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Il commento dell'amico Sebastiano Gernone
all'articolo di Tremonti sul Corsera 
"LA BANCA CHE ILSUD NON HA"
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Riportiamo l'articolo apparso in prima pagina del Corriere della Sera l'11 settembre 2004 già diffuso dal sito www.eleaml.org che ci induce ad alcune riflessioni.


Il problema delle banche del Sud ormai quasi tutte colonizzate dai gruppi finanziari settentrionali - classico l'esempio del pluricentenario Banco di Napoli ormai proprietà della San Paolo di Torino, insomma degli Agnelli - è da anni una delle denunce più rilevanti di alcuni esponenti di quel Sud che non fa parte del mondo istituzionale, insomma di gente che pensa con un cervello non venduto alla Nazione. Pochi, invero, ma coerenti con le riflessioni che la realtà induce.


Sbrigativamente gli intellettuali salariati del regime della Nazione di tutti gli schieramenti, li hanno sempre emarginati, il che a noi poco importa perché si è liberi e si ha il giusto orgoglio quando si ragiona con la testa propria. Le banche, dunque, utilizzano a Sud i risparmi dei meridionali non per incrementare piccola industria, artigianato, cooperative, industriali e commercianti, giovani creativi meridionali ma per uno sfruttamento finanziario utile ai gruppi settentrionali: Tremonti non lo scrive questo - si guarda bene dal farlo! - ma lo si deduce facilmente dall'analisi che lui fa, invero per noi datata che appare sul Corsera.


Un altra riflessione che occore diffondere e condividere, è quella che se i soldi li usano per i loro interessi e utili profitti, le loro merci che espongono e vendono nei nostri supermercati - grazie a una distribuzione nazionale a loro favorevole - vanno boicottate: dobbiamo abituarci nel Sud a richiedere il tonno prodotto in Sicilia e non quello che ci arriva da Genova, il caffè delle nostre regioni e non quello pubblicizzato da Bonolis e soci, la carta igienica delle nostre cartiere e non quella delle industrie di Torino, le nostre acque minerali, i nostri biscotti, il prosciutto delle nostre regioni ecc...


In tal modo - COMPRA & VIAGGIA SUD il divario dei disoccupati tra Nord e Sud potrà essere diminuito: oggi si sa a Nord c'è il 3% di disoccupati a Sud una media del 18% con punte del 30% in alcune provincie, e con 200.000 giovani a Sud che emigrano a Nord e all'estero (dati della Banca d'Italia e dello Svimez).


Certo c'è da sorridere che un esponente della razzista Lega Nord pubblichi l'articolo che segue, ma in verità i governi che si sono succeduti nella loro Nazione Italiana hanno sempre trattato il Sud da colonia.


L'ultimo esempio è il decreto 56 inaugurato dal governo D'Alema - esponente di quel trasformismo di sinistra che data da Garibaldi - Crispi, i primi " utili idioti " del Potere elitario - che ha sottratto risorse enormi al Sud e che il dittatore massmediatico Berlusconi ha ben mantenuto con il suo centro-destra...


Siamo difatti sulla scia dell'impero centrale degli Stati Uniti: Clinton o Bush, democratici o repubblicani che governino nulla cambia, irrisolto rimane il problemma delle enorme differenze sociali tra ricchi e poveri, tra regioni economicamente sviluppare e quelle arretrate. Il capitalismo accumula e sfrutta, mercifica e annulla ogni solidarietà e giustizia sociale.


Buona lettura

Sebastiano Gernone

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Il mezzogiorno, il rilancio dello sviluppo e la banca che non c' e'

Per creare sviluppo
Tremonti Giulio

Oggi, con una grande cerimonia ufficiale, si apre a Bari la vetrina del Mezzogiorno: la Fiera del Levante. Facciamo qui di seguito un discorso che ha qualche probabilità di non essere fatto. Il Mezzogiorno d' Italia - più di 20 milioni di abitanti - è l' unico grande «territorio» d' Europa a essere sostanzialmente «debancarizzato». Non è stato così, per secoli.

E non è così, nel resto d' Europa. Dalla Scozia alla Catalogna, dalla Baviera alla Boemia ai Paesi Baschi, tutti i grandi «territori» d' Europa hanno, di diritto o di fatto, banche proprie. Vecchissime o nuovissime, grandi, medie o piccole, comunque banche autoctone. Banche che dei propri «territori» testimoniano ed esprimono, sostengono e proiettano la vitalità economica e sociale.

