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Fonte:
https://www.larticolo.it/ - Mercoledì, 04 Maggio

Promemoria per la prossima riunione

 di Isaia Sales

L’enfasi è spesso in agguato nel commentare i momenti topici della vita politica italiana. Per quanto la sobrietà sia da preferire all’enfasi devo ammettere che nella riunione di ieri dei Presidenti delle Regioni meridionali si respirava un’aria da “evento”; un evento con cui la politica italiana dovrà misurarsi nel prossimo futuro. Cinque anni fa, ad Eboli, si riunirono i candidati Presidenti delle Regioni meridionali appartenenti al centrosinistra. Ieri a Napoli si sono invece riuniti tutti i Presidenti, compresi quelli della Sicilia e del Molise dove non si è votato e dove restano in carica coalizioni di centrodestra.


Il documento che fu approvato cinque anni fa era intitolato “Per un meridionalismo della responsabilità e dell’autogoverno” e credo che ancora oggi potrebbe essere la piattaforma ideale e programmatica della macroregione meridionale. In quel documento era già presente la proposta di un coordinamento permanente delle Regioni meridionali come strumento di consultazione, di orientamento e di centro propulsivo di una progettazione comune. Oggi finalmente si realizza. Peccato che non sia stato possibile organizzarlo prima: il Sud, forse, non avrebbe registrato in questi anni il più basso indice di interesse politico nella storia unitaria del Paese. Questo è il prezzo altissimo fatto pagare al Mezzogiorno dal centrodestra italiano per l’alleanza con la Lega.


Vorrei ora suggerire un promemoria per il coordinamento delle Regioni,appena nato, e che vedrà il suo primo appuntamento ufficiale tra un mese in Abruzzo.


1 - L’esigenza fondamentale, alla base dell’incontro di ieri, è il forte bisogno di una politica nazionale per il Mezzogiorno. Nessuno può mettere in discussione la necessità di interventi di indirizzo e di sostegno dello Stato italiano verso il Mezzogiorno. Non va dimenticato che gli attuali squilibri strutturali tra Nord e Sud sono sicuramente espressione di una sostanziale inefficacia delle politiche pubbliche, ma sanciscono anche il fallimento del mercato come unico riequilibratore di aree in ritardo di sviluppo. Il liberismo italiano ha registrato nel Sud uno dei suoi principali insuccessi. È bene non dimenticarlo. Eppure sappiamo che il Mezzogiorno non può rappresentare se stesso solo come un luogo di guai e disperazione. Un Sud che trasmette di sé un’immagine negativa alla fine rafforza l’idea, nell’opinione pubblica nazionale, che si tratti di una questione irrisolvibile e di cui, dunque, è meglio disinteressarsi o liberarsi. Invece, la giusta richiesta di una politica nazionale per il Mezzogiorno deve coniugarsi con un’altra immagine: quella di un Sud che non scarica su altri le proprie responsabilità ma si rimbocca le maniche. Un Sud che quando chiede sostegno ad altri parte prima da se stesso, con una sana e orgogliosa fiducia nei propri mezzi e nelle proprie possibilità. Perciò è importante e fondamentale che i Presidenti assicurino innanzitutto un buon governo nelle loro Regioni e che tutti assieme possano realizzare buone politiche sui loro territori.


Insomma, l’aiuto dello Stato è fondamentale, ma è ancora più fondamentale il buon governo meridionale. L’uno non può fare a meno dell’altro.


2 - Il Sud è sempre stato “oggetto” di politiche pubbliche, mai “soggetto” determinante di esse. Oggi la forza del Mezzogiorno, il suo principale capitale, consiste in una soggettività conquistata sul campo e con il voto. La riunione dei Presidenti ha dimostrato che oggi ci sono le gambe, le braccia e i cervelli su cui appoggiare le politiche pubbliche, in modo che queste possano accompagnare la soggettività del Mezzogiorno e non sostituirsi ad essa. C’è stata una nobile tradizione centralista nella cultura meridionale: cambiare dall’alto e dall’esterno una società e un’economia che sembravano restie, dall’interno, a modifiche strutturali. È su questa tradizione che si è costruito un modello di intervento basato nei fatti sull’irresponsabilità delle classi dirigenti locali, sulla dipendenza dall’esterno, sull’affidarsi ad altri, sulla passività economica e produttiva, sull’irresponsabilità civile. È decisivo fare incontrare la responsabilità delle classi dirigenti locali con un intervento pubblico di qualità che non alimenti la dipendenza e la passività, ma incoraggi l’autogoverno. Su queste basi, e solo su queste basi, il federalismo può essere rilanciato e non rinnegato.


