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I BRIGANTI
E
LA CORTE PONTIFICIA,
OSSIA
LA COSPIRAZIONE

BORBONICO-CLERICALE SVELATA
RIFLESSIONI STORICO-POLITICHE
CON SEGUITO
DELLA STORIA COMPLETA E DOCUMENTATA SUL BRIGANTAGGIO
PEL

DOTT. EMIDIO CARDINALI
DI ROMA


LIVORNO
A SPESE DEGLI EDITORI L. DAVITTI E C.
1862.

PROTESTA DELL'AUTORE

L'autore ha parlalo in quest'opera per ver dire e non per odio o malevoglienza altrui. Dichiara quindi che pel recente avvenimento de' fatti narrali, non ostante le coscienziose indagini praticale sulle verità, potrebbe per avventura farsi luogo a giuste modificazioni su i fatti medesimi tanto circa al loro sviluppo, quanto rapporto alle persone che vi parteciparono.

Egli quindi coerente al suo proposto, ad onor del vero, si  presterà di buon grado in rettificare nelle ulteriori edizioni o per pubbliche dichiarazioni quanto gli venisse mostrato manco ed inesatto.

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Castellamare

I comitati di Civitavecchia, Malta, e Marsiglia in ispecial modo dedicavansi a provvedere continuamente elementi per la reazione e pel brigantaggio. Castellamare, qual altra città giacente sulla costa del Mediterraneo era presa di mira per movimenti non al tutto dissimili. Se non che questa era destinata peculiarmente a far capo di ribellione per propagarne indi l'incendio nell'interno dell'isola; le prime formavano centri continui per piani strategici generali.

Caslellamare pel prossimo contatto cogli altri fuochi reazionarii, e specialmente per l'esteso commercio con Civitavecchia, offeriva grande facilità per immettere nel regno agenti, armi, danaro ecc, Sventuratamente rivalità personali miste a furiose gare di partito rendevanla più accessibile alle agitazioni politiche del momento. La leva militare soprattutto forniva pretesti agli agitatori, solleticando le male disposizioni di una popolazione, dove l'infingardaggine e la demoralizzazione prevaleva potentemente. Numerosi erano i capi di fazioni differentissime, che urtandosi di frequente, ad ogni pie sospinto, minacciavano turbar l’ordine e la pubblica sicurezza.

Per tale apparecchio cupamente romoreggiante in seno a quell'infelice paese,

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senza gravi ostacoli, i turbatori venuti di fuori poterono trovare chi loro prestasse orecchio alle voci funeste della sedizione.

L'autorità locale divenuta torpida per soverchia modera/ione non avea per tempo saputo antivedere e far argine ai maneggi de' tristi. Già i primi sintomi di malcontento manifestavansi in occasione del decreto di leva. Non appena questo era apparso al pubblico, una feccia furibonda di volgo, ad istigazione de' promotori del disordine, osò lacerarlo, arderlo, e calpestarlo con iscandalo di tutti i buoni e delle altre città consorelle, che per contrario aveanlo accolto con festose dimostrazioni di gioja.

La sommossa di Castellamare fu una delle pochissime malaugurosamente riescite per un istante a scuotere gli ordini costituiti ed a sciorre il freno ali' insolenza di una plebe malvagia, che non rifuggì da eccessi d'orrore e di raccapriccio.

Essa scoppiava nel dì primo dell'anno del 1860. Il caso avvenuto appunto nell'epoca contemporanea ai fatti che narriamo, non ci permette di ritardarne il racconto meritevole d' essere segnalato.

— Alle ore tre pomeridiane circa di detto giorno si videro apparire qua e là drappelli d'individui armati e sospetti, come se stessero in attesa di un movimento, cui mancasse il cenno d' esecuzione.

Poco stante un colpo di moschetto die il segnale della rivolta. Ecco in un subito levarsi numerose voci di gente vile e mercenaria, le quali dal grido discorde e contradditorio mostravano fin da principio il carattere fattizio della sedizione — Abbasso la leva — Morte a' Cutray (1) Viva la repubblica —

(1)In varii paesi della Sicilia i liberali sono così denominati.


