Eleaml



Dalle bonache alle cosche di Zenone di Elea - 28 Agosto 2012

ANNO I.  GENOVA — Sabato 27 Ottobre 1866 NUM. 42.

IL DOVERE

GIORNALE POLITICO, SETTIMANALE PER LA DEMOCRAZIA.

 L'INSURREZIONE DI PALERMO


(se vuoi, scarica l'articolo in formato ODT o PDF)

Premetto, che io non mi propongo di giustificare assolutamente l'insurrezione di cui prendo a parlare, perché non so di certo quali ne sieno state le cause, quali i mezzi, quali i fini. Io non posso parlarne che per conghietture. E mi si permetta di parlarne in un modo che lascia molto a desiderare. Quando uno scrittore ha per le mani certe questioni, gli è molto, se riesce a farsi ascoltare, tirando innanzi come meglio può.

l mezzi coi quali nascono e si conservano i cattivi governi possono ridursi a tre: corruzione, menzogna è violenza.

Là corruzione si opera, nella stampa, profondendo cogli scrittori da conio i fondi che sono stanziati per iscoprire e prevenire i reati; tra gli ambiziosi, profondendo distintivi onorifici ed impieghi a quanti vogliono prostituirsi.

Ma che sono queste migliaia di gaudenti a fronte dei milioni di sofferenti?'

Quindi la necessità di corrompere l'opinione pubblica, alterando i principii della morale politica, e calunniando, se non vi possono le opere, le intenzioni di chi si fa a propugnarli.

Però le voci di tutti questi che gridano dalla greppia non possono fare, che i più dimentichino quel dell'Evangelo. Dai frutti si riconosce l'albero, e che conchiudono: questa libertà che ci vantate sarà libertà; ma i frutti che ci dà sono frutti di tirannide. E da questo malcontento nascono insurrezioni, ma insurrezioni parziali, che vengono calunniate, e, presto o tardi, soffocate nel sangue; perché non può essere vera insurrezione di popolo, dove regna la peggiore delle anarchie, l'anarchia delle idee.

Quindi la necessità in quanti amano sinceramente il popolo d'informarlo ai principii della vera convivenza sociale, di svezzarlo dalle sue idolatrie, e di metterlo sempre all'erta contro le seduzioni dei tanti scrittori venali e parziali, che di continuo si adoperano a spacciarli il bene per male ed il male per bene.


Un'insurrezione fu a Palermo. Chi la fece?

Bugiardo come il telegrafo, dice il nascente proverbio. E pare che il telegrafo sia tutto intento, ad avvalorare il nascente proverbio. «La notte di sabato, alcune bande, riunitesi, penetrarono in Palermo.» Questo fu il primo annunzio ufficiale. Ma il numero degl'insorti cresce di bocca in bocca: e i fatti smentiscono la lievezza dell'insurrezione. tremila e duecento uomini di truppa regolare, i carabinieri, i poliziotti, tutti gli agenti della forza pubblica sono sopraffatti. Oltre alla metà della flotta viene spedita contro Palermo, i soldati partono a migliaia da Livorno, da Taranto, da Genova, da Ancona. Onde evitare il ridicolo d'una spedizione di trenta o quaranta mila soldati contro poche bande, o di opporre ad esse una flotta più numerosa di quella che combatté contro l'Austria, il numero degli insorti si fa ascendere a trentamila.

Ma anche questa supposizione, sé non fosse smentita dalle relazioni ufficiali, sarebbe smentita dai fatti. «I militi, tranne pochi, dice il comandarne della Guardia Nazionale, o si unirono agl'insorgenti, o restarono a casa.» «Al movimento, dice il comandante dei Carabinieri, rispose la Città, ad eccezione della parte eletta e civile (forse i cavalieri dei soliti santi e gli impiegati).» «Le guardie daziarie civiche, in numero di settecento, fin dal principio della sommossa sparirono, e si vuoto che sìensi riunite alle bande dei rivoltosi.» Che più? L'Intendente della Casa Reale abbandona il suo posto: è la servila di quella Casa, che, secondo la relazione dell'alter ego Cadorna, era  un servitorame indisciplinato e perverso, fu in gran parte connivente col malandrinaggio e la reazione, cioè coll'insurrezione. Non basta. «La provincia di Palermo, dice il sullodato Capo della Guardia Nazionale, è tutta invasa da vecchi pregiudizii e da influenze di forti, ricchi e potenti, nemici dell'attuale ordine di cose.» Siccome vedete, gl'insorti erano in buona compagnia.

