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Fonte:
https://www.lavoce.info/

I CONTI CON LA BOZZA CALDEROLI

di Giampaolo Arachi  e Alberto Zanardi  19.08.2008

L'attuazione del federalismo fiscale non può prescindere dal problema della perequazione interregionale, per i forti divari territoriali del nostro paese. Qual è la posizione della proposta Calderoli sul tema? E' ancora troppo vaga per dirlo con precisione. Ma le stime suggeriscono che alcune Regioni potrebbero soffrire perdite non irrilevanti, mentre altre avere risorse in eccesso. E' perciò cruciale indicare regole chiare per la redistribuzione e definire un periodo di transizione. E affrontare la questione delle Regioni a statuto speciale.


I forti divari strutturali che caratterizzano il nostro paese (il reddito imponibile Irpef della Calabria è il 42 per cento di quello della Lombardia) rendono l’attuazione del federalismo fiscale esercizio certamente complesso e pongono a centro del dibattito il ruolo della perequazione interregionale. Proprio su questo punto la nostra Costituzione, all’articolo 119, richiama due principi potenzialmente contraddittori. Da un lato, prevede che la perequazione sia destinata a integrare le risorse dei territori con minore capacità fiscale per abitante (principio della capacità fiscale). Dall’altro, stabilisce che tributi propri e trasferimenti perequativi debbano essere tali da finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a Regioni, province e comuni (principio del fabbisogno). Enfatizzare il principio della capacità fiscale oppure quello del fabbisogno porta a letture divergenti della portata della perequazione tra Regioni.

LA PROPOSTA CALDEROLI

A partire da queste due opzioni si è tuttavia registrata negli ultimi tempi un’ampia convergenza su una soluzione intermedia, originariamente proposta dal disegno di legge Prodi sull’attuazione del federalismo fiscale e ripresa ultimamente dalla bozza di disegno di legge Calderoli e dalla proposta della Conferenza delle Regioni. Si tratta di distinguere nell’insieme delle spese di competenza regionale tra quelle riguardanti le funzioni che investono diritti fondamentali di cittadinanza (come la sanità e l’assistenza) e quelle che, per il loro minore significato equitativo, possono essere maggiormente assegnate all’autonomia delle singole Regioni (ad esempio, la formazione professionale o gli interventi a sostegno delle economie locali). Per le prime, la Costituzione prevede la garanzia dei livelli essenziali delle corrispondenti prestazioni su tutto il territorio nazionale, dunque è necessario assicurare a tutte le Regioni le risorse finanziarie sufficienti a coprire i rispettivi fabbisogni di spesa. Per le seconde, non potendosi fissare livelli standard di prestazioni, le Regioni possono scegliere di differenziare il livello dei servizi offerti e pertanto è ragionevole limitarsi alla perequazione tra territori dei gettiti pro-capite dei tributi regionali.
Quando però si cerca di delineare in dettaglio questo schema generale, specificando meccanismi e modalità, gli esiti possono essere significativamente diversi in termini di effettiva assegnazione delle risorse finanziare tra le diverse Regioni. Qual è allora la posizione della proposta Calderoli su questa questione centrale? (1)

