L'attuazione del federalismo fiscale non può prescindere dal problema della perequazione interregionale, per i forti divari territoriali del nostro paese. Qual è la posizione della proposta Calderoli sul tema? E' ancora troppo vaga per dirlo con precisione. Ma le stime suggeriscono che alcune Regioni potrebbero soffrire perdite non irrilevanti, mentre altre avere risorse in eccesso. E' perciò cruciale indicare regole chiare per la redistribuzione e definire un periodo di transizione. E affrontare la questione delle Regioni a statuto speciale.
I forti divari strutturali che caratterizzano il nostro paese (il reddito imponibile Irpef della Calabria è il 42 per cento di quello della Lombardia) rendono l’attuazione del federalismo fiscale esercizio certamente complesso e pongono a centro del dibattito il ruolo della perequazione interregionale. Proprio su questo punto la nostra Costituzione, all’articolo 119, richiama due principi potenzialmente contraddittori. Da un lato, prevede che la perequazione sia destinata a integrare le risorse dei territori con minore capacità fiscale per abitante (principio della capacità fiscale). Dall’altro, stabilisce che tributi propri e trasferimenti perequativi debbano essere tali da finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a Regioni, province e comuni (principio del fabbisogno). Enfatizzare il principio della capacità fiscale oppure quello del fabbisogno porta a letture divergenti della portata della perequazione tra Regioni.
A
partire da queste due opzioni si è tuttavia registrata negli ultimi
tempi un’ampia convergenza su una soluzione intermedia, originariamente
proposta dal disegno di legge Prodi sull’attuazione del federalismo
fiscale e ripresa ultimamente dalla bozza di disegno di legge Calderoli
e dalla proposta della Conferenza delle Regioni. Si tratta di
distinguere nell’insieme delle spese di competenza regionale tra quelle
riguardanti le funzioni che investono diritti
fondamentali di cittadinanza
(come la sanità e l’assistenza) e quelle che, per il loro minore
significato equitativo, possono essere maggiormente assegnate
all’autonomia delle singole Regioni (ad esempio, la formazione
professionale o gli interventi a sostegno delle economie locali). Per
le prime, la Costituzione prevede la garanzia dei livelli
essenziali
delle corrispondenti prestazioni su tutto il territorio nazionale,
dunque è necessario assicurare a tutte le Regioni le risorse
finanziarie sufficienti a coprire i rispettivi fabbisogni di spesa. Per
le seconde, non potendosi fissare livelli standard di prestazioni, le
Regioni possono scegliere di differenziare il livello dei servizi
offerti e pertanto è ragionevole limitarsi alla perequazione tra
territori dei gettiti pro-capite dei tributi regionali.
Quando però
si cerca di delineare in dettaglio questo schema generale, specificando
meccanismi e modalità, gli esiti possono essere significativamente
diversi in termini di effettiva assegnazione delle risorse finanziare
tra le diverse Regioni. Qual è allora la posizione della proposta
Calderoli su questa questione centrale? (1)
Partendo
dalla componente di perequazione sui fabbisogni, le scelte fondamentali
riguardano l’individuazione delle funzioni su cui si ritiene sussistere
la garanzia di un livello essenziale, la determinazione dei
corrispondenti fabbisogni di spesa da finanziare, la struttura del
fondo perequativo. Sul primo punto, la proposta Calderoli adotta un approccio
generoso
includendo esplicitamente sanità, assistenza e istruzione (art. 5,
comma 1, lettera a), punto 1). È bene ricordare che sanità e assistenza
rappresentano oggi circa il 75 per cento della spesa corrente delle
Regioni a statuto ordinario e il 60 per cento della loro spesa
complessiva. La copertura dei fabbisogni sarebbe quindi garantita per
la maggior parte delle spese regionali cui potrebbe aggiungersi anche
una parte delle spese per il trasporto pubblico locale per il quale la
bozza Calderoli enuncia un vago principio di garanzia di un livello
adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale.
Esplicita
(più di quanto fatto dal Ddl Prodi) è poi la scelta di misurare i
fabbisogni di spesa corrispondenti a questi livelli di prestazione non
sulla base della spesa storica (ovvero della spesa attuale) ma con
riferimento “ai costi standard associati ai livelli essenziali delle
prestazioni fissati dalla legge statale, da erogarsi in condizioni di
efficienza e di appropriatezza” (art. 5, comma 1, lettera b). Èindubbio
che il superamento del criterio della spesa storica
rappresenta un passaggio fondamentale per garantire la possibilità di
valutazione dell’operato dei politici regionali da parte degli
elettori. Ma è anche probabile che un finanziamento basato sui costi
standard possa consentire di riequilibrare la spesa,
soprattutto sanitaria, sul territorio nazionale con esiti non del tutto
scontati.