Quale scopo aveva 1 insurrezione di Palermo?

Se scorrete le relazioni del Governo ed i giornali, di rado vi avverrà di vedevi qualificati gli insorti, che coi nomi di reazionari, separatisti, malfattori, malviventi, malandrini, ladri, assassini, canaglia, ecc. Il vocabolario delle qualificazioni contumeliose fu pressoché esaurito. Anche giornali, che si decantano per democratici, accolsero fedelmente, sotto nome di corrispondenze, tutte le calunnie inventate contro gl'insorti, come il fatto del poliziotto ucciso dà una torma di femmine a furia di morsi, la complicità dell'Inghilterra, il saccheggiamento della sostanze di tutti gli stranieri, eccettuati gli Inglesi, ecc.


338


Dove era minore il pericolo, che le calunnie fossero immediatamente smentite, se ne spacciarono anche più grosse. E cosi il Pays e la Patrie di Parigi annunziarono come assassinati il duca Della Verdura, il principe di Sant'Elisa, il marchese Rudini ec; ed inventarono la spedizione di Garibaldi con diecimila volontari in aiuto della malandrinesca insurrezione.

Intanto, ecco i fatti. Migliaia d'insorti si gittano su Palermo, al grido di Viva la Repubblica Italiana. Essi si pongono o tentano di porsi sotto la direzione d'uomini specchiatissimi. Nel proclama dell'insurrezione, essi dicono: «Guai a chi oserà versare sangue cittadino per libidine di vendetta; guai a chi oserà mettere un dito sugli averi altrui!» Essi rinfacciano alla monarchia la convenzione del 15 Settembre, il parricidio d'Aspromonte, le stragi di Torino, il sanguinoso e nero tradimento di Custoza e di Lista. Essi le rinfacciano di avere spolpato la Nazione, all'ombra d'una Costituzione derisoria, di averla corrotta, prostituita, coperta d'infamia. Imputazioni gravi sono queste, ma sono imputazioni, che tuttodì veggiamo farsi anche dall'opinione costituzionale, colla differenza, che questa se la prende coi ministri e coi deputati, laddove gl'insorti ne accagionano la forma di governo. Essi parlano parole di concordia al popolo, ai militi ed ai soldati. In lutto il proclama, non una parola che accenni a reazione, a vendetta, a separazione della Sicilia dall'Italia. Ridotte le regie truppe al punto d'arrendersi o di morir dì fame, gl'insorti restano per più giorni padroni della città. E, cosa veramente da stupire, in mezzo a tanto disordine, non accade un assassinio, e non sono saccheggiati che alcuni stabilimenti pubblici e due o tre case d'uomini, che si distinsero pel loro accanimento contro l'insurrezione.

Che se pure fatti più gravi fossero accaduti, i capi, d'un insurrezione non sono moralmente colpevoli che di ciò che si fa per loro ordine o connivenza. La storia dirà, se i campioni dell'ordine sieno stati più temperati a Palermo, di quei che furono a Genova nel 1849, e dovunque furono sguinzagliati contro il popolo. L'insurrezione di Palermo fu repubblicana: e quelli che la spacciano per reazionaria, perché fu favorita da frati, dimenticano nella loro fratofobia, che il clero siciliano si distinse sempre per patriottismo.

Che poi quell'insurrezione fosse tenuta dai Palermitani per un tentativo diretto unicamente contro il Governo, il dimostra la solitudine in cui furono lasciati i governativi, e la parte, che vi prese la città, stando alle stesse relazioni officiali.


Una città forte di dodicimila militi e popolata da 200 mila abitanti, che se ne sta inoperosa o si unisce a bande che la investono per depredarla; incendiarla, sgozzarla, è una frottola che richiedo una gran dose d'impudenza in chi la inventa, ed una dose anche maggiore di minchioneria in chi crede e la propala.

