Quando
avranno inquinato l'ultimo fiume, abbattuto l'ultimo albero, preso l'ultimo bisonte, pescato l'ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche. (Toro Seduto) |
INDIPENDENZA di Antonio Pagano |
La proposta federalista bossiana poteva essere comprensibile quando era uno strumento teso all'indipendenza dei territori del Lombardo-Veneto, particolarmente dei Veneti, facenti parte di una nazione con circa 1000 anni di storia. Quando, invece, è diventata il fine per costruire un nuovo soggetto politico (la Padania), imponendo qualcosa di artificiale e fittizio, allora si è manifestata tutta la malizia leghista.
Dopo aver rapinato e sfruttato il Sud con l'annessione unitaria, ora,
questi sempiterni parassiti padani hanno avuta la pensata dei
federalismo. Il federalismo che propongono non è altro che lo
sfruttamento del Sud nel modo più totale. Mentre nell'attuale
situazione qualcosa del bottino viene restituita al Sud, pur attraverso
la mediazione clientelare degli ascari politici meridionali, col
federalismo finirà anche questa restituzione perché
essenzialmente basata sul federalismo fiscale. Infatti, poiché
la maggior parte delle aziende più importanti (fabbriche,
banche, assicurazioni) hanno la sede legale al Nord, le tasse saranno
versate alle regioni settentrionali e non più allo Stato che le
ridistribuisce. La conseguenza sarà che le regioni meridionali
diventeranno ancora più povere non potendo più usufruire,
in parte, dei contributi statali.
Intanto, mentre i padani continueranno ad imporci i loro prodotti
arricchendosi ancora di più sopra le nostre spalle, la banca
centrale e tutte le altre banche continueranno a rischiare risorse
nazionali soltanto nei settori industriali che spadroneggiano sui
governi.
Una situazione totalmente insostenibile, complici naturalmente i «nostri» politici meridionali che, a qualunque partito appartengano, sono sempre più ostaggio delle segreterie romane, milanesi e torinesi. Tale asservimento agli interessi del Nord sono evidenziati da 144 anni di totale inerzia per gli interessi del Sud.
Basta prendere in esame solo alcuni dati storici significativi:
- Già nei primi anni dell'annessione i governi "italiani" spesero per la sistemazione delle coste marittime 216 milioni al Nord e 86 milioni al Sud, in lire dell'epoca. Eppure il Piemonte e la Lombardia non hanno coste! La sola Liguria ebbe più soldi che tutta l'Italia meridionale, eppure le coste al Sud sono almeno dieci volte più lunghe di quelle liguri!
- Per le ferrovie, mentre al Nord esse furono costruite per unire centri di popolazione, di produzione e di interesse militare, al Sud, invece, dovevano collegare solo il Sud al Nord per l'utilità militare e commerciale del Nord. Ancora oggi è più facile andare in treno da Bari a Milano anziché a Napoli. Nel 1860 vi erano, in tutta l'Italia, 2.000 chilometri di ferrovie. In soli cinque anni ne furono costruiti 3000 solo al Nord, con una spesa, nei primi quattro decenni dall'unità, per il Nord di 2.732 milioni, per il Sud di 856 milioni, in lire dell'epoca. Naturalmente i capitali necessari li avevano rapinati nei Banchi di Napoli e di Sicilia.
- Nell'ultimo decennio dell'800, per ogni 100 lire di tasse incassate, lo Stato "italiano" ne spendeva 73 al Nord, al Sud invece solo 27. E ancora oggi questo sistema non è cambiato, queste cifre sono ancora attuali e spiegano perché il Sud è sempre più povero. Secondo le stime dell'istituto Svimez, specializzato nelle tematiche sul Mezzogiorno, nel 2003 sono stati circa 200 mila i nostri nuovi emigranti. 0 meglio, "il saldo migratorio fra chi è tornato (esclusivamente perché ha raggiunto l'età pensionabile) e chi è partito definitivamente", segna un più 10 per cento rispetto all'anno precedente.
