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Dalle bonache alle cosche di Zenone di Elea - 28 Agosto 2012

SAGGIO STORICO-POLITICO SULLA SICILIA

DAL COMINCIAMENTO DEL SECOLO XK SINO AL 1830

PRECEDUTO

DA UN RAPIDO COLPO D'OCCHIO SULLA FINE

DEL SECOLO XVIII

SCRITTO DAL FU

FRANCESCO PATERNO' CASTELLO

MARCHESE DI RADDUSA


CATANIA

STAMPERAI DI FRANCESCO PASTORE

1848


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Era il principe di Paternò un ricco proprietario di Sicilia di carattere furbo immorale ambizioso e di quel coraggio, che la poca riflessione qualche volta appresta. Niente generoso non era stato giammai popolare; ma le sue ricchezze che spesso impiegava per sostenere la sua prepotenza avanzo dell'antico baronaggio de' partigiani e delle aderenze gli aveano acquistato, il popolo di Palermo non lo amava ma lo temeva e rispettava, in questa circostanza si rinvenne in lui l'uomo veramente al bisogno adattato; signoreggiò sulla plebe la quale protezioni e soccorsi in denaro da lui sperava; le altre classi deridendo la sua audacia tolleravano con piacere la sua sconsigliatezza, mentitegli con furberia e con poca riflessione pel cimento in cui si era gettato una vasta popolazione tenne a freno, e seppe maneggiare.

La guardia civica sin'ora avea sulla plebe la sua superiorità conservata, e malgrado recente la sua istituzione non pochi segnalati servizi avea resi e de'  più facinorosi la città arca purgato.

Il giorno 24 diede altra non indifferente prova del vantaggio di tale istituzione. La plebe indignata dell'abbandono del principe di Villafranca quando maggiore si era fatto della patria il pericolo volea il di lui vasto palazzo saccheggiare ed il cannone avea condotto perché potesse la gran porta del suo palazzo atterrare. Il corpo della guardia civica dei Carminello sì oppose, e non ostante inferiore di numero con sommo coraggio i rivoltosi attaccava: e facendo fuoco sopra le masse vi prendeva il cannone, parte de quali feriva parte ne dissipava, onde l'abitazione del migliore cittadino illesa rimase. Da tale momento la popolarità del Villafranca venne meno ed invisa divenne presso la plebe la guardia civica come quel corpo alla sfrenata licenza opponente.

Fatta sera nelle adunanze delle piazze pubbliche circolare la voce si fece che la guardia civica dovea l'armata del Pepe introdurre in città e sul popolo ferire. Il giorno appresso queste masse accresciute da1 contadini delle campagne e vicini villaggi tumultuando strapparono dal comandante generale un ordine in iscritto a'  corpi de'  militari di linea diretto, perché senza resistenza armi e cannoni avessero reso. Ubbidirono le milizie di alcune stanze e la gran guardia, ma in quella di casa professa il capitano Moncada giudicando falso l'ordine cade estinto nel conflitto. Rese le masse popolari maggiormente insolenti del disarmo della milizia alla guardia civica si rivolsero e di render loro le armi obbligarla pretesero; ma questi corpi furono d'accordo a negarsi ad un ordine del comandante Requisens incompetente verso la guardia che al proprio generale era soggetta.

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Da questa repulsa si venne alle armi e i piccoli corpi che si trovarono in servizio si batterono per molte ore ed in diversi punti divisi, finché mancate le munizioni cedere al numero eccedente degli assalitori dovettero. Le comunicazioni degli ordini de'  capi intercettate dalla plebe i cittadini della guardia non potendosi più in corpo riunire i pochi combattenti a rifugiarsi nei propri lari furono astretti e la bella capitale ridotta senza governo in mano delle insultanti masse di plebe armata fa abbandonata.

Nel buio della sera l'armata del generale Pepe la quale avea posto il suo campo nelle campagne de'  Ciaculli mare dolce e s. Maria di Gesù colla destra al mare ed il fronte al piccolo fiume Oreto i suoi avamposti portò, in avanti. La Tonnarazza e la Villa Giulia occupando d' immettersi in città per le due porte l'una detta Beale V altra de'  Greci volle tentare. I suoi cacciatori e bersaglieri l'orto botanico tanto celebrato il giardino del Principe Cattolica e la soprapposta Casina giunsero ad investire.

Ma il popolo i suoi colpi diresse così bene ed il forte della garitta e le cannoniere della spiaggia dirimpetto situate fecero un fuoco cosi ben nudrito che il nemico fu obbligato di sloggiare. In questa gloriosa azione popolare è rimarchevole che nessun militare guidava la difesa nessun cittadino di spingere le masse prendeva cura: tutto per popolare volontà seguiva.

