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Fonte:
https://www.denaro.it/ 5-05-2005

Quale Borbonia, siamo il popolo delle Due Sicilie

di Salvatore Lanza*

Mentre il medico studia il paziente, il paziente muore. E il Sud muore da 144 anni, da quando i nostri politici o i cosiddetti “intellettuali” sbagliano le diagnosi e le cure e ogni tanto si ricordano e cavalcano il meridionalismo per acciuffare manciate di voti che fortunatamente non riconquisteranno più.

Si parla di nuovi programmi o di un nuovo modo di investire al Sud, come se i proponenti di queste iniziative solo da poche ore si fossero affacciati sul palcoscenico della vita politica della nostra povera terra.


Lo stesso Bassolino qualche colpa potrebbe anche attribuirsela dopo 12 anni (!) di governo locale: non è colpa della Lega o dell’asse Tremonti-Bossi se l’Istituto San Paolo di Torino ha assorbito i resti del glorioso Banco di Napoli, ad esempio, completando la colonizzazione piemontese iniziata all’indomani dell’unità d’Italia; per non parlare della vendita della centrale del latte o della chiusura della gloriosa vetreria Avir, della privatizzazione e della svendita dell’Aereoporto di Capodichino agli inglesi o della disoccupazione che aumenta di giorno in giorno. A Napoli privatizziamo l’acqua e si grida allo scandalo se si pensa di fare lo stesso con le spiagge, tra l’altro abbandonate e in condizioni pietose.


Qualche leghista ha parlato di Borbonia in contrapposizione con la Padania: la Borbonia non esiste non solo geograficamente ma soprattutto culturalmente, noi meridionali siamo i gloriosi popoli delle Due Sicilie e magari i nostri politici fossero più borbonici e più orgogliosi del nostro passato! Sicuramente avremmo una classe dirigente diversa, più dignitosa, fuori dalle logiche di partito e più attenta a certe esigenze, a certe attitudini, a certe predisposizioni radicate al Sud, proprio sull’esempio di quanto fecero i Borbone di Napoli.


Noi meridionali siamo stati fino al 1860 la ruota motrice del carro italiano in tutti i settori, da quello industriale a quello agricolo, da quello socio-economico a quello culturale: basta pensare solo alla grandezza di Pietrarsa, primo stabilimento metalmeccanico d’Italia con 1050 operai (l’Ansaldo di Genova negli stessi anni 480 operai, la Fiat non era ancora nata) o ai primi assegni della storia del sistema bancario, alla rendita dello stato quotata alla borsa di Parigi al 120 per cento o all’assenza totale di emigranti dalle nostre terre.


Ora siamo il rimorchio senza ruote del carro europeo, la cosiddetta palla al piede di un sistema economico italiano che ci ha sfruttati per 140 anni e continua a farlo senza avere né la capacità, forse, né la volontà di cambiare lo stato delle cose: possiamo ricordare puntualmente governi di destra o di sinistra pronti a “consigliare” ai nostri giovani l’emigrazione come unica soluzione possibile?


Ogni tanto un sussulto di finto orgoglio, un demagogico tentativo di smuovere le coscienze meridionali, ma siamo stufi di certi meridionali e soprattutto siamo stufi di certi meridionalisti. Senza anacronismi e senza nostalgia dovremmo essere più attenti a capire attraverso il passato chi siamo stati, chi siamo adesso e chi potremmo essere.


I Borbone fecero proprio questo: capirono i pregi e i difetti di una civiltà tre volte millenaria contestualizzandola nel loro tempo con una consapevolezza e un orgoglio diverso e fummo tra i primi d’Europa. Altro che “Borbonia” o “reti del Sud”. Gli intellettuali e i politici pronti a disprezzare la nostra storia sono gli stessi che da 140 anni non rappresentano in maniera adeguata e degna gli antichi popoli delle Due Sicilie.


Dopo tutto questo tempo, dopo le migliaia di pagine scritte (inutilmente) dai meridionalisti di ieri e di oggi, dopo gli interventi (inutili) delle Casse del Mezzogiorno (servite per finanziare le aziende del Nord) o delle leggi speciali di ieri e di oggi, avremmo il diritto di essere rappresentati da classi dirigenti finalmente fiere e radicate. Dopo tutti questi anni di colonizzazioni economiche e culturali, dopo i saccheggi del passato e del presente e la “deportazione” di milioni di meridionali che emigravano e continuano ad emigrare senza sosta, i “piemontesi” di oggi dovrebbero imparare a rispettare di più i “duosiciliani” di oggi. Solo così il Sud ritroverà la strada di un riscatto che aspetta da troppo tempo.


* segretario nazionale
del Movimento Neo Borbonico 
 
 




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