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Rendiconti
Reale Istituto lombardo di scienze e lettere
Classe di scienze matematiche e naturali
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Del corso forzoso dei biglietti di Banca, e de’ suoi rimedi. 

Memoria del M. E. professore 

BALDASSARE POLI.

«I biglietti di Banca, finché circolano come effetti privati nel campo del commercio e dell'industria, e si fanno strumento della potenza e della diffusione del credito, tanto necessario alla grandezza e prosperità economica delle nazioni, qualunque sia la loro quantità, forma o provenienza, non inspirano verun timore, né possono cagionare mali o disordini da mettere a tumulto od in costernazione le popolazioni. Ed io che, nella Memoria letta nel corrente anno al nostro Istituto, mi dichiarai sincero seguace della libertà delle Banche; non posso a meno di non approvarli e sostenerli.

«Ma se all'incontro i biglietti di Banca, uscendo dal campo del credito privato, vengono ad invadere quello del credito pubblico col sostituirvi la moneta legale e col metterli al paro dell’oro e dell’argento, in virtù del corso forzato, allora si che c'è motivo da star fra due; perché la scienza e l'esperienza sorgono a respingerli e condannarli. Ma dacchè i governi, ed anche il nostro, pressati dalle supreme necessità dell'erario, devono pur ricorrere al comune ritrovato della carta e dei biglietti di Banca a corso forzato, io mi porrò ora ad esaminare l'indole o natura legale ed economica di questi biglietti, gli effetti che ne procedono, e il modo di farne cessare al più presto l'uso e le sue conseguenze.


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«È canone della scienza economica che al cambio occorra la libera e rapida circolazione di segni costanti ed invariabili, che servano di misura dei valori o del prezzo di tutte cose; ed 6 altresì canone della stessa scienza che cotesti segni abbiano un intrinseco pregio e valore, il quale si rimanga come pegno equivalente alle merci o derrate che si cedono o si vendono per via di permuta sul mercato.

«Egli è a cotesti canoni che si deve primamente l'invenzione e l'uso della moneta d'oro e d'argento, preferita a qualunque altra specie, siccome quella che s'informa della doppia qualità d' uniti di misura del valore di tutte le cose mercatabili, e di pegno o di pregio corrispondente a tale valore. Veduto in appresso il crescere e progredire del mercato o del cambio, per la crescente massa di sempre nuove produzioni, si riconobbe la necessità di aggiungere a sussidio della circolazione metallica quella eziandio di altri segni rappresentativi, come sono le carte, le cedole ed i biglietti di Banca, i quali intervengono a formare la circolazione cosi detta fiduciale o del credito. E di tal guisa, presso le nazioni più culto e incivilite, tra cui è compresa l'Italia nostra, venne in grandissimo costume la circolazione mista, cioè composta di due specie, l'una di moneta in gran parte effettiva o metallica, e l'altra restante e minore di carte di credito, e sopratutto di biglietti di Banca; rimanendo però obbligatoria e forzata la prima, e libera e volontaria la seconda.

«Io non posso essere nemico della carta, dopo che si deve vivere di quella; ma non posso trovarmi colla scuola metallica, come noi potrei con l'altra della circolazione esclusivamente fiduciale o della carta-moneta; poiché la pi-ima s'abbarbica al vecchio pregiudizio, che non ci sia ricchezza per le nazioni fuori dell’oro e dell’argento; mentre la seconda si perde dietro ad un' utopia, quale sarebbe il dominio o il regno della sola carta. Determinata cosi chiaramente e nettamente la mia divisa economica intorno alla circolazione, m'è facile determinare l'indole e la natura dei biglietti di Banca a corso forzato, ed il loro malefico influsso sulla circolazione stessa.


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«I biglietti a vista o al portatore di tutte le Banche, ed anche della nostra nazionale, altro non sono che promesse od obbligazioni di pagamento, e perciò effetti essenzialmente privati, i quali non acquistano il loro valore se non dalla fiducia' e sicurezza dell’immediato ' rimborso in danaro sonante. Essi pertanto, come tali, lungi dal toccare e guastare la circolazione metallica, se ne tengono separati e distinti, e la ajutano e sorreggono, specialmente in quanto giovano a rendere più rapido ed esteso il trasportamento dei capitali. Ma quando questi biglietti, sia per opera del Banco o della legge, assumono il carattere di moneta legale col corso forzato, e collo scioglimento della Banca t'ali' obbligo del loro rimborso in numerario, turbano e sconvolgono la circolazione metallica, né conseguono più che un valore ristretto e limitato all'uso che ne è momentaneamente prescritto: mentre, a corso libero, si tengono in conto sempre e da pertutto di altrettanta valuta, e non soggiacciono a quelle repentine alterazioni e a quegli inconvenienti che accompagnano l'uso della carta moneta sotto qualsivoglia sua forma.

