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NUOVA ANTOLOGIA
DI
SCIENZE. LETTERE ED ARTI
VOLUME SETTIMO
FIRENZE
DIREZIONE DELLA NUOVA ANTOLOGIA
Via San Gallo. n. 35

1868
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DEL CORSO FORZATO

E

DELLA MANIERA DI ABOLIRLO


I lettori della Nuova Antologia non sembrano aver male gradito la cura che essa si diede, or son quasi due anni, di sottoporre alla loro attenzione il concetto in cui meritava d' esser tenuto il regime di moneta fittizia, inaugurato in Italia col Decreto legislativo del 1° maggio 1866. Fu allora notato che noi ci mettevamo per una via, nella quale non era possibile antivedere fin dove sarebbesi andato, quando e in che modo ci sarebbe dato di uscirne. In oggi non abbiamo percorso che il primo stadio del nostro cammino, ma siamo già nel momento più decisivo. Una penosa ascensione possiam dire di aver compiuto, sopra la costa d'un gran vulcano; ed ora davanti a noi non ci è che il cratere e l'abisso, e la tempesta rumoreggia sul nostro capo, e ben poco tempo ci si concede a discutere e titubare: se le forze o la volontà ci vengan meno per rifarci indietro e discendere, tutto fa presagire che saremo travolti nel precipizio. Così io credo che la quistione del corso forzato si presenta alle menti delle popolazioni italiane, da un capo all'altro della Penisola; cosi sembra, in certo modo, compresa da una buona parte de* nostri legislatori, a giudicare da' concitati discorsi, co’ quali gli onorevoli Seismit-Doda e Eossi aprirono la campagna, (1) da' molti nomi che già si erano iscritti per continuarla, dalla viva attenzione che la Camera tutta prestava alla parola de’  due primi oratori, dalla risoluzione già presa di ripigliare più tardi integralmente il problema, per isvolgerlo da tutti gli aspetti, ed avviarlo a pratiche ed efficaci conclusioni.


(1)Camera de’  Deputati, tornate del 17 e 18 febbraio.


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In una materia la cui importanza è così vitale da meritare che si consideri come la chiave di molti fra gli ardui problemi finanziarii che siam chiamati quest'anno a risolvere, dobbiamo naturalmente aspettarci un' ampia e calda discussione. Si avrà, forse, da tollerare in grado eminente la parte viziosa delle grandi assemblee, ma sarà mista alla buona: l'episodio, la passione, la vanità, l'astio, il risentimento dell'amor proprio, si troveranno compensati a ribocco dalla varietà degli aspetti, dalla profondità degli studii, dal colorito della parola spontanea; e l'ultimo effetto di questi attriti sarà quel pieno possesso dell’argomento, da cui sgorghino infine i precisi concetti de’ quali l'opinione del pubblico ha d' uopo, onde possa degnamente apprezzare gli sforzi che da' suoi legislatori si saran fatti, per trarlo fuori dalla trista condizione di cose, che la moneta di carta ha creata.

Nondimeno io credo di accorgermi che, nella questione del corso forzato, qualche cosa vi sia che mal si attaglia alle furie della lotta ed alle convenienze della tribuna; qualche cosa che nell'aula parlamentare dev'essere già sottintesa, e solo nel silenzio del gabinetto può formularsi dagli uni, giudicarsi dagli altri. Questa appartiene di pien diritto alla stampa. E se è vero che le pagine della Antologia poterono rendere ai suoi lettori qualche servigio quando il corso forzato s'iniziava, perché mai, io ho dimandato a me stesso, non dovrebbero offrirne un altro maggiore, nel momento in cui la sentenza del corso forzato sta per essere profferita?

Il punto al quale alludo, è l'esame de’  modi che si saprebbero escogitare per assicurarci la materiale possibilità di ritogliere ai biglietti bancarii il privilegio di circolare a titolo obbligatorio.

Io vedo in ciò una quistione affatto preliminare, da cui ciascuna delle tante altre, che si possono e si vorran suscitare, strettamente dipende. Fautori ed avversarii dello stato presente son del pari costretti ad intendersi intorno a siffatta premessa. Chiunque ami di veder mantenuta la circolazione cartacea, non ha il più lieve bisogno di perdersi ad idearne i vantaggi, o vaticinare i tristi effetti che la sua abolizione possa mai minacciare; gli basterà aver provato che l'abolizione riesca impossibile. Chiunque, all'incontro, desideri ripristinata la circolazione metallica, farà opera vana affaticandosi a descrivere i danni che il corso forzato e' infligge e l'urgenza di farlo cessare, se non ci abbia prima convinti della ^possibilità di abolirlo: l'utile e il giusto dell’impossibile non è che sogno o delirio.


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Io vedo, inoltre, in questo quesito, un tema minuzioso e pratico; troppo pesante, perché giovi lanciarlo nel vortice d'una fervida discussione, rigido troppo perché si pieghi alla sveltezza del discorso orale, ed arido troppo perché possa tenere a freno la mobile attenzione d'un parlamento. Sotto ogni riguardo, adunque, quanto più io sento il bisogno di manifestare i pensieri che questa parte della gran quistione mi ha suggeriti, tanto più mi avvedo che conviene risolutamente strapparli al dibattimento parlamentare, ed affidarli alla stampa.

Penetrando, adunque, nelle viscere della questione, io spiegherò innanzi tutto tra quali confini intendo di limitarla. Ho parlato di materiale possibilità, perché è mia intenzione di escludere le obbiezioni che, contro il sollecito ritorno della circolazione metallica, muovono alcuni, da un aspetto di convenienza, economica

0 finanziaria. l’è, o almeno vi fu sinora, una scuola fra noi, secondo la quale la soppressione del corso forzato cagionerebbe tali danni e disturbi, ovvero sarebbe opera cosi precaria, da doverla, se non affatto respingere, certamente allontanare di molto, quand'anche avessimo già in poter nostro la pienezza de’  mezzi di effettuarla. Gli adepti di questa scuola parlano, anch'essi, di impossibilità, ma in senso del tutto diverso da quello che io attribuisco a codesta parola: ciò che vogliono contestare è l'utilità della soppressione; o, in altri termini, la dichiarano impossibile, sotto il solo rispetto che non vi scorgono alcun vantaggio, o la stimano pericolosa. Cosa affatto differente, anzi in certo modo contraria, è quella che io mi propongo di esaminare. Intendo di tener dietro ad un' altra scuola di oppositori i quali, alieni dal negare

1 mali della moneta fittizia, si rassegnano tuttavia a sopportarla, sostengono che non si debba pensare a toccarla, non perché non vedano, non confessino, non siano bramosi di conseguire, i vantaggi dello abrogarla, ma perché son convinti che i mezzi pecuniarii, indispensabili per ordinarne la soppressione, ci mancano.

E qui una seconda restrizione mi occorre premettere.

