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Fonte:
https://www.ilportaledelsud.org/

Siamo entrati nell’era della roncola:

saprà, dalla Puglia, il poeta corsaro e la praxis portare il pane a chi ha fame?

di Vito Feninno

Al “Drive In”, un tormentone degli anni ottanta svelava: “l’acqua è poca e la papera non galleggia”. Ma cosa importava a noi: il craxismo finanziava l’illusoria “modernizzazione” del paese col debito pubblico, nascondendoci che, prima o dopo, le generazioni future avrebbero pagato a caro prezzo lo sballo dei “nani e delle ballerine.” Inginocchiati e genuflessi alla logica del Salvatore Dio Capitale avevamo affidato ad esso la nostra totale protezione. Per lungo tempo siamo rimasti narcotizzati e allucinati dallo sballo per accorgerci fino in fondo che oggi quell’effetto allucinogeno si è esaurito.


Perché ci stiamo immiserendo senza che questo modello di sviluppo subisca la necessaria critica tale da ri-orientarlo verso una correzione effettiva. Difatti…. Cosa importa se la società moderna è fondata su un’economia di libero mercato: tanto noi con i nostri 740 euro mensili riusciamo ancora a comprarci da vivere. Cosa importa se dopo Auschwitz, Hiroshima, i Lager, e, solo 10 anni fa, nel Rwanda venivano sgozzati un milione di persone per genocidio e il mondo intero, compreso l’esercito ONU presente sul luogo, non ha alzato un dito per fermare quella immane tragedia; e cosa importa se solo pochi mesi fa nel Darfur la roncola era di nuovo all’opera: tanto noi occidentali per purificarci celebriamo le giornate della Memoria per non dimenticare gli stermini. Cosa importa, a noi, se il presidente brasiliano, Lula, assiste all’abbattimento della foresta amazzonica, polmone verde dell’umanità, perché costretto a rendere seminativa una area pari alla nostra Sicilia, al solo scopo di pagare il debito estero alle nazioni industrializzate: tanto noi società opulenta ricorriamo ai salvifici blocchi automobilistici e alle targhe alterne. Cosa importa se il mezzogiorno d’Italia mantiene inalterata la sua depressione economica, sociale e culturale, ed è abbandonato dalla classe dirigente a serbatoio cui attingere mano d’opera a buon mercato: tanto noi meridionali siamo figli “in” Cristo.


E in Cristo ci identifichiamo: ci facciamo olocausto della sofferenza nella speranza di conquistarci, non in questo mondo, la redenzione. Cosa importa di tutto questo a noi “piccoli borghesi” abbastanza rubicondi e televisivamente acculturati: tanto i problemi esistenziali li esorcizziamo in una sorta di catarsi mediatica collettiva quando all’ora di pranzo il “Grande Fratello” ci passa immagini, del terzo mondo, indigeste che impastiamo con i bocconi ringraziando IDDIO della ciotola piena che a noi “fortunati” ha concesso. Perché come scrutava Aristotele: “Curiosamente anche le scene più tragiche di sofferenza lasciano negli spettatori un senso non di depressione ma di sollievo; perché le emozioni di paura e di pietà vengono scaricate dallo spettatore attraverso la tragedia rappresentata producendo l’effetto purificatore del dramma”.


E così dopo aver “digerito” la rappresentazione del dramma dell’umanità riprendiamo indifferentemente a vegliare sulle nostre singole misere condizioni. Tanto, quando la ciotola sta per svuotarsi, come le casse dei due Comuni dei Monti Dauni pugliesi, l’homo civicus meridionale, che è ancora un querulo questuante, corre precipitosamente a mettere il cappello per terra aspettando che il passante istituzionale gli ricolmi la ciotola.


L’acqua è poca e la papera non galleggia: ma ancora non ci si accorge che l’indolente sentimento cristiano del “volemose bene” è una cosa astratta, e che in una società fondata sul libero mercato non ha diritto di cittadinanza? E che la solidarietà non può venire dalle istituzioni statali perché le èlites civili sono vincolate a rispondere agli interessi della borghesia industriale, alla borghesia fondiaria e delle rendite come le assicurazioni e le banche, perché queste legano loro le mani? Lungo il complesso processo democratico unitario la solidarietà è stata elargita dallo Stato finanziandola col debito pubblico, addebitandola quindi alle successive generazioni.