Il giorno seguente persuaso il general Pepe che non era facile impresa d'inoltrarsi in città, che non era lieve la resistenza dei palermitani, onde scoraggire la popolazione un attacco generale per tutta la linea lungo le mura che circondano Palermo dal fianco dell'Oreto dispose. I suborghi le case di campagna i giardini gli orti che in abbondanza giacciono in quella contrada furono saccheggiati devastati ed arse le piccoli abitazioni. La villa Giulia l'orto botanico bersaglio divennero della rabbia marziale dell'armata napolitana. Ma il popolo di Palermo non lasciava l'audacia del nemico impunita, lo respinsero tosto e ad abbandonare i suborghi occupati l'obbligarono, talché libero il corso dell'Oreto e sgombro di nemici fu reso: intanto l'artiglieria sì dalla parte del mare sì dagli antichi baluardi ancora esistenti nel soborgo S. Antonino fulminando sul camponemico la stragge e la morte vi apportava.

Gli errori commessi dal generale Pepe nella sua posizione per investire Palermo se non si vogliono attribuire ad ignoranza dell'arte della guerra, certamente alla sua presuntuosa fiducia di non poter incontrare resistenza da parte del popolo si devono ascrivere. Egli campò l'armata in un terreno paludoso, e perciò mal sano, al cannone de'  forti sottoposto ed alle sue spalle molte nemiche popolazioni e tutte le guerriglie lasciavansi pronte a piombare sull'armata regia.

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In fino in caso di rovescio la sua ritirata per il mare a cui poggiava la destra si avea preclusa, attesochè la squadra non potea avvicinarsi per effetto del fuoco delle batterie e de' venti; ed il mare procelloso alle piccole barche di trasporto il tragitto per la spiaggia impediva (1).

In fatti al terzo giorno il popolo che ora cominceremo a chiamare bonache (2) incoraggito dai primi successi e diretto da un vecchio militare che prese a forza per diriggerlo in masse unite l'esercito regio attaccava in tutti i punti; il centro fu rotto, la sinistra tagliata dell'intutto sotto il Mensagno disordinatamente andò a gettarsi: più di 300 tra i feriti e morti sul campo di battaglia rimasero; e se il vincitore abbandonato non avesse il terreno come alle masse senza disciplina avviene o il vantaggio acquistato avesse conosciuto, l'armata regia avrebbe dovuto chiedere supplichevole una capitolazione per potersi in Napoli restituire; poiché il centro erasi disperso, e la sinistra senza comunicazione rimasta di viveri di munizioni di spedali mancava; i viveri per via di barche di Costa da Cefalù e Termini, a molta distanza e con somma difficoltà perché città nemiche, dovea ritirare, le munizioni e l'artiglieria la squadra dovea fornirle, ed il mare in burrasca ed il vento contrario gli uni e gli altri trasporti avea impedito.

Le bonache però stanche e contente di vedere i giardini gli orti i vigneti di cadaveri cospersi senza curare di cogliere il frutto della vittoria abbandonarono il campo ed in seno alle loro famiglie fecero ritorno; di modoché i regi sulla sera scorgendo non avere nemici a combattere poterono riunirsi, le loro stanze riprendere e colle frutta abbondantissime dei giardini la loro fame estinguere. Né solo in quel giorno gravissimo pericolo l'armata corse, attesoché l'indimani la sua fatale disfatta sarebbe avvenuta se un caso fortuito da tanto rovescio non si fosse per salvarla interposto.

Le bonache per consiglio forse del comandante Requisens il quale fu sempre opposto ad ammettersi il general Pepe aveano messi spediti per la via del Mensagno a tutte le popolazioni

(1) Il disbarco da farsi per la conquista di Palermo è stato sempre giudicato prudente netta spiaggia di Sferracavallo perché da quel punto l'armata nemica può facilmente prendere l'alture che dominano ta città e te sue fortezze e con ha atte spalle alcuna popolazione interessante per essere molestata.

(2) Presero la denominazione di bonache i combattenti per il loro vestire; chiamasi bonaca una giubba corta che in Sicilia adoprano i cacciatori per la caccia per essere più facile a maneggiare il fucile e poter portare una maggior provisione di polvere e piombo. In giorni sì tristi tutti i cittadini per confondersi col popolo vestivano tali bonache da caccia.

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di Bagaria Ficarazzi Misilmeri Ogliastro Marineo Diana Mensoiuso Ciminna Palazzo Adriano che alle spalle del nemico trovavansi per riunire tutta la gioventù atta alle armi ed improvvisamente insieme ad alcune guerriglie nel giorno convenuto sul dorso dell'armata del Pepe piombare. Quei del Mensagno del Parco della Piana e di Morreale doveano eseguire lo stesso attacco sull'ala sinistra; e ad un segnale convenuto le bonache e quelli che da Carini Cinisi Capace ed altri comuni in Palermo si erano riuniti il fronte dell'armata avrebbero assalito. Il piano era stato così ben disposto che al solo apparire di sì numerose masse nessun altro scampo rimaneva all'armata regia che quello di rendersi a discrezione mettendo giù le armi. Erano circa a quattro mila quelli che dal Mensagno pronti stavansi a scendere sulla pianura alla sinistra dell'armata, e circa a 20 mila quelli in Misilmeri nove miglia da Palermo distante, i quali ivi radunati nel corso della notte l'alba di quel giorno aspettavano per attaccare le spalle del nemico che tranquillo ed ignaro sul corso dell'Oreto giaceva.