«Egli è inutile che qui m'arresti a ricordare ad uno ad uno tutti questi inconvenienti; giacchè per la più parte sono notorj, e noi stessi li tocchiamo con mano nelle attuali condizioni della nostra fiduciale circolazione. Quindi non accennerò che ai precipui, come sono:

«L'improvvisa sparizione dell'oro o dell'argento, e l'enorme aggio sulle loro specie, come cosa rarissima all’interno e indispensabile all’estero, per il pagamento delle nostre importazioni, le quali stanno nientemeno che dal sette all’uno a rispetto delle esportazioni: cosa che pone in pensiero, allorché si parli di bilancj e di grandi economie, per il loro pareggiamento; mentrechè la produzione italiana è così al disotto nel cambio, da non poter sostenere nuovo imposte, od imposte maggiori.


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«Il rifiuto o l'aggio dei biglietti di Banca come moneta legale; o l'aggio pensino nel cambio di carta con carta: invenzione affatto nuova, ma veramente diabolica.

«L'aumento dei prezzi di tutte le merci o derrate, dei commestibili e dei salari, a causa delle perdite sulla moneta di carta.

«Il decremento o ribasso progressivo nel valore de’ biglietti a corso forzato, in ragione del vario prezzo dell'oro e dell'argento, la cui unità monetaria ne è il termine regolatore.

«La forzata diminuzione o perdita no' capitali per il loro pagamento incarta, tuttochè convenuto in buona moneta; onde la retro attività della legge, coll'alterazione dei contratti anteriori, la violazione del diritto privato, ed il sopraccarico di un' imposta, sempre arbitraria e disuguale, perché rivolta solo ad alcune classi de’  contribuenti.

«Gli inciampi, le risse e le resistenze, massimamente al principio, nel piccolo commercio e per fatto degli esercenti, i quali s'arrischiano al credito scoperto, anzi che ricevere i biglietti come moneta legale.

«Il discredito e il mal umore nei creditori forastieri, che tremano sempre all’introduzione della carta nello Stato debitore.

«Le perdite e i danni dell'erario, ne' suoi rapporti di contraente e consumatore, col dover sostituire alla carta il danaro effettivo, del quale sono deficienti le Casse pubbliche.

«La facilità, la sicurezza del guadagno, e l'impunità nella falsificazione dei biglietti di Banca, massime a piccolo taglio, e fatti per il commercio minuto.

«Il sospetto od il timore di nuove emissioni di carta-moneta, conseguitanti quasi sempre ad una prima, la quale presto si consuma, né serve che per una volta, mentre è ricrescente il bisogno di altre successive.

«Né il far la tessera di tutti questi inconvenienti parrà spirito di ostilità o di esagerazione.


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«La storia d'Inghilterra, di Francia e degli Stati-Uniti attesta ch'essi tutti si verificarono e si riprodussero ogni qualvolta s'ebbe ricorso all'uso della carta-moneta, o dei biglietti di Banca a corso forzato, che sono poi tutt'uno; come pure la stessa storia insegna che tornarono vani i mezzi comunemente adoperati per rendere meno funeste e disagevoli le loro conseguenze.

«Basta richiamare alla mente cotesti mezzi, per convincerci della loro pochezza od inutilità contro il vizio radicale e profondo della carta o de’  biglietti di Banca come moneta legale.

«Si pensò da prima che la quantità dei biglietti com'è carta-moneta dovesse essere sempre ristretta e determinata nella minore somma possibile. Anche agli Stati-Uniti nel 1776 s'incominciò a mandar fuori i dollari di carta per nove millioni; e a forza di nuove emissioni si arrivò nel 1780 a tal somma, che ottanta dollari di carta non valsero più che un dollaro in argento.

