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LA
CIVILTÀ CATTOLICA
ANNO DECIMONONO
21 Marzo 1868.
VOL. II. DELLA SERIE SETTIMA
ROMA
COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA

1868.

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pag. 110

Toscana E Stati annessi 1. Relazione della Commissione parlamentare, circa un disegno di legge per tassa sul macinato; condizioni del Debito pubblico alli 31 Dicembre 1867 — 2. Discussione della proposta per la soppressione del corso forzato dei biglietti della Banca nazionale — 3. Tumulto infernale nella Camera; conclusioni del dibattimento sul Corso forzato. — 4. Discussione del disegno di legge per la tassa sul macinato — 5. Dichiarazioni del Ministro delle Finanze circa il risultato della liquidazione dei beni ecclesiastici; richiami del deputato D'Ondes-Reggio circa lo sperpero degli oggetti sacri depredati nelle chiese — G. Minacce di bancarotta — 7. Stato miserando della Sicilia — 8. 1 briganti La Gala riconosciuti benemeriti del Regno d'Italia — 9. Riforma dell'Ordine cavalleresco dei SS. Maurizio e Lazzaro; istituzione del nuovo Ordine della Corona d'Italia.

1. Prima di pigliarsi le vacanze del carnevale, la Camera dei Deputati alli 21 Febbraio avea ricevuto dall'onorevole Cappellari Della Colomba la relazione da lui stesa, secondo le deliberazioni tenute coi suoi colleghi d'una Commissione a ciò destinata, sopra un disegno di legge

Proposto dal Ministro delle finanze, per regalare ai beatissimi popoli di Italia una e indipendente un nuovo balzello, col ristabilire dove era stata abolita, e coll'estendere ai paesi dov'era sconosciuta, la tassa sul macinato. Questo importante documento, inserito negli Atti ufficiali della Camera dei Deputati, conchiudesi col rifiutare il disegno ministeriale, a cui la Commissione credé utile sostituirne un altro di sua fattura; in virtù del quale si dovrebbero ricavare 60 milioni di più, da gettare nell’abisso senza fondo delle Finanze italiane. Il rapporto, con un copioso corredo di allegati, si stende negli Atti ufficiali dal n.° 108 al n.°  712, da pag. 2789 a pag. 2805.

Tra gli allegati, la cui eloquenza è tutta sfolgorante di evidenza matematica, prodotta dall'argomentazione delle cifre, è degno di profonda considerazione quello che vedesi sotto la lettera C, ed occupa le pagine 2803-05, e rappresenta la Situazione del Debito pubblico del regno d'Italia al 31 Dicembre 1867 in confronto di quella del 1866. La Commissione della Camera, per dimostrare come fosse necessario l'inventare nuovi balzelli, se tant'è possibile, oltre il mantenere e crescere i già esistenti, recitò la sterminata lista dei Debiti, dei Prestiti, delle Obbligazioni, insomma dei Titoli varii di debito, inserita o no nel Gran Libro, e pei quali il tesoro del Regno deve pagare gli interessi. Ed il riassunto dimostra la sublime sapienza economica defili Amministratori del Regno, presentando la bagattella di Lire 55,421,250,70 di puri interessi, che nel 1867 si aggiunsero alla somma annua di Lire 293,932,819,18 che già dovcasi perciò pagare nel Dicembre 1864! In un solo anno si scialacquarono tanti capitali di più delle rendite, che il Debito pubblico ne rimase aumentato di cinquantacinque milioni e mezzo di interessi!


