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Fonte:
https://www.rassegna.it/

2 Novembre 2004

Documento sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil e le Associazioni di rappresentanza dell’impresa

PROGETTO MEZZOGIORNO

I protagonisti dell’economia e del lavoro per lo sviluppo del Mezzogiorno

* Hanno contribuito ai lavori: Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), Ferrovie dello Stato, Sviluppo Italia.

1. GLI OBIETTIVI DEL PROGETTO

Questo documento vuole modificare, in termini innovativi, la logica sin qui seguita nell’impostare i programmi di intervento nel Mezzogiorno: intendiamo, infatti, partire dai punti di forza di cui il Sud è dotato per:

-elaborare proposte condivise dalle organizzazioni imprenditoriali e sindacali, anche al fine di contribuire alla definizione di impegni pubblici (dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali) compatibili con i vincoli di finanza pubblica;

-individuare gli strumenti e le modalità di intervento più adatti;

-suggerire gli interventi di contesto indispensabili;

-proporre i sei interventi chiave da realizzare nell’immediato;

-approfondire gli esempi di progettualità, le buone prassi, le priorità di intervento e il ruolo che ciascuna delle parti coinvolte può svolgere;

-promuovere il consolidamento del “capitale sociale”, ovvero delle relazioni tra i protagonisti dell’economia, come condizione per lo sviluppo economico.

-individuare interventi per garantire condizioni di sicurezza del territorio e dell’esercizio delle attività economiche;

-promuovere tutte le iniziative economiche e contrattuali che eliminino ogni fenomeno di concorrenza sleale e rafforzino il collegamento tra sostegni alle imprese e rispetto degli obblighi contributi e contrattuali.

-attuare politiche di sviluppo che contrastino il lavoro nero irregolare che nel Sud rappresenta un fenomeno molto diffuso, attraverso un rinnovato impegno nella elaborazione e nella definizione di idonee strategie.

Le risorse disponibili

Il presupposto da cui si intende partire è che le regioni meridionali, nonostante l’indubbio percorso di crescita conosciuto negli ultimi anni, sono ancora caratterizzate da un utilizzo insufficiente delle risorse più importanti:

·quelle naturali, ambientali e storico-culturali, che rappresentano potenziali fattori di attrazione di flussi turistici, di creazione d’impresa e di nuovi posti di lavoro, e, non da ultimo, di miglioramento della qualità della vita per la popolazione;

·le produzioni tipiche del territorio meridionale, prime fra tutte quelle dell’agricoltura, dell’industria agroalimentare e dell’artigianato, ancora poco presenti sui mercati nazionali ed internazionali: l’agricoltura meridionale rappresenta oltre il 40% della produzione agricola nazionale, ma il Mezzogiorno copre appena il 15% dell’export dell’industria alimentare;

·le risorse umane, caratterizzate da una rilevante presenza di profili professionali ad alto livello di scolarizzazione, ma anche da un tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa (46,2% nel 2003), ben lontano dagli obiettivi di Lisbona (70% nel 2010), interessate da una consistente emigrazione verso il Centro Nord (circa 70 mila unità all’anno, con una forte presenza di giovani scolarizzati) che sottrae capitale umano al territorio meridionale;

·una maggiore vitalità imprenditoriale (nel 2003 il saldo tra le nuove imprese e quelle cessate è pari al 2,3% delle imprese esistenti al Sud, rispetto all’ 1,8% nel Centro Nord), frenata tuttavia dal peso eccessivo dei costi e dei tempi amministrativi e dalle carenze della strumentazione di sostegno;

·il posizionamento strategico al centro del bacino del Mediterraneo, non valorizzato dalla insufficiente dotazione infrastrutturale e logistica;

·la crescita di una rete di relazioni cooperative tra attori pubblici, privati, associazionismo diffuso (231 Patti territoriali siglati, 11 contratti d’Area, oltre 130 PIT) che raramente si è tradotta in una reale partecipazione ai meccanismi decisionali;

·le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dalla società dell’informazione, potenzialmente in grado di annullare l’handicap della perifericità geografica, ma relativamente meno diffuse nel Mezzogiorno: se l’Italia investe appena l’1,11% del Pil nella ricerca, la percentuale scende allo 0,75% nel Mezzogiorno; accedono ad internet appena un quarto delle famiglie meridionali, un terzo di quelle del Centro Nord;

·la disponibilità nel territorio meridionale di aree da destinare a nuovi insediamenti produttivi, vantaggio localizzativo che viene limitato dai problemi burocratici, autorizzativi e gestionali, in particolare delle ASI.

2. GLI AMBITI DI INTERVENTO

E’ su queste risorse che il Mezzogiorno può e deve contare al fine di raggiungere quegli obiettivi di crescita della ricchezza, dell’occupazione, di sviluppo sostenibile che i protagonisti dell’economia (le Associazioni imprenditoriali e le Organizzazioni sindacali) ritengono non solo possibili ma al tempo stesso necessari per la crescita economica dell’intero Paese.

Tre sono le priorità strategiche che appaiono maggiormente in grado di utilizzare al meglio queste risorse per il raggiungimento degli obiettivi di crescita: il consolidamento di un tessuto imprenditoriale aperto alla innovazione e alla competizione; l’attrazione di nuovi investimenti nazionali ed esteri; la valorizzazione delle specificità produttive, culturali, ambientali del Mezzogiorno.

Una impresa competitiva

La principale priorità di intervento va individuata nel consolidamento di una industria manifatturiera e di un sistema dei servizi aperti ai valori della competizione e dell’innovazione a partire dalle proprie specificità produttive.

Una industria di qualità, radicata nel territorio, è condizione fondamentale per lo sviluppo duraturo del Mezzogiorno.

A fianco di una forte specificità territoriale in alcuni settori, prima di tutto nell’agroalimentare, l’industria meridionale risulta, infatti, penalizzata dalla forte incidenza di produzioni a basso livello tecnologico, sempre meno richieste dal mercato nazionale e internazionale. A ciò si aggiunge la prevalenza della dimensione d’impresa medio-piccola, accompagnata da una bassa remunerazione dei diversi fattori produttivi impiegati. L’altra faccia della forte natalità imprenditoriale, punto di forza indiscusso dell’industria meridionale, è infatti la difficoltà a crescere: non ci si può solo compiacere del fatto che tante imprese nascano nel Mezzogiorno, occorre che esse riescano a sopravvivere e a crescere. Sempre più diffusi sono stati infatti i fenomeni di crisi industriale, soprattutto nei comparti tradizionali.

Per di più, le piccole imprese del Mezzogiorno non hanno ancora attivato – se non in un limitato numero di casi - quei sistemi di rete o di distretto che consentono alle imprese di dimensioni similari del Centro Nord di ottenere significativi vantaggi di produttività ed “economie di agglomerazione”.

Un pacchetto di interventi per la competitività

L’obiettivo prioritario deve essere pertanto quello di puntare al consolidamento e al rafforzamento, quantitativo e qualitativo dell’impresa meridionale, con l’obiettivo dell’incremento di competitività delle industrie tradizionali, della nascita di nuove imprese nei settori a più alta tecnologia e del superamento dei fenomeni di crisi.