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— Viva Francesco II — eran le grida bizzarre che uscivan da quelle plebi. Dilatatosi il tumulto, spessi colpi di fuoco udironsi su varii punti; il che assicurava gì' insorgenti come ognuno fosse al suo posto.

Il furto, la vendetta, la lussuria che nella concisione e nel sangue gavazzano e si nutricano, ergevano la testa. Compagni naturali del vizio e del delitto aggiungevansi spontaneamente agli agitatori.

Il delegato Fundarò e figlio ignari della estensione del moto, si spinsero coraggiosamente innanzi per arrestare gl'impeti primi de' ribelli, che nelle loro strane acclamazioni non sapevasi cosa chiedessero o contro cui minacciassero. Accorsero pure i reali carabinieri, ma bandito ogni rispetto e timore, il delegato stesso, suo figlio e carabinieri vennero indistintamente accolli a fucilale, e fu singolar ventura, se addatisi per tempo del rischio sovrastante, poterono il delegato e figlio trafugarsi nelle prossime abitazioni: i carabinieri poi assai scarsi nel numero, vennero inseguiti nella loro caserma, e sopraffatti da forza maggiore, dovettero abbandonare armi e posizione per campare da certissima morte.

Quel primo successo imbandalziva la turba indiscreta, la quale non trovando resistenza, ingrossava i fianchi, e già padrona del campo, rompeva in quella sbrigliala licenza che non infrenata dalla forza, poteva impunemente toccar l’ultimo segno in preda all’anarchìa.

Per aumentare la forza, i ribelli s'agglomerarono, e resi cosi più audaci dalla moltitudine, niuno di essi peritavasi in acclamare i progetti più sanguinarii: l'assalto e la distruzione dei cittadini più invisi. Tra gli infiniti gridi di morie, che sorgevano dalla frenetica folla, a carico dell'uno o dell'altro,


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prevalsa quello, che designava alla strage la famiglia del comandante la guardia nazionale.

— Qui sbalordisce la mente; palpita la mano nel vergar l'orrendo caso, che nel mite secolo, in cui viviamo torna pur troppo vergogna e vituperio dell'incivilimento e dell'umanità!

La casa di quell’onorevolissimo cittadino in breve tratto fu aggredita, e atterrati facilmente tutti i ripari, già i malandrini eran sopra alle suppellettili e al tesoro domestico. Ogni cosa fu derubata e dispersa... Ma minor male saria stato, nel frangente, lo sperpero delle robe, se incolumi almeno avessero potuto sortirne le persone.

Primo a quelle tigri assetate venne tra mani lo sventurato comandante... Mille braccia sorsero in un punto a percuoterlo; mille strali s'apprestarono in colpirlo; sicché in pochi istanti, massacrato orribilmente, cadde ravvolto nel proprio sangue. Non paghi di tanto eccesso, vollero perfino insolentire contro la salma dell’estinto. Le si fecero sopra, e rotolatala orribilmente sul suolo, ne fu squarciato il petto, strappato il cuore, dato alle fiamme, e dispersa la cenere ai venti!...

Un misfatto più atroce accompagnava la lugubre scena, che la penna più che mai geme in descrivere; misfatto che dovea funestare la pura luce del sole e far inorridir la natura.

L’infelice figlia del trucidato comandante sbalordita dallo scompiglio e dai gemiti mortali del misero suo genitore; qual timida agnella, che tenti campare al coltello del suo feritore, implorava un angolo per salvare con se stessa la prole, di cui era grave.. Ma che! L'avaro sguardo degl'invasori non risparmiava i più ascosi recessi. Scoperta la meschina nel suo rifugio, ne fu tratta a viva forza, e afferrata pei crini, tra grida acutissime di disperazione, venne trapassata da cento pugnali.


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Fu poscia denudata e (orrendo a ridire!) dallo squarciato seno estratto l'innocente bambino, su lui addoppiarono colpi micidiali. Fecero indi fascio del corpicciuolo in un colla uccisa madre, e sul rogo medesimo dove crepitavano ancora le membra paterne, ambedue furon consegnati all'elemento divoratore.

Una sola fiamma nera e fumosa, dalle ruine di questa sventurata famiglia sorgeva volteggiando tristamente per l'aere, quando gli assassini ad altri orrendi propositi intenti davan le spalle a quella contrada.