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Quasi tanto, quanto era, prima della rivoluzione, il bilancio passivo del Regno di Sardegna per un anno intero! La conclusione si è che, dopa aver triplicati i balzelli; venduta tanta parte di beni demaniali; rubate e liquidate le proprietà ecclesiastiche, e le masserizie delle monache e dei frati; gettati nel crogiuolo perfino i calici, gli ostensorii e quanti sono i vasi sacri delle chiese saccheggiate e cangiate in stalle; dopo tutto ciò il felicissimo Regno trovasi già in necessità di pagare per gl'interessi del Debito pubblico la somma di Lire 319,351,069,88; e per giunta non sa come sopperire a quel deficit che tutti sanno; e sta senza credito, e quasi nell'impossibilità di riscuotere i minuti balzelli, che cadono come la gragnuola sopra ogni atto delta vita pubblica e privata! La Commissione, per bocca dell'onorevole Cappellari Della Colomba, credette che argomento più efficace non poteasi allegare; onde convincere tutti, che assolutamente o doveasi sottostare quanto prima al disastro della bancarotta, o decretare il nuovo balzello sul macinato, mediante il quale, aggiunto ad altri di cui stavansi elaborando le leggi, la bancarotta si può forse differire d’alquanti mesi.

La ristaurazione dell'ordine morale in Italia, che era lo scopo delle annessioni e dell’unita, ha prodotto questo bel risultato: che i popoli, oltre al voluto per pareggiare con l'entrate le altre spese, devono pagare quanto occorre per l'estinzione parziale e per gli interessi d'un Debito pubblico di circa gei miliardi e me;;o, cioè della giusta somma di L. 6,,365,528,938.18, che è il totale dei titoli seguenti: Debiti consolidati,3 e 3 per cento, L. 5,248,601,314.80; Debiti inelusi separatamente nel Gran Libro, L. 828,673,135.80; Debiti non inclusi nel Gran Libro, L. 288,188,487.58.

2. Se i liberali avessero cuore e coscienza, al riflettere su colali conseguenze delle loro scellerate cospirazioni, dovrebbero potersi risolvere a far sosta su quella via di precipizio e di rovina, per la quale traggono all'abisso la misera Italia da essi tiranneggiata. Ma è indarno sperare ravvedimento nei Frammassoni. I Deputati assaporarono la Relazione del Cappellari Della Colomba, loro distribuita in istampa, quando, tiniti i tripudii carnascialeschi, si riunirono nella sala dei Cinquecento, alli 2 febbbraio; e pensarono subito al modo di estorcere denari a chi ne avesse ancora.

Diciamo «a chi ne avesse ancora», perché ormai la moneta metallica è sparita dal Regno, e per gli usi della vita non si può adoperare, né corre sui mercati altro, che moneta di carta; la quale, come ben dimostrò il Ferrara, non ha punto il valore di carta moneta, poiché screditata non si può permutare in valori reali se non a condizioni rovinose. Questo è il risultato della politica rivoluzionaria, la quale, per allestire guerre ed apparecchiare annessioni, mancando di denaro, si gettò allo spediente di rendere obbligatorio e forzato il corso dei biglietti della Banca nazionale. L'effetto riuscì tanto funesto, che ormai anche quelli che ne furono autori si travagliano a cercar modo di cessarlo; e, non vi riescono.

Abbiamo accennato, a pag. 620 del precedente volume, la proposta del deputato Alessandro Rossi, fatta nella tornata del 18 Febbraio, perché si dovesse mettere rimedio a tanto male. Il partito da lui consigliato alla Camera era espresso nel seguente ordine del giorno:

La Camera confida che il Ministero, preoccupandosi della necessità di togliere


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dal paese il corso forzato dei biglietti di Banca, presenterà, cogli altri provvedimenti finanziarii, diretti a restaurare le condizioni del bilancio, e come loro complemento indispensabile, un progetto di legge per procurare all'erario i mezzi necessari! a pagare il Debito versò la Banca.» Il concetto di questo disegno è evidente: saldare i conti colla Banca, per poter togliere il corso forzato ai suoi biglietti. Riapertasi la Camera alli 2 Marzo, fu subito posta sul tappeto questa gravissima quistione, per la quale si spesero quasi intere le tornate di otto giorni, duranti i quali la sala dei Cinquecento rimbombò di discorsi che occupano negli Atti ufficiati la distesa dal n. 712 al n. 736 (pag. 2806-2902).