Le imprese del terziario, analogamente, vanno accompagnate verso gli obiettivi dell’innovazione e della competitività, che si perseguono con maggiore difficoltà a causa di pesanti vincoli esterni alle imprese.

Per fare questo, è necessario un pacchetto di interventi per favorire la crescita dimensionale media delle imprese meridionali, per la creazione di reti e distretti d’impresa (agroalimentare, hi tech, terziario, ecc), per la diffusione di consorzi per la ricerca e l’export, per favorire l’innovazione di prodotto, di processo e organizzativa, per il rafforzamento della sinergia tra imprese, Università e centri di eccellenza sul territorio, per la valorizzazione di brevetti, marchi, licenze e, in generale, dei contenuti protetti dalle norme sulla proprietà intellettuale in relazione alle singole specificità produttive meridionali.

Questi interventi devono essere contenuti in un provvedimento sulla competitività che accompagni la Legge finanziaria, per attivare nel breve periodo alcuni degli strumenti necessari, fra i quali:

·un premio fiscale per la crescita dimensionale delle imprese tramite processi di concentrazione, e la loro aggregazione;

·un credito d’imposta per i progetti di ricerca affidati dalle imprese alle Università ed ai Centri di ricerca e per l’innovazione diffusa.

·la deduzione fiscale delle spese sostenute dalle imprese per l’attività di promozione all’estero.

L’attrazione degli investimenti

Secondo gli ultimi dati disponibili (Fonte: banca Mondiale) i flussi di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in entrata in Italia in % del PIL hanno a malapena superato l’1%, confrontandosi con il 17,16% dell’Irlanda, il 3,06% della Spagna, il 2,76% della Francia. Questi dati sottolineano la necessità di dare corpo ad una robusta politica di attrazione di investimenti nazionali ed esteri nel Mezzogiorno, che abbiano funzione di volano rispetto al consolidamento del tessuto imprenditoriale meridionale e che offrano nuove opportunità occupazionali.

Tale politica va realizzata attraverso un quadro organico di interventi di sistema: le agevolazioni alle imprese, da sole, non sono infatti sufficienti ad assicurarne l’efficacia, se non si affiancano ad esse disponibilità di aree di insediamento, una fiscalità di vantaggio, procedure autorizzative rapide e semplificate, azioni di promozione e di scouting dei potenziali investitori, azioni di miglioramento del contesto insediativo.

A tal fine, è necessario avviare da subito il Piano di attrazione degli investimenti articolato in 4 tappe:

·definizione dell’offerta territoriale attraverso la mappatura dei fattori localizzativi per l’attrazione e la individuazione dei diversi sistemi territoriali e della loro posizione competitiva;

·marketing territoriale basato sull’analisi del mercato, sulla comunicazione e sulla promozione delle opportunità;

·individuazione dei potenziali investitori;

·formalizzazione dell’investimento attraverso il Contratto di localizzazione.

Rispetto all’obiettivo del consolidamento del tessuto imprenditoriale meridionale, Sviluppo Italia potrebbe rafforzare le azioni indirizzate alla valorizzazione e al sostegno delle reti imprenditoriali locali. Su obiettivi, strumenti e risultati di Sviluppo Italia le parti ritengono utile promuovere uno specifico confronto.

La valorizzazione delle risorse meridionali

Il deludente risultato dell’ultima stagione turistica si è concentrato sulle componenti più tradizionali, ma ancora maggioritarie, del turismo (il mare soprattutto), ma ha meno interessato le città d’arte e i turismi “nuovi”, legati alla fruizione dei beni culturali e ambientali, turismi che però rappresentano ancora una quota minoritaria del settore. Si tratta quindi di assecondare un riorientamento del settore in direzione delle preferenze già espresse dalla domanda, specie straniera.

L’obiettivo di fondo dovrà essere quello della destagionalizzazione dell’offerta e di un rafforzamento delle reti turistiche meridionali, migliorando gli accordi con tour operator internazionali e promuovendo l’immagine delle diverse regioni del Mezzogiorno.

Progettazione integrata e promozione turistica

A tale scopo occorre puntare su progetti integrati, come i Sistemi Turistici Locali, finalizzati al recupero e alla valorizzazione dei beni culturali, storici, ambientali, attraverso l’innalzamento degli standard qualitativi dell’offerta turistica complessiva, il potenziamento dell’infrastrutturazione a supporto, la creazione di itinerari di interesse turistico, tali da rendere più sinergiche le iniziative di comunicazione e le politiche di promozione, il rafforzamento di servizi per il tempo libero organizzati secondo schemi a rete, attrazione di grandi investimenti dall’estero.

Particolare importanza dovrà avere il coordinamento della politica turistica, superando la parcellizazione della promozione. È necessario perciò assicurare una sede di coordinamento della politica del turismo, da individuare a livello nazionale con tutti i soggetti istituzionali e socio economici interessati. Particolare rilievo dovrà assumere la realizzazione di un progetto di promozione e di sostegno alla commercializzazione, specificamente dedicato al Mezzogiorno.

Per il rilancio del settore turistico è fondamentale l’utilizzo della leva fiscale, con priorità per la riduzione dell’IVA sulle imprese turistico-alberghiere ai livelli medi europei, e per le misure atte a favorire il processo di crescita dimensionale delle imprese anche nel settore turistico. E’ opportuno inoltre prevedere misure premianti per le imprese che ottengono la certificazione di qualità secondo gli standard internazionali e promuovere una più ampia tutela, normativa e contrattuale in tutte le fasi del processo produttivo, del lavoro regolare per gli addetti del settore. Ma occorrono anche interventi che perseguano maggiore efficienza ad ogni livello della scala dimensionale d’impresa.

I centri urbani meridionali

Nell’ambito della creazione di una rete di interesse turistico potranno assumere grande importanza progetti di riqualificazione urbana, sia dei centri storici sia dei quartieri maggiormente degradati, promossi dalle Associazioni di rappresentanza, contenenti interventi di recupero urbano, di ottimizzazione della mobilità passeggeri e merci, di integrazione tra produzioni locali, commercio e turismo, di creazione di opportunità di investimento e di occupazione nel settore dei servizi, della cultura, del turismo, degli interventi a finalità sociale.

A tal fine, è opportuna la predisposizione di una legislazione mirata per la ristrutturazione urbana, una sorta di corsia preferenziale capace di garantire la certezza delle risorse e l’accelerazione procedurale necessaria, attraverso procedure e tempi vincolanti nei rapporti tra Comune, Provincia e Regione, nonché la partecipazione finanziaria dei privati.

3. I FATTORI DELLO SVILUPPO

Una politica di attrazione di investimenti nazionali ed esteri, così come una azione di consolidamento della base produttiva meridionale e di valorizzazione delle specificità e del patrimonio storico, culturale e ambientale del Mezzogiorno, devono poter contare su una serie di condizioni che ne facilitano, ne consentono e ne rendono possibile la realizzazione Tali condizioni possono essere individuate in:

·una fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno;

·la riforma degli incentivi;

·il completamento e l’adeguamento della dotazione infrastrutturale;

·un positivo rapporto tra banche ed imprese;

·una stretta cooperazione tra università, ricerca e innovazione d’impresa;

·il consolidamento di normali condizioni di esercizio dell’attività d’impresa, dal punto di vista della sicurezza, del funzionamento della giustizia civile, della semplificazione amministrativa;

·la disponibilità di risorse finanziarie adeguate.