«Gli assegnati in Francia, nell'aprile 1790, principiarono da 100 millioni; nel 1792 salirono a due miliardi e mezzo; e nel 1793 a 45 miliardi, di guisa che nel prestito forzato di quell'anno, essi furono ricevuti al centesimo del valore nominale. Tanto è lo sdrucciolo d'una prima emissione di carta-moneta, verso altre successive e sempre maggiori.

«Dopo si venne nella deliberazione di mettere in giro una quantità maggiore di piccoli biglietti, e di agevolare il cambio colla moneta erosa o spicciola. Ma anche questo provvedimento, in vece di guarire il male, non serve che a mantenerlo e consolidarlo, collo sbandire dal mercato anche la moneta spicciola od ogni traccia d'argento, « col rincarare l'oro o la moneta più fina.

«In terzo luogo, si credette di provvedere meglio alla bisogna, o col fissare il maximum del prezzo delle cose; o col proibire anche con pene gravissime la asportazione dell'oro e dell'argento; o coll'imporre i contratti ed i pagamenti tutti a sola carta-moneta, esclusa ogni specie metallica; e tutto ciò sotto la minaccia della nullità dei contratti medesimi. Questi mezzi furono pressochè tutti sperimentati nella rivoluzione francese.


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«Il maximum ne' prezzi, o non vi fu osservato, o divenne illusorio nell'estremo invilimento degli assegnati. Il Say racconta d'aver veduto a' que' tempi pagarsi una libbra di burro 600 franchi in assegnati. L'emigrazione dell'oro e dell'argento non fu mai così estesa e copiosa in Francia, come all’epoca della rivoluzione, benché la pena di morte soprastesse a quel sognato delitto. I contratti ed i pagamenti in assegnati vi seguirono, non per l'efficacia del divieto e del comando, ma perché tutta la moneta metallica se n'era ita dalla circolazione.

«Finalmente si andò anche più a riciso col ridurre il valore nominale della carta al suo valore reale, col ricevere e sostenere alla pari i biglietti di Banca, col negoziare pagamenti e sconti solo a breve termine, e col cambio della carta-moneta con verghe d'oro e d'argento. Ma anche questi non furono che rimedj palliativi, e men che meno idonei a scarnare un po' la piaga dei biglietti o degli assegnati. Il riducimento della carta-moneta al suo valore reale è impossibile tra le continue oscillazioni nel prezzo dell'oro e dell'argento, e dove si volesse calarlo d'una minima frazione per ogni giorno, esso potrebbe progredire sino allo zero del valore nominale.

«Quattro mila negozianti di Londra s'accordarono in ammettere e tener fermi al pari e come danaro sonante i biglietti a corso forzato della Banca d'Inghilterra, la quale nel 1797 dovette sospendere i proprj pagamenti. Ma nonostante quest'accordo, que'biglietti incorsero nel ribasso del trenta per cento a confronto dell’oro e dell’argento; e questo ribasso persistette, finchè nel 1809 non si rivenne all'obbligo del loro rimborso in buona valuta.

«Il patto di non accettare o convenire alla Borsa pagamenti o sconti che a brevissimo termine, può impedire che cresca l'interesse del danaro, ma non previene direttamente lo scadimento continuo della carta-moneta. Infine il cambio di questa moneta con verghe d'oro e d'argento, suppone in primo luogo la unità monetaria di carta e non in moneta fina;


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ed in secondo luogo non addita donde trarre le verghe d'oro e d'argento, per contraccambiarle colla carta, mentre la loro penuria è la causa, per l'appunto, onde si deve usare la carta invece della moneta.

«Per conseguente, è duopo conchiudere che tutti i mezzi finora cimentati o a pro o contro la carta-moneta, e con essa i biglietti di Banca a corso forzato, lungi dal mandarli in bando e disperderli, altro non fanno che conservarne ed accrescerne gli inconvenienti in tutta la loro realtà ed estensione.

«Ma dunque, non v' ha altro mezzo o rimedio per metterci in salvo dai biglietti di Banca a corso forzato?