L'evidenza dei danni provegnenti dal corso forzato di codesta carta era tanta, che niuno ebbe animo di mettere in dubbio la necessità di farlo cessare. Ma i dissidii, come era naturale, furono profondi ed anche asprissimi, tra i partigiani dei molteplici. astemi proposti a tal fine. Quindi è che la discussione, intramezzata di filippiche e di recriminazioni scandalose, riuscì a quel termine che poteasi prevedere, cioè di lasciar sussistere il corso forzato della carta, e tenere così i popoli in quelle disperate condizioni che i| Ferrara, nello stesso giorno 2 Marzo, descrisse con le parole seguenti: «Davanti a queste popolazioni, alle quali vediamo ogni giorno venir meno le forze e il fiato, noi in questo caso saremo costretti di stringere freddamente le spalle, e mormorare la vecchia sentenza: pagate, pagate sempre! Il che, signori, intendiamoci bene, ai nostri giorni potrebbe voler dire: pagate sopra una terra, il cui frutto più non copre la spesa e gli aggravii; pagate in ragione di un reddito che ogni giorno vi va mancando; pagate sopra un consumo che lascia affamate le vostre famiglie; ed, in una parola, pagate perché siete vivi, e ci riserviamo di farvi pagare domani, perché sarete già morii.» (Atti uff. num. 713, pag. 2812, col. 1).

Il ministro delle Fmanze, Cambray-Dignv, nei due discorsi tenuti alli 4 e 5 Marzo, riconobbe i danni enormi prodotti dal corso forzato; e ne fece rilevare le disastrose conseguenze col dimostrare che, solo per l'aito dei Biglietti di Banca, il Governo, dovendo satisfare alle sue obbligazioni, ha perduto non meno di L. 135,000,000! (Atti Uff. n. '721, pag. 2840-41). Ma, che perciò? Si dovrà troncare di botto il corso forzato dei biglietti? È impossibile se non si saldano i conii con la Banca. E come saldarli, se a ciò richiedonsi meglio di 500 milioni? E dove trovare tal somma? Con un imprestito? Sarebbe inutile il tentarlo. Con nuovi balzelli? Si fa presto a votarli; ma come riscuoterli? Con la totale e pronta liquidazione dei beni ecclesiastici? È vano sperarlo; poiché la famosa operazione del Rattazzi non riuscì che a collocare cartelle per 6$ milioni. Dunque? la Conclusione del Ministro era appunto quella abborrita dal Ferrara: votar balzelli, denunciarli ai popoli, riscuoterli per quanto si potesse, e tirare avanti alla meglio, con la speranza di trovare qualche spediente al bramato intento.

3.Questo modo non potea garbare a veruno; benché, a guardare la cosa da vicino, fosse il solo che restava, non per risolvere la quistione, ma per prolungare l'agonia. Di che niuno volendosi così presto contentare, Tu un diluviare di proposte ripugnanti, che ciascuno si studiò di far prevalere, ragionandone i motivi, e ribattendo le argomentazioni degli avversarii. In sole tre tornate si erano dai più versati in tali materie proposti nove diversi sistemi, onde raggiungere lo scopo


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di far cessare il corso forzato; ma con tal esito che, quando alli 9 Marzo fu necessario venire a qualche decisione, scegliendone uno, la Camera andò tutta sossopra con tale tumulto, che il medico Lanza, suo degno presidente, ebbe a definirlo per infernale. Mancò solo che i Deputati venissero tra loro a pugni, calci e scudisciate, nulla essendo mancato di quanto potea farsi col gesto e con la voce per soverchiarsi a vicenda.