La fiscalità di vantaggio

La tassazione del reddito d’impresa è una delle leve competitive che già altri Paesi dell’Unione Europea hanno sfruttato in passato e che i nuovi Stati membri si accingono ad utilizzare proprio al fine di attrarre investimenti sul proprio territorio. E’ noto il caso dell’Irlanda, che fissò nel 1980 l’imposta sulle società al 10% (poi elevata al 12,5%) portando in 20 anni il reddito pro capite al 125% di quella medio europeo: ma bassa tassazione sul reddito d’impresa possono vantare anche Cipro (10%), Lituania e Lettonia (15%), Ungheria (18%), Polonia (19%).

Anche al di fuori dell’Europa, sono stati ottenuti risultati importanti in termini di sviluppo anche grazie all’utilizzo della leva fiscale.

E’ necessaria pertanto una fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, al fine di costituire reali condizioni di attrattività fondate sulla totale automaticità e su procedure che minimizzino i rischi connessi a scelte discrezionali.

La revisione degli incentivi alle imprese

Una delle condizioni in grado di favorire il consolidamento dei processi di sviluppo e il rafforzamento dei livelli occupazionali è individuabile in una riforma degli incentivi alle imprese (in particolare della Legge 488/92) orientata alla semplificazione delle procedure, alla certezza dei tempi e alla promozione degli investimenti innovativi.

Un sistema di incentivazione, sia pure fortemente razionalizzato per evitare dispersione di risorse e fruibile da parte di tutti i settori economici ammissibili sulla base di una rigorosa valutazione di merito dei progetti di investimento, appare infatti necessario per lo sviluppo dell’economia meridionale perché:

·il miglioramento del contesto in cui si devono localizzare gli investimenti non è ancora avvenuto;

·rimane elevato anche il differenziale degli investimenti nell’area rispetto al resto del Paese, in conseguenza dei maggiori costi esistenti;

·le specifiche condizioni strutturali dell’economia meridionale influenzano significativamente il mercato del credito e dei capitali;

In particolare, le ipotesi di modifica della Legge 488 dovrebbero salvaguardare:

·l’operatività delle modifiche a partire dal 2005 senza soluzioni di continuità tra il regime attuale e il nuovo regime;

·la non retroattività delle modifiche;

·il mantenimento del finanziamento in conto capitale, che rimane nella gran parte dei paesi europei la modalità più diffusa di incentivare gli investimenti;

·una premialità per gli investimenti più innovativi e/o a più ampio impatto occupazionale

Si ritiene inoltre utile una verifica dell’efficacia di tutti gli strumenti di sostegno alle imprese, a partire da credito d’imposta e strumenti della programmazione negoziata, in un’ottica di riqualificazione e rilancio.

Le infrastrutture e la logistica

In base ai dati del Terzo Rapporto sulla coesione della Commissione Europea (2004), il Mezzogiorno presenta un indice di accessibilità potenziale di poco superiore al 50% della media dell’Unione a 27, sia a causa della posizione geografica che ne aumenta la perifericità, sia a causa del livello qualitativo delle infrastrutture. In particolare, l’indice sintetico delle dotazioni interportuali, fatto 100 il dato italiano, è pari a 5,8. Rispetto alle infrastrutture di trasporto, particolarmente deficitaria è la dotazione di linee ferroviarie elettrificate a doppio binario (50,5 contro 134,2 del Centro Nord).

E’ fondamentale perciò un intervento urgente per la realizzazione, il completamento e la modernizzazione del sistema infrastrutturale meridionale, a partire dalla settore della logistica, che utilizzi in forma realmente integrata le diverse fonti finanziarie a disposizione del Mezzogiorno.(risorse comunitarie, risorse nazionali aggiuntive, risorse ordinarie).

Le priorità

In questo ambito, è prioritaria l’accelerazione ed il completamento del programma di infrastrutture strategiche definite nell’elenco delle priorità infrastrutturali Europee della rete TEN (Trans European Network) e nazionali con particolare riferimento a:

·dorsali autostradali e ferroviarie tirrenica e adriatica, capaci di collegarsi al Corridoio V e, in prospettiva, al corridoio VIII e costituire un nuovo “Corridoio del Mediterraneo”; che guardi ai Paesi del Nord Africa;

·snodi portuali, interportuali ed aeroportuali per la logistica integrata;

·sviluppo delle Autostrade del Mare;

·sistemi integrati dei trasporti delle aree metropolitane meridionali;

·schemi idrici e reti energetiche

In particolare, è importante affrontare la questione idrica anche ai fini della sostenibilità ambientale e della tutela del territorio, facendo ricorso ad idonee forme consortili fra gli Enti Locali finalizzate alla attuazione del servizio idrico integrato.

Al fine di promuovere la rapida realizzazione di tali interventi prioritari, si ritiene opportuna una interpretazione più flessibile del Patto di Stabilità nel rispetto di principi condivisi e del ruolo delle Istituzioni Comunitarie, in modo da riservare, nel calcolo dei deficit nazionali, un trattamento più favorevole alle spese per investimenti nelle grandi infrastrutture di interesse europeo.

A fianco delle grandi reti di collegamento interregionale, per ciascuna regione meridionale (intendendo con esse tutte le regioni che usufruiscono della quota Mezzogiorno nel riparto delle risorse per le aree sottoutilizzate), possono essere individuate alcune priorità infrastrutturali

In particolare, per quanto riguarda le risorse nazionali aggiuntive stanziate annualmente dalla Legge Finanziaria (per la parte destinata alle opere pubbliche) esse vanno prevalentemente concentrate su quei settori che continuano a mostrare i principali indicatori di divario: le interruzioni del servizio idrico e della fornitura di energia elettrica, la raccolta ed il trattamento dei rifiuti, la qualità dei servizi di trasporto (aereo, ferroviario stradale e marittimo) e dei loro nodi di collegamento e scambio.

Lo sviluppo dell’intermodalità

Il vero handicap logistico del Mezzogiorno, sul piano infrastrutturale, è individuabile nell’intermodalità, sia nel numero degli interporti sia in tutte le principali caratteristiche operative (superfici, capacità di movimentazione e binari ferroviari); gli indici sintetici di dotazione di tutte le regioni meridionali non superano infatti il 10% della media nazionale.

Un programma interregionale di infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere perciò basato su logiche di rete e orientato ad una maggiore specializzazione delle strutture: in tale ambito è inoltre essenziale il rafforzamento delle strutture di servizio e di integrazione logistica, con priorità per i porti meridionali e l’intermodalità terrestre anche attraverso il potenziamento dei servizi di banda larga quale piattaforma di supporto.

In questa direzione, una grande opportunità è costituita dal progetto comunitario delle “Autostrade del Mare” inserito nel piano generale delle Reti TEN-T (Trans- European Network-Transport) e finanziato con ingenti risorse (1,8 Miliardi di € tra Fondi europei, prestiti BEI e cofinanziamenti nazionali).