— Un dramma pressoché del pari desolante si ripetè contro la famiglia, abitazione e negozio di certo Azudo. Altri ed altri ragguardevoli cittadini caddero pur vittima del pugnale di quest'orda di cannibali. Datisi indi a scorrazzare pazzamente la città, appiccarono il fuoco agli uftìcii e cancelleria comunale; ali' archivio e cancelleria del mandamento; ali' uffizio doganale; ali' uffizio di sicurezza publica, dove manomessa l'abitazione del percettore, ne vuotaron la cassa.

L’impunità del delitto signoreggiante avea spinto le menti al delirio!... Nell'immonda tresca non avean lasciato desiderarsi alcuni ministri di Dio (indegni di tal titolo), i quali abusando della loro autorità, infiammavano alle stragi. Ora poi per colmo d'iniquità non ebber ribrezzo di trascinare quelle turbe briache innanzi al Dio della bontà e della misericordia per rendergli grazie della fausta riuscita della giornata. Versaronsi scompigliatamente nel sacro tempio e con voci tartaree intuonarono un solenne Te Deum.

Quel dì cadeva; ma il sol novello dovea sorgere ancora per illuminare gli autori d'infiniti altri delitti.


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— Come ben dal racconto traspare, le autorità del paese paralizzate; impotente la forza armata, tutto era in balia della rivolta in pieno trionfo. Il capo del nuovo anno era stato inaugurato sotto auspici di sangue, senza che la notizia avesse potuto penetrare ne' paesi circonvicini, donde un soccorso opportuno fosse mosso per arrestare il corso di tanto flagello. I rettori del moto avevano avuto l’accorgimento d'intercluder le strade; impedire l’uscita e le comunicazioni per qualunque direzione. Serbando tale cautela, riescita a dovere nella giornata precedente, affidavansi proseguire senza molestie le loro orgie. Però gli aditi tutti della città non eran inaccessi o vigilati cosi che a qualche individuo non fosse dato evadere furtivamente per dare avviso alle prossime autorità del governo, da cui potesse ottenersi pronto riparo a tanto disastro.

Il sotto-prefetto d'Alcamo, a poche miglia da Castellamare, fu il primo ad esser fatto consapevole de' tristi casi accaduti. Scosso dalla esposizione della catastrofe quell'egregio funzionario, pari ali' urgenza oppose l’energia de' provvedimenti. Un drappello di linea con alquanta cavallerìa di carabinieri; sola forza presente in paese, fu immediatamente spedita in ricognizione; ingiungendo altresì al capitano Varvaro, che dovea guidarla di non approssimarsi alla città, se prima, veriflcale le cose, non potesse convincersi d' esser militarmente in proporzioni ali' attacco.

Col telegrafo furon richiesti da tutti i punti rinforzi di truppa. Lo stesso sotto-prefetto apparecchiavasi per mettersi alla testa della repressione.

Intanto il valoroso comandante Fan-aro, appresa per via l'imminenza del pericolo, imaginò che il coraggio de' buoni non fossero al tutto assiderato dallo spavento, e sperò che


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rianimato dalla presenza di una forza risoluta, sarebbe venuto in sostegno nella scarsezza del numero. In tale idea, consultando egli solamente il proprio coraggio, contro anche il consiglio del capo de' reali carabinieri, senza contare gl'inimici, si spinse a briglia sciolta in mezzo alla città. Ma comparso appena, appostato e morto insieme ad altro prode de' suoi, fu un punto solo.

Ardimento cotanto generoso, degno d'avversari migliori, non lasciossi andar impunito dagl' insolenti vincitori. Cominciarono a calpestare il cadavere del mal capitato duce prosteso al suolo; indi i più crudi e snaturati proseguirono l'orrendo trattamento. Venne denudalo, strappatigli dalla fronte gli occhi e commesse nefandezze che la storia ricopre di un velo....