A proposito di cedesti mezzi, mi è talvolta avvenuto di udirne parlare in modo sì vago, da far supporre che essi si estendano a tutto ciò che la Banca nazionale, e gli altri banchi ammessi al privilegio del corso forzato, avranno mai di bisogno, per sentirsi pienamente in grado di riaprire le loro casse. Noi dovremmo, allora, usar la cura di assicurarci che essi abbiano danaro abbastanza,


Vol. VII. —Mano 1868. 3°


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e un portafoglio assai nudrito e veridico, e fiducia sufficiente presso del pubblico, perché, dichiarando la ripresa de’  pagamenti, non ne seguisse un' irruzione di biglietti che domandino tutti ad un tempo la loro pronta conversione, o perché i banchi possano francamente rispondere alla richiesta conversione, sia co’  mezzi di cui si trovin forniti, sia anche con quelli che il loro credito permetta di procurarsi.

Ma ponendo in termini cosi larghi la quistione, sarebbe già snaturata. Forse (non mi preme di contestarlo) il Decreto del 1° maggio 1866, che permise la soppressione de’ pagamenti in danaro, avrà avuto una doppia mira: mentre cercava, ne' biglietti non convertibili, un facile mezzo di far fronte alle improvvise necessità della finanza, vi avrà ancora cercato il modo di salvare i banchi da una crisi che sembrava di minacciarli. Se utile e giusto sia stato l'operare così, non è qui il luogo di esaminarlo. Ma m'importa il dire che in oggi le due mire di quel Decreto, si sciolgon da sé e si separano. Il periodo critico de’ banchi si è dileguato da un pezzo. Io devo supporre che essi abbiano in se medesimi quanto occorra per tornare sotto l'impero della loro legge costitutiva. Se mai non l'avessero, e se da ciò si volesse far dipendere il mantenimento della carta monetata, noi entreremmo in una sfera d'idee radicalmente diversa. Non esistendo ancora in Italia una legge, in virtù della quale lo Stato si possa costituire, non tutore soltanto, ma direttore ed amministratore supremo di tutti i banchi italiani; prima fli assumere che i mezzi necessarii alla abolizione del corso forzato si estendano fino a tutti i loro bisogni e le loro convenienze, si dovrebbe aver deciso che il nostro Governo possa, senza una legge, attribuirsi un ufficio ed un obbligo così illimitato e pericoloso. Tale non è in verità la base su cui il problema del corso coatto si possa piantare. Lo Stato non vi figura, né vi può figurare, se non in quanto, e fin dove, figurò come causa, non come autore, del corso forzato, cioè in quanto e fin dove se ne giovò come mezzo di ottenere l'imprestito d'una somma, che agli urgenti bisogni del Tesoro allora occorreva.

Sicché per mezzi indispensabili ad ordinare la soppressione del corso forzato, io non intendo né posso intendere che codesta somma, di cui la Banca nazionale, che la prestò, è creditrice verso il Tesoro. Opinione, nella quale non mi trovo già solo. L'onorevole ministro Cambray-Digny, nella sua esposizione finanziaria, ha mostrato di parteciparvi; e prima di lui, in questo Giornale medesimo, lo Scialoja aveva già scritto che


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«un ministro il quale trovasse modo di procacciarsi 278 milioni sarebbe legalmente in grado di costringer la Banca a riprendere in danaro i pagamenti.»(1) Il legalmente, che l'autore ha avuto la cura di aggiungere, spiega bensì il suo pensiero, che, quand'anche si avesse la somma, non sarebbe utile adoprarla in codesto senso; ma su tal punto, io rinnovo le mie riserve, ripetendo non essere mio intendimento ingolfarmi per ora in una siffatta discussione.

Accettato il principio, abbiamo inoltre a definire di qual somma precisamente si tratti, giacché anche sopra di essa qualche dubbio è già sorto.

È sorto, per la prima volta, da alcune parole che il Ministro delle finanze ha lanciate nella sua esposizione finanziaria, là dove disse che, per ordinare la ripresa de’  pagamenti, noi dovremmo saldare alla Banca il suo credito di 378 milioni. La qual cifra, da allora in poi, è divenuta quasi inconcussa. Due o tre volte l'onorevole Rossi la ripeté nel suo grave discorso del 18 febbraio; e domandando un imprestito, era questa appunto la somma per cui chiedeva che fosse aperto.

Come ognun vede, questi 378 milioni si compongono di tre elementi: 250, avuti in origine; 28, aggiunti in ragione delle annesse provincie venete; e 100 poi sarebbero quelli che ultimamente la Banca nazionale ha assunto l'impegno di venir pagando al Tesoro in conto delle Obbligazioni ad essa affidate, relative alla vendita de’ beni ecclesiastici.

Ma, quanto a'28 milioni, il Ministro li avrebbe già sottratti egli stesso allorché, in quella tornata del 18 febbraio, rispondendo a un quesito promosso dall'onorevole Seismit-Doda, dichiarò nettamente che «i 28 milioni non sono ancora pagati al Tesoro, perché il Tesoro non ne ha finora avuto bisogno». Per poterli, dunque, implicare nella cifra de’ milioni da restituirsi alla Banca, che non ne è creditrice finora, bisognerebbe fare la vana operazione di prenderli colla mano destra e restituirli con la sinistra, salvochè venisse deciso di prolungare la vita della moneta cartacea, e in questo intervallo il Tesoro ne sentisse il bisogno che non ne ebbe finora.

La partita poi di 100 milioni esige chiarimenti, che il pubblico e il parlamento fino ad oggi non ebbero. — Noi sappiamo soltanto che, con Decreto del 15 settembre, furono create Obbligazioni dipendenti dalla Legge 15 agosto 1866, per una somma di 250 milioni; che una parte di esse (per 150 milioni) fu data in deposito alla Banca, nazionale; che, contro siffatto deposito, la Banca apriva al Tesoro un credito di 100 milioni, a titolo di anticipazione.

(1) Nuova Antologia, fascicolo di novembre, 1867, pag. 586.

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L'atto con cui questa intelligenza fra la Banca e il Governo passò, non è mai stato, ch'io sappia, testualmente portato a cognizione del pubblico. Potrebbe ben darsi che, fra le sue condizioni, esista l'esplicito patto, in virtù del quale la somma che la Banca veniva anticipando al Tesoro si sarebbe dovuta considerare come un aumento al mutuo del maggio 1866. In tal caso, il deposito delle Obbligazioni non sarebbe avvenuto che per mera forma di cautela, ma lo Stato si sarebbe direttamente impegnato al rimborso, coi mezzi generali della finanza, non col prodotto peculiare de’ titoli depositati. In tal caso, l'Amministrazione Rattazzi avrebbe decretato un imprestito nuovo, contratto un altro debito di 100 milioni verso la Banca, senza trovarne la facoltà nell'ari. 17 della Legge 15 agosto 1867, col quale il Governo fu bensì autorizzato ad emettere Obbligazioni e riscuoterne il prezzo, non a contrarre un debito a parte, tenendo in serbo, e come semplice malleveria, le Obbligazioni create. E in tal caso, non dubito punto di dirlo, l'Amministrazione Rattazzi avrebbe assunto una grave responsabilità, di cui io non vedrei per qual mezzo si possa giustificare.