Le istituzioni civili dispensavano assistenza non perché erano timorose di Cristo ma perché timorose del pericolo comunista. Per le classi dirigenti, il cristianesimo è un concetto astratto perché la produttività ha avuto sempre cura del fatto che la gran maggioranza delle persone, uguali solo in diritto, riceva solo lo stretto necessario per vivere o neppure quello. Così mentre le èlites banchettano, le masse, non avendo coscienza politica, per alleviare la morsa della fame, si rifugiavano nella preghiera e nella intercessione dei santi. La verità cristiana è uguale solo a parole: cosa ce ne facciamo della rilevatrice verità cristiana se poi in fondo si condanna solo a parole chi produce scientificamente miseria e umana prostituzione? se poi continuiamo con querimonia ad elemosinare un sacco di farina, giusto per lenire i crampi della fame; senza mettere in discussione le contraddizioni che sono intrinsecamente espressione di una società che ha in se il germe dell’edonismo reazionario? Si è riunita nel comune di Pietramontecorvino nei giorni scorsi la giunta regionale presieduta dal comunista Nicki Vendola.


Sarà ancora un atto di mera solidarietà concesso da chi ne ha voglia a chi ne ha bisogno!? Per dimostrare astrattamente che le istituzioni civili sono vicine ai cittadini!? Le popolazioni del subappennino dauno meridionale valgono più di un voto dei neri del Rwanda e del Darfur lasciati soli davanti all’ignavia del “cosiddetto” mondo civile occidentale mentre si massacravano a colpi di machete? Il neogovernatore comunista Vendola sarà tanto coraggioso da allentare i cordoni della borsa e farsi guidare dal principio cristiano non della carità ma della verità; mettendo al centro della politica l’uomo e i suoi bisogni, svincolandosi dall’ubbidire solo alla fredda logica del capitale?


Vendola è un poeta. Per la sua soggettività politica e culturale, che faceva immaginare il sopraggiunto MOMENTO ETICO rivoluzionario, è stato presentato dalla stampa come un corsaro. Essendo lui uomo “radicale”, quindi, mi auguro che oltre alle parole ricordi che solo la PRAXIS e cioè l’ATTO UMANO può eliminare le ingiustizie. Perché i problemi dell’uomo si risolvono solo all’interno della PRAXIS. E non riducendo il cittadino ad un querulo questuante. Per noi abitanti della avanzata italica nazione, che si fregia di essere la sesta potenza industriale, ma che tiene scientemente da oltre 150 anni un terzo del territorio arretrato, è arrivato il momento di prendere coscienza che l’odio di classe, delle èlites, promuove la nostra integrazione di cittadini di serie B nella società del benessere come i negri in America che lottano da diversi decenni non per affrancarvisi dallo sfruttamento ma per integrarvisi, appunto. La solidarietà era figlia del muro di Berlino, e che caduto il muro sono esplose le contraddizioni spingendoci verso l’era della roncola, come tristemente testimoniano i lutti rwandesi e del Darfur. E la funesta dichiarazione di dissesto finanziario dei due comuni pugliesi Pietramontercorvino e Casalnuovo Monterotaro, avvenuta per riduzione della solidarietà coincidente con i tagli al trasferimento erariale.


Concludendo, mi pare abbastanza chiaro che il bisogno di vivere che esprimono le popolazioni dell’entroterra dauno implica un concetto etico che chi ha fame ritiene che sia giusto che egli sopravviva e ingiusto che egli muoia di fame, perché come diceva Sartre: IL BISOGNO È ESSO STESSO RADICE DELLA MORALE. Ed ecco perché, penso, che solo il comunista Vendola può veramente accollarsi i veri problemi esistenziali delle genti pugliesi di cui è oggi il loro più coraggioso presidente che per mezzo della praxis può pervenire ad una società più umana. Perché il compagno Vendola lo sa che non si tratta di avere fede per trasformare un uomo in uomo umano, ma si tratta di esigerlo ribellandosi all’alienazione di una società costruita su una falsa economia di mercato che dovrebbe portare benessere in ogni angolo di terra, mentre genera ingiustizie povertà sfruttamento e infine guerre.


A Vendola, domando: con quale coscienza universale vuole affrontare i mali di una società complessa come la nostra? Il dissesto finanziario dei due comuni del subappennino dauno è stata forse una provocazione per ricordare ancora una volta a Roma e a Bari che la ciotola è vuota e che quanto meno va ricolmata.


Pietramontecorvino e Casalnuovo Monterotaro non saranno purtroppo l’epicentro della PRAXIS. A meno che il poeta corsaro con il suo coraggio intellettuale non ponga su nuove basi il dibattito politico brandendo il vessillo della VERITA’ ammainando la bandiera desueta della carità concessa da chi ne ha voglia a chi ne ha bisogno.


Fabbrico 8 giugno 2005

Vito Feninno [email protected]




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