«Io non ne conosco che uno, ma eroico, e dissolvente, qual è quello del loro immediato ritiro od ammortimento; perché con questo solo si può svellere il vizio originale e profondo che in loro è così connaturale e aderente; e codesto vizio sta precisamente nel loro valore fittizio e sempre mutabile, in quanto che un tale valore deve sempre e necessariamente ragguagliarsi con quello dell'oro e dell'argento di cui consta l'unità monetaria, quale unica misuratrice di tutti i valori, e perciò anche dei biglietti di Banca come moneta legale. Chi vuole pertanto estirpare davvero cotesto vizio o difetto, deve risalire all'origine del male, e reciderlo dalle suo radici. Che se i ministri di Finanze debbono loro malgrado tollerarlo, la tolleranza, siccome il male è gravissimo, non deve andare più in là d'una misura temporanea e provvisoria, alla quale è d'uopo rassegnarsi per ossequio alla legge. Perlochè non saprei dire quanto siano opportuni od accettabili que' progetti, anche i meglio ideati, i quali tendono a trasformare i biglietti di Banca a corso forzato, per riprodurli e conservarli poscia con altra veste o sott'altro nome nella pubblica circolazione. Tale è il voto della scienza anche pratica, e della pubblica opinione; la quale, colla voce dei giornali e di qualche Camera di commercio, non tralascia d'invocare il pronto ritiramento dei biglietti a corso forzato.

«Al qual uopo mi parrebbe forse non istrana né disadatta


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una mia proposta sull'opportunità di formare immediatamente un fondo, così detto territoriale del Regno d'Italia, composto di tutti i beni immobili appartenenti al regio demanio, compresi gli ecclesiastici passati od entranti nel patrimonio dello Stato per la leggo 7 luglio 1866; e che si dicono del valore complessivo di due miliardi o mezzo, computati sulla rendita annuale di 90 e più milioni dei soli beni ecclesiastici, e quindi più che atti a guarentire ad esuberanza un prestito anche grossissimo. Formato e predisposto il fondo territoriale, s'apra su questo fondo riservato e intangibile il prestito ipotecario, ma libero o volontario, d' un miliardo al saggio del novantacinque per cento, e coll’interesse del sei per cento per ogni cento lire nominali; o da ripartirsi in tante serie di azioni, rappresentate da cedole ipotecarie più o meno grosse, ed anche piccole, ed assicurate tutte con ispecialo ipoteca sul fondo territoriale medesimo.

«I versamenti del prestito vengano ordinati al decimo o al ventesimo per volta, e in dieci o venti rate corrispondenti, ma per due terzi in danaro sonante, e per l'altro terzo in altrettanti biglietti della Banca Nazionale a corso forzato.

«Questi biglietti, tosto che abbiano col loro incasso raggiunta tutta la somma dei milioni di loro emissione, non possono più rientrare in circolazione, perché pagati ed estinti col danaro del Governo; e quindi ritornato l'obbligo nella Banca Nazionale dell’immediato rimborso in numerario dei restanti biglietti a vista e di sua ragione, e giusta il proprio regolamento e statuto.

«La restituzione od estinziono di questo prestito si potrebbe fissarla a dieci o a venti anni, come più torna conto, ma sempre in contante ed al valore nominale, effettuandola in doppio modo: 1.° coll'estrazione annuale di alcune serie delle cedole ipotecarie, a giudizio della pubblica amministrazione, e secondo lo stato pccuniario del fondo territoriale; 2.° colla vendita interpolata e contemporanea all'asta dei beni costituenti il fondo territoriale, ed al prezzo o pagamento loro, in tutto od in parte, in tante cedole ipotecarie.


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Codesta estinzione o restituzione del prestito verrebbe per tal guisa ad operarsi, se m'è lecito di così esprimermi, con una specie di tromba a doppio effetto, per avere, col massimo di forza, il massimo di effetto utile.

«Ma questa proposta non è che un' idea gettata sulla carta ad oggetto di studio, e che avrà bisogno di ritocchi, di emende e di riempitivi, qualora non vacilli nel suo concetto fondamentale. A cotesta idea avrei sostituito io stesso di più buon grado l'altra della fondazione d'una Banca fondiaria comunale e provinciale del Regno; la quale, col suo credito ipotecario o reale dell'estimo, avrebbe potuto procacciare a prestito vistosi capitali anche dall’esterno, per sovvenirne lo Stato nelle attuali e prevedibili distrette. Ma non bisognava allargare tanto la mano ne' dispendj, e cosi aggravare di troppo le imposte comunali e provinciali; quindi, abbandonando quest'argomento, mi farò a rispondere piuttosto alle seguenti objezioni, che potrebbero offuscare e contrariare la presente proposta:

«1.° Il prestito volontario lento ed incerto nel suo esito, ed i bisogni dello Stato certi ed urgentissimi.

