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Stato e partito nella rivoluzione meridionale

20 luglio 2009

Come sono attuali le parole di Salvemini, già all’epoca era aperto il dibattito sul ruolo dello Stato e del partito nella rivoluzione meridionale. Oggi il contesto è cambiato, ma il dibattito pare essere lo stesso. Un saluto fraterno

Angelo


“Alle tre malattie, che abbiamo fuggevolmente descritto, ossia la malattia dello Stato accentratore, la oppressione economica in cui l’Italia meridionale è tenuta dall’Italia settentrionale; e infine la struttura sociale semifeudale, è possibile recare un rimedio?

Questa domanda apparirà senza dubbio molto strana a quei lettori, che conoscono gl’infiniti studi che sono stati fatti in questi ultimi quarant’anni sull’Italia meridionale da pensatori di tutte le scuole. E come tutti gli studiosi sono più o meno d’accordo nel descrivere i mali, così tutti sono d’accordo nel prescrivere i rimedi. Chi non li conosce ormai i rimedi necessari a risanare la vita meridionale, dopo che per un anno intero, per tutto il 1894, dopo i tumulti siciliani, tutti i giornali italiani e molti esteri si occuparono della questione, e molti volumi furono pubblicati sull’argomento? L’Italia meridionale ha bisogno di un governo che non la opprima sotto il peso delle imposte, e quindi è necessario che tutta la politica italiana si riformi; ha bisogno di un governo, che segua una politica di giustizia distributiva e non aggravi la mano sul Mezzogiorno a favore del Settentrione; è necessario che venga rispettata la giustizia nelle relazioni fra proprietari e lavoratori, che venga combattuto l’assenteismo, che siano ricuperati i demani usurpati, che si coltivino i latifondi, che si costruiscano strade, ecc. Tutte belle cose. Ma a me pare che finora se son ostati studiati benissimo i rimedi, non sia stato ancora detto chi rimedierà.

In generale gli studiosi del problema meridionale questa domanda o non se la mettono mai o rispondono con una parola bisillaba: lo Stato! Quando han così risposto, credi aver accomodato tutto; e buttan fuori delle eloquenti concioni sul dovere, che ha lo Stato di rendere finalmente giustizia a quelle popolazioni nobili, patriottiche, ecc. E lo Stato fa il sordo. E gli studiosi continuano nelle loro concioni eloquentissime.

Lo Stato italiano attuale non farà mai nulla, come non ha fatto finora mai nulla. Continuare a dare dei consigli allo Stato è fatica sprecata, perché, lo Stato non può ascoltarli. Questa affermazioni non può essere da noi dimostrata, perché, la dimostrazione ci procurerebbe un sequestro; ma è inutile darla; o i lettori sanno quel che vorremo dire, e allora è inutile dirlo; o i lettori, dopo l’esperienza del passato, credono ancora possibile che lo Stato faccia qualcosa, e in questo caso noi non abbiamo tanta presunzione da sperare che le nostre parole possano avere più forza di quarant’anni di storia per convincerli che hanno torto a sperare; quand’anche altri quarant’anni passassero simili a quelli che sono già entrati nel dominio della storia, è certo che questa buona gente continuerà sempre a sperare e parlare di Stato etico, di doveri dello Stato, di democrazia e di altre simili cose allegre; lasciamola sperare e… parlare.

Eliminata la possibilità che lo Stato, com’è oggi costituito, si occupi del problema meridionale con l’intenzione di risolverlo, non resta che o dichiarare insolubile il problema, oppure invocare la formazione di uno Stato nuovo, che faccia quello che l’attuale non può fare. O riforme o rivoluzione, ha detto il manifesto del gruppo parlamentare repubblicano. Bene! Ma la rivoluzione chi la farà? L’antitesi, di cui tanto si dilettano i più dei repubblicani, fra riforme e rivoluzione non ha senso comune. E? come l’antitesi, di cui si dilettano molti socialisti, fra evoluzione e rivoluzione.

La rivoluzione non è che uno dei casi della evoluzione, e non sa quel che si dice chi si dichiara evoluzionista rinunziando all’ipotesi di far uso di mezzi rivoluzionari. Allo stesso modo la rivoluzione sta alle riforme come la specie sta al genere; essa non è che una riforma accompagnata per necessità di cose dalla violenza, che distrugge uno Stato incapace a dar le riforme necessarie e ne crea un altro incaricato appunto di questa missione. Ciò posto è evidente che la questione non istà nel decidere se le riforme le farà lo Stato presente, oppure se le farà un altro Stato sostituitosi al presente dopo un moto rivoluzionario più o meno violento. Sta piuttosto nel sapere se esista nell’Italia meridionale una forza capace di attuare – con o senza violenza, poco importa – le riforme di tutte ritenute necessarie. Datemi un punto d’appoggio, diceva Archimede, e vi solleverò il mondo; ma il punto d’appoggio non lo trovò mai e il mondo se ne rimase tranquillo al suo posto. C’è nell’Italia meridionale un punto d’appoggio, su cui si possa far leva per sollevare il mondo sociale? O, in altre parole, c’è nell’Italia meridionale un partito riformista? E se non c’è, è possibile che sorga? E quali sono le persone che lo comporranno?”

G. Salvemini da “Educazione Politica” 1898-1899










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