A tale scopo, è necessaria la concentrazione delle limitate risorse finanziarie (del Fondo Aree Sottoutilizzate e dei Fondi strutturali) su un numero ristretto di interventi, essenziali alla loro integrazione logistica con le dorsali ed i corridoi intermodali tirrenico e adriatico, come i nodi di scambio e le tecnologie informatiche e operative.

Di grande rilevanza è, in questo ambito, l’approvazione della legge di riforma sui porti, attualmente in discussione in Parlamento, con l’obiettivo della messa in rete del sistema portuale nazionale con l’intermodalità terrestre, della definizione delle specializzazioni dei singoli porti e di un più deciso riordino dei servizi.

Il riordino delle ASI

Nell’ambito del completamento infrastrutturale, e col prioritario obiettivo dell’attrazione degli investimenti, è inoltre opportuno favorire una riorganizzazione del ruolo dei consorzi per lo sviluppo industriale attraverso:

a)la definizione di standard qualitativi comuni, che qualifichino in modo oggettivo il concetto di area “attrezzata”, anche a fini di attrazione degli investimenti e marketing territoriale;

b)una ridefinizione della governance che assuma, per la gestione delle aree, modelli di natura privatistica;

c)la disciplina del meccanismo della retrocessione dell’area, stabilendo un tempo massimo entro il quale l’investimento deve essere realizzato pena la revoca della concessione.

Le imprese e il credito

Il ruolo del sistema bancario, sia come fornitore di credito, sia come fornitore di servizi avanzati per le imprese (per l’internazionalizzazione, per il ricorso a forme di finanza innovativa) è fondamentale per lo sviluppo dell’economia meridionale soprattutto se si considerano gli incentivi, previsti anche da Basilea2, a migliorare da parte delle banche la misurazione e la gestione del rischio creditizio, per rendere in tal modo il mercato del credito più efficiente.

Questa azione può essere agevolata se si creano le condizioni di effettiva competitività delle imprese operanti nel meridione, intervenendo in tempi rapidi su quelle condizioni d’ambiente capaci di innescare davvero un circolo virtuoso che può poi portare all’approfondimento delle relazioni banca-impresa che pure già vi sono e sono diffuse.

Tra queste è altresì urgente adeguare il funzionamento dei principali Fondi di garanzia pubblici (Fondo Centrale di garanzia per le PMI, Fondo di garanzia per le imprese artigiane, Fondo Interbancario di garanzia) per renderli Basilea2 compliant.

Al miglioramento dell’efficienza allocativa degli intermediari corrisponderebbe il rafforzamento della struttura produttiva nelle regioni meridionali e dunque l’avvio su basi più solide del processo di sviluppo economico e finanziario nell’area.

Fare sistema nel Mezzogiorno significa anche rafforzare la collaborazione fra sistema bancario e sistema industriale, improntata ad una maggiore trasparenza reciproca e ad un rapporto che consideri la banca una “impresa tra le imprese”.

Le modiche del contesto ambientale - individuate in precedenza e tendenti a ridurre nelle regioni meridionali il grado di rischio, i tempi delle procedure di recupero crediti, la frammentazione dei rapporti creditizi - e una maggiore trasparenza reciproca sono le condizioni per pervenire alla diffusione di forme di finanza innovativa (venture capital), al consolidamento di condizioni più sostenibili di indebitamento (passando dal credito a breve a quello a medio-lungo termine), anche attraverso i consorzi fidi e l’utilizzo del fondo di garanzia, al rafforzamento patrimoniale.

In sintesi, sono le condizioni per indirizzare le imprese del Mezzogiorno verso forme alternative di finanziamento, preferibilmente a titolo di rischio, e renderne progressivamente meno fragile e più articolata la struttura finanziaria, che ancora oggi insiste stabilmente sulle banche, data la marginalità dei canali mobiliari e finanziari alternativi al credito bancario.

Questo tuttavia è un problema di carattere nazionale che richiama alcune caratteristiche di fondo della struttura finanziaria italiana.

Infine, un approccio di sistema deve riguardare anche le Organizzazioni di rappresentanza degli interessi, portando alla individuazione di punti di vista comuni sul migliore funzionamento degli strumenti di politica di sviluppo: riforma degli incentivi, prestiti agevolati, fondi di garanzia.

Promuovere centri universitari di eccellenza

Al fine di intervenire in maniera duratura sul modello di specializzazione produttiva meridionale, più debole nei settori ad elevato contenuto di innovazione, è fondamentale l’obiettivo di costruire un sistema integrato a rete, all’interno del quale le imprese, soprattutto quelle piccole e medie – associate o consorziate in relazione a comuni obiettivi di innovazione – possano trovare principalmente nelle università meridionali le risorse immateriali indispensabili per innovare prodotti, processi e organizzazione, e conquistare competitività.

A tale scopo, è fondamentale la valorizzazione e la messa in rete dei centri di eccellenza del sistema universitario e scientifico meridionale, al fine di promuovere le relazioni Scienza-Tecnologia-Territorio-Mercato, e di collegare l’innovazione alla valorizzazione delle risorse presenti nel territorio e alle sue specificità. Un utile stimolo alla collaborazione tra imprese, Università e Centri di ricerca può venire dalla introduzione di un credito d’imposta automatico pari al 50% delle commesse di ricerca dalle imprese alle università e ai centri pubblici e privati di ricerca.

Un piano per la ricerca e l’innovazione

A fianco degli interventi di medio periodo rivolti al consolidamento dei centri di eccellenza universitari meridionali, è necessario da subito avviare un piano nazionale per la promozione di investimenti pubblici e privati nel settore della ricerca.

L’obiettivo del piano è quello di raggiungere la massa critica necessaria per essere competitivi a livello nazionale ed internazionale (una strada può essere offerta dai Centri di Eccellenza creati in Campania, e dai Centri di eccellenza tecnologica, previsti per tutte le Regioni del Mezzogiorno nel Piano Operativo Nazionale 2002-2006 del Miur ed ancora da avviare) . Il piano dovrebbe essere così articolato:

- credito d’imposta pari al 10% delle spese totali di ricerca ed innovazione digitale per un periodo di 10 anni;

- eliminazione del costo del personale delle imprese addetto alla ricerca dalla base imponibile IRAP;

- scelta di 10 programmi strategici per il paese finanziati con contributi pubblici, di cui una parte significativa da localizzare nel Mezzogiorno;

- fiscalizzazione degli oneri sociali per gli addetti alla ricerca per le imprese in start-up;

- miglioramento del sistema pubblico di ricerca.

Appare inoltre opportuno adottare specifiche iniziative a sostegno delle piccole e medie imprese che si consorziano per realizzare progetti di ricerca, per l’introduzione delle nuove tecnologie e per la formazione alle nuove professionalità, riprendendo e rafforzando le Strategie regionali per l’Innovazione promosse dal Quadro Comunitario di Sostegno dei fondi strutturali europei per l’Obiettivo 1 2000-2006.

Al fine della piena valorizzazione di una delle principali risorse del Mezzogiorno, ovvero il capitale umano, è infine opportuno un più ampio rafforzamento dei processi formativi e di sviluppo delle competenze, anche attraverso una più ampia diffusione dei fondi interprofessionali per la formazione continua.