«2.° La presente crisi monetaria, e l'aggio enorme dell'oro e dell'argento.

«3.° La somma d'un miliardo di prestito, da un canto troppo forte, e dall'altro non netta da pesi o passività, che debbono attenuarla.

«4.° Le rate troppo grosse o troppo vicine.

«5.° Il prestito troppo oneroso per l'erario.

«6.°  L'ulteriore ribasso della pubblica rendita alla sola voce d'un nuovo prestito.

«7.° La mancanza di concorrenti, o la calca de’  forastica alle aste del fondo territoriale.

«8.° Il prestito volontario troppo vicino al forzoso per la sua riuscita.

«9.° L'esempio di stati che vivono e prosperano coll'uso della sola carta-moneta.

Tutte queste objezioni, ben cribrate al vaglio della critica) non sono né più né meno che le solite ubbie che s'attraversano


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a qualsiasi divisamente, per poco che esca di carreggiata.

«Non si può negare che il prestito volontario non riesca talvolta lento ed incerto nel suo esito. Egli è questo un male, massimamente ove siano così certi e stringenti i bisogni dello Stato, da non ammettere né incertezze, né dilazione.

«Ma nel caso nostro potrebbe avverarsi il contrario. L'interesse, che è l'anima e la forza compulsiva degli affari, in questo prestito è assicurato per un lato da rischi, e viene lusingato per l'altro con vantaggi di non lieve conto, quali sono lo sborso di lire 95 effettive di capitale, ed il sei per cento d'interesse per ogni cento lire nominali; il versamento d'un terzo delle rate in biglietti a corso forzato, e sui quali fanno aggio l'argento e l'oro; la restituzione del prestito co’  suoi interessi in contante ed al valore nominale, fatta interpolatamente ed a riprese in ogni anno, e definitiva nel termine di un decennio o ventennio; l'acquisto all'asta dei beni del fondo territoriale al prezzo di pagamento in tutto od in parte con cedole ipotecarie provenienti dal prestito. In vista per tanto di questi vantaggi, non può dubitarsi che il prestito non abbia ad ottenere buon successo; tanto più ch'esso, come volontario, è meno esoso ed aperto a tutti, e che è cosa di fatto l'affluenza del danaro là dove ne siano più sicuri ed avvantaggiati il racquisto ed il profitto.

«La crisi monetaria è più artificiale ed apparente, che vera e reale.

«Il danaro tra noi si nascose all'apparire della cartamoneta.

«Le Banche d'Inghilterra e di Francia abbassarono il loro sconto, la prima al cinque per cento, e la seconda al tre, per l'abbondante entratura del numerario: il che è segno evidentissimo o della scomparsa, o del termine di quella crisi monetaria, che si potesse mai temere come nocevole di rimbalzo, od anche d'impaccio diretto alla conclusione del nuovo prestito nazionale. n Anche l'aggio, che pur si mantiene enorme od indiscreto sull'argento e sull'oro, deve cedere, se non disparire, allorché si torni alla circolazione normale o metallica.


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Bisogna ritenere come assioma della scienza, che la circolazione in un paese è sempre rappresentata dalla stessa quantità di segni monetarj, che abbisognano al mercato locale.

n La somma d'un miliardo non è troppo forte né per i bisogni dello Stato, né per la facoltà de’ soscrittori. Il miliardo che si ricerca a presto, deve servire non solamente all’immediato ritiro od ammortamento dei biglietti a corso forzato, ma qual fondo di riserva per tante altre necessità del pubblico erario, alle quali non si può provvedere-sul bilancio del 1867, se non con un'operazione finanziaria che ci dia da 300 o 400 milioni, oltre i risparmj o l'entrata.

«Questo miliardo non può essere sparito ad un tratto dal nostro, e, meno, dall’estero mercato.