Era presso al comune di Misilmeri una vasta conserva di polvere di cannone: fatto giorno taluni delle masse di provvedersi di maggiore munizione giudicarono opportuno ed impazienti all'ingresso della polveriera affollavansi, perché ciascuno i suoi potesse tosto raggiungere.

Nacque rissa fra taluni di differente patria ed uno nella mischia un colpo di fucile sull'altro diresse, dal quale l'incendio e l'esplosione di quel vasto deposito di polvere ne nacque. La terra tremò come se un improvviso vulcano aperto si fosse, oltre a 200 infelici saltarono in aria ed in un baleno di annerite membra e di frantumi di fabbriche il suolo si vide cosperso: fumanti colonne come nuvole ergevansi ed il fragore giunse terribile alla distanza di molte miglia.

Il tremito lo spavento tutta la moltitudine di quei valorosi colpì e come strano fenomeno di celeste sdegno alla loro immaginazione si presentava. I più timidi a tanto disastro inatteso attoniti e smarriti rimasero e senza spiarne la causa il sentiero riprendono che alle loro famiglie li riconduce; gli altri l'esempio sieguono ed in pochi istanti oltre a 20 mila armati si dissipano la voce de'  capi non é intesa la fuga si rende generale, 11 piano d'attacco svanisce e le spalle dell'armata regia libere rimangano: questa non fu esente di risentirne terrore ed all'esplosione di mina sotterranea il tremito il fumo attribuendo verso il mare corse in disordine. Fu delpari in Palermo l'esplosione sensibile a segno che il combinato attacco ritardato venne, finché entrambe le parti l'avvenimento appresero.

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Ciò non ostante sul tardi quel giorno fa segnalato coi piccoli combattimenti, da cui avvengono reciproci danni senza che si ottengono de'  vantaggi positivi sia dall'una sia dall'altra parte che alla guerra mettono fine.

In questi frequenti incontri il danno maggiore sull'armata regia ricadeva, la quale le perdite non poteva supplire e campava mal'allogiata ed in aere mal sano, dal quale le fabbri autunnali avea contratto, e mancando di spedali e di rimedi medicinali gli ammalati ed i feriti de'  soccorsi dell'arte privi restavano.

Queste affligenti circostanze mostrarono al general Pepe le conseguenze della sua posizione e del mal inteso orgoglio nell'essersi in Termini ricusato a segnare la capitolazione; quelle della sua debolezza nel cedere alle iattanze de'  settari e nel prestar fede a qualche perfido siciliano sia di Messina sia di Catania che al di lui seguito erasi unito, il quale di dover trovare Palermo senza difesa ed un popolo effeminato e molle gli avea assicurato (1).

Non meno sensibile si presentava al suo cuore ben fatto la licenza, che i suoi insubordinati soldati osavano verso quei contadini, i quali alla custodia de'  poderi e de'  giardini a sua insinuazione erano rimasti. Malgrado ch'essi all'armata molti soccorsi aveano apprestati e le loro farine le frutta il vino e ricovero gratuitamente aveano dato furono vittime de'  più crudeli eccessi ed al vandalismo militare soggiacquero. Dopo aver preso dai granai e dalle cantine tutta quella quantità di generi che consumar potevano aprivano le botti del vino e dell'olio per versarlo sul terreno e capanne e magazzini e granai e caso saccheggiate ardevano.

S'erge a piè d' uno de'  colli che forma la catena de'  monti di cai Palermo da quel fianco é circondato un santuario di mendicanti francescani alla Vergine Maria dedicato ed in somma venerazione dagli abitanti di quelle ridenti pianure tenuto. Le donne ed i bambini che sebbene arse le loro capanne non avean voluto il suolo abbandonare, da cui tratto aveano per lunga pezza la sussistenza loro, nella chiesa dell'eremitaggio si erano rifuggiate come sacro asilo e come di tetto per difendersi dagli estivi calori,

(1) Due fratelli abitanti in Catania i quali per guidare il colonnello Costa si erano accinti, e poscia all'armata del Pepe eransi uniti, furono quelli a cui si attribuirono i perfidi consigli dati prima all'uno poi all'altro; carichi di debiti speravano una risorsa nel disordine e col rendere servizi al partito napolitano acquistar cariche lucrose e riparare i loro disastri. Capi di setta eransi impegnati diffonderla nella loro patria e mentre occupavano adulando le anticamere detta Favorita del cav. Medici duchessa di s. Clemente, seguita ta rivoluzione del 1 luglio furono de'  primi a correre in Sicilia per rivoluzionare le provincie di Messina e Catania. Eppure costoro sono stati in seguito premiati assoluti i debiti e con cariche lucrose ricompensati!!!

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ed ivi fervide e devote preci al cielo ergevano, perché tanti mali tanto flagello cessati fossero. Ivi s'introdussero i soldati della libertà dai cittadini battuti ed il ferro sacrilego nel seno delle inerme madri e de'  bambini immergevano; non ancora sazi della stragge delle donne ucciso il custode nell'eremo osarono introdursi per trucidare i devoti frati nel coro salmeggiane.