La relazione autentica di questa scena sta lì stampata negli Atti ufficiati, n. 134-35, da pag. 2894 a pag. 2896. Crediamo che difficilmente negli annali parlamentari trovisi esempio di spettacolo più vergognoso. Ben quindici ordini del «torno erano stati proposti per risolvere la quistione posta da Alessandro Rossi, il quale pel primo suggeriva un prestito. Ma il Ferrara preferiva una legge senza prestito. Il La Porta «un aumento nella riserva metallica» ed una estinzione graduate; Viacava la nomina d'una Commissione per istudiare il da farsi; Nisco una Commissione d'inchiesta «intorno alla reale posizione dei diversi Istituti di credito». Servadio e Tommaso Villa «che il biglietto di Banca cominci ad essere convertibile in moneta metallica». Ferrari voleva un'inchiesta «sulle cause dello squilibrio e soprattutto del corso forzato». Evitabile, «la surrogazione d'un biglietto governativo». Seismit-Doda che «sia stabilito il massimo limite dei biglietti di Banca ora circolanti». Rosa, Penzi, Correnti ed altri «una Commissione di 7 membri, che prenda cognizione dello stato generale della circolazione cartacea». Pescatore domandava «la riduzione interinale e poi la cessazione definitiva del corso forzoso». Pianciani, De Buggero, Macchi, Speciale proponevano che fossero «ceduti e ripartiti fra i comuni tanti beni demaniali, . quanti ne occorrono a rappresentare il valore di 250 milioni». Torrigiani «una inchiesta parlamentare da compiersi entro il prossimo Aprile». Zuradelli che il corso forzato i cessasse «non più tardi del 1° Gennaio 1872». Desanctis, Mezzanotte, Bega, Crispi, Oliva che si mettesse subito all'ordine del giorno la cessazione del corso forzoso.

Il presidente Lanza ragionò i motivi, pei quali doveasi dare la preferenza a quello proposto dal deputato Corsi nei termini seguenti: «La Camera confida che il Ministero, preoccupandosi dalla necessità di togliere dal paese il corso forzato dei biglietti di Banca, presenterà, cogli altri provvedimenti finanziarii diretti a restaurare le condizioni del bilancio, e come loro complemento indispensabile, un progetto di legge per procurare all'erario i mezzi necessari; ad estinguere il debito verso la Banca ed a togliere il corso coattivo. Intanto nomina una Commissione di sette membri, perché prenda cognizione dello stato generale della circolazione cartacea; dei rapporti degli istituii di emissione col Governo e con le pubbliche amministrazioni, e degli altri fatti che stimerà opportuni allo scopo della cessazione del corso forzoso, e riferisca alla Camera entro il 15 prossimo Aprile».

Stavasi per procedere ai voti successivamente sopra i due paragrafi di questo voto, quando il De Pretis si levò a proporre modificazioni al primo, onde soppiattamente si sgagliardiva tutta l'efficacia del secondo. Il Presidente appellò al regolamento, che vieta d'introdurre modificazioni quando già è chiusa la discussione. Quei della sinistra si protestarono contro tal disposizione, e pretesero di parlare. Il Lanza ordinò l'appello nominale per la votazione sulla prima parte.


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La sinistra si levò furibonda, con urli ed atti da ritrarre un branco di scappati dal manicomio. Gli avversarii fecero altrettanto. Niun mezzo valse a mitigare nel diavoleto. Il medico Lanza gridò, quello essere un tumulto infernale, si conficcò il cappello in testa, e levò la seduta, andando via e lasciando che continuasse il baccano Ira quegli energumeni.

Nella tornata del dì seguente,10 Marzo, rinvenuti in sé stessi, scambiate alcune spiegazioni, i Deputati mostrarono d'aver riavuto un poco di buon senso; e, non trovando modo veruno di risolvere sì ardue quistioni, si rassegnarono a votare sull'ordine del giorno del Corsi, por decidere se dovessero levarsene le parole: confida cheti Ministero, per non mostrare che quello fosse un voto di fiducia. Il risultato dello scrutinio fu il seguente. Presenti, 352; votanti 349; pluralità necessaria,179; voti contrarii, 211; voti favorevoli,138. Sicché questa modificazione, proposta dai deputati De Sanctis e Pescatore, che parea tornare a sfregio del Ministero, fu reietta. Allora si passò a' voti sopra le due parti della proposta del Corsi, che furono approvate. Non troviamo negli Atti ufficiali con qual numero di voti, ma solo un laconico: è approvato, ed un: la Camera approva. Il Presidente finì di mettervi sopra lo spegnitoio con queste parole: «rimane risolta affatto la quistione sul corso forzato, colla votazione testé avvenuta».

