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Ringraziamo il Direttore e la Redazione de "Lo Straniero" per averci autortizzato a riprodurre i seguenti articoli:

L'amico che ci ha procurato il numero di novembre - dal quale abbiamo tratto l'articolo "Neo borbonici, una moda campana di Antonio Pascale" - ci ha detto: "Non importa che l'articolo sia critico verso la realtà neoborbonica, la novità di  un articolo del genere è l'aver immesso nel dibattito quotidiano un termine che era stato relegato dai vincitori nella pattumiera della storia." Noi condividiamo perfettamente tale giudizio. Chi è interessato a leggere altri articoli può collegarsi al sito della rivista “Lo straniero” e cercare nell'archivio.

Buona lettura!

Webm@ster - 11 Gennaio 2007

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Fonte:
Lo Straniero – Numero 78 - dicembre 2006

Effetto Napoli

di Maurizio Braucci

La città di Napoli fa un effetto da “ritratto di Dorian Gray” sul resto dell’Italia. Come in quel romanzo tutti i mali si accumulavano sull’immagine dipinta e lasciavano giovane e bello il suo proprietario, così gli italiani guardano alla nostra città con un sospiro di sollievo per le loro metropoli, ignorando che le problematiche napoletane li riguardano più di quanto credano. Si raggiunge il ridicolo e, di recente, durante un dibattito televisivo su Napoli, mentre sullo schermo scorrevano alcune frasi tematiche, ne è apparsa una assai eloquente che si chiedeva “Napoli: Italia?” dimostrando un eccessivo senso di disorientamento. Ancora, durante gli ultimi assalti mediatici per denunciare il degrado della città, numerose testate giornalistiche hanno spedito a Napoli i loro inviati alla ricerca di personaggi e vicende da raccontare, e anche io, come altri, sono stato da loro interpellato quale “persona informata dei fatti”. Quando ho cercato di indicare persone che non fossero violente, debilitate o che non avessero bisogno di una pacca sulla spalla, le mie proposte sono state ritenute poco interessanti, rivelandomi che non si può, così su due piedi, mettere in dubbio l’immaginario collettivo e che quello che non ne soddisfa le passioni diventa irreale.

Ci si può rendere conto, a questo punto, di quanto sia difficile per uno scrittore napoletano, dopo una cerimonia in suo onore a Desenzano del Garda, evitare di usare espressioni come “ojè... uè, uè... vuagliò”, un po’ piangere, un po’ ridere, citare Totò quando dice “Duca?” “Dica!”, e confessando poi, alla fine, che si abita poco distante da un boss della camorra e dalla sua famiglia il cui rampollo gira in una carrozzina blindata. E allo stesso tempo vi invito a rendervi conto del perché molti napoletani non aspettino nemmeno la fine della cerimonia in questione per levare i loro lamenti e i loro lazzi, visto che si tratta di consenso e di tanti abbonati che fanno per loro la fila ai botteghini di mezza Italia, già pronti a ridere, a piangere e in fondo a specchiarsi in quel ritratto di Dorian Gray.

Non mi sogno certo di dire che oggi a Napoli le cose vanno bene o che ci si dia molto da fare per migliorarle, eppure so anche che tutta l’attenzione attuale è pilotata da gruppi interessati a questa città per motivi solo in taluni casi di indignazione. Nella comprensibile indignazione mediatica si celano lotte di potere, all’interno del centrosinistra soprattutto, ma è inutile pensare che ci si limiti a questa fazione quando il potere copre tutto. Governo nazionale e locale, amici e nemici, hanno deciso che il caso Napoli ritorni, quando in verità non si era mai allontanato, mentre stanno solo ridiscutendo i propri equilibri di lobbies e di entourage, tra quelli dei ministeri romani e quelli dei palazzi napoletani, sopra una cittadinanza che non ha più parola per essersela venduta al migliore offerente.

Ritorna la camorra, ritornano le periferie e il degrado negli schermi tv. Confesso che di questi argomenti mi sono stufato di parlare, tanto meno durante la manovra mediatica attuale che ci riempie di banalità e astrazioni; raccontare i problemi dall’interno per denunciarli mi ha stufato, perché mi sembra che ormai ci parliamo solo addosso, noi posseduti dall’illusione della democrazia. A che serve? Le figure istituzionali che abbiamo attaccato e che ritenevamo responsabili di perpetuare scelte errate, non solo sono ancora lì nei ruoli che ricoprivano, ma addirittura sono state promosse. Quindi, gentili politici e dirigenti campani, se volete fare carriera vi consiglio di fornire a qualche scrittore o giornalista disinteressato le prove delle vostre corruzioni e omissioni, al resto provvederà il vostro capo-area o il partito di riferimento. Lo stesso vale per i progetti: critichiamoli, e i loro budget verranno rimpolpati.