Ma questi colla croce alle mani i loro petti esposero ed un vecchio venerabile per la sua canizie e morale distinto talmente impose loro, che quei crudi non ardirono alzare il ferro sui loro passi rincularono e ad occupare la cosi detta sesta casa si diressero (1). Ivi lauta mensa fu bandita e mentre fra la crapola ed il vino giacevano la plebe di Palermo li sorprese, e benché avesse potuto tagliarli a pezzi generosamente di condurli prigionieri fu contenta.

Lo stato dell'armata deplorabile sì per la sua posizione sì per l'insubordinazione avea sensibilmente il general Pepe afflitto ed in tutti i modi di metter fine alla guerra distruttiva era deciso. Egli urbanamente accoglieva i reclami contro i suoi, procurava indennizzare gli offesi ed a tutti pregava perché i palermitani del suo ardente desiderio di cessare le ostilità assicurassero.

Ed in vero la pace dagli onesti cittadini di Palermo non era meno desiderata, perché lo stato interno era del pari deplorabile. La guardia nazionale erasi disciolta; la giunta non volea più riunirsi; il solo Principe di Paternò come capo di governo figurava e tutti i poteri in lui avea riuniti. 11 vecchio Bonanno della finanza pubblica per quanto le circostanze del disordine tollerasse prendeva cura. Il comandante Requisens un vano titolo conservava, ma la forza morale avea anch'esso perduta. Il popolo le pubbliche prigioni avea riaperte ed i più facinorosi di nuovo liberi i tristi effetti dell'anarchia facevano temere; Io spavento le persone distinte o ricche opinate avea invaso, ed i palagi le case le botteghe eccetto quelle de'  venditori annonari si tenevano chiuse, le strade pubbliche dalle sole bonache erano percorse e visi truci e fieri osavano esporsi per occupar le mura o la campagna onde attaccare il nemico con cui frequenti scaramucce si cambiavano.

(1) La così detta sesta casa era un'antica fabbrica che apparteneva ai P.P. Gesuiti avanti la loro espulsione da Sicilia. La tenevano destinata per radunarvi i devoti che amavano sentire gli esercizi spirituali di s. Ignazio. Questa passò in proprietà da alcuni preti che ne proseguirono io stesso uso.

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Il zelo la sagacità della plebe in questi momenti si rese ammirevole alla riflessione dello stesso nemico; senza guida senza persona che diriggeva le sue operazioni fu sempre pronta a prevenire gli attacchi; giammai le porte le fortezze i baluardi i punti di attacco o di difesa vennero d'armati abbandonati, straordinaria era l'attività degli artiglieri civici, per cui il cannone né giorno né notte di molestare il campo nemico cessava, e ben diretti a danno del nemico campo furono i loro colpi. Le bonache oltre al servizio attivo che prestavano senza interruzione, di loro consiglio varie strade della città per le quali dubbio cadeva che il nemico introdursi potesse corsero a barricare e mancando di materiale all'uopo sino le carozze ed i carri impiegarono, come argine sicuro alla cavalleria perché non potesse agire. Il tamburo battente in tutta la notte percorrendo le strade i cittadini avvertiva a tenersi pronti, perché l'aggressione del nemico respingessero e all'ora dello attacco che per il giorno appresso era destinato prepararsi.

Malgrado il disordine deve rendersi la più giusta lode al magistrato municipale, alla di cui cura l'annona era affidata per la sua vigilante attività nel provvedervi. Non minore encomio é dovuto al sangue freddo al coraggio dal Principe di Paternò mostrato; a lui la plebe ricorreva la sua casa a tutte le ore a tutti del popolo era aperta e con straordinario ardire delle bonache disponeva a sua voglia e spesso in opposizione alle loro richieste e magicamente era ubbidito. Non pochi cittadini anche illustri la vita gli devono, perché odiati per la loro condotta anticostituzionale lo sfogo della pubblica vendetta erano divenuti.

Mentre stavano le cose dall'uno e l'altro lato senza speranza alcuna di conciliazione, anziché a maggiori ostilità si disponevano, il maggiore Cianciulli agitato da rimorsi per la sua opposizione in Termini ed attribuendosi le perdite e la sofferenze dell'armata un colpo disperato volle tentare. Ai posti avanzati delle bonache si presenta e di essere introdotto come messaggiero di pace presso il Principe di Paternò domanda. Per buona ventura in un capoposto prudente incontrossi, il quale malgrado la diffidenza e le ripulse de'  suoi al palazzo del Paternò lo conduce ivi la pace alle più onorate coadizioni a nome del general Pepe del quale presenta in uguali sentimenti una lettera a prò dell'umanità implora.

Questo momento era assai critico per il Principe di Paternò: la sua popolarità i suoi beni la sua vita al maggior pericolo venivano esposti.