3 - La Padania è un’invenzione, il Mezzogiorno d’Italia è invece una realtà storica, geografica e politica da diversi secoli. Proprio perché il Mezzogiorno è stato prima di altri uno Stato unitario, il regionalismo ha avuto più difficoltà ad affermarsi come dimensione identitaria per le popolazioni amministrate, cosa più semplice in realtà dove nei secoli passati la dimensione statuale era identificata in territori più ristretti (Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana). Anche questo aspetto (naturalmente non da solo) ha condizionato nel recente passato la vita stentata delle Regioni meridionali. Oggi ci sono le condizioni per cambiare definitivamente passo. Immaginarsi come macroregione è un dato politico importante. Il coordinamento delle Regioni meridionali non può certo ignorare la storia unitaria che abbiamo alle spalle, ma ciò non è e non dovrà mai essere fattore di contrasto con il futuro unitario della nazione.


4 - Essere meridionali ed essere europei nella lunga storia del Mezzogiorno ha sempre rappresentato la stessa cosa. L’apertura all’Europa contraddistingue di più le classi dirigenti del Mezzogiorno rispetto a molti settori politici ed economici del Nord. L’Europa oggi non può deludere il Sud. Deve avvertire la disoccupazione giovanile e femminile come la più grave malattia dell’economia europea e aiutare gli Stati nazionali a combatterla dove essa si manifesta in maniera più aggressiva. Se non sarà così, l’Europa avrà poco da dire al Sud d’Italia.


5 - È vero, non esiste una contrapposizione tra allargamento dell’Europa verso est e la difesa degli interessi delle regioni meridionali, tra allargamento e una più stretta integrazione dell’Europa con l’insieme dell’area mediterranea. Solo che finora la prima politica, quella dell’allargamento verso est, è stata predomiunante. Non si vede ancora traccia della seconda. Investire di più nel ruolo che l’Europa può svolgere nel Mediterraneo è un’opportunità oltre che una consuetudine della storia. Il compito è arduo, complesso ma è anche un obiettivo che, se avviato, può ridare centralità alle Regioni meridionali dell’Italia. È indubbio che solo mettendo in comunicazione tutte le sponde di questo mare, tutte le diverse culture, tutte le diverse economie, il Sud potrà svolgere un ruolo non “gregario” nella storia futura. Per questo è giusto che gli investimenti infrastrutturali nelle nostre Regioni si debbano caricare di due ambizioni. La prima è quella di collegare le Regioni meridionali tra di loro, rendere più corte le distanze interne e più agevoli gli spostamenti, lavorando su direttrici di trasporto che uniscono molto di più che nel passato il Tirreno, lo Ionio e l’Adriatico. L’altra ambizione è quella di fare da sponda verso gli altri paesi del bacino del Mediterraneo. Abbiamo già visto cosa vuol dire investire sulla posizione baricentrica nel Mediterraneo delle nostre Regioni. Lo dimostra il successo del porto di Gioia Tauro. Bisogna tenacemente e testardamente proseguire su questa strada. Le infrastrutture del futuro dovranno essere costruite sia guardando verso il Nord, sia guardando verso il Sud e oltre il mare. Costruire aeroporti internazionali, basi logistiche per lo spostamento di merci e persone (per mare, per cielo e per terra) sarà sempre più decisivo per conquistare quei mercati. Vogliamo che nella politica estera dell’Italia e dell’Europa sia combattuta quella specie di ossessione magnetica che spinge a pensare che il baricentro del mondo sia tutto al Nord. Perciò le Regioni meridionali debbono concordare con il governo italiano una politica estera che giochi con più forza e coerenza del passato la carta dell’incontro con gli altri popoli del Mediterraneo. E, in attesa che si realizzi una nuova politica estera nazionale, avviarne una comune meridionale.


6 - Bisogna trasformare la pubblica amministrazione delle Regioni del Mezzogiorno, rompere l’identificazione tra Sud e burocrazia inefficiente, inefficace e corrotta. Con il buon uso dei Fondi comunitari si sta lentamente invertendo la tendenza, ma siamo ancora lontani dalla svolta. La sfida nella competizione con gli altri territori italiani ed europei sta anche nel riorganizzare e semplificare gli apparati burocratici per metterli al servizio dei cittadini e delle imprese. Le diverse capacità amministrative saranno un elemento fondamentale di questa sfida. Resta ancora indispensabile integrare le migliori energie già presenti all’interno delle nostre amministrazioni con l’immissione di figure professionali tra le migliori esistenti nel Sud e in Italia. È con l’aiuto di queste persone, capaci e competenti, che si deve fare squadra per promuovere una nuova immagine del Sud che spezzi ogni legame o identificazione con una burocrazia oscura e tortuosa. 

 





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