Ma, da quanto fin qui sappiamo, l'operazione ha tutt'altra apparenza e portata. L’Amministrazione Rattazzi non altro sembra aver conferito alla Banca che il mandato di sfogare per conto del Tesoro le Obbligazioni affidatele; ed egli è sul prezzo di esse, da riscuotersi gradatamente, che la Banca anticipava al Tesoro la somma di 100 milioni. Si tratta dunque di cosa che non avrebbe il menomo legame col mutuo, in favor del quale nel 1866 il corso obbligatorio fu decretato. Son 100 milioni che la Banca presta sopra un valore determinato, come ne presta sopra tanti altri, come sconta i buoni del Tesoro o le cambiali private, come anticipa sopra titoli di rendita, sopra paste metalliche, sopra sete; son 100 milioni che devono saldarsi da sé, non con pagamenti generici del Tesoro, ma col prezzo che il pubblico verrà versando per comperare le Obbligazioni. Se il corso forzato durerà lungo tempo, la Banca riceverà questo prezzo da' compratori, in tanti biglietti da essa medesima già emanati, che faranno compenso a quegli altri che essa avrà anticipati al Tesoro. Se il corso forzato verrà abolito, le Obbligazioni non ancora vendute si venderanno in danaro sonante, e null'altro la Banca avrà a pretendere dallo Stato. E se mai fu convenuto (come potevasi bene) che, in caso di ritorno alla circolazione metallica, il contratto si dovesse intendere risoluto; in tale ipotesi, estrema e improbabile,


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tutto il diritto della Banca si ridurrà a potere rimandare indietro le Obbligazioni depositate e non ancora vendute. La Banca, in somma, va in questo affare trattata come sarebbe qualunque altra Casa che, in vece sua, avesse fatto la medesima operazione; e considerandola da un tal punto di vista, è ben chiaro che diverse conseguenze giuridiche potranno discendere da' termini in cui si trovi precisamente espresso il contratto, ma non vi può esser caso nel quale (se espressamente non fu convenuto) i 100 milioni di cui si tratta possano cumularsi in aumento de’  250, mutuatici nel maggio del 1866.

10 dunque non so scoprire in che maniera questo secondo elemento si sia dal ministro portato ad ingrossare il credito della Banca. Non vedo come il conto del mutuo si compenetri in quello delle Obbligazioni. Non vedo come, in virtù di una semplice confusione di conti, la fine del corso forzato si possa far dipendere da una somma subitamente cresciuta di 100 milioni. E salvo migliori spiegazioni di fatto, io ritengo che, nel momento attuale, noi non siamo legati da altro vincolo al mantenimento della moneta cartacea, se non da quello di dovere offrire alla Banca il semplice valore primitivo, l'equivalente de’  250 milioni che essa ci diede in Biglietti, nel maggio del 1866.

Quali mezzi si hanno per liberarci da questo peso, e ripristinare la circolazione reale?

Non ve ne sarebbero che di due specie: o il pronto rimborso della somma dovuta, o procedere gradatamente alla sua estinzione.

Il primo suppone che si possiedano 280 milioni in contanti, per offerirli alla Banca, o, che è lo stesso, per {spargerli fra le mani del pubblico, contro Biglietti, che cosi verrebbero ritirati dalla circolazione, e al tempo stesso distrutti. Ma 250 milioni non si attingon di certo fra gli averi ordinari della nostra finanza. Carpirli a volo in qualche espediente straordinario, era l'idea vagheggiata nell’anno scorso. Ignoro se per difetto di mia intelligenza, o per errori di altrui, o per mala volontà di partiti, quel sogno dorato si dileguò tra gli effetti della Legge 15 agosto 1867. Non si vorrà ora permettere che io sempre più mi compiaccia di non averla votata? La politica, e dirò anzi tutta la filosofia trascendentale delle scuole germaniche, avrà trionfato con quella legge, io non oso di porlo in dubbio; ma a nome della finanza e delle popolazioni contribuenti, io non saprei indirizzarne i miei complimenti alla onorevole Commissione che la propose, e molto meno al suo presidente e relatore, ricco di sapienza finanziaria,


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e soprattutto così benevolo e urbano nel suo linguaggio, l'onorevole deputato Ferraris. Io posso aver fallato, e ben lo sospetto; ma coloro che assunsero l'impresa di sostituire ai miei sbagli i loro buoni concetti, non vorranno, spero, esser vani oggidì di aver colpito nel segno. Rinunziare ali' intento di liberarci dalla moneta di carta era bene possibile; ma votare la Legge del 15 agosto, e rinvenire nelle sue clausole l'espediente straordinario che si cercava per tornare alla moneta metallica, era impresa superiore alle forze umane. I miei avversar! se ne avvidero di buon' ora; e il giorno in cui, presentendo il cattivo successo finanziario de’ loro disegni, si umiliarono fino a dire che non vedevano nel corso forzato la calamità da me immaginatavi, e lo dichiaravano sopportabile, e vi scoprivano anzi un grande elemento di prosperità, quel giorno io non dovea che tacermi, la mia difesa era fatta da coloro medesimi che, nel farla, candidamente s'imaginavano di avermi sconfitto! — Ma recriminare a che giova? Accettiamo i fatti immutabili: ogni speranza di pronta liberazione, con mezzi di nostra assoluta proprietà, è perduta per sempre; non ci rimane che quella appena di rinvenirne sulla via degli imprestiti.

L'imprestito è l'idea favorita de’ giorni che corrono. Tutto il ceto bancario, tutti gli uomini danarosi, le Camere di commercio, i municipi, un gran numero di uomini politici, concordemente l'invocano, e l’onorevole Rossi l'ha molto bene patrocinato alla Camera, con l'imponente autorità del suo nome e l'efficacia della sua maschia parola: l'imprestito sotto una qualunque delle sue forme, sotto qualunque condizione, l'imprestito anche coattivo se occorra. l’ha unanime accordo nel dichiararlo enormemente oneroso; ma io son convinto, come la massima parte de’  suoi promotori lo è, che ciò non ostante non sarebbe da ricusarsi in modo assoluto. Perché i sacrificii in esso implicati riesciranno sempre qualche cosa assai più tollerabile della massa di danni e pericoli che la permanenza del corso forzato e' impone. In disperazione di causa, come il getto della nave pericolante, si potrebbe e converrebbe adottare l'imprestito; ma prima di avventurarci a un rimedio cotanto audace, pensiamoci bene! raccogliamo le nostre forze ad indagare se nessun modo men disperato vi sia, di conseguire l'intento cui miriamo, senz' esser costretti a subire le disastrose conseguenze d' una operazione tentata in mezzo a' duri patti che lo stato presente del nostro credito pubblico infliggerebbe alla nazione.


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Se stiamo fermi all'idea già premessa, che il corso forzato non debba oramai aver altro motivo di esistere, fuorché quello del debito che lo Stato ha da saldare alla Banca; se non torniamo indietro a supporre che il Governo italiano abbia, come un venerabile padre sansimonistico, da porre sotto 1" ombra della sua paterna tutela l'esercizio del credito, le istituzioni che lo dispensino, il loro stato, i loro affari, la loro condotta, gli sbagli in cui cadano, le sventure che tocchino, ecc ; ci troveremo agevolmente d'accordo sopra di un punto cardinalissimo: benché, nello strettezze fra le quali ci aggiriamo, risulti chiaramente impossibile eliminare di un tratto tutta la carta a corso obbligatorio e tornare alla piena circolazione normale, pure possiamo, e d'obbligo stretto dobbiamo, ridurre la carta non-convertibile alle sue giuste e indispensabili proporzioni.


