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Il quadro di riferimento

di Antonio Orlando

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26 Maggio 2013


In un sistema democratico i risultati elettorali, salvo prove palesi di brogli, compravendita di voti e falsificazioni varie - ma in tal caso scivoliamo nel patologico - sono intoccabili, quasi sacri, perché rappresentano, per convenzione, la volontà del popolo. Si possono criticare, è consentito recriminare, prendersela, magari, “con il destino cinico e baro”, ma non è permesso mettere in discussione le sovrane scelte di voto degli elettori. E tanto meno il modo attraverso il quale un componente del popolo sovrano è pervenuto a quella determinata scelta. Conta il risultato. Questa volta, al contrario di quanto avvenuto nel 2006, Berlusconi non ha parlato di brogli e si è guardato bene, a parte il maldestro e flebile tentativo del suo pupillo, di mettere in dubbio la validità dello scrutinio.

Sarà, certo, una pura convenzione, che non garantisce da trucchi, falsificazioni, compravendita di voti e brogli vari, tuttavia le elezioni rappresentano il fondamento di qualsiasi sistema democratico e dunque non conviene mettersi a cavillare su di esse.

L’ultimo dato elettorale del marzo scorso ci consegna un paese tagliato a fettine, tre più grandi ed una più piccolina rappresentata dal – tutto sommato - modesto consenso raccolto da un acclamato, quanto presunto, salvatore della patria, da un navigato politico di lungo corso, ora giubilato e consegnato alle panchine dei giardinetti, (salvo resurrezioni) e da un sempregiovane e sempiterno virgulto della mai dimenticata e tanto rimpianta (a torto!) DC. Inchiodati ad un risultato striminzito, quelli di “Scelta civica-Monti”, sono rimasti, finalmente, senza parole, storditi da una batosta inattesa e consegnati ad un ruolo del tutto subalterno e marginale, neanche utili come ruota di scorta. Quel che emerge, invece, è che, voto più voto meno, un terzo dell’Italia si è affidata al tranquillizzante e narcotizzante cambiamento proposto dal PD; un altro terzo ha preferito ri-dare fiducia allo scoppiettante miliardario delle TV ed in ultimo sono spuntati “grilli” e “grillini” che saltellano di qua e di là e fanno impazzire i poveri giornalisti abituati ad avere i politici a loro completa disposizione per poter porgere  compiacenti, inutili e sceme domande.

Sinistra, Destra, Centro, Centro-Destra, Centro-Sinistra, moderati, conservatori, progressisti, radicali, estremisti nonché termini come socialista, comunista, social-democratico, popolare, liberale, fascista, cristiano non sono diventati altro che scatole vuote prive di significato.

Si è perso qualsiasi riferimento non solo ideologico, ma logico. E sono stati i capi di queste moderne tribù che sono diventati i partiti politici, a volere che tutto ciò accadesse. Sono maschere che coprono il vuoto di idee, di programmi, di intenti di quelli che ancora continuiamo impropriamente a chiamare partiti politici che altro non sono che un’accozzaglia di persone che si mettono insieme per comporre una lista in occasione di una qualche consultazione elettorale. Si compongono, ricompongono e scompongono a seconda delle esigenze, delle circostanze, dei luoghi e dei tempi. Tra di loro non hanno niente in comune questi soggetti, o, forse, in comune hanno una pregressa amicizia o una parentela oppure degli interessi occasionali da tutelare, come fossimo, a seconda dei casi, in un condominio o in una corporazione o in una cooperativa.

Le collocazioni, secondo quello che la tradizione politica ci ha consegnato, sono del tutto arbitrarie, spesso casuali ed in altri casi rispondono giusto ad una mera posizione logistica assunta all’interno di un’assemblea. A destra o a sinistra di chi presiede un’assemblea senza che ciò assuma connotati politici. Praticamente siamo tornati agli inizi, alla prima Assemblea rivoluzionaria francese, ad oltre tre secoli addietro. Basterebbe ricordare che la Lega di Bossi, quando faceva comodo, venne definita una “costola della Sinistra” e Grillo, dopo essere stato vituperato e deriso, viene corteggiato come fosse il capo di un partito bolscevico. La Destra, quella più radicale alla Buttafuoco, sostiene, probabilmente a giusta ragione, che Roberto Saviano è uno di loro momentaneamente prestato alla Sinistra. In pratica agisce in partibus infidelium. Quanto possa essere di sinistra un Di Pietro ed ora un Ingroia, non si riesce a capire e che cosa abbia mai a che spartire Prodi con la Sinistra non si è mai capito.

Travaglio, il grande fustigatore di costumi, è stato l’allievo prediletto di Montanelli e se ne vanta e, a costo di passare per un integralista, sostengo che l’Indro nazionale era fascista convinto fino al midollo. Per non parlare di un Veltroni che comunista non lo è mai stato e si vergogna di aver avuto quella maledetta tessera senza la quale, probabilmente, non avrebbe saputo che fare. E poi Giuliano Ferrara, antesignano dei voltagabbana, pentito doc e principe degli apostati e l’elenco potrebbe continuare.

I risultati elettorali li hanno completamente spiazzati, vincitori compresi. Avevano tutti prefigurato il ruolo che sarebbe loro spettato: gli uni al governo, c.d. Sinistra, con l’appoggio, magari, del c.d. Centro; “i grillini” all’opposizione pura e dura e gli altri a girovagare, a fiutare il vento in attesa di riposizionarsi o, alla meno peggio, a vivacchiare di rendita in attesa che lo Stregone tiri fuori dal cilindro una trovata geniale per resuscitare il Centro-Destra.