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Abbandonato da tutti coloro del suo ceto, rimasto solo, e senza l'altrui consiglio a maneggiare la plebe sopra un articolo in cui certamente incontrar dovea la più forte opposizione, e vieppiù di quelli i quali le sue sale empivano e spettatori della sua replica si erano fatti, seppe felicemente tirarsi fuori dal più periglioso imbarazzo e lusingare quella plebe, la quale non solo nessun timore dall'arcata reale concepiva, ma nella fiducia di totalmente distrugerta riposava ed a cui la stessa missione del Cianciulli ardire ed insolenza avea accresciuto. Né l'aiuto di quei cittadini i quali di veder cessate le ostilità anelavano poté egli implorare, attesoché questi temendo il furore popolare, di manifestarsi non osavano. La sua avvedutezza e diremo ancora la sua astuzia tutti gli ostacoli sormontarono senza apertamente aderire al progetto di pace dal Cianciulli richiesto nel suo abboccamento d'espressioni salvo il decoro delta nazione la sua generosità verso l'armata ad alta voce pronunziata al popolo facea sentire tregua per ora, d'accordo le ostilità ordinerò di cessare, purché sul luogo d'unione e sulle persone che intervenire devono nelle trattative, saremo convenuti; e come si avvide, che gli animi degli spettatori erano già calmati ed i suoi sentimenti approvavano di allontanarsi tutti di raddoppiare la forza de'  posti avanzati gl'impose. Rimasto solo col Cianciulli convenne, che per la mattina del 5 ottobre sul brigantino di S. M. Brittannica denominato il Baulter si sarebbe discussa e firmata la convenzione, per la quale i consoli esteri che si trovavano in Palermo a prestarvi il loro intervento e garenzia sarebbero invitati. Le basi si disse di questa capitolazione sarebbero gli articoli, che col ministero di Napoli erano stati fissati. Il Cianciulli si parti soddisfatto ed il suo ritorno al campo gioia comune divenne.

All'ora indicata il principe di Paternò in tutta la pompa salutando il popolo e lusingandolo con parole che l'orgoglio nazionale appagassero, percorrendo a bella posta le strade più frequentate con varie persone del suo cortegio sul Raulter li condusse: ed ivi impiegando quella dignità che gli antichi baroni di Sicilia conservavano, nei tempi in cui la feudalità era in tutto il suo vigore, dettò al general Pepe gli articoli della qui trascritta convenzione, alla quale le firme de'  consoli di Inghilterra di Francia di Spagna e d'Austria furono unite.

Sino a questo punto l'avvedutezza del principe di Paternò nulla facendo penetrare delle sue intenzioni era riuscita a tener tranquillo il popolo e le ostilità erano cessate da amba le parti. La fine di questo dramma politico diveniva il momento critico per il cimento a cui il Paternò e i cittadini si trovavano esposti.

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La capitolazione venne concepita come vedesi inserita.

Il sig. Florestano F. generale Pepe comandante le armi in Sicilia e S. E. sig. Principe di Paternò per assicurare e stabilire l'ordine nella città di Palermo, e nei paesi che si sono a lei uniti hanno convenuto nei seguenti articoli:

1. Le truppe prenderanno quartiere fuori città, là dove il generale comandante crederà più opportuno, tutti i torti e batterie gli saranno consegnati.

2. La maggioranza de'  voti de'  siciliani legalmente convocati deciderà dell'unità o della separazione della rappresentanza nazionale del regno delle due Sicilie.

3. La costituzione spagnuola dei 1812 è confermata da S. M. cattolica nel 1820 e riconosciuta in Sicilia, salvo la modificazioni, che potrà adattare l'unico parlamento, ovvero il parlamento separato per la pubblica felicità.

4. Ad unico e niun'altro oggetto di esternare il pubblico voto sulla riunione o separazione de'  parlamenti del suddetto regno ogni comune elogerà un deputato.

5. S. A. 11. il principe vicario deciderà del luogo ovo dovranno riunirsi i suddetti deputati.

6. Tutti i prigionieri dell'armata napolitana esistenti in Palermo saranno resi all'armata suddetta qualunque siasi il loro grado e la loro nazione.

7. Il parlamento unito o separato può solamente fare e abrogare le leggi fintantoché non sia convocato, le antiche leggi saranno osservate tanto in questa capitale quanto nel rimanente della Sicilia. S. A. it. sarà sollecitata, onde anco prima che il parlamento si unisca le modifichi al possibile pel bene del popolo.

8. Le armi del re, le sue effigie saranno rimesse.

9. Intero oblìo coprirà il passato anco per tutti i comuni persona che abbiano preso parte agli avvenimenti, pei quali l'oblìo suddetto è stato pronunciato, in conseguenza di che i membri componenti la deputazione che si trovassero fuori dell'isola, saranno liberi di ritornarvi se essi lo vogliono.

10. Una giunta scelta tra i più onesti cittadini governerà Palermo provvisoriamente, finché S. A. R. non dia le sue sovrane risoluzioni: essa sarà presieduta dal principe di Paternò, il comandante delle armi potrà farne parte. Fatto a bordo del cutter Rancer di S. M. britannica comandato dal L. Chiarteil Tburtelle nella rada di Palermo li 5 ottobre 1820 (1).

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Il popolo a folla lungo le vie che il Paternò traggitar doea per sapere l'esito dell'abboccamento erasi sparso. L'astuto principe con aspetto ilare una carta mostrava, e che aveva di già tutto e bene ultimato, che l'orgoglio di Pepe avea depresso; che fra poche ore il trionfo di Palermo si sarebbe veduto con gesti più, che con parole indicava. Ciascuno rimase ignaro di ciò che la carta conteneva, ma intanto dalle persone di sua fiducia che alle 6 p. m. nei quartieri fuori la città l'armata regia avrebbe egli collocata fece diffondere. Con effetto all'ora indicata per la porta nuova lunge Toledo defilò l'armata da lui precessa. Egli in mano tenendo una piccola bandiera bianca ritto sul carro al popolo mostrava, in quale umile stato dietro a se l'armata vinta traeva.