Atterrato il capo della forza regolare, addoppiarono que' tristi di audacia, e imaginando che altri militi seguissero l’estinto capitano, si affrettarono di prevenirli col muovere ad incontrarli. Giovandosi dell'erta de' prossimi monti, riescirono infatti a scoprirli, ma vistili in poca copia, profittarono delle posizioni favorevoli. Si spinsero nascostamente per circondarli, e d'improvviso aperto un fuoco vivissimo, uccisero tre uomini, un maresciallo di carabinieri e un tenente Casajoni: Altri furono feriti e menati prigioni unitamente a sette loro compagni.

I rimanenti camparono la vita col ritirarsi precipitosamente. Nell'ardore altresì del pericolo credettero che i ribelli, da cui aveano sperimentato aspra resistenza formassero lesta 'di qualche grossa colonna, e che forti pel numero avessero in animo non solo opporsi ulteriormente, ma ancora macchinassero assalire Marno, da dove era sorta la repressione.


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Né s' ingannavano: Alcamo era veramente minacciata. Gli armati di Castellamare eransi sempre più inoltrati là presso, e se altra milizia avesse poco più ritardato, sarebbe stato difficile prevedere l'intensità e l’estensione de' pericoli. Però nella notte, percorse rapidissime marcie, sopravvenne animatissimo un intero battaglione di linea. Il sotto-prefetto (egregio esempio!), inforcato un destriere, mosse immantinente, sebben tra le tenebre, contro Castellamare, in quella che il valoroso general Quintini sul Monzabano con tre compagnie di linea, e mezza compagnia di bersaglieri era in sul metter pie a terra dal lato di mare.

Stavan gli agitatori alle vedette, e pensarono far fronte allo sbarco appiattandosi in imboscata. Quanto alle forze di terra, avean predisposto una diversione sopra Alcamo, dove emissarii spediti avrebber dovuto suscitare la reazione alle spalle, e così richiamare le truppe verso quella parte per render libera Castellamare.

Gl'intrepidi campioni, che sotto il glorioso vessillo italiano sentivano centuplicarsi il coraggio contro nemici della patria, ignari del pericolo, gittaronsi a terra; ma una viva fucilata subitamente li accolse. Allora il Monzabano, a protegger la discesa de' nostri, cominciò a vomitar mitraglia e spazzare il terreno; sì che in breve, superato ogni ostacolo, tutto era in punto per l’attacco.

La confusione e lo sgomento, al solo apparire delle reali milizie, s'impossessarono delle masse; respirarono i pacifici cittadini. I sediziosi altronde ebbri pe' deliri dell'anarchia, non sapevano acconciarsi ad abbandonare il mal vezzo della rapina e della strage: s'atteggiarono alla resistenza più risoluta, ch'era altresì ben lieve pe' soldati della libertà fiaccare e disperdere.

S'impegnò la mischia; i ribelli contendevan palmo a palmo il terreno, ma inseguiti di contrada in contrada, di casa in casa,


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furon loro tolte tutte le posizioni; vennero sconfitti e taglieggiati; il paese in un baleno fu occupato militarmente.

L’ora della giustizia era suonata. Molti sorpresi colle armi alla mano furon passati a fil di spada. Distinguevansi fra questi un padre Galante e un altro padre Palermo messi a morte ambedue... Il disarmo generale fu ordinato; la giustizia ripigliava il suo corso.

Intanto l'impulso dato dagli emissarii di Castellamare ad Alcamo minacciava gli effetti più tristi. Tenendosi conio dell' assenza delle truppe erasi quivi esteso il grido di sedizione. Le fucilate udironsi per tutta notte; la publica sicurezza correva risico imminentissimo.

Avvisati in Castellamare del tumulto il sotto-prefetto e il generai Quintini, non appena ridonata la quiete a quella città, girarono la fronte verso Alcamo. Il moto ribelle non erasi per anco troppo dilatato, né i suoi proseliti, per le notizie della vicina città ridotta al dovere, sentivano ardire sufficiente per insorgere. Bastò mostrarsi, perché l’ordine fosse immediatamente restituito.

I fuggiaschi frattanto venivano inseguiti; ma col favor de' vicini monti potè dileguarsene gran parte e rannodarsi alle bande brigantesche erranti, pe' territori finitimi.

— Se non fosse da biasimare la gioja di vittorie contro fratelli; o se generose vite non avessero a rimpiangersi nella malaugurata lotta testé narrata, certamente sarebbe lecito menar tripudio di un trionfo, mercé cui andò fallito sul nascere il colpo più aggiustato e terribile che abbia saputo macchinare la reazione organizzata.