Codesta idea di restringere la circolazione cartacea, è uno de’ punti sui quali io mi trovo in generale d' accordo coli* onorevole Seismit-Doda. Ma egli non ha fatto che annunziarla, non ha detto il modo in cui vorrebbe procedere; e dal contesto del suo discorso, credo potersi arguire che, quanto al modo, le nostre opinioni divergerebbero.

Quand'egli parlava di circolazione a restringersi, sembrava alludere al fatto che l'ex-ministro Scialoja, nello istituire le regole del corso forzato, trascurò d'imporre alla Banca un limite assoluto di emissione, e si contentò di conservare quel limite relativo che nasce dai suoi statuti; il quale, introdotta l'inconvertibilità de’  Biglietti, diviene illusorio, perché basta allora che la Banca depositi, anche in modo fittizio, un milione di valuta metallica, per acquistare ipso facto la facoltà di emettere 3 milioni di carta non-convertibile, che nulla le costi, e nessun obbligo o rischio le porti. Compreso dalla gravita di codesto effetto, che già in pratica si è largamente sperimentato, l'onorevole Doda, a quanto sembra, vorrebbe che il Governo intervenga a stabilire in termini perentorii la cifra al di là della quale le emissioni della Banca sarebbero severamente impedite.

Ora, quanto a me, non è questo il modo nel quale intenderei la restrizione. Io credo, ali' inverso, che, fino a quando la circolazione forzata sia mantenuta tal quale oggi si trova costituita, in favore di tutti i Biglietti di banco, riesce impossibile, o per lo meno non sarebbe proficuo, imporre de’ limiti alla emissione.


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Ciò, può ben farsi dalla Banca medesima, per atto di sua volontaria prudenza; e forse le conviene di farlo, se vuole tener l'occhio attento sull'avvenire, se sa considerare i mali che a lei medesima si preparano largheggiando di sconti e facilitando affari non solidi; ma che il Governo assuma la responsabilità di fissare le colonne d'Ercole alla emissione, è cosa, secondo me, che non solo sorpassa le sue competenze, ma diviene spada a due tagli, la quale non può ben maneggiarsi senza ferire da un lato per non ferire dall'altro. È questo forse il più grave inconveniente, è la più crudele condanna che gravita sopra il corso forzato. Non si può aumentare la massa della carta circolante, senza che il sentimento della fiducia si scemi e il valore della carta svilisca; ma se la carta si scema, se manca a' bisogni della circolazione, anzi sedi continuo non si ha la cura di moltiplicarla, la vita economica della nazione si paralizza come colpita da una congestione di sangue. È cosa ben facile lo affermare che le emissioni della Banca dovrebbero circoscriversi; il difficile sta nell'assegnare il punto in cui possano senza danno arrestarsi: difficile per coloro medesimi ai quali principalmente importa il saperlo, pe' direttori di un banco; difficilissimo ad un ministro, impossibile a un parlamento, salvochè abbia esso il coraggio di farsi mallevadore de’ danni e delle crisi che possano derivarne.

Quando, dunque, io parlo di restrizione, non chiedo che si limiti in quantità l'unico medium di circolazione che, nello stato presente, abbiamo; intendo bensì che questo ufficio di servire da medium finisca di essere artificialmente accordato a tutto ciò che non debba per una necessità inevitabile rimanerne investito. È necessità inevitabile che i 250 milioni da noi dovuti, finché non vengano ripagati, si mantengano in istato di promessa, in istato cartaceo; ma da ciò non viene che sia altrettanto necessario il mantenere nel medesimo stato una massa di carta, derivata da' banchi, rappresentante i loro affari privati, ascendente a più che 700 milioni, e divenuta l'unico strumento della circolazione in tutto il paese.

Cosicché, in altre parole, io per prima cosa vorrei, che il corso forzato si limiti ad una caria qualunque, la quale non sorpassi di un obolo i 250 milioni dovuti alla Banca; e si ritolga a tutta in generale la massa de’ Biglietti bancarii, presenti e futuri.


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Dirò per ora una carta qualunque, a solo fine di evitare quell'urto che i nervi di alcuni fra i miei lettori potrebbero risentire dalla parola carta governativa, la quale, da quanto ascolto, dev'essere qualche cosa di mostruoso, a giudicarne soprattutto dai termini ben recisi con cui l'onor. Rossi si è affrettato a respingerla. Io non insisto sulla parola, né affiggo la più lieve importanza alla forma; sarei fino contento che questa carta promani dalla medesima Banca nazionale. Ciò che unicamente desidero è: un titolo monetale, affatto separato dal Biglietto di banca ordinario, che è pagabile al latore ed a vista; un titolo che chiaramente ci dica di appartenere a quella massa di 250 milioni dovuti dal Tesoro al pubblico; a quella massa che lo Stato solennemente promette di rimborsare (e dirò il come, tra poco); che effettivamente comincia sin d'ora ad estinguere; e che, nel tempo determinato per cui durerà il processo della estinzione, il pubblico sarà tenuto a ricevere come moneta metallica.

Adunque, 250 milioni di codesta carta io vorrei subitamente creati. Sostituendoli (con le debite precauzioni opportune) ad altrettanti fra gli attuali Biglietti della Banca nazionale che verrebbero nell’atto stesso distrutti, s'intenderebbe definitivamente saldato il suo credito verso il Tesoro; e il privilegio del corso forzato sarebbe ritolto al rimanente delle sue emissioni, come a quelle degli altri banchi. Tutti, senz'altri indugi, rientrerebbero sotto l'impero della loro legge costitutiva, incominciando a pagare, a vista e al latore, i loro biglietti, pagarli o con danaro attinto alle proprie riserve metalliche, o con la carta nuovamente creatasi (con questa carta che dirò innominata per non affrettarmi a chiamare governativa) secondo che ne abbiano, o che loro convenga di darla come danaro metallico. Ecco il primo passo—fondamentale, secondo me —che amerei veder dato, e col quale la circolazione cartacea ed obbligatoria si troverebbe di un colpo discesa a circa un quarto solo della sua massa attuale.

Qui prego il lettore di non volersi affrettare a debellarmi con le sue obbiezioni, senza avermi prima permesso di esporgli il rimanente del metodo che io propongo.


Chiunque conosca (e i lettori abituali della Nuova Antologia possono ricordarsene) in che modo io mi spiego la causa dell'aggio, la poca influenza che accordo alla quantità della carta circolante, la moltissima che credo doversi attribuire al sentimento di fiducia che il pubblico nutra in riguardo al rimborso futuro,


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comprenderà che l'avere ristretto ne' limiti di soli 250 milioni la nostra moneta di carta, non può essere sufficiente, nel mio giudizio, per ottenere che il suo valore si tenga in riga con quello dell’oro. Per me, adunque, la parte essenziale della operazione di cui si tratta consisterebbe nel fissare ed assicurare i termini e i modi di una estinzione graduale, il più che si possa sollecita, ma certa in sé, e non dubitata nell'opinione del pubblico.