LA PEREQUAZIONE SUI FABBISOGNI

Partendo dalla componente di perequazione sui fabbisogni, le scelte fondamentali riguardano l’individuazione delle funzioni su cui si ritiene sussistere la garanzia di un livello essenziale, la determinazione dei corrispondenti fabbisogni di spesa da finanziare, la struttura del fondo perequativo. Sul primo punto, la proposta Calderoli adotta un approccio generoso includendo esplicitamente sanità, assistenza e istruzione (art. 5, comma 1, lettera a), punto 1). È bene ricordare che sanità e assistenza rappresentano oggi circa il 75 per cento della spesa corrente delle Regioni a statuto ordinario e il 60 per cento della loro spesa complessiva. La copertura dei fabbisogni sarebbe quindi garantita per la maggior parte delle spese regionali cui potrebbe aggiungersi anche una parte delle spese per il trasporto pubblico locale per il quale la bozza Calderoli enuncia un vago principio di garanzia di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale.
Esplicita (più di quanto fatto dal Ddl Prodi) è poi la scelta di misurare i fabbisogni di spesa corrispondenti a questi livelli di prestazione non sulla base della spesa storica (ovvero della spesa attuale) ma con riferimento “ai costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale, da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza” (art. 5, comma 1, lettera b). Èindubbio che il superamento del criterio della spesa storica rappresenta un passaggio fondamentale per garantire la possibilità di valutazione dell’operato dei politici regionali da parte degli elettori. Ma è anche probabile che un finanziamento basato sui costi standard possa consentire di riequilibrare la spesa, soprattutto sanitaria, sul territorio nazionale con esiti non del tutto scontati.
Più complessa, anche sul piano tecnico, è invece la valutazione delle scelte compiute per quanto riguarda la struttura della perequazione sui fabbisogni (art. 5, comma 1, lettere d e g). Occorre innanzitutto ricordare che secondo la bozza Calderoli le spese relative ai livelli essenziali di servizi verranno finanziate con tributi propri regionali, compartecipazioni all’Irpef e all’Iva e con trasferimenti perequativi. Le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni saranno determinate al livello minimo sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento dei fabbisogni in almeno tre Regioni. Le Regioni che per quelle aliquote non risulteranno autosufficienti riceveranno un trasferimento dal fondo perequativo, finanziato attraverso la compartecipazione all’Iva, che consentirà di finanziare integralmente i loro fabbisogni.
Lo schema suscita una serie di perplessità. Innanzitutto, fissare l’aliquota di riferimento dei tributi regionali al livello minimo sufficiente per garantire il finanziamento dei fabbisogni in almeno tre Regioni, significa implicitamente lasciare risorse in eccesso rispetto ai propri fabbisogni alle due Regioni che hanno una relazione più favorevole tra fabbisogni, dotazioni fiscali e tributo utilizzato per assicurare l’autosufficienza della terza Regione. Un semplice esercizio è sufficiente a chiarire il punto. Supponiamo di applicare lo schema perequativo ai dati relativi alla spesa storica in sanità (non esistono ancora stime sui fabbisogni standard) e ai tributi a essa dedicati nel 2005. Consideriamo in primo luogo il caso in cui la differenza fra gettiti e fabbisogni venga colmata con una compartecipazione Iva. L’aliquota di compartecipazione necessaria per rendere autosufficienti almeno tre Regioni sarebbe pari al 41,6 per cento. A questa aliquota il Veneto avrebbe risorse esattamente pari ai fabbisogni sanitari, mentre Lombardia e Emilia Romagna disporrebbero di risorse in eccesso, rispettivamente per 2.211 (235 euro pro-capite) e 146 (35 euro pro-capite) milioni di euro. Le altre Regioni registrerebbero un deficit complessivo di circa 15 miliardi, da colmare con i trasferimenti dal fondo perequativo. Per finanziare il fondo occorrerebbe un’ulteriore compartecipazione all’Iva del 18,8 per cento. (2)
Altri elementi critici emergono poi quando si consideri l’evoluzione nel tempo del sistema. Il gettito dei tributi e i fabbisogni non crescono nello stesso modo. Se le aliquote di compartecipazione non sono riviste regolarmente, con il passare del tempo la Regione originariamente in equilibrio potrebbe ritrovarsi con risorse in eccesso o in difetto rispetto ai fabbisogni. Anche il fondo perequativo, potrebbe risultare insufficiente per garantire a tutte le Regioni la copertura dei fabbisogni. La revisione delle aliquote potrebbe risultare complessa.
Meglio allora sarebbe rivedere la proposta Calderoli, per quanto riguarda questi aspetti, secondo due linee. Da un lato, prevedere che l’aliquota di compartecipazione Iva o Irpef venga fissata a quel livello minimo che rende autosufficiente una e una sola Regione (tendenzialmente la Lombardia), evitando in tal modo che di lasciare a talune Regioni (tendenzialmente quelle più ricche in termini fiscali) risorse aggiuntive, non giustificate dai rispettivi fabbisogni a carico del bilancio dello Stato. Dall’altro lato, agganciare il finanziamento del fondo perequativo non a una specifica fonte fiscale (la compartecipazione all’Iva) ma al bilancio dello Stato in generale, con il risultato di garantire nel tempo la piena copertura dei fabbisogni delle diverse Regioni.

