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CAUSE DAVANTI AI GIURATI
NEGLI ABRUZZI E NELLE PUGLIE

E QUESTIONI GIURIDICHE
ALLE MEDESIME ATTENENTI
PER

L'AVV. CAV. GIUSEPPE FERRERI
SOST. PROCURATORE GENERALE
PROCURATORE DEL RE

BOLOGNA
TIPI FAVA E GARAGNANI

1866

Pag 132


CAUSA DI VICO

SUNTO DEL FATTO

(Dall'Atto d'Accusa)

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Anche il Gargano, questa stupenda montagna, questo enorme colosso, che. internandosi ed elevandosi per un capo sulle acque deir Adriatico, pare da natura disposto a provvida difesa delle pugliesi sponde dall’infuriar d'Aquilone, e che protendendosi coli' altro capo sul cuore della Capitanata, mentre ne domina, così concorre a renderne più ricche ed amene le sottoposte amplissime pianure, anche il Gargano, dai robusti e gagliardi figli, montanari e valligiani, dovette essere pur troppo fucina e covo di orribile brigantaggio!

La malvagità dei despoti caduti, servita dalle subbillatrici arti d'una caterva di consiglieri e satelliti, a cui altra legge ed altra norma non è che il proprio predominio, non permise loro di rinunciare ai sogni d'un ritorno al passato, per qualunque via, anche per la immane di tentare un disperato ultimo colpo coi mezzi più obbrobriosi e nefandi.

Quindi dall'alto si è veduto: soffiare nelle più basse e selvagge passioni; aizzare all'odio, alla vendetta, alla distruzione; darsi mano ai predoni, ai saccheggiatori, agli assassini; e questi, non d'altro avidi che di preda e di sangue, senz'altro scopo che quello della strage, del saccheggio e della devastazione, levarsi come belve feroci, riunirsi per istinto di forza, scatenarsi a torme fameliche e voraci contro le persone e le proprietà, gridando, e bestemmiando in nome d'un Re…, e di un Dio, del quale erano la più flagrante perfetta negazione.

Quindi il brigantaggio fomentato e sostenuto dall'alto con apparenza di scopo politico; nome imprestato, ma realmente giuocato in basso, dovunque, dai più perversi malfattori, dai più feroci ribaldi.

Né diverso sul Gargano fu il brigantaggio, né altre cause s'ebbe. Più feroce forse, che altrove, per la naturale fierezza di quegli abitatori, e per la più abbondante e facile esca colà agglomerata dall’ignoranza e dalla superstizione; ma la causa e il fine là, come ovunque, gli stessi.

Il brigantaggio del Gargano nel 1861 segna due episodi distinti e principali. Una serie da poi di crimini e delitti comuni, commessi alla spicciolata dalle varie bande qua e là scorrazzanti.

1. L'invasione e le stragi di Viesti.

2. L'invasione e il sacco di Vico.

3. Le depredazioni, grassazioni, estorsioni, gli incendi e gli omicidj che si succedettero, per lunghi mesi, dai boschi alla pianura, con ispaventevoli tracce di sangue e di ruine.

Dell’invasione di Viesti, che fu la più terribile e sanguinosa, si tratterà in altro apposito giudizio; il quale si sta con somma solerzia preparando, in ragione della sua gravita, e del numero straordinario degli accusati.

Questa non è che la Causa di Vico. Cui seguirà d'appresso quella, cosi detta, di Paletta, che comprenderà la terza parte, cioè, le suaccennate parziali brigantesche imprese.

Il 28 luglio 1861 la masnada brigantesca riunita, — che riconosceva a capi Luigi Palumbo, Vincenzo Scirpoli, Giuseppe Patella, di Vico, e Michele detto il Sammarchese —, reduce dai massacri, dai saccheggi e dagli orrendi eccessi di Viesti, si fermava e stanziava nel bosco d' Umbri, a poca distanza da Vico.

Ebri, debaccanti, e sazi per un momento, quei canibali avevano bisogno di riposo, e colà se lo procuravano: correva pur là il tempo di ripartirsi fra loro il grosso bottino.