Se noi avessimo, mancandoci l'intiera somma dovuta, una qualunque esuberanza annuale da poter destinare a successive estinzioni della nuova carta, importerebbe ben poco che questa somma sia alquanto maggiore o minore, purché fosse certa, e inesorabilmente applicata a tal uso.

In vece, noi siamo condannati attualmente a torturarci per iscoprire qualche nuova sorgente di reddito che arrivi a colmare il disavanzo del nostro bilancio. Io non posso richiedere che, in questa condizione di cose, un nuovo capo di spesa, un' annualità ragguardevole si aggiunga, per cominciare il rimborso della moneta di carta: allora, la questione del corso forzato si confonderebbe intimamente con quella del pareggio, e la possibilità di sopprimere la moneta fittizia verrebbe a risolversi nella possibilità di colmare un disavanzo maggiore di quello che abbiamo.

Ma se fosse vero, per avventura, che, senza aumento del disavanzo, lasciando tal quale si trova la quistione del pareggio, co’ mezzi attuali, con la stessa somma di spese che abbiamo previste, noi potremmo prelevare un'annua quota di estinzione, sufficiente a permettere che in pochi anni l'intiera somma di debito si trovi saldata, io penso che nulla ci dovrebbe ragionevolmente stornare dal farlo.

Ora, qualche giornale mi ha già prevenuto con una osservazione, che sarebbe ovvia per sé, ma che alcune parole-dei Ministro han fatta balzare agli occhi di tutti.

Secondo lui, mantenendo il corso forzato, noi dobbiamo subire una perdita annua di 34 milioni e ½, per aggio sui versamenti da fare all'estero, calcolato alla misura presente. Questa somma può crescere, e la probabilità è che si aumenti di molto. Ma lasciandola pure tal quale, ed aggiungendovi quattro milioni e più de’ cosi detti interessi che corrono a favore della Banca Nazionale (cap. 63 del bilancio passivo), ne resulta una quarantina di milioni, de’ quali il bilancio si trova aggravato, nel modo più sterile che mai sia possibile immaginare.


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Se invece di sperperare tanto inutilmente una somma così ragguardevole, noi l'applicassimo ad estinguere inesorabilmente nel corso dell'anno altrettanto valore di carta innominata, non occorrerebbero né anco 7 anni per rimborsarla completamente.

Ma l'onorevole Ministro ci ha aggiunto che egli ha buone speranze d'incassare, nel giro d'un anno, più che 40 milioni sulla vendita de’ beni ecclesiastici. Non si potrebbe richiedere, niuno mi accorderebbe, che quest'altra somma si applichi per intero ad estinzione di carta; ma datene una metà, un terzo, un quarto, una frazione qualunque: sarà sempre un dippiù, che accorcierebbe di qualche anno il periodo della estinzione.

E l'onorevole Ministro ha tralasciato di aggiungere che, oltre ali' aggio visibile, sui pagamenti da fare ali' estero, la finanza necessariamente subisce un aggio occulto, sotto forma di prezzi incarati, sopra una grandissima parte delle compre ed altre spese che i diversi rami dell'amministrazione son costretti di fare, e che, per tutto ciò che non dipenda da contratti immutabili, si farebbero, quando l'aggio venisse meno, a condizioni più miti. Non voglio smarrirmi a calcolare quanti altri milioni si potrebbero raggranellare su cedesti risparmii. Qualche cosa di non lieve momento vi dev'essere di sicuro: aggiungiamola al fondo di estinzione; e vedremo che si avrà più di quanto occorra perché, in 4 o 5 anni al più, il conto de’ 230 milioni riesca estinto del tutto.

Qui, abbandonerò volentieri la scelta fra i moltissimi modi pratici che si potrebbero escogitare e adottare per eseguire gradatamente il rimborso di cui si tratta. Dirò soltanto che, secondo la mia opinione, il più semplice, il più efficace di tutti, sarebbe quello di un sorteggio periodicamente rinnovato. Scritta la somma in bilancio, ogni mese, ogni settimana, ogni giorno se vuoisi, dovrebbero sortire dall'urna tanti numeri di biglietti (della carta innominata), da compiere insieme la quota di rimborso assegnata al mese, alla settimana od al giorno; ed una volta sortiti, questi tali biglietti dovrebbero trovare alla Banca o alle casse del Tesoro la loro valuta metallica, con cui verrebbero barattati ed estinti, a libera richiesta di chi li portasse.


In breve, adunque, ecco le operazioni che io proporrei: 1° Creare 230 milioni di carta nuova; sostituirla ad una egual somma di biglietti emessi dalla Banca Nazionale, e, col distruggerli, saldare il suo credito verso il Tesoro;


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2° Dichiarare allora cessato il corso obbligatorio de’  biglietti di banco, accordando (non sarebbe necessario avvertirlo) quel poco di tempo che basti perché i banchi, convertendo i loro portafogli, possano comodamente affrontare la dimanda di conversione de’  biglietti che avevano emesso come non convertibili;

3° Assegnare nel Bilancio passivo un fondo di estinzione, eguale a quel tanto che sembri possibile di destinare a tal uso, riunendo insieme: l'aggio su' pagamenti all'estero, l'interesse che oggi paghiamo alla Banca, una parte delle somme che deriveranno dalla vendita de’ beni ecclesiastici, i risparmii che si potranno ottenere dal ribasso de’ prezzi sulle compre da farsi per conto dello Stato;

4° Sorteggiare di mese in mese, o anche più spesso, i numeri della nuova carta, rimborsare in contanti, e bruciare, quelli che la sorte avrà favoriti.

Non so se il desiderio di liberare il paese dall’incubo della moneta fittizia mi fa cadere nell'utopia; ma da molti mesi io vi penso, e sempre meglio mi son convinto che questo sia uno dei modi, il più semplice forse, per arrivare, senza scosse né sacrifici, a risanare la piaga che ci corrode. — Io credo inoltre di aver preveduto le difficoltà possibili a muoversi, e mi affretto ora a rispondere.


Cominciando dal lato finanziario, ciò che voi proponete, probabilmente mi si dirà da taluno, implica una supposizione gratuita e falsa. Voi supponete che l'aggio sparisca. Se in vece durasse, se il pubblico facesse mal viso alla nuova carta, tutto il calcolo vostro sarebbe fallito. Il Tesoro sarebbe costretto, da un lato, ad erogare 40 o più milioni in un anno per sorteggiare altrettanta somma di moneta cartacea; e dall'altro dovrebbe sopportare la perdita di 30 e più milioni, per provvedersi dell’oro che occorra a soddisfare le somme che è tenuto di presentare sui mercati stranieri.

Al che non ho bisogno di dare che due semplicissime repliche.

Primieramente, quando il corso forzato si riduca a soli 250 milioni, sarà evidentemente impossibile che l'oro e l'argento rimangan sepolti. Si calcola che noi abbiam bisogno, in Italia, di un miliardo ali' incirca per sopperire ai bisogni della circolazione ordinaria. Sarà più, sarà meno, non ho mestieri di definirlo; ma 250 milioni sicuramente sono assai lontani dalla somma che occorra.