E’ opportuno inoltre il finanziamento di un progetto di tirocinio in conto credito formativo presso le aziende di tutti gli studenti delle ultime due classi degli istituti professionali e di scuola media superiore.

Gli strumenti operativi non mancano, ad esempio le misure previste nel Piano Operativo Nazionale e nei Piani Operativi Regionali. Utili anche i distretti tecnologici, anche se bisogna evitare il rischio di una loro proliferazione in assenza delle masse critiche di ricerca indispensabili per la loro nascita.

Le altre condizioni di contesto

Alcuni interventi sulle condizioni di contesto con le quali l’impresa meridionale è chiamata ad operare sono fondamentali per lo sviluppo:

- il miglioramento delle condizioni di sicurezza del territorio meridionale, sia per quanto riguarda le aree industriali e le attività d’impresa, sia per le zone turistiche, le aree urbane e rurali, anche attraverso un migliore utilizzo delle risorse dei fondi strutturali dedicate a questo scopo;

- il consolidamento di normali condizioni di esercizio dell’attività d’impresa, dal punto di vista del funzionamento della giustizia civile e delle procedure concorsuali, del lavoro regolare, della cultura della legalità, del contrasto delle frodi e della criminalità, anche con il contributo delle organizzazioni economiche e sociali;

- la semplificazione amministrativa, attraverso un più ampio ricorso all’autocertificazione (con la cosiddetta Dichiarazione di Inizio Attività), all’autoregolazione dell’attività d’impresa, e un rafforzamento dell’operatività degli sportelli unici, con l’approvazione tempestiva del disegno di legge recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri;

-Il contrasto all’economia e al lavoro sommersi, attraverso un rinnovato impegno nella elaborazione e nella definizione di idonee strategie, rafforzato da un clima di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti in tale processo, per dare risposta a fondamentali motivazioni di natura etica (legate alla dignità del lavoro), economica (per limitare i fenomeni di concorrenza sleale) e finanziaria (al fine di incrementare il gettito fiscale).

4. LE RISORSE FINANZIARIE

La Legge Finanziaria per il 2005

Per la concreta attuazione degli interventi definiti, è necessario assicurare la continuità, la disponibilità e soprattutto la certezza di un flusso di risorse pubbliche adeguato al raggiungimento degli obiettivi (di sviluppo, di crescita occupazionale, di incremento della spesa per investimenti, definiti anche nel recente DPEF e negli impegni assunti con la Commissione Europea).

Da questo punto di vista, la Finanziaria appena varata, presenta rilevanti elementi di criticità, a causa della introduzione di un tetto alla spesa per investimenti nelle aree sottoutilizzate (6.550 Milioni di € per il 2005, di cui 1.750 per gli incentivi), che rischia di limitare fortemente il percorso di crescita delineato, e dello spostamento in avanti nel tempo dell’utilizzo delle risorse e, conseguentemente, del raggiungimento degli obiettivi programmatici. Lo stesso rifinanziamento del Fondo, che pure è in linea con quello degli anni precedenti (8 Miliardi di €), è infatti collocato quasi interamente alla fine del triennio (7.800 Milioni di € nel 2007).

I Fondi strutturali europei

Accanto alle risorse nazionali, priorità assoluta assumono le risorse dei fondi strutturali europei, sotto il duplice profilo dell’utilizzo efficace delle attuali risorse del QCS Obiettivo 1 (che ha a disposizione 50 Miliardi di € tra Fondi strutturali e cofinanziamento nazionale per il periodo 2000-2006) e della preparazione del periodo di programmazione 2007-2013.

Anche se si sono registrati apprezzabili miglioramenti nella capacità di spesa dei fondi strutturali comunitari (a marzo 2004 la percentuale di spesa è pari al 25,1%), la cosiddetta “verifica di metà percorso” del QCS ob.1 ha riproposto alcuni tradizionali ritardi nella qualità degli interventi e nella loro adeguatezza rispetto agli obiettivi di crescita, in buona parte dovuti all’allentamento dei legami della programmazione con il territorio e il partenariato che il territorio esprime.

La programmazione dei fondi strutturali deve dunque tornare ad essere, nel prossimo biennio, terreno di confronto politico, economico ed istituzionale, con il fine ultimo di migliorare la qualità degli interventi e l’impatto sui principali indicatori di divario: condizione essenziale ne dovrà essere il coinvolgimento delle parti economiche e sociali.

Nel 2005 prende inoltre il via il negoziato sulle proposte di regolamento per i nuovi fondi strutturali post 2006 e sulle prossime “prospettive” finanziarie dell’UE. Per quanto riguarda il Mezzogiorno in particolare, la programmazione dei fondi per il periodo 2007-2013 dovrà tenere conto, fra le altre, delle seguenti priorità:

·rafforzamento della priorità per le regioni Obiettivo 1 in ritardo di sviluppo, dei vecchi come dei nuovi Stati membri, mantenendo fermo il parametro del PIL pro capite perché è quello in grado di tutelare meglio le regioni meridionali anche dopo l’allargamento;

·priorità, nell’ambito delle regioni in ritardo, per gli interventi rivolti all’innalzamento della competitività europea ed al conseguimento degli Obiettivi di Lisbona e Goteborg: grandi reti europee di comunicazione, sostegno a ricerca ed innovazione tecnologica, società dell’informazione;

·sostegno transitorio rafforzato per quelle regioni che dovessero uscire dall’Obiettivo 1;

·tutela delle regioni e zone interessate da handicap strutturali connessi con l’insularità, la montagna e la scarsa densità della popolazione;

·maggiore peso dell’indicatore di prosperità regionale rispetto a quello di prosperità nazionale nella ripartizione pro capite delle risorse per l’ob. 1.Per quanto riguarda le nuove prospettive finanziarie e il futuro bilancio dell’Unione, è opportuno che l’Italia confermi il proprio orientamento favorevole ad un tetto per le risorse proprie pari all’1,24% del PNL, in quanto tale soglia appare quella meglio in grado di tutelare le esigenze di rigore di bilancio con quelle dell’intervento nelle regioni più svantaggiate, dei nuovi come dei vecchi Stati membri.

5. LE PRIORITA’ DI AZIONE NEL BREVE PERIODO

Alcune azioni possono essere avviate già nell’immediato, al fine di costruire da Sud il clima di fiducia capace di far ripartire l’economia e la società italiana.

