Ringraziamo l'amico Pino, responsabile del sito https://www.neoborbonico.org/ per averci autorizzato a pubblicare questo articolo che ben esprime i sentimenti di noi meridionali della diaspora, stretti fra i ricordi di un Sud che non esiste più e il desiderio di un nuovo Sud che non arriva mai.
A Zitara…già… di quella cosa non se ne fa niente! Ancora una volta un tentativo và a vuoto. Che importanza ha il perché? A me piacerebbe conoscerlo, ma le voci sono tante, troppe. Pazienza. Vuol dire probabilmente che non siamo pronti ad affrontare una iniziativa politica. Succede in tutte le comunità che vorrebbero, ma non osano. Si ha paura forse di fallire, di esporsi o forse non si raggiungono degli accordi, quando gli accordi si tentano. Il problema è tutto qua.
Gli accordi nella nostra terra sono difficili.
- Ma quello chi è? Che vò?
Ci si limita a pesare non un compagno di viaggio, che dice di volere la
stessa cosa, ma un estraneo, che non si ignora semplicemente, si
combatte.
Non si incita a fare meglio, non si invita a stare nelle regole, non
nelle proprie, ma quelle democratiche, nel confronto di idee e di
programmi. Ognuno per se e Dio per tutti! O con me o contro di
me. Ancora questi motti si sentono dopo anni di diffusione
storica. Sembra che la storia, la nostra storia, non ci insegni niente.
Sembra che a nessuno faccia nascere la voglia di fare qualcosa. No, si
pontifica, si giudica e si combatte il vicino di casa.
Ancora sembra che il sud sia terra di conquista e non di riscatto. Perché?
Domanda interessante. E’ solo una questione di cultura? O c’è dell’altro?
Personalmente da emigrato da molto tempo sono arrivato a pensare che
Napoli, inteso come sud, delle mie idee non sa che farsene, delle mie
iniziative ancora meno. Quindi è meglio dedicare il mio tempo e
le mie residue forze a quanti, al nord, ricordano la loro terra
così come l’hanno lasciata, illudendosi che qualcosa
cambierà.
No cari frequentatori del sito, credo che occorrano almeno altre tre
generazioni per poter ottenere qualche risultato positivo e concreto
per la nostra antica patria. A Napoli, tutto sommato, stanno bene. Chi
più chi meno sbarca il lunario in qualche modo. Chi insegna, chi
fa un mestiere, chi vive e chi sopravvive, come nel resto del mondo.
Il problema siamo noi fuoriusciti per forza, per perfezionare il nostro
lavoro, per cercare un lavoro, chi per altro e che a Napoli non ha
più nessuno, nemmeno un amico, ma che porta Napoli nella sua
mente così come la ricorda. Noi siamo un mondo a parte che non
abbiamo più la sintomatologia del sudico e che siamo costretti a
badare al nostro tran tran quotidiano, vita più o meno
organizzata e scandita dai tempi del lavoro. Le rimesse al sud non si
mandano più, abbiamo spostato la famiglia al nord o
l’abbiamo creata e quindi a Napoli mancano anche quelle. Forse
significa che è ora che facciano da soli. Se ci riescono.
Se i napoletani avessero veramente voglia di riscatto, vedremmo in
piazza i giovani, i vecchi, i bambini a reclamare i loro diritti, in
piazza invece si vedono, ogni tanto i “disoccupati
organizzati” e solo quelli.
Gli intellettuali sono in altre faccende affaccendati. E gli incazzati
non lo sono più. Le industrie, come sappiamo, non hanno alcun
interesse a prendere posizioni, anzi sì, stanno con quelli che
legiferano a loro favore o a favore del paese che dir si voglia. La
classe media è impegnata a badare agli affari propri. Il popolo?
Ma c’è un popolo a Napoli? Sì quello che prende il
treno per venire al nord a lavorare, ah, sì è vero, ma
quelli poi tornano a casa una volta alla settimana. Quello non è
né milanese o torinese, né napoletano, né sudico
né nordico è un popolo errante. Come si può dare
la sveglia ad un popolo così fatto? Così variegato?
Noi emigrati rappresentiamo un punto fisso della nostra storia.
C’è chi sogna di comprare una casa al suo paese, molti ci
riescono, ma poi restano qua perché i figli sono cresciuti e non
vogliono lasciare tutte le loro amicizie, la scuola, e
quant’altro. Pochi ritornano. Gli altri si adattano. Molti sono
dirigenti d’aziende, molti impiegati di concetto, moltissimi
lavoratori nelle fabbriche e negli uffici. Ecco il mio pensiero
và a loro. A tutti quelli che non tornano ma che hanno Napoli
nel cuore, così come la ricordano. Quella Napoli che a molti
intellettuali o pseudointellettuali non piace, (è superata) a
quelli che sono stanchi della sua musica, del suo colore, della sua
voglia di vivere. Ebbene, io ho quella Napoli nel cuore e nessuno
potrà strapparmela.
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