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Se non posson bastare; se è necessità che gli affari si facciano e la circolazione sia alimentata; se la carta non può aumentarsi perché non v'è un banco che possa emetterne nuove quantità; se ali' incontro, ad ogni mese che scorra, la sua massa si viene attenuando; chi avrà mai la potenza di impedire che vengan fuori i metalli? Ma se vengono fuori, il Governo, che riceve e paga ad un tempo, deve maneggiarne la parte sua; e questa parte sarà, per lo meno, tutta o quasi tutta la somma che si richiede per farla passare sulle piazze estere, a soddisfazione dei pagamenti cui sia tenuto, senza bisogno di sottostare ali' aggravio di un aggio.

In secondo luogo, io mi sento fondato ad affermare con tutta franchezza che, nel caso di cui si tratta, l'aggio dovrà necessariamente sparire, o ridursi a incalcolabili proporzioni. Una carta, la cui tenue quantità sarebbe cosi notoria e non lascerebbe il più lieve sospetto di accrescimento; una carta il cui rimborso sia statuito per legge, abbia pronto il suo fondo, e, quel che è più, si veda progressivamente e rigorosamente eseguito; una carta inoltre, che non è punto un titolo di credito dilazionato, futuro, ma, per virtù del corso forzato, passa di mano in mano, è ricevuta nelle casse regie, soddisfa legalmente ogni debito; questa carta sarà vera moneta, fino a che la fiducia della sua estinzione non venga meno. È contro la natura delle cose, che possa subire uno scapito. Fra tutti i valori che sieno sul mercato, sarebbe l'ultima a risentire gli effetti di qualsiasi evento sinistro; e in circostanze ordinarie, questa carta varrà tant'oro, sarà anche meglio che l'oro, come i biglietti di banca quando sono una verità, cioè quando si paghino a cassa aperta.

Non è dunque possibile immaginare che, adottando il metodo qui sopra indicato, l'aggio sussista. Noi avremmo una circolazione mista, metallica per tre quarti, e per un quarto cartacea. Insinuata in così tenue quantità nella massa del danaro circolante, la carta non potrebbe mai riuscire né a cacciar via la moneta reale, né a determinare un aggio sensibile in favore dell’oro. Non è dunque a temersi che lo Stato si trovi costretto di aggiungere al fondo di estinzione un fondo di aggio; ma quella somma che nello stato attuale dovrebbe sterilmente disperdersi per equilibrare il valore della carta e quello dell’oro, verrà unicamente adoperata in modo fruttifero, a liberarci dal debito e rianimare la vita economica del paese.


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Del resto, volete voi sostenere che, in onta a tutto, l'aggio possa sussistere? Oh tanto meglio! Il Tesoro sospenderà allora il sorteggio, e comprerà invece sulle pubbliche vie, a prezzo diminuito, i Biglietti da estinguere: avrà fatto un guadagno, equivalente, superiore di molto ali' aggio che occorra pe' pagamenti da fare all'estero. — Ma questa è ipotesi strana, non accadrà; giacché, appunto perché potrebbe accadere, l'aggio non potrebbe sussistere.

Ora è tempo di battezzar la mia carta, dandole il suo vero nome: carta governativa. L'ho già accennato: questa parola suona terribile alle orecchie di alcuni. Si ha fino ribrezzo a profferirla; non la vedo citata che quasi a discarico della propria coscienza, come per protestare che non si pensi menomamente ad ammetterla. Io ho avuto il cattivo gusto di scrivere nel 1866 che, se ci fossimo risoluti allora a fabbricare ed emettere 250 milioni in carta governativa, anziché sciogliere la briglia al corso forzato de’  Biglietti di banca, si sarebbero risparmiate al paese le angoscie dell'aggio, e si sarebbe evitata la grande inondazione cartacea nella quale stiamo ora per affogare. Da ciò mi vennero, non veramente ragionate obbiezioni, ma certe frasi di boria e dileggio, le quali in certi momenti mi han generato lo scrupolo di avere forse avventurato qualcuno di que' paradossi che non vanno neppur confutati, e che è carità ricoprire di un velo, trapassando in silenzio.

Potrei troncare ogni quistione col solo ripetere che, nell'attuare il sistema proposto, la forma e il nome della carta non hanno alcuna importanza. Se la figura dello Stato è tanto orrenda; se ad ogni costo si vuole che la Banca si mostri in prima linea, e il Tesoro rimanga al di dietro della cortina, sia pure! In vece di barattare con una carta nuovamente creata i 250 milioni di Biglietti emessi già dalla Banca, basterà marchiare quest'ultimi, e col favore del marchio ammetterli al privilegio del corso forzato. Io otterrei egualmente il mio scopo; e le persone, che hanno ad orrore qualunque carta non uscita dalla Banca nazionale, nulla potrebbero opporre ad una carta la quale sarebbe identica a quella fin qui adoperatasi, colla medesima filigrana, colla leggenda medesima, colla stessa menzogna: sarà pagalo a vista e al latore.

Tuttavia, io non amo che i sospetti, elevati o sottintesi, contro ogni carta derivante dallo Stato rimangano senza un cenno di replica.


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Il fondamento di cedesti sospetti consiste nel far supporre che ogni carta governativa debba inevitabilmente essere qualche cosa di subdolo, misterioso, ingannevole; perché le menti inesperte corrono subito ad evocare la memoria degli Assegnati e della Convenzione francese. Nulla di più artificioso che il tenere un siffatto linguaggio. Coloro che il fanno, non ignorano e fingono d'ignorare qual enorme differenza passi tra gli Assegnati francesi, fabbricati col manico della mannaja, e una carta come quella che io propongo, creata ai nostri tempi, da noi che non siam giacobini, creata in unica volta, al cospetto del pubblico, in quantità definita, con guarentigia delle migliori fra le nostre Autorità, sotto gli occhi, per esempio, d'una Corte de’ conti o d'un Comitato parlamentare. Si può egli supporre che una carta di siffatta specie presenti il più lontano pericolo di potersi abusare? Ma se si può, io attendo che mi si provi come l'abuso non sia mille volte più agevole nei Biglietti di banco, pe' quali una semplice intelligenza tra un direttore e un ministro delle finanze basta per insinuare bel bello nelle casse pubbliche qualche risma di milioni, senza che il menomo sentore ne giunga al pubblico. In verità, se la questione non è che sotto il riguardo della guarentigia, io non esito punto a fidare sulla parola de1 legislatori, sull’attestato de’ magistrati più alti e più indipendenti, anziché su quanto ai governatori o cassieri di un banco piacesse affermare.

Del resto, non si parli qui di fiducia; limitiamoci a considerare la cosa dal solo aspetto della possibilità naturale, del pericolo di vedere innocentemente moltiplicata la carta al di là del bisogno. Questo è — si esprima o non si esprima — lo spauracchio con cui si perviene a spargere un profondo discredito sopra ogni carta governativa, e preconizzare quella che esca da' banchi.

Noi, dal maggio 1866, non abbiamo avuto che carta bancaria; dell'altra non si è né anco parlato. Noi dunque dovremmo essere stati in questo biennio entro una botte di ferro, sicuri da ogni intempestivo, segreto» capriccioso incremento della moneta fittizia. Or bene, ecco ciò che ali' incontro ci accadde.

