ai contadini; molti abboccano alla promessa.
  • Il 30 agosto 1860 – A Soverìa Mannelli 10.000 soldati borbonici per l’inettitudine dei loro comandanti cedono le armi senza combattere.
  • Il 6 settembre 1860 - Il re Francesco II abbandona Napoli.
  • Il 7 settembre 1860 – Garibaldi prende un treno speciale a Vietri e in giornata è a Napoli, dopo avere superato a Nocera un treno ancora carico di soldati borbonici che si ritirano verso Capua.
  • Il 19 settembre 1860 – A Caiazzo, prima seria sconfitta nell’impresa dei Mille
  • Tra il 26 settembre e il 2 ottobre 1860 - Battaglia del Volturno
  • Il 21 ottobre 1860 – Plebiscito sull'annessione al Piemonte del Regno delle Due Sicilie, In Sicilia si contano 432.053 "Sì" e 667 "No". Il ministro Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, scrive nel rapporto al suo Governo: "Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano sono costretti a votare per questa".
  • Il 29 ottobre 1860 - Battaglia del Garigliano
  • Il 20 novembre 1860 - Vittorio Emanuele entra a Napoli.
  • Il 20 gennaio 1861 - decreto, che istituisce "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto esercito delle Due Sicilie"
  • Il 13 febbraio 1861 - Resa di Gaeta
  • Il 13 marzo 1861 - Resa della Cittadella di Messina
  • Il 17 marzo 1861 - Proclamazione del Regno d'Italia
  • Il 20 marzo 1861 - Resa di Civitella del Tronto
  • Il 21 Marzo 1861 - Cavour avverte le corti inglese e francese della caduta di Civitella.
  • Il 22 Marzo 1861 - Giunge l'ordine del ministro della guerra piemontese Manfredo Fanti di distruggere la fortezza e la cinta muraria angioina della città. In questo modo barbarico si fa pagare la fedeltà al vessillo borbonico e l’onore di una coraggiosa guarnigione, colpevole di aver fatto esclusivamente il proprio dovere. Molti di questi uomini vengono deportati nelle carceri piemontesi di Savona e Fenestrelle da dove non faranno più ritorno.
  • Il 22 agosto 1861 - I detenuti di Fenestrelle tentano di organizzare una rivolta per impadronirsi della fortezza.
  • Il 19 novembre 1861 - il generale Manfredo Fanti invia un dispaccio al Conte di Cavour chiedendo di noleggiare all'estero dei vapori per trasportare a Genova 40.000 prigionieri di guerra.
  • L'8 maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie italiane e ricorda che non Garibaldi ma l'Inghilterra ha fatto l'unità d'Italia.
  • Il 15 agosto 1863 – Viene promulgata la Legge Pica, rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 1865.
  • Nel 1869 il governo italiano voleva acquistare un'isola dall'Argentina per relegarvi i soldati napoletani prigionieri, secondo alcuni documenti ritrovati da un ricercatore presso l'Archivio Storico del Ministero degli Esteri.


NOTE

1I cosiddetti risalti.

2Cfr. Civiltà Cattolica, pag. 367 – Anno Duodecimo

3 Chi di voi ignora la mitologia de “La bella Gigogin”? La Teresina che il 22 marzo del '48 e a Milano, da sotto le barricate a Porta Tosa, porta un messaggio da Manara a La Marmora. In seguito diviene la donna di Mameli, poi il suo nome metafora dell'Italia e il canto accompagna gioiosamente gli invincibili Mille nella “liberazione delle Due Sicilie dal tiranno”.

4Di questi giorni una pericolosa boutade del solito Bossi che per tenere unito lo zoccolo duro – e, qualcuno insinua, per rivalsa personale per quanto accaduto alla sua prole – ha inveito contro i professori meridionali che martoriano i figli dei settentrionali nelle scuole del Nord.

5“La Messa tridentina è stata dal 1570 fino al 1969 la forma ordinaria con cui la Celebrazione Eucaristica veniva effettuata nel rito romano. A partire da allora, la forma "ordinaria" o "normale"[1] è quella data alla messa da papa Paolo VI. Nel 2007 papa Benedetto XVI, con il motu proprio "Summorum Pontificum", ha dichiarato che la Messa tridentina, nella forma datale nel Messale Romano del 1962, può essere celebrata legittamente come forma straordinaria dell'unico rito romano. “ Cfr. https://it.wikipedia.org/

7Non abbiamo alcuna autorità da ricercatori per poter smentire quanto asserito sul sito dei Carabinieri (Cfr, CACCIATORI FRANCHI, che riportiamo in tabella) in merito allo scioglimento del Corpo dei Cacciatori Franchi, ma in più di una occasione ci è capitato di leggere che esso risalirebbe al 1868 e non al 1878:

3605/79. (Militaria) Regio Decreto col quale si sopprime il Corpo dei Cacciatori Franchi a far tempo dal 1° aprile 1868, e gli vengono sostituite dodici Campagnie di disciplina. 1868, 9 febbraio; firma Vittorio Emanuele II, E. Bertolè-Viale, xil. con stemma reale, pp. 8

8Zitara successivamente si mostrerà ancor più perplesso di noi in quanto ci dice che i collegamenti ferroviari a quel tempo non arrivavano neppure a Bologna.

8bis – Ringraziamo l’amico Davide dei CdS che ci ha suggerito un possibile significato della parola “treno”, legato alla terminologia militare. Infatti riportiamo da pagina 521 del testo “Collezione delle leggi e de' decreti reali del regno delle Due Sicilie”:

52. Gl'individui dello stato minore, ed il rimanente de' sottuffìziali ed artefici tanto della divisione del treno di Casa reale, quanto del battaglione del treno di linea, che sono smontati in tempo di pace, saranno montati di regio conto in tempo di guerra.

53. Ordinariamente il battaglione del treno di linea addetto ai servizio dell'artiglieria a piedi attaccherà a quattro muli, ma in tempo di guerra sarà aumentato per attaccare a sei per tutti i bisogni de' corpi attivi.

54. Tutte le disposizioni e massime relative al Corpo reale di artiglieria ed a quello del treno , che per effetto di antecedenti nostri reali ordini sono in vigore, e che non sono in opposizione con ciò che vien prescritto col presente decreto, continueranno ad avere il loro pieno adempimento.

10Di questo grido di dolore, altra invenzione propagandistica creata ad arte per invadere il Regno delle Due Sicilie, dobbiamo ringraziare uno dei tanti meridionali che si adoprarono per svendere il loro paese al Piemonte sabaudo: Giuseppe Massari.









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