In vero lo stato dell'armata dopo un lungo vivaccare in un terreno paludoso priva di buona nutrizione il suo vestire lacero e trascurato l'aspetto pallido del soldato uno spettacolo umiliante offriva; ed il popolo del suo trionfo contento abbandonando qualunque altra riflessione da spettatore tranquillo si stava.

Da questo momento tutto rientrò nell'ordine primiero e ciascun pubblico funzionario il suo posto riprese. I cittadini nascosti o fuggiaschi in città si restituirono e del popolo i più facinorosi che nella rivoluzione si erano segnalati o per audacia o per delitti meliorando avendo la loro condizione di tranquillamente goderne, erano dalla convenzione lusingati, per cui presso le loro famiglie si erano ritirati.

I primi provvedimenti del generale Pepe a rimandare in Napoli i militari che avean preso servizio presso l'armata siciliana o che invisi al popolo, nelle prigioni erano stati ritenuti, furon diretti; in quest'ultima classe il generale Pastore ed il colonnello della cavalleria Lucchesi erano stati i soli, verso i quali per una giusta misura onde dal furore popolare esentarli la giunta avea dovuto usar l'opponente rigore di farli in prigione custodire.

(1) Questa onorevole convenzione mostra la generosità del popolo di Palermo i sentimenti saggi di cui era animato lo stato deplorabile dell'armata napolitana, la perfidia che regnava nel ministero napolitano benché formato da'  più pronunziati liberali.

Tutto ciò che avviene posteriormente, giustificherà l'odio de'  siciliani verso i continentali e convincerò l'Europa, se la Sicilia a buon dritto reclama la sua indipendenza da un popolo rivale perfido e senza coraggio che ha voluto opprimerli; io fine di quale ingratitudine è stata pagata da Ferdinando IV ITI e poi I.

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L' ex-comandante Requisens di lasciar Palermo fu consigliato (1).

Il principe di Paternò alla direzione degli affari provvisoriamente fu conservato; e poche persone di sua scelta che sotto di lui travagliar doveano, furono aggiunte.

La polizia essendo fuggiasco il marchese Favare Direttore al D. Gaspare Leone fu affidata (2).

Lo guerriglie in vari luoghi sparse deposero le armi e furono sciolte.

I capi rientrarono in Palermo, ma il s. Cataldo credette più prudente consiglio di espatriare ed in Inghilterra con tutta la famiglia condursi. Ed in vero la condotta dell'armata ossia de'  capi che la guidavano, non prestava alcuna fiducia; molto meno il ministero napolitano il cui liberalismo era di natura a sospettare molto, del ritorno ai principi del 1799.

Le provincie di Messina di Catania e di Siracusa al luogotenente Scaletta sottoposte rimasero e di ubbidire alle disposizioni della giunta ostinatamente ricusarono. In vece le più ostili misure contro i proprietari dimoranti in Palermo vollero proseguire; e la Sicilia si trovò in due governi divisa ed in conseguenza da due partiti lacerata. Né sembrerà credibile, che tale insano procedere dai ministri napolitani era approvato e garentito! Nelle tre indicate provincie molti comuni considerevoli contro il capoluogo in continua reazione si mantennero in esse l'anarchia e gli errori di essa per molti mesi senza rimedio proseguirono.

Erasi di già in Napoli convocato il famoso parlamento secondo le forme della costituzione spagnuola ed i rappresentanti delle tre sopraccennate provincie eletti però senza le dovute formalità e coi soli procacciati voti degli abitanti, dei tre capi luoghi dati ai più sicuri partigiani dell'unione con Napoli già nella camera parlamentaria sedevano, quando ivi giunse la nuova della capitolazione in Palermo dal generale Pepe segnata.

(1) Il Requisens, si credette, che avea il popolo mantenuto nei sentimenti ostili, e l'avea spinto contro il principe di Villafranca, con cui non passava in buona armonia; gli s'imputava ugualmente che come militare al soldo del re, non dovea mettersi alla testa di una ribellione e guidare un'armata: in fine il Pepe lo credette persona pericolosa ed il suo allontanamento fu creduto necessario. Il Requisens soggiacque dopo l'occupazione de'  Tedeschi ad un lungo esilio.

(a) L'elezione del sig. Leone consigliata al generale Pepe da un siciliano fece orrore. Il Leone era stato uno de'  crudeli tormenti della regina Carolina, Ciascuno prevedevate più tristissime misure. Nessuno s'ingannò.

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Tutto fu adoprato per rigettarsi; il livore nazionale si reso apertamente manifesto.

I carbonari delle vendite fremevano, i militari contro Pepe e contro Palermo vomitavano vendetta; gli avanzi dell'armata distrutta nel 17 luglio già ritornati in patria, credevano l'onta ricevuta espiarne colle rodomontate proprie di quella nazione quando dal pericolo trovasi lontana; un ministero debole e dominato dalla setta tutta la perfidia de'  seducenti liberali facilitava.