Avanti del corso forzato, la Banca aveva una circolazione di 117 milioni. Non v' era a ridire: finché il Biglietto è pagabile a cassa aperta, qualunque cifra di emissione (almeno io penso cosi) sarà buona e innocente, perché unicamente determinata da' veri bisogni del traffico.

Appena sospesi i pagamenti, alla fine di giugno, la Banca avea già portato a 153 milioni le emissioni per mulo proprio,

(1) A comodo dei lettori cui non piaccia di andare cercando le cifre

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indipendentemente da 169 milioni, che erano già forniti al Teserà Prendiamola a questo punto. Supponghiamo che, per mutuare 250 milioni al Governo, ella avesse dovuto elevare da 117 a 133 la valuta delle sue emissioni; e che la Nazione, per godere il beneficio del mutuo, avesse dovuto rassegnarsi alla necessità di soffrire una somma complessiva di 322 milioni a corso coatto. Qui avremmo dovuto fermarci, mi pare. Ma in vece?

In vece, quando, al 3 novembre, si era appena trasmessa al Tesoro 1" intiera risma de’ Biglietti ascendenti a 250 milioni, la Banca aveva già elevato, da 153 a 198 milioni l'emissione per conto proprio. Da allora in poi si vive ancora un anno ali' incirca, durante il quale il conto del Tesoro rimane sempre immobile su 250 milioni, ma la Banca accresce di 83 milioni, sempre per conto proprio, la massa de’ Biglietti non convertibili, la spinge a 381, a più che il triplo di ciò che era avanti il corso forzato.

Né basta.

Viene, nello scorso autunno, l'anticipazione che la Banca s'impegnava di fare al Governo sulle Obbligazioni de’ beni ecclesiastici.

Consideriamola in ambi gli aspetti di cui sopra ho parlato: come operazione particolare della Banca, o come aumento del mutuo.

Nel primo caso: la Banca, per conio proprio, è già sui 400 milioni al 9 novembre; e secondo gli ultimi resoconti che io abbia avuto sott'occhio, si avvicina a' 470. In confronto alla circolazione anteriore al corso forzato, siamo al quadruplo in men di due anni; di fronte al 30 giugno 1866, siamo al triplo!

Nel secondo caso (che io ricordo per mera ipotesi) siam quasi agli stessi termini, la differenza non è gran cosa: la Banca avrebbe sempre portato a 424 milioni l'emissione per conto proprio?

Descrivendo questo deplorabile progresso della nostra moneta fittizia, stato già sott' altro aspetto accennato dall'onorevole Deismit-Doda, io non divido la sua opinione, che la Banca, cosi comportandosi, abbia infranto e passato i limiti dalla legge prescritti. Vi può essere forse qualche lieve eccedenza in qualche fugace momento, la quale non mi parrebbe che possa poi meritare l'asprezza delle censure che al Deputato di Cornacchie è piaciuto d'infliggerle. Il mio scopo è diverso. Io intendo far toccare con mano, agli avversarii della carta governativa, ai fautori della carta bancaria, l'illusione, l'errore in cui vivono, allorché, giudicando il merito comparativo delle due carte,


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respingono la prima per la paura che si possa agevolmente moltiplicarla, e preferiscono la seconda perché se la dipingono come qualche cosa di sicuramente immutabile. Se noi, nel maggio del 1866, ci fossimo risoluti a creare 250 milioni di carta governativa, che sarebbe avvenuto? Oggi, o non avremmo che soli 250 milioni a corso forzato, ovvero, qualora avessimo voluto aumentarli, ne avremmo prima discusso e deliberato il bisogno, né ci saremmo decisi senza buoni, urgenti, e riconosciuti motivi. In luogo di ciò, ecco a qual punto ci siamo ridotti, gradatamente, chetamente, senza che alcuno ce ne avvertisse, quasi senza sapersi, fuorché da' pochi che leggono e san capire i resoconti bancarii. I nostri 250 milioni han partorito, soltanto presso la Banca nazionale, una massa di biglietti non-convertibili in 719 milioni. Per potere accordare ad essa il privilegio del corso forzato, abbiam dovuto concederlo agli altri banchi; e la circolazione complessiva di tutti è ora molto vicina a 900 milioni. Ma in questo calcolo, io dubito che non sia ancora compreso quel diluvio di minuti biglietti, emanati da Banche popolari, da Municipi, Camere di commercio, ditte mercantili, semplici rivenditori, e finalmente da parrucchieri.


soggiungo la seguente tabella, che dimostra la verità di quanto è detto nel testo.


DATA

CIRCOLAZIONE

PAGAMENTI

CIRCOLAZIONE

PAGAMENTI

CIRCOLAZIONE

DEL SUO COSTO

i

TOTALE

FATTI SUL MUTUO

PER CONTO DELLA BASCA

SULL'

ANTICIPAZIONE DEL SETTEMBRE 1868

PER CONTO DELLA BANCA

1868

MILIONI

MILIONI

MILIONI

MILIONI

MILIONI

28 aprile

117


117


30 giugno

322

169

153


29 settembre

396

247

149


 6 ottobre

414

247

177


3 novembre

448

250

198


10       —

466

250

216


29 dicembre

462

250

212


1867




4 maggio

508

250

258


1 giugoo

552

250

302


30 ettobre

631

250

381


9 novembre

649

250

399

30

369

16      -

658

250

408

30

378

30       —

666

250

416

30

386

28 dicembre

686

250

436

40

396

1868




25/01/09

719

250

469

45

424


VoL. VII. — Mario 1868.


522


Nessuno ignora a quali condizioni ci siamo trovati. Fino nelle grandi città, la piccola moneta di bronzo in alcuni giorni o mancata; non si è potuto barattare né anco il bigliettino da una lira; le famiglie han dovuto o rinunziare alle compre più premurose, o farsi aprire, contro deposito, una specie di conto corrente presso qualche diecina di bottegai. Io non so se la nostra moneta fittizia tocchi già il miliardo, ma se non ancora vi è giunta, vi giungerà tra non guari. Or io domando: qual è mai la carta governativa che avrebbe potuto cosi rapidamente abusarsi; che, creata per 250 milioni nel maggio del 1866 sarebbe arrivata ad un miliardo nel marzo del 1868? Attenderò che mi si possa indicarne una sola, e sin d'ora prevedo che non può essere quella di cui qui parliamo.

Ma si è preteso ancora d'insinuare che la carta bancaria meriti maggiore fiducia, perché più garentita, perché il banco, che ne risponde, non è padrone supremo, ma sta sotto l'impero delle leggi e la sentenza de’  magistrati.