Rimane però anche un'altra coserella, ed è il corso forzato di una moneta di carta che scapita di credito a rompicollo, e la necessità di torturare i popoli per far loro pagare 900 milioni all'anno tale felicità!

4. Finito appena questo bel negozio con questo splendido risultato, si ebbe subito nella stessa tornata del 10 Marzo 1° annunzio di una nuova imposta sull'entrata, di cui il Ministro delle finanze presentò uno schema di legge in 16 articoli, che venne riferito da tutti i giornali, come nell'Unità Cattolica del 17 Marzo; ma di cui per ora torna inutile occuparsi, essendo probabile che andrà, quando pure la Camera volesse approvarlo, soggetto a rilevanti mutazioni. Basti dire che forse la rapacità fiscale non aguzzò mai tanto gli artigli per ghermire, a profitto dello Stato, i novantanove centesimi degli averi dei beatissimi contribuenti!

Nella tornata del giorno appresso, 11 Marzo, si passò alla discussione generale del disegno di legge sopramentovato, proposto dalla Commissione della Camera, per un balzello sul macinato. I dibattimenti procedettero colla stessa sapienza e temperanza, onde aveano data sì luminosa prova gli onorevoli nella discussione per la proposta diabolica del corso forzato dei biglietti di Banca; e la conclusione ben può prevedersi non dover essere punto altro; cioè, dopo una gragnuola di chiacchiere, uno scroscio di tasse da pagarsi. Beati i popoli!

5.Non dubitano alcuni che la tassa sul macinato debba essere approvata. Poiché il Ministro delle finanze sarebbe costretto, nel caso di un rifiuto, a lavarsene le mani, e dire: provatevi voi, se vi riesce di tener su la crollante baracca senza quattrini! Ma e i beni ecclesiastici? Questi si vendono alla spicciolata; ma con quel vantaggio pel Governo, che può argomentarsi da ciò, che il Governo riscuote ora soltanto il 30 per cento del prezzo d'asta; ed anche questo, non in buona moneta, ma m tanti pezzi di quella stessa carta che egli stampa col bollo di valori nominali,


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poiché non ha mezzi da coniare moneta. Del resto, affinché ognuno possa con buon fondamento giudicare del fatto, crediamo utile recitare qui il tratto più importante della relazione che fece il Carabray-Digny, ministro delle finanze, nella tornata del 5 Marzo (Atti uff. n. 721, p. 2839 col. 2) circa la vendita dei beni ecclesiastici, e lo spaccio delle obbligazioni decretate coll'art. 17 di quella legge di latrocinio, che fu bandita sotto il 15 Agosto 1867.

«Questa operazione della vendita incominciò il 26 del mese di Ottobre, ed io no qui raccolti in un prospetto i risultati ottenuti dalle vendite a tutto il 29 Febbraio. Noi abbiamo aggiudicati 10,281 lotti, i quali erano stimati per un valore di 62,579,652, e furono aggiudicati per un valore di 85,317,221; si ebbe pertanto nell'insieme di queste vendite un aumento di 22,737,569 lire, e così in media sul valore di stima un aumento del 36 per cento. È vero che esposti ali' asta erano altri 8488 lotti, dei quali andò deserto tanto il primo che il secondo incanto, per un numero di 3660 e per un valore di stima di lire 11,612,000. Ne andò deserto al terzo incanto un numero di 125 e per un valore di 192 mila lire. Ne-rimangono, senza che ancora la direzione generale del demanio abbia notizie esatte del risultato dell'asta, un numero di 4703 e per una cifra di 20,034,000 lire. Debbo altresì avvertire che in questo numero di 4703 sono compresi beni, per un certo numero dei quali gl'incanti sono stati per diverse cagioni sospesi.