II ministro dell'interno conte Zurlo incontrato avendo nel real principe vicario molta difficoltà a prestarsi al rifiuto di rimettere la sanzione al parlamento lo persuase. Il colonnello Gabriello Pepe uno de'  più rinomati fanatici che ivi sedevano, l'incarico della mozione del rigetto assunse e la sua arringa ad una diatriba contro il popolo di Palermo ed ai siciliani dirigeva. Il parlamento di annullarsi decretava; ed il sig. Zurlo col telegrafo al luogotenente Scaletta in Messina per animare il partito ne fece partecipe.

Pervenuta tale notizia in Palermo malgrado che il zelo che i capi del governo si diedero per non farla nel popolo diffondere, produsse tale indignazione che senza l'egregia condotta del generale Florestano Pepe, un secondo vespre siciliano sarebbe avvenuto e l'armata al più terribile massacro sarebbe soggiaciuta. Non meno sensibile tanta perfidia nelle provincie pervenne; da ogni dove indirizzi si spedivano al principe di Paternò per riprendersi le ostilità, cacciarne i napolitani, e a nuova guerra di nazione s'invitava.

Gli effetti di tanta pubblica indignazione penetrarono ancora nelle due città di Messina e Catania, le quali fino a quel punto erano state il focolare ardente dell'opposto partito ed il loro spontaneo disinganno produssero. Siciliani anch'essi i loro torti confessando le loro braccia le loro vite per vendicarsi l'onore nazionale oltreggiato offrivano. Molte città delle stesse provincie presero con effetto le armi e di riconoscere il governo di Napoli con fermezza si ricusavano: Bronte e Maletto più che le altre si distinsero, e con valore sommo le truppe per comprimerle ivi spedite seppero respingere ed il vessillo dell'indipendenza valorosamente fecero rispettare.

La memoria ancor fresca dei terribili disordini a cui Palermo era stato esposto, e l'obbliganti maniere del generale Pepe dopo il suo ingresso in Palermo l'impeto dell'entusiasmo nazionale trattennero. E l'idea che la rivoluzione di Napoli non poteva a fronte della santa alleanza sostenersi e che Ferdinando avverso naturalmente ai principi costituzionali maggiormente alla carta spagnuola nel far la sua vendetta

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contro il popolo continentale la Sicilia avrebbe vendicata, a tollerare e nell'avvenire fondare le migliori speranze, i siciliani che gli affari pubblici guidavano persuase e ritenne da qualunque reazione. Il generale Pepe chiese insistendo il suo ritiro: le sue istruzioni rese pubbliche colle stampe a ciò che facesse presso la Sicilia la sua giustificazione e dovendo lasciar Palermo circondato dalle più distinte persone, nel congedarsi dichiarò che egli si sarebbe fatto in Napoli il difensore della Sicilia e de'  suoi dritti presso S. A. R. il vicario, che la sua convenzione con tutte le sue forze avrebbe sostenuta. Che ricusato avrebbe qualunque comando militare nel continente, e che infine divenuto siciliano per ammirazione e per dovere ove la Sicilia ripreso avesse le armi, egli il primo e da soldato a combattere fra i siciliani sarebbe volato (1).

Giova qui inserire alcuni articoli delle istruzioni date al generale Pepe intorno all'indipendenza della Sicilia inserite nel dispaccio 31 agosto ministero dell'interno e date alle stampe,. dietro le quali si vedrà, che la convenzione sul Raucer era stata autorizzata dallo stesso governo, che poscia la metteva al nulla.

«Art. 7. Ove la città di Palermo dopo la manifestazione qui fatta a'  deputati rientri nell'ordine restituisca i prigionieri ed accetti le misure di conciliazione, si passerà subito a vedere se il voto di Palermo è accettato dal resto dell'isola.

l mezzi di raccogliere il voto generale sono rimessi alla prudenza del luogotenente generale e del generale comandante i quali si metteranno d'accordo. Dopo aver raccolto questo voto nel modo il più sicuro ed il più pronto no daranno conto a S. A. 11. ed attenderanno le sue risoluzioni.

Art. 8. Per tutti gli altri articoli che devono essere trattati: dopo che il voto generale della Sicilia sarà conosciuto, avranno il luogotenente generale ed il comandante generale solo la facoltà di riferire ed attendere le disposizioni superiori. In questa occasione in Napoli fu pubblicato colle stampe l'altro dispaccio, in cui furono le trattative colla commissione di Palermo, di cui abbiam di sopra fatta parola, rese di ragion pubblica.

(1) Con effetto il generale Pepe non solo ricusò il sig. Gennaro ma né io quella circostanza né in seguito ha voluto accettare alcun posto attivo Dall'armata.