Qualcuno ha detto che l’11 settembre è stato un esempio di performance che doveva rispondere al fatto che oggi il pubblico è sempre meno sensibile agli stimoli mediatici, buttare giù due torri newyorchesi non poteva passare inosservato sugli schermi di tutto il mondo. In piccolo, la faida di Scampia ha girato mezzo mondo con una varietà di immagini innumerevoli, si è fotografato e ripreso di tutto, degrado, spaccio, vecchi, bambini... Una volta un giornalista mi ha chiesto se sarebbe stato possibile, secondo me, dare una telecamera in mano a un killer, e gli ho dovuto ricordare che in certi frangenti quei signori hanno le mani impegnate. Per le Twin Towers si è trattato di mandare in onda un loop, una ripetizione continua; per la faida sanguinosa della periferia nord, invece, si è cercato di aggiungere sempre più sequenze, di approfondire, sapete il quartiere è vasto, 4 km quadrati, e conta circa 60.000 abitanti, ma in ogni modo lo si è fatto solo per ribadire la stessa cosa: ecco il museo dell’orrore. A vedere le Vele, ad esempio, due estati fa ci sono andati turisti a bordo di quei pulmann aperti come scatole di sardine. E non c’era amico di passaggio da Napoli che non mi chiedesse, “Mi porti a vedere un lotto di Scampia?”. Quale, dicevo io: G, H, O, P? “Quello Z”, mi ha detto uno, “si può?”. “Impossibile”, ho risposto, “quello, lo stanno ancora costruendo”.

Vorrei ricordare una figura a me cara, Henri Lefêbvre, il quale, in una delle sue ultime interviste (è morto, come tutti i marxisti) diceva che una delle cause del Maggio parigino era stata che le università fossero situate nelle periferie di quella capitale. Gli studenti, andando tutti i giorni a seguire i corsi, vedevano le condizioni in cui vivevano gli operai e il proletariato e ne prendevano coscienza, come si diceva allora, e  alla fine ciò scatenò la loro indignazione e il resto che sapete. Era un’intervista televisiva, più di dieci anni fa me l’ero fatta spedire da una mia amica francese, ma credo di non essere stato l’unico napoletano a vederla, da quindici anni si parla di spostare alcune facoltà universitarie a Scampia e si trovano poi mille ragioni per non farlo. Gli studenti napoletani non devono sapere...

Insomma, l’eccesso di rumore equivale al silenzio, il bombardamento di immagini su Scampia non è servito a niente, prendiamone atto, lì tutto prosegue come prima, ci si arma, si spaccia, si tiene in ostaggio una buona fetta di popolazione con l’ausilio anche di una polizia e di una classe dirigente corrotta. Come ovunque in città, l’importante sono gli affari, siano essi di società miste o a delinquere. Ma l’immaginario non agisce solo sul pubblico, agisce anche sugli attori di una tragedia. In questo periodo sto facendo delle interviste a dei giovani napoletani di “quartieri sensibili” (mi piace questa definizione della sociologia francese, quartieri sensibili evita la suscettibilità di chi vive con le palle incastrate nella porta di casa), dunque sto facendo delle interviste proprio sul loro immaginario. C’è una zona del centro, dove si promette una nuova faida di camorra. Lì, ben tre ragazzi, intervistati separatamente, mi hanno detto, quasi orgogliosi: “Vedrai, altro che faida di Scampia!”. È un record da superare, pare. Apriremo un altro museo dell’orrore? Sarà faticoso portare in giro di nuovo giornalisti e amici, far promuovere altri funzionari, rilanciare progetti obsoleti, sentirsi accusati di ossessione morbosa... Ma si farà anche quello, la nostra capacità di sopportazione è illimitata, il nostro talento è il nostro punto debole.

E mentre al centro, ecco, si preparano una e forse due faide, nei Quartieri Spagnoli e nella Sanità, lo stesso accade a Scampia, dove gli scissionisti attaccano i processi che si stanno svolgendo contro di loro (l’omicidio di Patrizia Marino, parente di un pentito) e intanto si sono asserragliati nella zona dei Sette Palazzi per preparare una nuova guerra. Dicono che servirebbe l’esercito, tutti questi uomini armati non bastano? E perché poi non invocare anche l’intervento di un Napoleone? L’immaginario ha bisogno di nutrirsi di forti scosse.