A tutti i nostri prodi soldati, cui sventuratamente fu sepolcro il patrio terreno, porgiamo il tributo di una lacrima.

Un nembo di fiori altresì e di corone spargiamo sulla tomba

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dell'intrepido capitano Carlo Mazzetti di Livorno vittima, in quel frangente, di un raro coraggio, di sorte migliore degnissimo.

Questo giovine esimio, in età ancor fresca, trovavasi già sollevato al grado di capitano di stato maggiore, ed era presso il menzionato generale Quintini sul Monzabano. Fu egli tra i primi bersaglieri caduti nell'agguato teso dai ribelli nel punto dello sbarco. Tuttavia non erasi cosi inoltrato da non potersi ritrarre. Disdegnando d' arretrarsi pur d'un passo dinanzi a un pugno di gente, prosegui nell'avanzar risolutamente. Il suo sotto-tenente, misurato più freddamente il pericolo, quantunque l’avesse scorto invaso da quello spirito straordinario d' ardimento che ne' cimenti gravissimi suoi respingere i suggerimenti calcolati della ragione; pure non volle astenersi dall'avvertirlo del risico sovrastante — Non vi esponete troppo capitano — gli disse: ma tutto fu inutile: egli mirava dirittamente al suo scopo senza calcolarne gl’impedimenti... Avea inoltrato pochi passi, quando una scarica improvvisa feriva in un piede il prode sotto-tenente docile agli ordini, non ostante la sua antiveggenza, e rimaneva colpito nel tempo medesimo il Mazzetti in mezzo al petto.

Tuttoché il momento impacciato fosse e solenne, ogni cura possibile voleva prodigargli da suoi bravi compagni, massime dallo stesso Mazzetti che sebbene piagato, impartiva calorosamente gli ordini opportuni. L'eroico giovine gemea sì per le ferite del corpo, ma era ben lungi dall'essere prostrato nell'animo... Alle amorevoli sollecitudini del suo collega, benché sentisse prossima una morte inevitabile, con serenità più vera che credibile, soggiunse «Non pensale a me, tenente; lasciatemi morire in pace', pensate piuttosto ai soldati ed a voi...»


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Sublime risposta d'anima grande, e generosa!!.... Poco dopo, in mezzo al compianto de' suoi, trapassava.

Il general Righini, a preferenza degli altri, fu tocco sensibilmente dalla perdita del suo capitano. Egli stesso si riservò di partecipare il ferale annunzio ali' egregia sposa di lui con que' modi, che se non possono non apportar dolore, sanno anche abilmente mitigarlo.

Sofia Rigacci di Firenze accoppiata degnamente a Carlo Mazzetti, non volle mostrarsi da meno dell'estinto consorte; avvegnaché, appresa per bocca del generale la trista novella, dopo la breve sosta del dolore, con maschia e peregrina virtù esclamò

«Che una palla tedesca me lo avesse tolto... era il tributo di cittadino e di soldato; ma cadere per agguato di briganti... — Non infrequenti al certo ne' fasti della nostra indipendenza sono esempi luminosi di coraggio e di prodezza. Ma una costanza sì stoica presso a spirare l’ultimo flato e la sublime rassegnazione di una donna al sacrificio più intenso del suo cuore, sono fatti che rimontano ad epoche rimote di tempi eroici, e fra noi oggi stesso ravvisansi veramente stupendi.

— La pagina triste e gloriosa insieme or ora descritta, foggia prova splendidissima di quel che valga l’artificio o il compro tradimento a fronte di veraci difensori raccolti a propugnare una causa ispirata da sincero convincimento. Quinci l'indomabil valore di pochi contro i molti vendica a se gli onori di superbe vittorie... Il vessillo della libertà, allorché si mostrò, fu mai sempre il precursore di memorandi trionfi; e se talvolta da centuple forze né uscì lacerato non accadde mai che vinto soccombesse... Simbolo di sangue generoso versato, io sé racchiude l'invincibil possa di cementare tra le ruine l’addentellato formidabile di mille riscosse!!...






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