È l' opposto nel Mezzogiorno. Certo molte banche sono attive nel Mezzogiorno, ma non sono banche del Mezzogiorno. Non si tratta di una differenza secondaria o finanziaria. Si tratta di una differenza primaria e sostanziale: sociale ed economica,   politica e storica. Prima d' essere «unificato» (nel Nord), il Mezzogiorno aveva un suo proprio, se pure fortemente arretrato, sistema politico; aveva un suo proprio e invece molto evoluto sistema finanziario; era a ridosso della rivoluzione industriale. I titoli delle Due Sicilie erano trattati nelle principali piazze finanziarie d' Europa.

Non solo vasti settori dell' agricoltura meridionale competevano direttamente sul mercato internazionale, ma le manifatture tessili e meccaniche, i cantieri e le ferrovie delle Due Sicilie erano un forte incubatore di sviluppo industriale. Poi è venuta l' «unificazione», che ha annichilito la società meridionale e di riflesso e per conseguenza ha interrotto il suo processo di sviluppo. Da un giorno all' altro, antiche e gloriose capitali sovrane furono trasformate in Prefetture, senza che ci fosse, nel Mezzogiorno, il baricentro di una forte società «municipale». Un tipo di società civile - questa - che era invece presente e per compensazione

 sarebbe divenuta sempre più forte, nel resto del Paese. Eliminate le vecchie strutture politiche centrali, il Mezzogiorno si trovò invece nel vuoto: senza il suo centro; sotto un centro che per decenni sarebbe stato remoto ed alieno, quando non ostile; senza una base municipale. Fu la fine del processo di sviluppo del Mezzogiorno: senza più una sua guida, sotto una guida esterna, l' economia meridionale si fermò. Le classi lavoratrici restarono sulla terra.

O furono poi spinte all' emigrazione. Le classi dirigenti prima, e poi altri vasti strati di popolazione, iniziarono invece una loro speciale migrazione interna, dentro la burocrazia del nuovo Stato centrale. Sopravvisse tuttavia, tanto era forte, il sistema bancario meridionale, basato sui grandi istituti di Napoli, Sicilia, Sardegna, attivi nel Mezzogiorno, nel Nord, all' estero. E su una vasta e complementare rete di banche territoriali.

Poi di colpo - più o meno nell' ultimo decennio - tutto è imploso e precipitato, fino al collasso. Per cause diverse: per le radicali mutazioni intervenute nel sistema di aiuti di finanza pubblica, italiani ed europei; per l' occupazione «politica» delle banche, quasi tutta degenerata, ma da quasi tutti tollerata. E per altro ancora. Non è questa la sede per processare il passato, ma per guardare al futuro.

L' attuale «debancarizzazione» del Mezzogiorno è tanto sintomatica quanto problematica. Essa è insieme una prova e una causa della sua crisi. In Europa c' è una doppia costante: lo sviluppo si produce e si muove essenzialmente «per territori» e tutti i «territori» hanno proprie banche. Perché il capitale finanziario è certo necessario per lo sviluppo ma, se anche se ne dispone in quantità sufficiente, comunque da solo non basta. È infatti il «territorio» in sé che ingloba ed esprime le conoscenze strategiche essenziali per il suo sviluppo. È solo il «territorio», con la sua popolazione, con il suo capitale umano che, usando il capitale finanziario, può produrre lo

 sviluppo. Non è così nel Mezzogiorno, unica terra d' Europa in cui le costanti sono diverse: la finanza pubblica è quasi per compensazione storica chiamata a sostituire da fuori quella privata e quella privata - quella che c' è - non è comunque propria del Mezzogiorno. Il problema non è tanto oggettivo, quanto soggettivo. Non è tanto e soltanto quanto credito si eroga ed a che prezzo. È soprattutto chi lo eroga: con quale spirito, con quale reale impegno. Non sempre, ma a volte ci si può spingere con lungimiranza oltre il gelido calcolo dei ratios.

Le «leggi finanziarie» sono certo necessarie, ma da sole non sono sufficienti. A loro volta, le banche che operano nel «territorio», ma non sono del «territorio», non bastano. Nel sistema manca un altro pezzo, che non si crea e non si porta da fuori. Con promesse che creano illusioni e delusioni che portano nuove promesse. In un' eterna novena sociale. Fino a che non sarà il Mezzogiorno stesso a terminarla. Il Mezzogiorno non si può

 rassegnare ad avere un passato, ma non un futuro. Se ha un suo passato, può avere un suo futuro. Ed è tempo che smetta di guardare nella sua ombra. Sarebbe solo una tra le tantissime cose che si possono fare, cose pratiche o cose simboliche, e queste non meno importanti di quelle, ma ripartire dal Mezzogiorno per far rinascere nel Mezzogiorno una sua banca, non è impossibile, è necessario.

Giulio Tremonti

L' autore, già ministro dell' Economia, è parlamentare della Cdl




 

 

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