«La Camera non ignora che il pagamento di questi beni, i quali sono aggiudicati, può farsi in due modi. Può farsi per l'intero valore, ed allora il compratore ha diritto di ritenersi il 7 per cento; può farsi anticipando immediatamente il decimo del prezzo, e poi pagando per un seguito di 18 anni un ventesimo ali' anno; può farsi in obbligazioni valutate al valor nominale, come può farsi in contanti. Inutile il dire che il pagamento si fa sempre in obbligazioni valutate al valore nominale; imperocché egli è naturale che, potendo acquistare queste obbligazioni all'80 per cento, tutti preferiscono servirsi di questo mezzo per il pagamento dei beni, che loro fa risparmiare il 20 per cento sul prezzo. Ora la somma delle obbligazioni, le quali sono entrate nelle casse del tesoro dal fine di Ottobre a tutto il 15 Febbraio decorso, ascende a 23,914,000 lire.

«Vengo adesso ad indicare la vendita che è stata fatta delle obbligazioni. La Camera ricorderà come un decreto dell’8 Settembre prescrivesse che la vendita delle obbligazioni incomincierebbe il 28 d'Ottobre e durerebbe fino ai 6 di Novembre al saggio del 78 per cento, e che a partire dal Novembre il saggio d’emissione sarebbe stabilito con decreto successivo del Ministro delle finanze, colla condizione però che non fosse mai inferiore ali' 80 per cento. Ora ecco i risultati ai queste vendite. Dal 28 Ottobre alla fine di Novembre furono esitate delle obbligazioni per 36,206,100 lire nominali d'obbligazioni. Dal 16 Novembre al 3. 'Gennaio ne furono esitate per 5,449,000 lire; dal 1. ' Gennaio al 15 Febbraio ne furono esitate per 2,504,700; in tutto ne furono esitate per 44,159,800 lire nominali, le quali produssero 34,603,718 lire.

«In sostanza si vede che approssimativamente le vendite si fanno in tal modo, che i compratori pagano circa il 30 per cento del valore intero, e il rimanente verrà pagato


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successivamente per ventesimi d'anno in anno. Se calcoliamo che la vendita prosegua nel corso di tutto l'anno nella proporzione che abbiamo avuta tino ad oggi, siccome la vendita è presso a poco di venti milioni al mese, noi troviamo che in tutto l'anno

si venderanno por 240 milioni di beni. Il 30 per cento di questa somma sarebbe 72 milioni, i quali sarebbero pagati in cartelle all'atto dell'acquisto, sui quali però conviene fare il diffalco del 7 per cento, cioè circa cinque milioni; e cosi le obbligazioni che verrebbero in pagamento, rimarrebbero 67 milioni; rimarrebbero altri 173 milioni pagabili per un decimo immediatamente e pel rimanente in ventesimi, e così in quest'anno per questi titoli verrebbero altri 17 milioni di obbligazioni at valore nominale; dimodoché in totalità entrerebbero nelle casse del tesoro. 84 milioni di obbligazioni.»

Evidentemente lo scrupoloso Ministro delle Finanze, volle con questi conti particolareggiati rassicurare le delicate coscienze degli onorevoli, affinché non temessero; che i beni di Chiesa sarebbero liquidati, ed il prodotto andrebbe nelle casse dello Stato. Ma parlò solo degli stabili messi all'asta pubblica. Dimenticò, o tacque prudentemente di altre dovizie rubate alla Chiesa, e le quali niuno sa dove vadano a finire. Che siano liquidate, si sa e si vede. Ma a cui profitto? Il deputato d'Ondes-Reggio nella tornata del 14 Marzo, ne chiese conto al sig. Ministro, con quelle intrepide parole che possono leggersi negli Atti ufficiali della Camera,11. 747, pag. 2944, e di cui riferiamo qui il brano più chiaro e rilevante.

«Mi rivolgo qui con ispecialità al signor Ministro delle finanze. Una volta che queste leggi ci sono, e che questa spogliazione è fatta, è d'uopo che almeno si dia qualche conto di cose, di cui egli non ha fatto alcun cenno. Signori! ori, argenti, gioielli, arredi sacri preziosissimi, di cui si sono spogliate le chiese; io domando al signor Ministro: di tutto questo che cosa se n' e fatto e che cosa se ne fa? Gli agenti demaniali, con uno zelo incredibile, hanno tutto raccolto, non hanno avuto difficoltà di salire sugli altari, di levare ogni prezioso ornamento anco alle immagini più sante, più venerate da' popoli; sovente innanzi agli occhi istessi di coloro, che poco pria ne avevano fatto pietoso dono. Ma se lutto hanno preso, non so se è tutto conservato (Movimento).»