«Sarebbe poi, se non impensabile, cosa assai ardita il pronosticare, che non sarà dato di raccoglierlo, razzolando nelle borse, non che dei ricchi banchieri e capitalisti, ma benauco in quelle d'ogni classe di cittadini. Ammettasi pure che la somma del miliardo non venga fuori netta da pesi o passività, per la quantità di rendita che bisognerà iscrivere nel bilancio passivo, a contrapposto degli interessi e delle pensioni, di che a aggrava l'erario, parte per il prestito, parte per i beni del fondo territoriale. Ma questi beni, finché rimangono in meno dello Stato, producono una rendita annuale per lo meno di un centinajo di milioni, coi quali si può soddisfare al debito di rendita iscritta. Il prestito si estingne d'anno in anno coll'estrazione a sorte delle cedole ipotecarie; ed allora su questo non corre più l'interesse. Colla vendita totale di questi beni dev'essere restituito tutto il capitale; e non rimangono più che le pensioni, le quali pure andranno estinguendosi di mano in mano che vanno scomparendo i loro titolari. Non farebbe pertanto serio ostacolo al prestito nemmeno l'entità del miliardo, o il suo non andar netto dal peso di interessi e di pensioni.

«Per le rate, se mai sembrassero troppo grosse o troppo vicine; vi si rimedia coll'impicciolire le une, o col disgiungere le altre, mediante la scelta più opportuna tra il decimo e il ventesimo di rate, tra le dieci o venti loro scadenze.


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«Lo Stato che penuria di danaro, non può pretendere a patti vantaggiosi per esso solo. D'altra parte il prestito del miliardo non parrebbe troppo gravoso nemmeno per lo Stato, sia dal lato del capitale e dell'interesse, sia da quello del suo pagamento o della sua restituzione. Il saggio del novantacinque per cento ed il sei per cento d'interesse sono le cifre già fissate anche nel decreto 1.° maggio 1866 per il prestito forzoso. Queste cifre sono altresì necessario a bilanciare in qualche guisa il nostro prestito con gli utili del prestito forzoso e della rendita pubblica. Il prestito lo fa e lo paga del proprio lo Stato, e con un decennio o ventennio di respiro, ei pigliasi tempo a vendere con maggior comodo e profitto i beni destinati a soddisfarlo.

«Il prestito d'un miliardo non può influire all'ulteriore ribasso della rendita italiana. Questo prestito può considerarsi attivo piuttosto che passivo da parte dello Stato, perché vien fatto con fondi proprj e col proprio credito. La sua emissione non ha nulla a che fare col corso della pubblica rendita, né altera punto il suo valore, giacchè le cedole ipotecarie non accrescono né diminuiscono la quantità della domanda o dell'offerta. Chè anzi un cotal prestito dovrebbe giovare al rialzamento della rendita, per il maggior credito e per la maggiore solvibilità di che darebbero prova le nostre Finanze.

«La mancanza di concorrenti ed aspiranti alle aste del fondo territoriale, non potrebbe avvenire se non per difetto di numerario, o per mancanza di volontà, o per diffidenza nel valore del pegno ipotecario. Il primo motivo e una mera ipotesi, dopo che e provato essere sparita o cessata la crisi monetaria. Il secondo trae all’assurdo di supporre estinta la molla dell'interesse, così energica ed operosa ne' capitalisti, che s'arrabbattano per non lasciar inerte il loro danaro, e che sanno farlo volare colà, dove sia anche più sicuro il suo collocamento; spenta e sbandita l'inveterata abitudine in Italia dei mutui ipotecarj; smarrito e languido in noi il desiderio di liberarci pur una volta dall’incubo della carta-moneta.


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Il terzo ed ultimo si oppone al fatto ed alla ragione. Alle aste dei beni demaniali vi fu finora frequenza di nazionali e di stranieri nelle stesse provincie meridionali e nelle Romagne. E a che monta se per l'acquisto dei beni del fondo territoriale facessero calca o ressa anco i forestieri? Ci volle proprio il fatto o dell'impotenza o del disavanzo di qualche industria nostrale per cessare la guerra al capitale straniero, come ci volevano anche i fucili ad ago per persuadere che la scienza è cosmopolitana e non confondibile colla nazionalità; che i trionfi della scienza non vengono da beatitudine di suolo o di clima, ma di dove allignano e s'onorano i profondi studj e la seria applicazione. Oltracciò, non ci può essere dubbio o diffidenza sul valore dei beni assicurativi del prestito, stando ai calcoli di probabilità ed alla voce pubblica. Questo valore può essere ben accertato e stabilito dai finanzieri. Basterà che lo si renda manifesto o prima o all’atto della pubblicazione del prestito, a guarentigia della sua sufficienza e sicurezza. Se mai si menomasse la cifra del valore, bisognerà diminuirne anche quella del prestito; ma il progetto andrebbe sempre co’  suoi piedi.

