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I LAGER DEI SAVOIA
di Fulvio Izzo,
Storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali
1998
F. M. Agnoli
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Prefazione - stralcio


Comunque la scoperta più amara per l’ignaro lettore è forse quella dell’esistenza proprio nel nostro civile paese di una prima edizione, addirittura del modello di base di quell’universo concentrazionario di campi di deportazione e prigioni destinate ad attingere nel nostro secolo i supremi fastigi dei lager e dei gulag e dei campi di rieducazione di Pol Pot e delle guardie rosse di Mao, ma già presente, assai più che in nuce, a Ponza, al Giglio, alla Gorgona e in tutte le altre isole e scogli di domicilio coatto, nella cittadella di Alessandria, nei “depositi” di Genova, di Rimini, di Casaralta (Bologna) e specialmente nel campo di concentramento e rieducazione di San Maurizio Canavese nei pressi di Torino e, infine, nell’ultimo cerchio di quell’inferno carcerario, al quale purtroppo è mancato un Solgenitsyn, la fortezza di Fenestrelle, dove verranno mandati i più riottosi “per esservi tenuti sotto più rigida disciplina, finché si correggano e diventino idonei al servizio”.

Per l’esattezza, a questo trattamento di “correzione e idoneità al servizio”, che evidentemente si considerava raggiunta quando il militare incarcerato in condizioni disumane si dichiarava disposto ad abiurare la fede giurata e ad unirsi ai vincitori, non furono sottoposti soltanto i soldati borbonici, ma anche le guardie e gli zuavi pontifici, i cui patimenti trovano, difatti, posto e menzione nelle pagine che seguono, i soldati modenesi, i cosiddetti “duchisti” della stampa liberale, che dopo l’annessione al Regno Sardo scelsero di seguire nell’esilio il loro Duca, e in genere quanti in un momento di rottura rivoluzionaria della continuità storica (la “rottura del tempo” di cui parla Fulvio Izzo nella sua introduzione) scelsero di restare non già, come solitamente si dice, dalla parte del passato o della reazione, ma da quella dello sviluppo e del progresso nella Tradizione: soprattutto nel Meridione la nobiltà latifondista - quella del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa - e la borghesia realmente reazionaria erano in larghissima parte filo–unitarie o, quanto meno, doppiogiochiste, come, del resto, lo erano state al tempo dell’invasione francese e della Repubblica Partenopea.

Difatti i primi visitatori della prigione di Fenestrelle, quando ancora si combatteva sul campo e si stavano formalizzando le annessioni al Regno Sardo dei ducati e delle province centro–settentrionali dello Stato della Chiesa, vi trovarono soprattutto romagnoli e marchigiani mantenutisi fedeli al Papa–Re.

Tuttavia la tragedia più grande, per il numero delle persone che coinvolse, per la durata dello scontro, la durezza della repressione, le conseguenze che ancora oggi perdurano nella nostra vita pubblica, anche se di rado o mai individuate nelle loro vere cause, fu senza dubbio quella dei soldati e delle popolazioni del Regno delle Due Sicilie: i cosiddetti “borbonici” e “sanfedisti” della sprezzante terminologia liberale, oggi volentieri rispolverata dagli intellettuali neo-giacobini alla Galasso e alla Flores d’Arcais.

















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