I sei interventi chiave per il rilancio del Mezzogiorno, da attivare nel breve periodo, a partire dal collegato alla Finanziaria, sono:

1)introduzione di una fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno; le parti firmatarie invitano il Governo ad aprire nel più breve tempo possibile il confronto con la Commissione Europea;

2)semplificazione amministrativa per l’attività d’impresa: tutti gli atti amministrativi necessari per l’esercizio di attività economiche possono essere sostituiti con una Dichiarazione di Inizio Attività (DIA) e con autocertificazione dei requisiti necessari. Sono fatte salve le norme a tutela di rilevanti interessi nazionali, quelle relative all’urbanistica e all’ambiente e quelle concernenti strumenti di programmazione di settore;

3)pacchetto di interventi sul turismo contenente: riduzione dell’IVA ai livelli medi europei sulle imprese turistiche; coordinamento della politica del turismo, che potrebbe essere assicurato dall’Istituzione di una sede di coordinamento di livello nazionale per l’indirizzo delle politiche di settore, facendo naturalmente salve le prerogative delle Regioni in materia; realizzazione di un progetto di promozione turistica mirata del Mezzogiorno;

4)accelerazione procedurale per gli interventi di ristrutturazione urbana: formulazione di una legislazione mirata per le città, con l’obiettivo di semplificare le procedure e fissare tempi certi nei rapporti tra le Istituzioni coinvolte. Creazione di un fondo pilota per la ristrutturazione urbana, con una quota di interventi destinata al Sud;

5)pacchetto di interventi per favorire la ricerca l’innovazione e la collaborazione tra imprese e centri di eccellenza universitari::

·credito d’imposta pari al 10% delle spese totali di ricerca ed innovazione digitale per un periodo di 10 anni;

·eliminazione del costo del personale delle imprese addetto alla ricerca dalla base imponibile IRAP;

·fiscalizzazione degli oneri sociali per gli addetti alla ricerca per le imprese in start-up;

·stimolo alla collaborazione tra imprese, Università e Centri di ricerca attraverso l’introduzione di un credito d’imposta per le commesse di ricerca affidate dalle imprese alle università;

6)promozione delle produzioni e dei servizi del Mezzogiorno attraverso una deduzione fiscale delle spese sostenute dalle imprese meridionali per attività di promozione all’estero, sul modello delle spese di pubblicità.

6. RILANCIARE LA CONCERTAZIONE

Condizione essenziale per il rilancio del Mezzogiorno deve essere la ripresa e il consolidamento del principio della concertazione, vale a dire che ciascun soggetto interessato, all’interno di regole chiare e condivise, deve fare la sua parte per contribuire all’attuazione delle azioni delineate. In particolare:

-le imprese dei diversi settori produttivi si impegnano a cogliere tutte le opportunità di investimento che verranno determinate dall’azione congiunta;

-le organizzazioni di rappresentanza (delle imprese e dei lavoratori) promuovono la crescita della cultura dello sviluppo concertato e si impegnano ad affrontare, attraverso la concertazione, le scelte strategiche di priorità, di localizzazione e di attuazione dei progetti di sviluppo e di valorizzazione del lavoro;

-le amministrazioni pubbliche (centrali, regionali e locali) potranno favorire la piena attuazione del progetto, rendendo possibili o migliorando le condizioni di contesto delineate.

Al fine della implementazione del proprio impegno per il Mezzogiorno, le organizzazioni firmatarie della presente intesa promuovono l’adozione del metodo concertativo anche a livello decentrato, attraverso accordi tra le parti sociali e con le Amministrazioni regionali e locali.

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Fonte:
https://www.cgil.it/

La concertazione ha fallito – per il Mezzogiorno 

occorre programmazione e  certezza di nuova occupazione


Il  “Progetto Mezzogiorno” sottoscritto il 2 novembre 2004 tra le rappresentanze imprenditoriali e i le segreterie confederali di Cgil Cisl Uil, muove da una intenzione certamente  positiva, ovvero di affrontare la mai risolta “questione meridionale” che oggi a fronte della crisi economica e produttiva si fa sempre più grave. Anche perché c’è un governo sordo ad ogni proposta, non  solo proveniente dal fronte sindacale, ma anche da quello imprenditoriale. Ad una lettura analitica le proposte contenute nel documento appaiono non solo insufficienti, ma anche prive di reali sbocchi concreti, sia sul terreno della programmazione degli interventi, che nella individuazione degli sbocchi occupazionali.


 

Sicurezza e agibilità democratica nel Mezzogiorno


Nella prima parte del “Progetto” si affronta giustamente il problema dell’assenza di una politica governativa di intervento organico per il Mezzogiorno. E’ dunque pienamente condivisibile la necessità di ricondurre la politica di intervento nel Sud ad un progetto coordinato tra istituzioni nazionali, istituzioni locali e parti sociali.  Tra le emergenze che vanno affrontate in modo deciso c’è certamente quella della sicurezza, senza la quale non può svilupparsi un sano tessuto economico e produttivo. Ma la sicurezza non può essere affrancata da una politica più ampia, che riguarda oggi non solo la lotta alla criminalità mafiosa, ma anche il contrasto ad una concezione che continua a separare il contesto produttivo da quello sociale.  Non solo va garantita l’agibilità imprenditoriale - fuori dai ricatti e controlli mafiosi - ma va garantita “l’agibilità democratica” che oggi è sempre più negata a gran parte dei cittadini, delle lavoratrici e dei lavoratori. In questo senso l’impresa non può essere avulsa dai processi sociali e dal sentirsi compartecipe anche del tessuto sociale democratico rispettando innanzitutto i diritti dei propri lavoratori.


 

Declino industriale e crisi della piccola impresa


Gli obiettivi prioritari indicati dal Progetto Mezzogiorno sono il consolidamento del tessuto imprenditoriale, la competizione, l’immissione di nuovi capitali di investimento nazionali ed esteri, la valorizzazione dei prodotti e specificità locali. Molto spazio è dedicato al tema caro alla nuova presidenza confindustriale, quello della competitività. In sé, ogni impresa che è sul  mercato  è  fisiologico che debba essere competitiva, ci pare dunque quasi banale questo continuo richiamo alla “competitività”. Il problema della gran parte delle imprese del Mezzogiorno non è nella competitività, ma nel tessuto produttivo che ha caratterizzato lo sviluppo dell’imprenditoria italiana e in particolare di quella del Mezzogiorno. Parliamo delle piccole e piccolissime imprese che rappresentano la maggioranza assoluta delle imprese nel nostro Paese. Il modello dell’impresa familiare è ormai in declino, tant’è che anche il Nord Est che su quel modello ha fatto negli anni ’80 ’90 le sue fortune è oggi fortemente in crisi.


 

La responsabilità delle imprese della rottura  con la Cgil


Non è perciò pensabile un rilancio produttivo dell’impresa meridionale avulso da un grande progetto di rilancio complessivo della politica industriale italiana. Il declino – di cui Montezemolo non vuol sentir parlare – è purtroppo evidente e presente da anni. E quel declino non nasce casualmente, ma è in gran parte frutto di una politica che ha visto in prima fila la Confindustria – in particolare nel periodo della presidenza D’Amato e del Direttore Generale Parisi. Tale periodo fu caratterizzato dalla sistematica  politica di isolamento della Cgil, cercando di spaccare i sindacati confederali, sopratutto nei tavoli negoziali delle vertenze contrattuali come quella dei metalmeccanici. L’Assemblea di Parma fu la consacrazione di quella politica di Confindustria che non vide allora nessuna opposizione nel fronte imprenditoriale degna di nota. Si apriva allora la stagione di scontro frontale tra Confindustria e  Cgil, scontro coadiuvato dal nuovo governo Berlusconi che mise subito in cantiere il  “Libro bianco” e il “Patto per l’Italia”, documenti che trovarono allora il pieno sostegno della Cisl e della Uil. Soltanto dopo il XIV Congresso della Cgil e la decisione di chiamare alla grande manifestazione del 23 marzo si bloccò il processo di messa in mora della Cgil. Con quella grandiosa manifestazione fu riaperta ai lavoratori e ai cittadini la speranza che fosse possibile contrastare quelle politiche volute dal governo del Polo e dai suoi sostenitori Confindustriali.