Sazi, ma non paghi, pur sostando nel bosco fecero intimazioni ai galantuomini e proprietari dei dintorni e delle propinque masserie di mandar loro viveri d' ogni genere, e di venire ad accompagnarli in persona. Alcuni vi andarono; ma non senza ricatti o promesse si lasciarono partire. Altri si ricusarono, o spedirono solo viveri; e le loro proprietà furono devastale, i grani sulle aje divisi, e distribuiti anche alla turba o ciurmaglia famelica, che si erano diedro trascinala per far numero, baccano, e spavento maggiore, pronta sempre a ruba e sacco.

Intanto la notizia dei miserandi casi di Viesti era giunta a Vico; e qual terrore vi spandesse è facile immaginarsi!...

Allora fu che due sgraziati, Matteo Majolini, e Valentini Ciuffreda, trovando appoggio in due sciagurati militi di servizio, osarono introdursi nel Corpo di guardia, abbatterne gli stemmi del Re Vittorio Emmanuele, strapparne la bandiera nazionale, uscirne con essa fra le grida frenetiche di viva Francesco II, senza eco però, senza riscontro; e, dopo aver girato invano il paese, muovere alla volta del bosco, ove, presentando a trofeo la depredata bandiera, chiesero di associarsi, come di fatto si associarono, all'orda brigantesca.

Il mattino seguente la cosa fu saputa dai detenuti nel carcere Mandamentale, fra i quali cinque erano non meno arditi, che facinorosi.

Questi si concertano, fissando il modo e il punto di evadere; e come viene il mezzodì, che il custode ha da entrare per ragione di servizi entro il carcere, ecco che d'improvviso gli si avventano sopra, armata mano, e l'atterrano, mentre altri impediscono che la moglie, come il solito, richiuda la porta; così la loro fuga si fa pronta e sicura. Il custode, sbalordito e malconcio, strilla e si abbandona a con questioni coi pochi carcerati rimasti, che non vollero andarsene; e i cinque di corsa raggiungono il bosco d'Umbri, rannodandosi anch' essi ai briganti.

Per tali fatti giustamente atterriti i galantuomini ed i proprietari cominciano a lasciare il paese alla cheta, in prima, e poscia apertamente e alla rinfusa.

Cresce da ciò lo sgomento nei buoni, e la baldanza nei tristi. Il paese resta sotto un timor panico profondo: non più fiducia, non più sicurezza, né azione di sorta, né difesa possibile.

L'occasione pei briganti, pei loro fautori ed eccitatori, non poteva rendersi più propizia, più opportuna.

L'invasione di Vico, a guisa di quella di Viesti, è tosto risoluta e mandata ad effetto.

Verso le ore 6 p. m. del giorno 29 tutta la masnada brigantesca, coi capi alla testa, seguita da una turba di lurida e sfrenata bordaglia, si mette in via a suono di tromba, con fazzoletti bianchi sventolati a foggia di bandiera, con grida ed urla di viva Francesco II, abbasso Vittorio Emmanuele!!... Accede, s'appressa all'abitalo, senza la ben che menoma resistenza; entra in Vico, ne prende possesso, occupando immediatamente il Corpo di guardia, e postandovi davanti un cannoncino, tolto e portato a trofeo dalle depredazioni di Viesti.

Di seguito s'infrangono e si calpestano, in pubblico, le effigie del Re d'Italia, e vi si sostituiscono quelle del Borbone e di Maria Sofia. Si va alle carceri, se ne abbattono le porte, e si costringono i carcerati ad evadere.

I capi allora proclamano ed ordinano la ruba e il sacco. Prime ad essere saccheggiate le case dei carbonari, e liberali: quanto si troverà di più prezioso, per la masnada; il resto alla turba, alla bordaglia.

Ciò disposto, i capi recansi al palazzo Maratea; e là, da padroni comandando, e minacciando, si fanno servire a lauta mensa, e si abbandonano, fra le gozzoviglie più provocanti, alla più chiassosa e più insultante orgia.