La verità è che ora non sanno più che fare!

Le chiacchiere e le promesse non attecchiscono più ed alle mirabolanti rassicurazioni in un futuro di benessere e prosperità non ci credono neppure i bambini. I richiami al senso di responsabilità di Bersani & C., l’appello dei Berluscones alla unità nazionale, l’afasia della premiata ditta Monti&Casini e l’agitarsi scomposto di Grillo (e del socio occulto) che si sostanzia poi nella richiesta del tipo “levati tu che mi ci devo mettere io”, servono a prendere tempo, a cercare soluzioni, ad aggiustare alla ben e meglio un accordo e spartirsi le spoglie di uno Stato allo sbando. Dal “Programma di Governo” siamo scivolati ai “punti programmatici”, ma il povero Bersani si sarebbe accontentato, pur di sedersi sulla poltrona di Palazzo Chigi, anche di un solo punto, che avrebbe potuto essere la tanto auspicata ed attesa nuova legge elettorale. Come se il termometro curasse la febbre. Forse avrebbe fatto bene a guardarsi le spalle non solo dal “giovane” Renzi, ma anche da tutti coloro che possiedono o controllano pacchetti azionari (leggi: tessere) del PD.

Dopo aver proclamato prima la fine delle Ideologie e poi – udite, udite – la fine della Storia, i politici degli anni 2000 non riescono ancora a rendersi conto che hanno buttato a mare tutto e che non c’è ideologia più pericolosa di quella che afferma la fine di tutte le ideologie.

D’altro canto se finisce la Storia siamo finiti anche noi che, da sempre, in quanto esseri umani, siamo immersi nella Storia per il semplice fatto che la Storia la facciamo noi, l’abbiamo fatta sempre noi, anche quando c’erano Cesare o Napoleone o Hitler o Stalin e nonostante loro.

E’ vero che la pratica rompe la grammatica, ma è altrettanto drammaticamente vero che senza la teoria sei completamente allo sbando. Ti manca, appunto, il quadro di riferimento, ti manca la cassetta degli attrezzi e sei in balia delle opinioni strampalate ed estemporanee che assumono la figura del buonsenso, delle cose da fare, dell’impegno, della normalità, degli atti dovuti, del rispetto della legge, del ritorno alla Statuto (oggi Costituzione) di sonniniana memoria, della lotta all’evasione fiscale, alla corruzione, alla criminalità e alla mafia e aggiungiamoci, in ultimo, tanto non guasta mai, la pace nel mondo. Così il quadro dell’ovvio politico è completo e sono tutti felici e contenti.

In alternativa ti restano solo l’urgenza e l’emergenza, ma le ha già sfruttate fino all’osso Berlusconi e non è bello augurarsi che accadano catastrofi e terremoti per avviare una politica economica innovativa e libera da lacci e controlli.

I partiti socialisti erano nati per abbattere lo Stato, poi si accontentavano di conquistarlo per cambiarlo dal di dentro, successivamente si sono acconciati ad amministrarlo per conto del Proletariato ed hanno finito per fare gli interessi del Capitale.  Come dimenticare l’immagine di “tosatore di pecore” che il prof. Giuliano Amato aveva costruito e teorizzato nei rampanti anni ’80 quando voleva prelevare (“tosare” appunto) una parte della ricchezza prodotta dal capitalismo per ridistribuirla ai più bisognosi!

I partiti liberali si sono costituiti per gestire lo Stato per conto del capitale e si sono travestiti, all’occorrenza, da patrioti, da nazionalisti, da imperialisti, da repubblicani e perfino da democratici. Dopo averle tentate tutte, messi alle strette si sono buttati nelle braccia del populismo sia sotto l’aspetto di fascismo sia di clericalismo o di “Berlusconismo”

L’importante era ed è controllare il potere, lasciare che i leaders del momento si illudano di comandare e poi tirare loro le briglia al momento opportuno poiché i veri liberali agiscono in nome e per conto dei “padroni del vapore”.

I cristiani o cattolici – ma la differenza c’è – sono arrivati tardi in politica e si sono abbondantemente rifatti in nome, per conto e nell’interesse di Santa Madre Chiesa arrivando, all’occorrenza, a fare anche i comunistelli di sagrestia. Hanno tradotto il messaggio evangelico in programma politico, però l’amministrazione e la gestione sono stati sempre laiche e mondane.

Ed in ultimo, come tralasciare i rivoluzionari duri e puri, i vendicatori dei deboli e degli oppressi, i rappresentanti della classe operaia, incorruttibili, onesti, puliti per definizione assiomatica. I comunisti si consideravano “le salamandre della politica” perché solo loro potevano passare indenni attraverso il fuoco del capitalismo senza bruciarsi e mantenendo intatte le proprie idee, convinzioni e posizioni.  

Nonostante tutto, malgrado le critiche che possono e devono essere mosse alle Ideologie novecentesche, un’idea, “un quadro di riferimento” su cui appiccicare un progetto politico quei partiti  lo avevano. Un programma di cambiamento, di modifica degli assetti sociali, di cambiamento degli equilibri, di progresso del sistema economico esisteva e, se non altro, esisteva, alimentata proprio da questi partiti, la speranza in futuro migliore e diverso.

Ora che speranza ti da un Letta? Quella di essere passati dallo zio al nipote e di questo passo dove arriveremo ai pronipoti? Il grande Salvemini soleva dire che in Italia di progressivo c’è solo la paralisi.












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