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«S. A. R. (eccone il tenore) dopo matura deliberazione intesa più volte la giunta provvisoria di governo ed il parere de'  suoi ministri, ha risoluto, che una spedizione militare sia fatta, e che al tempo istesso una risposta sia data a'  deputati di Palermo tale, che apra un mezzo di conciliazione che S. A. R. desidera ardentemente, quando sia compatibile col bene de'  popoli e colla dignità del sovrano; è stato in conseguenza risoluto che si dia verbalmente ai deputati la seguente risposta per mezzo del tenente generale D. Giuseppe Parisi, Colonnello Russo e barone D. Davidde Viuspeare membri della giunta provvisoria di governo, autorizzati specialmente a questo di S. A. R.

«Il governo non farà alcuna opposizione, a che la Sicilia abbia una rappresentanza indipendente da quella di Napoli, colle condizioni qui appresso:

«1. Che dietro questa prima manifestazione fatta a'  deputati debba Palermo restituire tutti i prigionieri e rientrare nell'ordine.

«2. Che il voto di Palermo debba esser accettato dal resto dell'isola, nel modo che si potrà immaginare.

«3. Che debba preliminarmente fissarsi l'unione del Principe l'unità dell'armata e della marina, la quota dei sussidì ed uomini, che dovrà somministrare la lista civile; ed in conseguenza l'unità del corpo diplomatico e della corte palatina.

«4. Che debba ugualmente fissarsi, che S. A. R. possa commettere il governo di Sicilia ad un suo rappresentante e sotto un titolo qualunque».

Estratto dalla collezione de'  dispacci pubblicati colle stampe 31 agosto 1820.

I giornalisti napolitani di giustificare la perfida condotta del ministero e de'  parlamentari s' impegnarono. Ingiurie insulti e grossolane bugie furono pubblicate per ridurne il bianco in nero, alle quali con dignità risposero i giornalisti siciliani; e disprezzando le prime il vero coi più brillanti documenti storici s'impegnarono di manifestare in faccia all'Europa per ismentire le tante falsità che per mezzo di quei giornali si erano sparse. I napolitani effimera la costituzione della Sicilia chiamavano; la carta del 1812 l'opera dell'intrigo dei baroni la vantata indipendenza un illusione dal dritto pubblico non sostenuta.

I diplomi reali sin da Bugiero Normando fondatore della monarchia e delle dinastie che si sono succedate sino all'ultimo re Ferdinando III Borbone.

Gl'atti del parlamento registrati negl'archivi pubblici e raccolti dal Mougitore la collezione de'  capitoli del regno, ossia i decreti e concessioni sovrane i documenti napolitani testé citati gli atti della giunta provvisoria

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di governo in Palermo eretta resi ugualmente di ragion pubblica, tramavano le repliche più convincenti, che la Sicilia faceva agli scrittori di Napoli ed alle loro mendaci diatribbe (1). Questi fatti all'odio fra i due popoli una eterna sensibilità apprestarono, ed i siciliani si convinsero più che mai, che la loro prosperità alla separazione del continente era attaccata. Il  generale del genio Pietro Colletta surrogò, il generale Pepe nel comando delle armi ed il titolo di Luogotenente del re in Palermo gli venne aggiunto, talché l'isola in due luogotenenze e due governi fu divisa e lacerata.

Il governo di Colletta benché breve non fu esente di estorsioni e di dolorose rimembranze. La sua deferenza accordata ad un certo commissario di guerra sig. Massone (2) fece formare di lui pessima opinione.

Il Mussone non contento delle ingenti somme a forza strappate dalle città per cui l'armata avea tragittato, le stesse estorsioni all'arrivo del Colletta intendeva in Palermo eseguire e poco mancò, che nuovi disordini non avesse la sua condotta cagionato. Il Colletta per consiglio di costui qual comandante le armi, un ordine al capo delle municipalità diresse, per il quale esigeva in otto giorni il pagamento di 300 mila ducati per i bisogni dell'armata e facoltava una tassa straordinaria da cui ritraersi. Il  pretore capo municipale, rispose, protestando per l'illegalità della tassa attesoché per la legge costituzionale dallo stesso generale pubblicata non poteva egli ordinare né il pretore riscuotere nuove tasse senza che il parlamento proposto l'avesse o il re sanzionato.

Ma l'insistenza minaccevole del generale Colletta, spinto dal Massone, obbligava il prudente pretore per evitare un disordine d'appigliarsi temporeggiando ai mezzi evasivi. La tassa fu imposta sulle porte di via Toledo e di altre principali strade con differente gradazione, versò egli qualche somma all'armata, che dai dazi civici incassava e nessun cittadino fu astretto a pagar l' imposizione (1) .

 

(1) Per non molto distrarre il lettore dai fatti storici del trentennio abbiamo in fine inserito un sunto storico della costituzione siciliana e delle concessioni, che il popolo di Sicilia ha ottenuto nei secoli della sua monarchia. Da questo si scorgerà quali dritti vanta la Sicilia per la sua indipendenza e forma la replica ai moderni scrittori napolitani.

(2) Si pretendeva da taluni di attribuire al Colletta di aver parte dei furti del Massone, il generate caduto pochi mesi dopo in disgrazia ed esiliato dalla patria si giustificava d'esser stato obbligato dai ministri costituzionali a tirar denaro dalla Sicilia per te spese della guerra.

(1) Erano i Corifei della costituzione spagnola quelli che ordinavano la tassa!






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