Se volete un’immagine emblematica ma non ancora diffusa di Napoli è quella di un uomo rinchiuso in casa perché ha paura di uscire e che lo ammazzino i suoi rivali. Se ne sta con la pistola a portata di mano, una scorta di coca che si rinnova ogni tanto, i familiari che lo compatiscono. È un’immagine che si ispira a Toni Montana, alias Al Pacino, nel film di Brian De Palma “Scarface”.

Un’altra immagine, è la donna che si dà da fare perché il marito è depresso, o in galera, o appunto chiuso in casa. Vende quello che può per mandare avanti la famiglia, lecito o illecito che sia, non esiste altro valore che quello dei soldi. Cosa la ispira? La protagonista di “Napoli Milionaria”, qualche donna di “Il padrino” o una telenovela o “Kill Bill” forse.

Ancora una immagine è quella del gruppetto serale di ragazzi e ragazze che, in una piazza o davanti una palazzina, scalpitano senza nulla che non abbia a che fare con lo scooter, il cellulare, la nuova tenuta d’abbigliamento o una pallina di cocaina. In questo caso si ispirano a un film che ha per protagonisti i loro genitori, gli adulti, gli abitanti della televisione.

Di recente hanno fatto un sondaggio in Gran Bretagna, pare che gli adulti abbiano sempre più paura dei giovani, che la classica ramanzina generazionale sia diventata per loro un rischio. A Napoli si vive nel terrore dei giovani, basta un gruppetto che passa e il più robusto dei quarantenni, in una strada notturna, abbassa la testa nel timore di essere rapinato o assalito. La verità è che la nostra società è sempre più senile, chiusa, refrattaria alle esperienze e al confronto, edonista nell’intimità e feroce nelle relazioni. Un ragazzo, che ogni giorno dalle 17 alle 19 gira per fare rapine, tranne il sabato e la domenica in cui spende i soldi della refurtiva, mi ha confessato: “Sì, lo so, faccio schifo, ma fanno schifo in parecchi e prima di tutto i grandi”. Sinceramente, io credo che abbia ragione.

Ora quello che voglio dire è questo: si è fatto un gran pasticcio parlando di Napoli o della periferia che è diventata un emblema della città. Si è messa insieme, nello stesso calderone, la questione della criminalità organizzata, del crescente disagio giovanile, dello sviluppo senza progresso, del passaggio da città a metropoli, del mutamento di corso del suo immaginario. Finché non si rimette un po’ d’ordine in questi temi, i musei del degrado riceveranno solo approcci teatrali come quelli della repressione poliziesca o dell’esercito: due rulli di tamburo, un po’ di zolfo e il monologo di un azzimato giustiziere. Le cose andranno sempre peggio ma intanto nuovi funzionari verranno promossi con un aumento di stipendio per fare quadrato intorno a loro, gli stessi politici si ricombineranno i prossimi affari, lasciando forse dei varchi a chi si indigna ma per fare cose in ritardo e spesso in errore. Si parla di familismo amorale, di abusati concetti come questo, mentre oggi la massa delle periferie diffuse in città non ha quasi più nulla di teatrale e di tradizionale, è moderna come moderna la vuole il mercato e il fascismo dei denari, e la napoletanità ormai alligna solo nella borghesia. Ma purtroppo ancora si ragiona con i vecchi schemi, con quelli giacobini e lazzaroni.

Personalmente, qui io non credo più alla politica, qui più i politici sbagliano più fanno quadrato intorno ai loro errori, e noi saremo per sempre messi in difficoltà da questa geometria della stupidità. La società civile è debole, per lo più piange e fotte, sale e scende da un carro, ricombina le sue tattiche di sopravvivenza, piazza i figli, pensa a sopravvivere con i resti degli affari dei partiti, mentre questi gli hanno svilito le poche occasioni di dibattito e di partecipazione in oscure kermesse. Riusciremo a trovare, malgrado tutto, malgrado noi stessi, la forza per trasformare la nostra realtà, il nostro immaginario, i nostri desideri? Abbiamo a questo scopo solo lo strumento di una volontà rinnovata in un obiettivo assai più ambizioso del particolare e, l’immaginario, se lo liberiamo dalle pastoie dell’informazione, della cattiva cultura, dell’affarismo, ci può servire a illuminare la rassegnazione e a dissipare il cinismo che ci avvolgono.

So che sembrerà fuori luogo, ma l’idea di un’utopia responsabile mi è cara in questi versi di Lautréamont, quando dicono: “Io non accetto il male. L’uomo è perfetto. L’anima non sbaglia. Il progresso esiste... Fino ad ora, è stata descritta la sventura per ispirare terrore e pietà. Io descriverò la felicità per ispirare il contrario... Finché i miei amici non moriranno, io non parlerò di morte.”












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