 

Il decennio concertativo e l’impoverimento dei lavoratori


Sono passati soltanto tre anni dalla manifestazione del 23 marzo, eppure sembra che alcuni abbiano dimenticato le colpe che hanno investito direttamente il mondo imprenditoriale italiano nella sciagurata politica di “assalto frontale” ai diritti dei lavoratori. Non è bastato alle imprese aver goduto di  accordi, come quelli del luglio ’92 e ’93, che hanno prodotto grandi benefici alle aziende sul fronte della drastica riduzione degli oneri, in particolare di quelli sul costo del lavoro, accordi che hanno impoverito progressivamente i lavoratori, i quali  hanno visto perdere costantemente il potere di acquisto dei loro salari. Dal 1993 al 2003  4 punti di Pil, (50 miliardi di euro) sono stati travasati dal lavoro dipendente ai redditi d'impresa. Dal 1993 al 2003 il Pil è aumentato del 61% ma i redditi dei lavoratori dipendenti sono aumentati solo del 35%, mentre i redditi da capitale sono aumentati dell'87%. In 10 anni la quota dei redditi da lavoro dipendente è passata dal 45,8% al 41,8%, mentre la quota dei redditi da capitale (al netto dei redditi da lavoro autonomo) è passata dal 23,8% al 27,6%.


Sottoscrivere oggi questo documento sul Mezzogiorno significa rimettere in discussione quanto affermato negli ultimi due anni, significa dimenticare la lotta per la difesa dell’articolo 18 e l’impegno assunto nei Direttivi della Cgil e nei documenti approvati, di lottare per l’abrogazione di tutte le normative antilavoristiche messe in campo dal governo con il sostegno delle imprese. La nuova Presidenza Montezemolo in Confindustria - al di la del linguaggio più aperto al confronto - non sembra nei contenuti affermare alcuna svolta di rilievo. Anzi ripropone la concertazione come “gabbia” in cui costringere i sindacati ad accettare, in nome della competitività e dell’innovazione, proprio quelle flessibilità (contrattuali e nei diritti) che sono state i cavalli di battaglia di sempre di una Confindustria, che mai ha fatto il “mea culpa” sulle sue responsabilità oggettive nell’aver portato al disastro attuale l’economia italiana.


 

E’ necessaria la redistribuzione dal capitale al lavoro


La cosiddetta politica “due tempi”, che Montezemolo vorrebbe rilanciare col consenso sindacale, ha sempre favorito le imprese a scapito del lavoro. L’accordo del ’93 ha legato i salari all’inflazione programmata, facendo perdere costantemente potere d’acquisto. Nel contempo non sono mai state avviate le clausole previste nell’accordo di riallineamento all’inflazione reale. Nonostante vi siano stati per le imprese anche anni di “vacche grasse”, non è mai avvenuta la “seconda fase” per chi ha prodotto quella ricchezza con il proprio lavoro.


Appare perciò evidente l’inconsistenza programmatica del “Progetto Mezzogiorno”  che prosegue nella politica di intervento a favore delle esigenze produttive, di competizione e di mercato senza porre vincoli in favore della redistribuzione reddituale per i  lavoratori.


 

Difendere il contratto nazionale e i diritti dei lavoratori anche nelle piccole imprese


Occorre perciò che una seria politica di rilancio produttivo del Mezzogiorno avvenga oggi - a fronte del fallimento della politica dei redditi sancita dall’accordo del ’93 su altre e più solide basi, in favore dei diritti,  in primo luogo di quelli sanciti dai contratti nazionali di categoria e poi con una politica di contrattazione aziendale in cui sia non solo riconosciuto, ma pienamente esercitato il diritto alla contrattazione aziendale. Contrattazione che oggi avviene solo parzialmente nelle zone a forte insediamento produttivo e che vede una totale assenza della presenza sindacale, osteggiata dal padronato, nei territori in cui il tessuto produttivo è costituito da piccole imprese e microimprese nelle quali vige un controllo assoluto del padronato, che dispone a proprio piacimento gli incentivi economici, ma sopratutto nega quei diritti sindacali e quelle tutele che devono essere uguali per tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori al di là delle dimensioni dell’impresa in cui si lavora.


 

Non contrattare la flessibilità e abrogare la legge 30/03


Sinora le imprese anche nel Mezzogiorno hanno chiesto incentivi da parte delle istituzioni e  una maggiore “flessibilita” della manodopera, questo con l’avallo da parte dei sindacati. In questi ultimi anni, dal varo della legge 196/97- più nota come  “Pacchetto Treu” - sino a giungere alla legge Biagi 30/03, si è aperta sul fronte della “flessibilità” una voragine che ha inghiottito anni di conquiste dei lavoratori. Le imprese hanno ora mano libera sulla gestione di tutte le forme possibile di lavoro precario e subordinato: dal lavoro interinale formalizzato dalla legge 196/97, sino al lavoro a chiamata e alla reintroduzione dell’apprendistato voluta dalla legge 30/03.


E’ su questo versante che il documento mostra tutta la sua inconsistenza, piegandosi ad una logica produttivistica, che non offre alcuno spazio al ruolo contrattuale del sindacato, tutto ripiegato su una politica di rilancio produttivo e di competitività. E’ questa una politica  che già limita fortemente l’azione sindacale nelle zone sviluppate del paese, pensiamo a quali effetti avrebbe se applicata nel Mezzogiorno, dove la flessibilità  è da sempre una costante del “modello sud”. Rimane quindi oggi imprescindibile per il sindacato - sopratutto nel Mezzogiorno - la richiesta di abrogazione delle normative che hanno introdotto le forme più aberranti di precarizzazione del lavoro, tra cui il “lavoro a chiamata”. Va inoltre ribadito che i sindacati, in coerenza con la richiesta di abrogazione, non devono contrattare nessuna forma di precarietà introdotta da queste leggi.