Queste mi paiono ragioni e fatti di qualche peso. Ma che ragioni e che fatti presso chi vuole illudersi od illudere altrui? L'attitudine di Palermo, secondo il Diritto, provenne da ciò, che nessuno crede alla possibilità della repubblica italiana. «Invano, scrive il generale Cadorna in un suo proclama, si è tentato a'  orpellare siffatte scelleratezze con un nome politico che. manca di significato. (Il soldato piemontese dimenticava che l'Italia, tranne il Piemonte e qualche altra delle sue meno illustri regioni, è la terra classica delle repubbliche!) Invano si è loro data una bandiera, che l'opinione pubblica non può avere riconosciuto. Il paese ha purtroppo scorto, che nessun partito politico ha diritto di essere rispettato per tale, quando  i primi atti della sua esistenza, s'inaugurano in mezzo a palazzi dilapidati, ad innocenti creature affamate (avrebbe forse voluto che gli insorti avessero somministrato colazione, pranzo, merenda e cena ai soldati!), ad incendi e violenze d' ogni sorta.» «Le bande armate, scrive l'Opinione, s'inoltrarono gridando viva la repubblica! aspettando di gridare viva il saccheggio!» La Nazione, altro giornale d'inserzioni a pagamento, scrive essere gl'insorti di Palermo «un'alleanza di malandrini, di frati, di monache e di clericali reazionari, la bandiera repubblicana essere stata inalberata per coprire tutta quella merce di contrabbando.»

Benché quanto fu detto di peggio sul carattere dell'insurrezione di Palermo risulti fin d'ora, in gran parte, un cumulo di calunnie goffamente architettate, lo scopo dei partigiani dell'ordine è già ottenuto. All'udire, che una delle più cospicue città d'Italia era in preda a torme di briganti, di reazionarii, ed assassini, un grido d'esecrazione si levò per ogni dove. L'insurrezione rimase quasi isolata. Dimostrazioni di devozione al governo piovvero dalla stessa Sicilia. Perfino corpi di volontari, se è vera la voce, si offrirono a combattere la reazione fratesca. I soldati avevano le sembianze dei cristiani delle crociate. I bersaglieri, come a Genova nel 1849, si distinsero per la bravura, colla quale si avventarono contro gli insorti, al grido eminentemente nazionale di Viva Savoia! All'invasione successero le stragi e le carcerazioni in massa, salvo al giury di assolvere gli innocenti che sopravvissero alla carnificina. La storia dirà, se Palermo abbia maggiormente a lamentare il turbamento ed il ristabilimento dell'ordine.


L'insurrezione di Palermo offre non poche utilissime lezioni per chi sa approfittarne. Il governo colle sue estorsioni, col favore accordato ad uomini quanto servili altrettanto perversi od inetti, con prepotenze di ogni sorta, giunse ad inimicarsi proprietari, commercianti, chierici, proletari, un popolo lutto che tanto aveva fatto e sofferto per far parte del regno d'Italia. E questo popolo di malcontenti di tendenze disparatissime, anziché confidare nell'alternarsi dei Ricasoli, dei Rattazzi, dei Lamarmora, dei Minghetti e d'altrettali predestinati, anziché gridare viva Sicilia, o viva il Borbone, dispera della monarchia, ed innalza una bandiera, che è seguila e rispettata da una città di 200 mila abitanti, e che i suoi avversari credono di non poter abbattere, se non lordandola di fango e facendola apparire diversa da quel che era. Farà senno il governo? L'esperienza di diciott'anni me ne fa dubitare. Esso insuperbirà della prontezza della repressione, del gridacchiare dei suoi giornali, delle dimostrazioni di devozione onde fu assordato. Esso attribuirà a mancanza d'istruzione i moti della Sicilia. Ma queste dimostrazioni di devozione potrebbero essere effetto d'un equivoco e della prevalenza della forza e l'istruzione non giungerà mai ad inspirare al popolo la rassegnazione alle vessazioni, ai disprezzo dei suoi reclami, al conculcamene d'ogni suo diritto. Se poi è stata necessaria tanta parte dell'esercito e della flotta per reprimere un'insurrezione parziale, che sarà per avvenire se nasco contemporaneamente un'insurrezione in vari punti della penisola9 Jerusakm! Jerusalem! Bisogna cambiar sistema, bisogna guadagnare il cuore del popolo: e il cuore del popolo non si guadagna coi bombardamenti e colle fucilazioni.

G. B. TUVERI







vai su









Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del Webm@ster.