I banchi rispondono! e di che cosa rispondono? In generale, essi sono, sotto questo riguardo, in condizione precisamente inversa a quella nella quale si presenta lo Stato. Lo Stato, contro una tenue somma che deve, vi offre tutto il patrimonio nazionale, che, qualunque cosa si dica, è sempre soggetto a' sacri canoni della pubblica fede; e i banchi (quando sieno in perfetta regola) vi offrono in guarentigia una riserva metallica, la quale sarà appena un terzo, o meno, degli impegni che colle loro emissioni han contratti. Nella presente condizione poi, e parlando peculiarmente della Banca nazionale, è curioso il vedere con quanto coraggio si dica che essa sia un buon garante d' una circolazione la quale ascende già a più di 700 milioni, e lo Stato non sarebbe capace di garentire 250 milioni soltanto. Ma chi è fra di noi che non sappia in oggi comprendere come i Biglietti della Banca nazionale non vagliano un soldo più di quanto vale il credito del Governo, e che nulla la Banca vi aggiunge del proprio? Se ne vogliamo una ineluttabile prova, non si deve che annunzi are, decretare, far sospettare soltanto, che lo Stato non vorrà più rimborsare alla Banca i 250 milioni dovutile, e si vedrà se i suoi Biglietti, in onta a qualsiasi prescrizione di legge, troveranno anima viva che voglia toccarli. Realmente, la Banca non può rispondere, tutt'al più, che fino a concorrenza del suo capitale, fino a 100 milioni, debolissima frazione degli impegni che ha, o può contrarre; e se le fallisse il Governo, chi può dubitare che non sarebbe anch'ella costretta di fallire al pubblico, senza che alcun magistrato osasse di condannarla?


523


Cosicché, coloro che tanto si ostinano a sublimare il credito della carta bancaria e deprimere quello di qualsivoglia carta governati va, sanno, secondo me, ed affettano d'ignorare che la carta bancaria, della quale oggi ci serviamo, di bancario non ha che il nome; sostanzialmente, e sotto il rispetto della fiducia che meriti, non è che carta puramente governativa.

Mi permetterò finalmente una piccola nota storica, in risposta a qualche persona alto-locata, la quale un giorno, quand'io nella Nuova Antologia accennai che nel caso nostro la creazione di 250) milioni in carta governativa sembrasse miglior partito del corso obbligatorio conceduto a tutti i biglietti, presenti e futuri, de’  nostri banchi, mi si dice avere espresso le sue meraviglie ad udire che io osassi parlare d'un genere di carta cosi vieto, cosi caduto in disuso, così generalmente aborrito.

Quelluomo evidentemente non era bene informato della storia delle carte monetate, e supponeva che fossero veramente divenute curiosità da museo. Eppure, negli annali del secolo nostro si legge che, appena passata l'era infausta degli Assegnati francesi, in tutte le critiche emergenze si è frequentemente ricorso a delle carte governative, e con discreto successo. Mi basterà citare l'esempio del 1848, quando vi fu un momento nel quale già temevamo che avrebbero ripreso ii predominio che ebbero sulla fine del secolo scorso. Nella sola Germania, prescindendo dall’Austria, si videro Mandati di cassa, Biglietti di cassa, Buoni di ferrovie, Carta-moneta, Buoni di rendita prediale, Biglietti di conto, ecc. L'estinzione di tutti questi debiti procede, come si sa, assai lentamente: nel 1866 esistevano ancora per una somma di 118 milioni (lire italiane).


1 Eccone il conto, che desumo da Pfeifier (Die Staatseinnahmen, voi. II, pag. 578 e seg.)


Prussia

Talleri

  16598000

Lire it.

62242500

Sassonia

» 

7

» 

26250000

Wortemberg

» 

1714000

» 

6427500

Badai

» 

1143000


» 

4286250


Astia Casse!

» 

2,500,000

» 

9375000

Sassonia-Meioingen

» 

800000

» 

3000000

Sassonia-Coburgo-Gotha

» 

800000

» 

3000000

Anbah-B«rn»urg

» 

300000

» 

1125000

Anhalt-Kdthe

» 

500000

» 

1875000


Talleri

31,555 000

Lire it.

117,581,250


524

Se questi esempii eransi dimenticati, io non so come mai si potesse ignorare l'altro, contemporaneo a noi, degli Stati-uniti di America, ove, sopra 2800 milioni di dollari, che formano i debiti contratti dal Governo sino al 1862, poco men di metà, 1195 milioni di dollari (lire it. 5925 milioni) son costituiti di carta a lunghe scadenze ed a corso obbligatorio, indipendentemente da tutta la carta bancaria.

Ciò, dunque, che può dirsi o vieto o aborrito, è, in generale la moneta fittizia, di qualunque specie si fosse: la buona scienza, la buona finanza, insegnano di doverla evitare con ogni cura e sforzo possibile. Ma quando una dura necessità spinga un paese a sospendere i pagamenti in danaro metallico, io non so che esistano principii assoluti, o assoluta abitudine ne' governi, di preferire l'un genere all'altro: le circostanze, il criterio, l'interesse della nazione, decideranno.

Dopo queste considerazioni, io non vedrei che la materiale possibilità di liberarci dal corso forzato lasci il menomo dubbio. Farmi che l'urgente bisogno di restringere e resecare la circolazione della carta bancaria sia generalmente riconosciuto; e dopo P esame del modo in cui si è ingrandita, dobbiamo esser convinti che, mantenendo lo stato attuale, noi andiamo ad una catastrofe di penuria e bancarotta universale. Forse siam già inoltrati abbastanza, per esser costretti ad usare qualche riguardo a'minori istituti di credito, concedendo alcuni mesi per poter procedere a gradi nel ritirare i biglietti che si trovino di aver dato fuori. Ma in definitiva, bisognerà che il corso forzato non resti se non per quella carta che strettamente risponda alla somma di cui deve sdebitarsi lo Stato; e questa, secondo me, conviene che sia rappresentata da un titolo ben diverso, da una carta governativa. Quanto poi ad estinguerla, il miglior modo, senza dubbio, sarebbe stato un rimborso a pronti contanti. Ciò non è più in poter nostro. Allora non v' ha che il metodo del graduale e fedelmente eseguito rimborso, il metodo usato da' buoni governi, il metodo a cui per ben due volte ebbe ricorso la Prussia con tanto vantaggio per il suo credito. Io richiedo qualche cosa di più: la certezza legale che questo metodo, statuito una volta, non mancherà, e perciò domando il sorteggio, e domando che si destinino ad estinzione della carta che avremo creata le somme da sperperare a pura perdita, qualora ci ostinassimo a mantenere il corso forzato. Ho piena certezza che, cosi comportandoci, noi avremo conseguito l'intento di porre un termine ali' aggio, e di ottenere da una estinzione eseguita nel corso di alcuni anni tutti i vantaggi che avremmo ottenuti da un pronto rimborso.


525


Del rimanente, il lettore s'ingannerebbe se mi attribuisse la puerile pretensione di aver presentato un progetto compiuto ed infallibile, quand'io non mi sono proposto che di accennare appena un esempio delle diverse soluzioni a cui l'onorevole ministro delle finanze potrebbe agevolmente riuscire, tostochè si convincesse che nulla avvi di assurdo, o di superiore alla sua sagacità ed alla sua esperienza, in questo proposito di sopprimere in breve tempo il corso forzato. Quando si sia eliminato il falso concetto della materiale impossibilità di sopprimerlo, le obbiezioni che si vorranno ancora elevare, nell’ordine economico o finanziario, son tali da non reggere alle prime risposte che si possano dare; ed io mi astengo fin dal citarle, essendo sicuro che saranno pienamente chiarite e distrutte nella grande discussione che ne sarà fatta fra pochi giorni, ed alla quale han già promesso di prender parte uomini cosi autorevoli e competenti, com' io non sento di essere.

23 febbraio, 1868.

F. FERRARA.










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