 


Quale e quanta  crescita occupazionale vogliamo


E’ inoltre singolare che nel quadro complessivo del “Progetto Mezzogiorno” non siano indicati gli obiettivi di crescita occupazionale. Quale obiettivo di nuova occupazione si pongono oggi imprese e sindacati? I dati istat del terzo trimestre 2004, relativi alla forza lavoro, indicano una crescita complessiva dello 0,1% che nonostante l’Istat affermi essere occupazione stabile è più verosimile assimilarla a quel  lavoro precario di cui abbiamo detto sopra. Così come non sono veritieri i dati che registrano addirittura un calo del 0,3% del  tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno. La verità è che nel Mezzogiorno è ripresa da un lato l’emigrazione verso il nord e verso l’estero e dall’altro, che non c’è un sistema di rilevazione adeguato della domanda di lavoro che non compare nelle sedi ufficiali. Pensiamo alla manodopera straniera che lavora nel Mezzogiorno e che non appare nelle statistiche ufficiali. Anche quello è lavoro precario, in gran parte stagionale e giornaliero, che arricchisce le imprese del Mezzogiorno, sopratutto nel settore agricolo e dell’edilizia, ma che non trova visibilità nelle statistiche ufficiali.  Sono tre milioni e mezzo i lavoratori in nero in Italia pari al 16% del Pil prodotto, di questi il 23% si trova nel Sud del paese.  Vanno fissati degli obiettivi annuali e triennali per la crescita di occupazione stabile e qualificata nel Mezzogiorno. Attualmente la disoccupazione nel Mezzogiorno è pari secondo l’Istat al 13,6% a fronte del 7,4% della media nazionale. Un impegno concreto da chiedere alle imprese deve essere quello di portare la disoccupazione al riallineamento con quella nazionale entro tre anni. Ma di queste richieste non c’è alcuna traccia nel Progetto Mezzogiorno.

 


Lotta all’evasione fiscale e contributiva e responsabilità etica delle imprese


E qui si apre un altro capitolo che sfugge totalmente al documento sul Mezzogiorno, la questione delle imprese che sono fuori da ogni controllo evadendo il fisco e i contributi previdenziali dei lavoratori. I dati dell’Agenzia delle Entrate affermano che c’è una evasione fiscale di 200 miliardi di Euro l’anno, pari al 7% del Pil. E’ su questi indicatori che dobbiamo chiedere alle imprese coerenza con quanto richiedono. Se è vero che occorrono politiche di sostegno, non assistenziale, è anche vero che il sostegno deve essere offerto soltanto a chi investe e produce nel rispetto delle normative fiscali, previdenziali e contrattuali che regolano il sistema impresa in ogni paese civile. Occorre una responsabilità non solo contabile, ma anche etica del sistema impresa. Anche qui il documento è fortemente lacunoso perché non pone rispetto alla richieste rivolte alle istituzioni alcun vincolo di coerenza alle imprese. Andrebbe invece detto chiaramente che ogni forma di sostegno è vincolata al rispetto non solo del Codice penale e civile, ma anche delle normative in materia di normative fiscali e previdenziali.  Non è più lecito rilasciare delle cambiali in bianco alle imprese, occorrono regole e vincoli certi per tutti.


 

No ad ogni rilancio della concertazione


La parte finale del documento rilancia il ruolo della concertazione come asse strategico della nuova politica in favore del Mezzogiorno. Come sappiamo il periodo che va dal ’92 al 2001 è stato caratterizzato dalla concertazione triangolare tra governo, imprese e sindacati. Quella politica - come ampiamente dimostrato dai dati - ha portato all’impoverimento dei lavoratori e dei pensionati e allo sviluppo di ampie sacche di privilegio e di speculazione nel settore industriale, che oltre a godere di accordi che hanno arricchito le imprese queste hanno anche fatto un uso  spregiudicato della speculazione finanziaria, quella speculazione che ha contribuito alla nascita di fenomeni come quelli della Cirio e della Parmalat a danno dei lavoratori e dei risparmiatori. Non è possibile perciò perseverare in questa politica che  chiede sacrifici immediati e promette futuri miglioramenti retributivi che non si realizzano mai. Su questo punto chiediamo coerenza anche internamente alla Cgil a quanti hanno dichiarato chiusa la fase della concertazione, salvo poi  sottoscrivere documenti e protocolli che rilanciano questo inconcludente e dannoso strumento.

 


La programmazione e l’intervento pubblico per il rilancio del Mezzogiorno


E’ oggi invece necessaria una seria politica di programmazione che da un lato  riporti i settori strategici dell’economia  in mano al controllo pubblico (energia, trasporti, telefonia, banche) e dall’altro aiuti con incentivi mirati le aree meno sviluppate del Paese. Occorre una programmazione articolata proprio a partire dal Sud, dove più impellente si fa il ruolo di indirizzo e di controllo democratico delle istituzioni, sia a livello centrale che decentrate. Per una svolta nelle politiche industriali del Mezzogiorno bisogna dare risposte che non si possono demandare al “mercato” o a generiche politiche di sostegno fiscale e finanziario. Soltanto una seria programmazione può rilanciare il ruolo del Mezzogiorno, ma per realizzarla non occorrono né nuovi “patti sociali” né una nuova concertazione. Occorre che ogni soggetto assuma le proprie responsabilità nel contesto di riferimento. In tal senso le imprese devono garantire   accanto allo sviluppo produttivo lo sviluppo occupazionale,  il rispetto dei diritti e delle tutele sindacali, una impegno per la lotta all’evasione fiscale e contributiva.


 

Il sindacato deve chiedere un nuovo quadro politico


Sul versante delle istituzioni occorre un nuovo quadro politico che faccia della programmazione il proprio riferimento strategico, e certo questo non può essere garantito dall’attuale governo. In  tal senso è fondamentale un impegno per giungere ad un nuovo quadro politico istituzionale, prima della scadenza del 2006.  Su questo aspetto fondamentale, il movimento sindacale non può rimanere prigioniero di un falso  autonomismo, che si traduce nei fatti in immobilismo. Le normative dell’attuale governo dal 2001 ad oggi hanno stravolto  con provvedimenti con forti connotazioni autoritarie e reazionarie tutti gli ambiti: lavoro, pensioni, emigrazione, scuola, informazione, magistratura, costituzione. E’ quindi necessario che il movimento sindacale scenda in piazza con le forze politiche di opposizione e con tutti i movimenti democratici della società civile per sostenere i diritti costituzionali, oggi messi in pericolo dalla proposta di controriforma costituzionale, che se approvata definitivamente minerebbe alla base i valori democratici e antifascisti della Costituzione Italiana.


 Occorre un nuovo quadro di governo che rispetti le regole democratiche, a partire dai valori della Prima parte della Costituzione Italiana. Un governo  aperto al confronto con le parti sociali, che sappia svolgere un ruolo di mediazione e di autonoma progettualità. Si avverte inoltre su questo aspetto la necessità di un confronto con la nuova Grande Alleanza Democratica, al fine di trovare una intesa sulle questioni programmatiche prioritarie che dovranno essere alla base del nuovo programma di governo, e tra queste è fondamentale la questione del Mezzogiorno.


 


Il ruolo del sindacato


Il sindacato in questo difficile contesto deve perciò continuare a svolgere il proprio ruolo  di tutela degli interessi collettivi, dei lavoratori dei disoccupati e dei pensionati.  Se ogni soggetto, secondo le proprie specificità, contribuirà alla costruzione di un nuovo modello di programmazione economica e sociale, potremo proseguire con la convinzione che si possa aprire, anche per il Mezzogiorno, una nuova stagione di crescita economica e democratica, di prosperità e stabilità. E’ su questo versante che auspichiamo si indirizzi la Conferenza dei quadri di Cgil Cisl Uil  sul Mezzogiorno che si terrà il  20 gennaio a Roma.


Ferrucio Danini  Direttivo Nazionale Cgil
Carlo Baldini   Direttivo Nazionale Cgil
Bruno Pierozzi   Direttivo nazionale Spi Cgil






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