Le case intanto dei liberali sono a furia invase, manomesse, depredate, devastate da capo a fondo: quanto non si può togliere, si strappa, s'infrange, si disperde. 1 briganti sottraggono ed accumulano gli ori, gli argenti, le gioje, i reliquiarj, ed altri oggetti preziosi. Dai balconi e dalle finestre si gettano giù a fascio tutt'altre cose, mobili, attrezzi, biancherie; provviste e generi d'ogni maniera.

La plebe urla, contende, si"urta in mezzo le vie, si ruba il rubato, trasporta, nasconde: da una parte l'orgia in permanenza; dall'altra il saccheggio e la devastazione, in tutta l'attività del più barbaro furore.

Così passa la notte del 29 al 30 luglio.

Nel mattino seguente il capo Luigi Palumbo, che erasi arrogata autorità suprema, intima il disarmo generale; vai dire nuova visita, e nuove depredazioni in tutte le case fin là risparmiate. Ordina la ricostituzione dell'antica guardia urbana, da sostituirsi alla disciolta Guardia nazionale; nomina nuove autorità municipali, destituendo tutte quelle del Governo nazionale; dispensa cariche ed impieghi; promette compensi e favori: esercita, insomma, pieni. e sovrani poteri. Né basta: vuole che il paese si disponga a grandi feste;. un'illuminazione generale per la sera; nel giorno funzioni solenni in Chiesa, col canto dell'inno Ambrosiano per la ristaurata dinastia borbonica.

Stolta e ridicola pretesa! parodia di un capo brigante, che si fa a sostenere, a scimiottare la parte di un partigiano ristauratore politico! Finché il Palumho comanda stragi, saccheggi, devastazioni, rapine e furti, è secondato ed obbedito. Ma come si atteggia a politico partigiano, e parla ed ordina di por freno o limite al disordine, all'anarchia, alla distruzione, non lo si ascolta neanco, e viene deriso. -la sua voce cade schernita ed impotente.

Oh! fossero questi esempi che fruttassero senno una volta a chi sognasse ancora di convenire i giubboni dei briganti in mantelletti da congiurati palatini, di mettere il brigantaggio a servizio di una caduta dinastia!...

In mezzo a tanto scempio, a tanti eccessi, al caos del disordine e del baccano sorge, e spargesi subitamente, la voce dell'appressarsi a Vico della Truppa…

Quale spettacolo! Quale repentino cambiamento di scena!...Quanta viltà; che ignominia!!... Ad un tratto, come allo scoppiar improvviso di una tempesta, capi-briganti, briganti, e seguaci non vedono, non curano più altro che il bottino, e la fuga. Non pensano, non anelano più che al bosco d'Umbri; e verso là, carichi tutti di preda, nel massimo disordine, a piedi ed a cavallo, si affrettano e si disputano la via fra le maledizioni, le bestemmie, e la rabbia di predoni fuggitivi.

La paura, anziché la forza, liberò per tal modo il Comune di Vico dall'orda brigantesca che l'aveva invaso, e ricacciò precipitosamente al bosco d'Umbri, fra briganti e seguaci, un numero assai maggiore di malfattori, che prima non ne avesse mai ricoverati.

In Vico intanto succedeva un silenzio dì tomba, per qualche ora. Ma scemato lo sgomento, ed entrata nel paese la Forza pubblica, cominciarono i desolati e saccheggiati abitanti ad uscire dalle loro case, ed a poter contemplare e misurare tutti i maleficj e i danni patiti; a raccontarli, a richiedere, a ripetere, a denunziare… Allora una turba di sciagurati, che avevano pur fatto baldoria coi briganti, ma che non si erano indotti a seguirli nel bosco, vennero fuori, e si dettero a restituire il mal tolto, scusandosi col dire: che erano tutti oggetti stati cacciati, e da loro raccolti per via, onde serbarli e consegnarli a chi di ragione. — Per alcuni forse era verità. Per gli altri… la si ritenne, come beneficio accorato dalla Legge; e si passò oltre.









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