Più
complessa, anche sul piano tecnico, è invece la valutazione delle
scelte compiute per quanto riguarda la struttura della perequazione sui
fabbisogni (art. 5, comma 1, lettere d e g). Occorre innanzitutto
ricordare che secondo la bozza Calderoli le spese relative ai livelli
essenziali di servizi verranno finanziate con tributi propri regionali,
compartecipazioni all’Irpef e all’Iva e con trasferimenti perequativi.
Le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni saranno determinate
al livello minimo sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento dei
fabbisogni in almeno tre Regioni. Le
Regioni che per
quelle aliquote non risulteranno autosufficienti riceveranno un
trasferimento dal fondo perequativo, finanziato attraverso la
compartecipazione all’Iva, che consentirà di finanziare integralmente i
loro fabbisogni.
Lo schema suscita una serie di perplessità.
Innanzitutto, fissare l’aliquota di riferimento dei tributi regionali
al livello minimo sufficiente per garantire il finanziamento dei
fabbisogni in almeno tre Regioni, significa implicitamente lasciare risorse
in eccesso
rispetto ai propri fabbisogni alle due Regioni che hanno una relazione
più favorevole tra fabbisogni, dotazioni fiscali e tributo utilizzato
per assicurare l’autosufficienza della terza Regione. Un semplice
esercizio è sufficiente a chiarire il punto. Supponiamo di applicare lo
schema perequativo ai dati relativi alla spesa storica in sanità (non
esistono ancora stime sui fabbisogni standard) e ai tributi a essa
dedicati nel 2005. Consideriamo in primo luogo il caso in cui la
differenza fra gettiti e fabbisogni venga colmata con una
compartecipazione Iva. L’aliquota di compartecipazione necessaria per
rendere autosufficienti almeno tre Regioni sarebbe pari al 41,6 per
cento. A questa aliquota il Veneto avrebbe risorse esattamente pari ai
fabbisogni sanitari, mentre Lombardia e Emilia Romagna disporrebbero di
risorse in eccesso, rispettivamente per 2.211 (235 euro pro-capite) e
146 (35 euro pro-capite) milioni di euro. Le altre Regioni
registrerebbero un deficit complessivo di circa 15 miliardi, da colmare
con i trasferimenti dal fondo perequativo. Per finanziare il fondo
occorrerebbe un’ulteriore compartecipazione all’Iva del 18,8 per cento.
(2)
Altri elementi critici emergono poi quando si consideri l’evoluzione
nel tempo
del sistema. Il gettito dei tributi e i fabbisogni non crescono nello
stesso modo. Se le aliquote di compartecipazione non sono riviste
regolarmente, con il passare del tempo la Regione originariamente in
equilibrio potrebbe ritrovarsi con risorse in eccesso o in difetto
rispetto ai fabbisogni. Anche il fondo perequativo, potrebbe risultare
insufficiente per garantire a tutte le Regioni la copertura dei
fabbisogni. La revisione delle aliquote potrebbe risultare complessa.
Meglio
allora sarebbe rivedere la proposta Calderoli, per quanto riguarda
questi aspetti, secondo due linee. Da un lato, prevedere che l’aliquota
di compartecipazione Iva o Irpef venga fissata a quel livello minimo
che rende autosufficiente una e una sola Regione (tendenzialmente la
Lombardia), evitando in tal modo che di lasciare a talune Regioni
(tendenzialmente quelle più ricche in termini fiscali) risorse
aggiuntive, non giustificate dai rispettivi fabbisogni a carico del
bilancio dello Stato. Dall’altro lato, agganciare il finanziamento del
fondo perequativo non a una specifica fonte fiscale (la
compartecipazione all’Iva) ma al bilancio dello Stato in generale, con
il risultato di garantire nel tempo la piena copertura dei fabbisogni
delle diverse Regioni.
Passando
alla componente di perequazione sulla capacità fiscali, la bozza
Calderoli prevede che tutti i trasferimenti statali, attualmente
destinati al finanziamento di funzioni non ricomprese nella
perequazione sui fabbisogni ( circa il 25 per cento della spesa
corrente attuale delle Regioni a statuto ordinario), siano sostituiti
da un aumento dell’addizionale regionale
all’Irpef
(art. 5, comma 1, lettera h). Il gettito dell’addizionale verrebbe
perequato attraverso un fondo orizzontale (ossia le Regioni con
maggiore capacità finanziano il fondo, mentre le Regioni a minore
capacità ricevono trasferimenti) in modo da ridurre le differenze
interregionali di gettito per abitante rispetto al livello medio
nazionale (art. 6, comma 1, lettera e). Si prevede esplicitamente anche
una correzione a favore delle Regioni più piccole.