La Camera parve commossa da questa impavida denunzia. Ma il Ministro giudicò più utile il tacere, che facile il rispondere in modo da giustificare il Governo. E tacque!

6.Ma vuoisi condonare a tal Ministro tal silenzio, quando il poverino è costretto a parlar sì alto, onde render capaci i Deputati che, siccome per una parte essi non vogliono desistere dallo scialacquo, egli per l'altra non può sottrarsi alla necessità di pigliarne dove ne trova, sotto pena di inevitabile e prossimo fallimento. Perciò non si vuole essere troppo scrupolosi nel trarre i conti del rubato alla Chiesa, né stare sul tirato quando con un po' d'inchiostro, cioè con una legge, si dee estorcere dai popoli qualche altro centinaio di milioni da dilapidare. E per far sentire ai Deputati questa inesorabile necessità di pigliarne dove ce n'è, il Cambray-Digny non si peritò di dire loro alto e chiaro, nella tornata del 5 Marzo, queste solenni parole:


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«Non c'illudiamo! Se nel primo semestre di questo anno non sono deliberate tutte le leggi, le quali debbono approssimare ali' equilibrio il bilancio del 1869, noi non potremo impedire l'ultimo disastro della nostra finanza... Chiunque sollevi la sua voce in questa assemblea, a consigliare, per buonissime, per eccellenti ragioni, il ritardo più o meno lungo delle deliberazioni delle nuove imposte, quegli assume sopra di sé la responsabilità del fallimento del Regno italiano (Mormorio a sinistra; movimenti generali).» Atti uff. 34/722, pag. 2846, col. 2.

7. Il Governo grida che bisogna finire di smungere i popoli, se si vuole salvare lo Stato dal fallimento; e sia pur vero. Ma come faranno i popoli a pagare i nuovi balzelli, quando, non che possano pagare gli antichi, appena hanno di che sfamarsi? A tacere delle altre province del beatissimo Regno, la Sicilia, quella che fu ognora, per la sua feracità, riputata un granaio d'abbondanza, la Sicilia è desolata dalla fame. Da gran pezza leggevamo sui giornali lagrimevoli narrazioni della distretta in cui si trovano i popoli di quell'isola, per difetto di derrate e d alimenti, sicché a frotte si vedeano andare i tapinelli pei campi e pei burroni a sbarbicare radiche ed erbe con che ingannare la fame, e sedare le torture dello stomaco, ma col risultato che non pochi ne ammalavano e morivano. Or ecco quel che troviamo nel diario la Redenzione di Catania. «Di tre cose ha bisogno la Sicilia, per vivere in pace. La prima è pane; la seconda è pane; la terza è pane. Senza una di queste tre cose, la Sicilia andrà a gambe in aria, ed i guai saranno comuni. Giammai la miseria fu così generale e tremenda, giammai. Si fu così indolenti, così sordi, cosi crudeli ed imbecillii... Ieri qui, nell'antichissimo granaio delta Sicilia, nella città dell'abbondanza, un giovane si avvelenò per ìstrapparsi ai tormenti della miseria; una vedova smarrì l'intelletto dopo una lunga inedia... e migliaia d'infelici tendono le mani ad accattar quel tozzo istesso, che anni prima toglievano dalla loro mensa per darlo a chi ne avea di bisogno. Il Governo impone tasse, e tasse!» Altro che pane, pane, pane! Vegga un po' la liberale Redenzione quanto abbia giovato ai redenti l'opera dei tradimenti settarii, onde fu sottratta Ja Sicilia al suo legittimo sovrano e gettata in pastura alle Arpie rivoluzionarie!

