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Fonte:
https://www.opi-lecce.org/

Deregulation e devolution
così muore il sud


NICOLA COLONNA



Nella storia politica e culturale italiana del ‘900, la tematica federalista e autonomistica è stata tradizionalmente appannaggio della intellettualità democratica meridionale e dei movimenti di ispirazione liberalsocialista ed azionista. I pensatori e dirigenti politici come Salvemini, De Viti De Marco, Dorso, anzi, la questione meridionale faceva tutt'uno con la questione federale. 

Essi, infatti, attribuivano l'arretratezza del Mezzogiorno al modo in cui si era svolto il processo risorgimentale ed allo Stato accentrato e centralizzatore. Uno Stato che dapprima aveva drenato le risorse del Sud per riequilibrare le finanze sabaude e poi aveva garantito l'alleanza tra gli industriali del Nord e gli agrari del Sud, per difendere l'industria protezionistica del settentrione e conservare nel meridione la grande proprietà fondiaria. 

È un caso che, oggi, queste tematiche antistatalistiche e neoliberiste vengano riprese e sbandierate non più dai ceti produttivi emergenti meridionali, ma dai tanti piccoli e medi industrialotti settentrionali? 

O piuttosto ciò non è la conseguenza del fatto che all'ordine del giorno in questo Paese sembra ora esservi non più una questione meridionale – di cui, praticamente, non parla più nessuno – ma una inedita questione settentrionale? 

È opportuno allora chiedersi: le battaglie antistataliste della Lega e di Formigoni oggi hanno lo stesso segno e la stessa valenza politica delle battaglie liberiste e federaliste dei meridionalisti della prima metà del ‘900? Evidentemente, no. 

E non solo, e non tanto, perché quelle rivendicazioni si inscrivevano in un disegno che non metteva assolutamente in discussione l'unità nazionale, ma che anzi quell'unità intendeva rafforzare, mentre il federalismo di Bossi è molto più contiguo al separatismo e al secessionismo tout court. 

Ma per una ragione più profonda. La proposta politica dei meridionalisti formatisi attorno a Salvemini ed alla sua Unità era una proposta "progressista" e democratica, nel senso che lo spezzettamento del latifondo, la nascita di un ceto contadino mercantile e di una intellettualità tecnica, l'abbattimento dei dazi sull'importazione e l'esportazione dei prodotti agricoli, avrebbero comportato l'allargamento del mercato interno ed il suo irrobustimento ed avrebbero determinato una crescita della maturità e della partecipazione politica attraverso l'autogoverno locale; cosa da cui avrebbe tratto giovamento l'intero Paese, e quindi anche l'industria settentrionale e le stesse istituzioni politiche nazionali. 

La devolution leghista e la deregulation di Tremonti, invece, hanno un segno involutivo sia sotto il profilo economico che sotto quello politico. 

Da esse, infatti, potrà derivare soltanto la gratificazione degli istinti più egoistici di padroni e padroncini del profondo Nord, che si vedranno alleggeriti dell'attuale carico fiscale, ed avranno ancora minori stimoli sul versante dell'innovazione aziendale e dello sviluppo tecnologico, potendo contare su di una forza-lavoro priva di ogni garanzia e tendenzialmente più dequalificata, con una crescente presenza extracomunitaria, da tenere ghettizzata e sotto controllo poliziesco

Con il risultato di un generale impoverimento, già sul medio periodo, dell'intero sistema-Paese, sia sul versante della competitività economica che degli spazi di democrazia.

Per questo non è pensabile nessuna autentica convergenza, non solo di ideali, ma neanche di interessi tra le forze che si riconoscono nel centrodestra ed il Sud. Non solo con il Sud dei lavoratori dipendenti ed a reddito fisso, ma neanche con gli stessi ceti medi produttivi del Mezzogiorno, i quali non trarrebbero nessun vantaggio dall'affermazione elettorale del Polo di Berlusconi. 

E non soltanto perché la prima conseguenza di una tale vittoria sarebbe comunque una diminuzione delle risorse complessive destinate alle regioni meridionali, sia in termini di spesa corrente che in termini di investimenti infrastrutturali (se non altro per la preponderanza numerica che i deputati settentrionali avrebbero in una eventuale maggioranza di questo tipo); ma perché, aldilà della retorica di facciata, la proposta politica del Polo non è tale da comportare un autentico sviluppo delle forze produttive neanche al Nord, figuriamoci su tutto il territorio nazionale.

Abbandonare il meridionalismo querulo, va bene; tenersi gli insulti, senza nessuna contropartita neanche sul piano materiale, sarebbe autolesionistico.








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