È chiaro che il
passaggio dagli attuali trasferimenti a un’addizionale Irpef perequata
comporterà variazioni nelle risorse a disposizione delle singole
Regioni, anche se, data la probabile incoerenza dei trasferimenti
attuali rispetto ai bisogni effettivi a livello locale, questa
redistribuzione potrebbe migliorare l’allocazione complessiva delle
risorse pubbliche sul territorio.
Quale sarà la dimensione delle
variazioni? Una stima preliminare può essere ricavata a partire dai
dati sui finanziamenti vincolati ricevuti dalle Regioni nel 2006 (al
netto dei trasferimenti erogati dalla Ue) e ipotizzando che anche i
trasferimenti attualmente destinati al finanziamento del trasporto
pubblico siano sostituiti con l’addizionale Irpef (
tabella 1).
L’abolizione dei trasferimenti ha un costo complessivo di circa 10
miliardi
di euro per le Regioni a statuto ordinario, che potrebbe essere coperto
con un’addizionale regionale Irpef dell'1,9 per cento, a sua volta
corrispondente a un gettito medio pro-capite di 198 euro. Per perequare
integralmente (e non parzialmente come ipotizza la bozza Calderoli) il
gettito di tutte le Regioni alla media pro-capite occorrerebbe attivare
trasferimenti per circa 1 miliardo. Tuttavia, anche una perequazione
totale comporterebbe una significativa redistribuzione di risorse pari
a circa 3 miliardi di euro.
La tabella evidenzia chiaramente vincitori e perdenti
rispetto alla situazione attuale. Perdenti sono Campania e Calabria,
con riduzioni di risorse pro-capite rispetto ai livelli attuali pari,
rispettivamente, a 158 e 283 euro. Per compensarle la Campania dovrebbe
aumentare la propria addizionale Irpef di ulteriori 2,6 punti
percentuali e la Calabria di circa 5. I guadagni si concentrano invece
sulle grandi Regioni del Centro-Nord. Risultano poi penalizzate le
Regioni di piccole dimensioni quali Liguria, Umbria, Molise, Basilicata
(anche se il dato di questa Regione appare sorprendentemente elevato e
va preso con cautela) e in effetti la bozza Calderoli prevede qualche
aggiustamento a loro favore.
Guadagni e perdite non aumentano
necessariamente nel caso in cui la perequazione sia soltanto parziale,
come sembra prevedere la bozza Calderoli. (3)
Le
non irrilevanti perdite di risorse che alcune Regioni dovranno soffrire
per l’applicazione della perequazione sulla capacità fiscale rendono
cruciali due elementi del progetto federalista. Il primo, è la
definizione di regole chiare e
politicamente
sostenibili per il periodo di transizione nel passaggio al nuovo
regime. Il secondo è la previsione delle modalità con cui anche le
Regioni a statuto speciale dovranno
concorrere alla
perequazione interregionale con lo scopo, tra l’altro, di liberare
risorse che consentano di ammortizzare la transizione delle Regioni
ordinarie perdenti.
(1) Si fa qui riferimento alla
bozza del ddl fatta circolare il 24 luglio e pubblicata sul Sole-24Ore
il giorno successivo ed in particolare agli articoli 5 e 6. La bozza è
stata peraltro presentata come suscettibile di successive modificazioni.
(2)
Se si utilizzasse l’Irpef per rendere autosufficienti almeno tre
Regioni, l’aliquota di compartecipazione dovrebbe essere pari al 31,4
per cento. Risulterebbe sempre autosufficiente il Veneto mentre
Lombardia e Emilia-Romagna otterrebbero risorse in eccesso
rispettivamente pari a 3.989 (425 euro pro-capite) e 478 (115 euro
pro-capite) milioni di euro. Data la maggiore sperequazione regionale
dell’Irpef rispetto all’Iva, le necessità perequative aumenterebbero a
circa 16 miliardi da coprire con una compartecipazione Iva del 20 per
cento.
(3) La tabella simula anche l’ipotesi che
alle Regioni a minore capacità fiscale venga consentito di raggiungere
solo il 90 per cento del gettito medio pro-capite. Peggiora comunque la
situazione di Campania e Calabria.
Schema legge Calderoli (124kb - PDF)
Schema legge Calderoli in formato html (nostra elaborazione basata sul file pdf tratto da: https://www.lavoce.info/) |
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