8. Fame e miseria, quando per giunta regna la rivoluzione, vanno inseparabilmente di pari passo col delitto e con la violenza nella più trista sua forma. Ed infatti il brigantaggio, appena disciolte le masnade garibaldesche assoldate di quanto v'ha di più ribaldo in Italia, ripigliò vigore; e le provincie del Regno d'Italia ne sono di bel nuovo infestate in guisa, da mettere a disperazione gli abitanti. Ma, come era da prevedersi, la lealtà dei diarii ufficiosi del Governo di Firenze ne getta la colpa sul Governo pontificio, che ritrae in aspetto di assoldatore di ladri. Or egli giova vedere comprovato da testimonianze irrefragabili e non sospette, come i più insigni tra i briganti siano piuttosto benemeriti del Regno d'Italia, per avere a suo profitto combattuto contro la Santa Sede ed ajutato le eroiche imprese del Garibaldi e del Cialdini. Eccone la prova.

Nella tornata del 15 Marzo il deputato Salvatore Morelli, forse accecato di quel medesimo diavolo che poco prima gli avea ispirato tante bestemmie contro la religione, rivelò che i famosi briganti fratelli di nome La Gala,


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pei quali ebbero tanta molestia il Governo pontificio ed anche quello di Parigi, ben lungi di essere eccitati dal Governo pontificio, incominciarono a far da briganti combattendo il Papa per far l'Italia. Ecco le parole del deputato Morelli, tolte dagli Atti ufficiali, N. 751, pag. 2960 e 2961: «L'ingiustizia fece briganti i fratelli La Gala. Ecco come. Questi espiavano nel carcere un residuo di pena. Commossi dal movimento del 1860, evasero, formarono una banda di 500 uomini; e, ponendola agli ordini della rivoluzione, scalzarono il Governo pontificio in Benevento, e resero all'Italia considerevoli servigi. Venuto il Governo della Luogotenenza, chiesero al segretario di Stato del guardasigilli in Napoli, che, in compenso dell'opera prestata, avesse fatto loro espiare la residuale pena, invece che nel carcere, sopra un' isola. Lo credereste? Quel segretario generale, che in sulle prime confessava essere modestissima la domanda di quegli sciagurati, finì per neppure concedergliela. Laonde, indispettiti dall’ingiustissimo atto, si diedero in campagna, e perpetrarono le ferocie inaudite che tutti sappiamo (Rumori a impazienza).»

9. Ma l'Italia può pigliarsela consolata di tutte queste miserie, poiché la sapienza e la provvida cura del suo Governo l'ha dotata d'un nuovo Ordine cavalleresco, e ne ha riformato uno degli antichi dello Stato sardo. L'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro era venuto in tal discredito, per la eccessiva prodigalità con cui a mani piene se ne distribuivano le insegne, da quella di Gran Cordone fino a quella di Cavaliere, che oggimai era quasi vergogna il venirne fregiato. Un decreto sotto il 20 Febbraio, firmato da Vittorio Emmanuele, dal Menabrea e dal Cibrario, pubblicato nella Gazzella ufficiate del 26, ha stabilito nuove regole per la distribuzione di quelle insegne, limitando il numero de’ benemeriti e prescrivendo i titoli pe' quali possono esserne insigniti.

Di più, onde perpetuare la memoria, e, se sia possibile, anche il fatto dell'unità italiana sotto lo scettro e la corona di Casa Savoia, venne istituito, con decreto pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 1 Marzo, un nuovo Ordine cavalleresco, intitolato della Corona d'Italia, diviso in cinque gradi, così che i Gran Cordoni non eccedano il numero di 60; i Grandi ufficiati non siano più di 150; i Commendatori siano al più soli 500; e gli ufficiali non più di 2000; i semplici Cavalieri saranno in numero indefinito.

È probabile che in un paio d'anni l'Ordine della Corona d'Italia rivaleggerà coll'antico de’ SS. Maurizio e Lazzaro nello spaccio de’ nastri e de’ ciondoli; poiché si sa che l'Italia rivoluzionaria di tutt'altro difetta, fuorché di uomini grandi, insigni, e benemeriti della setta.











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