Eleaml

Dalle bonache alle cosche di Zenone di Elea - 28 Agosto 2012

Fonte:

https://www.sicilialibertaria.it/ - N. 305

Sicilia Libertaria - Giornale anarchico per la liberazione sociale e l’internazionalismo

 Editoriale

Sette e mezzo

di Pippo Gurrieri

Dalle navi ferme sulla rada: decine di fregate, vapori da guerra, pirocorvette, tutta la flotta di legno del regno, partivano cannonate e mitragliate contro la città; abbattevano case, tetti, mietevano vittime a centinaia, terrorizzavano gli insorti.

Uno scenario che ci porta agli attuali fatti di Libia, ai bombardamenti governativi contro le città ribelli al regime; il riferimento invece va alla Palermo della rivoluzione antipiemontese del 1866.

Questo mese uomini di Stato e delle istituzioni insistono sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia; noi preferiamo ricordare cosa realmente accadde in Sicilia e come tale Unità venne realizzata.

Cominciamo con il dire che la Sicilia venne annessa al regno di Piemonte, da cui fu considerata da subito un “problema di ordine pubblico” (e tale è rimasta per i successivi 150 anni), governata a colpi di stati d’assedio (3 nei primi 6 anni); a Firenze, capitale “provvisoria”, l’isola veniva definita “L’Irlanda d’Italia”, e i siciliani un popolo di ribelli e di briganti da domare con le maniere forti.

Repressione, corruzione, malgoverno furono l’impronta dei Savoia, che cancellò sin dai primi mesi l’entusiasmo con cui migliaia di siciliani avevano accolto Garibaldi, precedendolo e seguendolo nell’opera di pulizia dei borboni, forza determinante delle sue vittorie. Entusiasmo avvalorato anche dai primi proclami del generale, che tendevano a ripristinare la tanto agognata giustizia su una terra de sempre teatro del più becero sfruttamento e della più incarognita ingiustizia classista.

La primavera del 1860 fu per i contadini siciliani quella rivoluzione che avrebbe dovuto risolvere il problema del pane e della libertà; si rivelò l’ennesimo passaggio dei poteri sull’isola da un re straniero a un altro, la riconferma degli assetti feudali, dei privilegi nobiliari, la repressione di tutti gli impulsi e le aspirazioni all’eguaglianza. I cadaveri dei contadini fucilati per insubordinazione ne rappresentarono l’altro volto. Tanto che, quando alla cattiva amministrazione, al disprezzo dei funzionari e dei luogotenenti dai nomi altisonanti e ancora oggi in auge (Cordero di Montezemolo, Della Rovere), alla politica delle manette facili (che il popolo chiamava gli “occhiali di Cavour”), si aggiunsero la leva militare obbligatoria di 6 anni, la mobilitazione per la guerra con l’Austria, nuove ondate di miseria cupa, quegli stessi insorti a fianco dei garibaldini capirono che occorreva una nuova rivoluzione per liberarsi definitivamente dalla monarchia, per riconquistare la libertà dagli oppressori.

I siciliani avevano fatte rivoluzioni nel 1820, nel 1848, nel 1860; senza contare i moti rivoluzionari del ’24, del ’31, del ’37, del ’50 e del ’59. Il popolo indomito non aveva mai smesso di cercare di conquistarsi una vita in libertà; sconfitto ogni volta, era ripartito subito dopo. Gli appelli dell’estate del 1866 vennero perciò accolti con nuova passione dal popolo intero di Palermo e della sua provincia, e avrebbero potuto estendersi a tutta l’isola.

Il 16 settembre, quando la rivoluzione ebbe inizio, erano ventimila i cittadini in armi: contadini, pastori, operai, artigiani e qualche piccolo borghese; nei primi 4 giorni marciò a colpi di vittorie, conquistò la città, insediò il Comitato Rivoluzionario Repubblicano. La lotta fu aspra, i combattimenti durissimi; il nuovo Stato inviò decine di battaglioni, brigate, divisioni che invasero la capitale siciliana, mentre dal mare veniva sottoposta ad atroci bombardamenti, che la faranno capitolare dopo 7 giorni e mezzo; finirà nel sangue la Comune di Palermo, cinque anni prima di quella di Parigi.

L’ordine verrà ristabilito con lo stato d’assedio, i tribunali militari, le fucilazioni senza processo, le fosse comuni, gli arresti indiscriminati, gli omicidi. I numeri reali delle vittime di parte popolare non si conosceranno mai, non si trovano in nessun rapporto ufficiale, in nessun archivio: migliaia, può darsi decine di migliaia.

Ecco come venne tradotto lo spirito risorgimentale di migliaia di patrioti sinceri dal nuovo potere monarchico savoiardo; come venne fatta l’Italia e poi come furono fatti gli italiani: prima addomesticati col bastone, e dopo nutriti con la cultura razzista e classista del nuovo padrone.














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