LA PEREQUAZIONE SULLE CAPACITÀ FISCALI

Passando alla componente di perequazione sulla capacità fiscali, la bozza Calderoli prevede che tutti i trasferimenti statali, attualmente destinati al finanziamento di funzioni non ricomprese nella perequazione sui fabbisogni ( circa il 25 per cento della spesa corrente attuale delle Regioni a statuto ordinario), siano sostituiti da un aumento dell’addizionale regionale all’Irpef (art. 5, comma 1, lettera h). Il gettito dell’addizionale verrebbe perequato attraverso un fondo orizzontale (ossia le Regioni con maggiore capacità finanziano il fondo, mentre le Regioni a minore capacità ricevono trasferimenti) in modo da ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante rispetto al livello medio nazionale (art. 6, comma 1, lettera e). Si prevede esplicitamente anche una correzione a favore delle Regioni più piccole.
È chiaro che il passaggio dagli attuali trasferimenti a un’addizionale Irpef perequata comporterà variazioni nelle risorse a disposizione delle singole Regioni, anche se, data la probabile incoerenza dei trasferimenti attuali rispetto ai bisogni effettivi a livello locale, questa redistribuzione potrebbe migliorare l’allocazione complessiva delle risorse pubbliche sul territorio.
Quale sarà la dimensione delle variazioni? Una stima preliminare può essere ricavata a partire dai dati sui finanziamenti vincolati ricevuti dalle Regioni nel 2006 (al netto dei trasferimenti erogati dalla Ue) e ipotizzando che anche i trasferimenti attualmente destinati al finanziamento del trasporto pubblico siano sostituiti con l’addizionale Irpef ( tabella 1).
L’abolizione dei trasferimenti ha un costo complessivo di circa 10 miliardi di euro per le Regioni a statuto ordinario, che potrebbe essere coperto con un’addizionale regionale Irpef dell'1,9 per cento, a sua volta corrispondente a un gettito medio pro-capite di 198 euro. Per perequare integralmente (e non parzialmente come ipotizza la bozza Calderoli) il gettito di tutte le Regioni alla media pro-capite occorrerebbe attivare trasferimenti per circa 1 miliardo. Tuttavia, anche una perequazione totale comporterebbe una significativa redistribuzione di risorse pari a circa 3 miliardi di euro.
La tabella evidenzia chiaramente vincitori e perdenti rispetto alla situazione attuale. Perdenti sono Campania e Calabria, con riduzioni di risorse pro-capite rispetto ai livelli attuali pari, rispettivamente, a 158 e 283 euro. Per compensarle la Campania dovrebbe aumentare la propria addizionale Irpef di ulteriori 2,6 punti percentuali e la Calabria di circa 5. I guadagni si concentrano invece sulle grandi Regioni del Centro-Nord. Risultano poi penalizzate le Regioni di piccole dimensioni quali Liguria, Umbria, Molise, Basilicata (anche se il dato di questa Regione appare sorprendentemente elevato e va preso con cautela) e in effetti la bozza Calderoli prevede qualche aggiustamento a loro favore.
Guadagni e perdite non aumentano necessariamente nel caso in cui la perequazione sia soltanto parziale, come sembra prevedere la bozza Calderoli. (3)
Le non irrilevanti perdite di risorse che alcune Regioni dovranno soffrire per l’applicazione della perequazione sulla capacità fiscale rendono cruciali due elementi del progetto federalista. Il primo, è la definizione di regole chiare e politicamente sostenibili per il periodo di transizione nel passaggio al nuovo regime. Il secondo è la previsione delle modalità con cui anche le Regioni a statuto speciale dovranno concorrere alla perequazione interregionale con lo scopo, tra l’altro, di liberare risorse che consentano di ammortizzare la transizione delle Regioni ordinarie perdenti.

Tabella 1 in formato pdf

(1) Si fa qui riferimento alla bozza del ddl fatta circolare il 24 luglio e pubblicata sul Sole-24Ore il giorno successivo ed in particolare agli articoli 5 e 6. La bozza è stata peraltro presentata come suscettibile di successive modificazioni.
(2) Se si utilizzasse l’Irpef per rendere autosufficienti almeno tre Regioni, l’aliquota di compartecipazione dovrebbe essere pari al 31,4 per cento. Risulterebbe sempre autosufficiente il Veneto mentre Lombardia e Emilia-Romagna otterrebbero risorse in eccesso rispettivamente pari a 3.989 (425 euro pro-capite) e 478 (115 euro pro-capite) milioni di euro. Data la maggiore sperequazione regionale dell’Irpef rispetto all’Iva, le necessità perequative aumenterebbero a circa 16 miliardi da coprire con una compartecipazione Iva del 20 per cento.
(3) La tabella simula anche l’ipotesi che alle Regioni a minore capacità fiscale venga consentito di raggiungere solo il 90 per cento del gettito medio pro-capite. Peggiora comunque la situazione di Campania e Calabria.

Schema legge Calderoli (124kb - PDF)




Schema legge Calderoli in formato html

(nostra elaborazione basata sul file pdf tratto da: https://www.lavoce.info/)





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