- Quando nel 1945 gli Stati Uniti d'America approntarono il piano Marshall per la ricostruzione dell'economia italiana, lo Stato distribuì questi aiuti materiali e finanziari in percentuali maggiori al Nord: ad esempio, i tessuti e le coperte distribuiti agli ospedali furono per il 72,8% al nord, per il 17,5% al sud e per il 9,7% alle isole. Per non parlare del consistente aiuto finanziario regalato alle industrie torinesi.
- Saltiamo le varie vicende successive di ladrocinii nordisti e parliamo di cose attualissime. L'agenzia pubblica «Sviluppo Italia» (al 100 per cento del Ministero dell'Economia) creata per la promozione del Sud, guidata da Massimo Caputi, ha avviato un rapporto col gruppo Marcegaglia: da un lato l'ingresso del gruppo privato con Ifil e Banca Intesa nel 49 per cento di Sviluppo Italia Turismo, una controllata della società di Caputi, dall'altro l'acquisto, da parte di quest’ultima, di una quota consistente di una società meccanica con sede nel inantovano, che fa capo al gruppo guidato da Antonio ed Emma Marcegaglia. Bisogna chiedersi: perché una società statale, che ha come principale missione quella di promuovere le aziende del Meridione, interviene nel capitale sociale di una società del ricco Nord? Uno tra i tanti esempi di come ci prendono anche per i fondelli, speculando su un Sud «da sviluppare», che proprio il Nord di proposito tiene in sottosviluppo.
- Infine, in merito alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, la potenziale enorme spesa di cui si ignora la plausibile consistenza, non dispone dei finanziamenti necessari e la parte disponibile è tutta investita in ennesime consulenze e progetti di studio da parte di aziende del Nord. Il Ponte, insomma, è l'ennesima "cattedrale nel deserto” utile a foraggiare i gruppi finanziari del Nord, facendo credere - come sempre - che tutto si fa per il "bene" del Sud. Il Ponte, infatti, non migliorerebbe in nulla i reali problemi di calabresi e siciliani, e neppure di quanti per lavoro o per turismo si recano ogni anno nel Sud. Tra l'altro le infrastrutture di base assolutamente necessarie al Sud sono la Salerno - Reggio Calabria, la statale ionica 106, la ferrovia Taranto - Reggio Calabria e quelle da fare Lecce - Napoli e Palermo - Trapani, i porti e gli aeroporti, cose che non sono nemmeno pianificate per un prossimo futuro.
Da questo schematico, brevissimo, elenco, emerge una sola
verità: lo Stato italiano, dalla cosiddetta unità in poi,
ha tenuto e tiene le popolazioni del Meridione d'Italia in una
condizione di popolo colonizzato perché funzionale allo sviluppo
e alla ricchezza del Nord d'Italia, rapinando i risparmi dei Sud,
obbligato ad acquistare i prodotti settentrionali.
A questo punto è da ritenere vitale, dunque, assolutamente
indispensabile, che il Sud, per non essere più terra di
sfruttamento e di miseria, deve riacquistare la sua antica indipendenza
per scrollarsi di dosso questi perfidi ladri e parassiti.
Non esiste altra alternativa per lo sviluppo del Sud.
Questo non significa dover uscire dall'Europa (anche se questa sarebbe la soluzione migliore) perché noi siamo non solo Europa, ma siamo l'antica Italia quando questa era già formata senza i barbari della Paludania.
Del resto, a ben riflettere, non è possibile costruire una nuova
Europa se non si compie la rottamazione dei cosiddetti «Stati
nazionali», vecchi arnesi giacobini ottocenteschi che hanno fatto
il loro tempo. L'Europa, per essere tale, deve essere fondata sui
popoli e sulle nazioni storiche europee: Còrsi, Catalani,
Baschi, Tirolesi, eccetera, e Duosiciliani naturalmente.
La nostra, infatti, è una storia unitaria che spazia per circa
tre millenni e non possiamo prescindere dai nostri patrimoni comuni in
tutte le regioni del Sud: la lingua, la cultura, l'identità. Noi
tutti del Sud, infatti, siamo già una nazione e non abbiamo mai
fatto parte di questa Italia che ci ha sempre considerato un sua
colonia interna.
Indipendenza, dunque, e quanto prima possibile.
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