«All'ultimo, se ci ha Stato che sappia vivere, come l'austriaco, di sola carta, questa sarà vita, ma non mai prosperità da desiderare o invidiare. Altro è un provvedimento straordinario e provvisorio, e ben altro il sistema. Guai al governo che vi perdura o vi persiste, massime se abbia ammanito il mezzo per sottrarvisi o per isfuggirlo.

«Io non pretendo, colla brevità di questo scritto, di avere chiarito e sciolto tutto quanto il problema cosi complesso sul modo di far disparire ed ammortare la carta-moneta, che tormenta ed inceppa anche troppo a lungo la circolazione in tutto il Regno. Ma ho fede che una prima idea potrebbe generare il fatto, o suggerirne altre di analoghe o diverse, per quella legge notissima di associazione psicologica, che il fatto e le idee stanno fra loro in ragione reciproca di causa e di effetto, e d'una vicendevole figliazione.


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«Alla lettura del prof. POLI tenne dietro quella del cav. Cantù sul cardinale Giovanni Morone milanese.

«La vita e la corrispondenza dell’insigne cancelliere Girolamo Moroni è pubblicata ora per cura d'uno straniero. Non devesi lasciar in dimenticanza il non meno illustre suo figlio Giovanni. Dagli uffizj patrj passato giovanissimo nella carriera ecclesiastica come vescovo di Modena, poi ornato cardinale, ebbe importanti missioni alle corti di Francia e di Lamagna per varj oggetti, e principalmente per indurre al Concilio Universale. Ad aprir il quale in Trento fu poi mandato egli stesso, benché di soli 33 anni. Gli spacci e le relazioni di quelle sue missioni attestano in lui non meno l'abilità diplomatica che lo spinto di moderatezza, colla quale sperava ricondurre ancora ali' unità le Chiese dissenzienti. Tale sua abilità apparve singolarmente nel ricomporre le discordie, per le quali in Genova erasi corso fino alla guerra civile dopo le famose leggi del Garibetto; e fu merito principale di lui se in quella repubblica furono ristabiliti l'ordine e il dominio della legge.

«Il Morone apparteneva a quel gruppo di onesti cattolici che credeano necessaria una riforma de’  costumi e delle pratiche, domandandola però dall'autorità competente, anziché valersene per frangere l'unità. Avea partecipato alle adunanze che, in tal senso, teneansi a Viterbo, e avuto corrispondenza col cardinale Polo, col Contarini, col Priuli, col Flaminio, col Carnesecchi, con altri di quel colore. Come costoro vennero in sospetto di assentire alle idee del Valdes e dei Protestanti tedeschi, massimamente sul punto supremo della giustificazione per mezzo della sola fede ne' meriti di Cristo, anche sul Morone caddero dubbj, crescenti a segno, che il rigoroso Paolo IV lo fece chiudere in Castel Sant'Angelo. Dal processo allora fattogli deduce il Cantù molte notizie intorno ai tentativi di riforma in Italia, e reca la luminosa difesa che di so stesso fece il Morone.


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«Il quale in fatto dal nuovo pontefice fu non solo liberato, ma assolto nella più ampia forma, cassando e il processo e l’accusa. E una splendida attestazione della fiducia in lui posta fu l'averlo mandato col Polo a presedere al Concilio di Trento, quando fu regolarmente stabilito. Egli mostrossi pari a quella scabrosissima posizione, e mentre l'altro milanese Carlo Borromeo da Roma dirigeva ogni cosa al trionfo della santa Sede, il Morene a Trento regolava le interminabili pretensioni e le intralciate discussioni, finchè potette chiudere quella insigne assemblea, e farne approvare dal pontefice gli atti, che rimasero il canone preciso del rassodato cattolicismo.

«Il Morone fu anche proposto come pontefice, ma le accuse dategli altre volte stornarono molti elettori: tant'è vero che della calunnia riman sempre qualche cosa».


Il cav. Cantù, riservando la sua lettura alle Memorie, mandò frattanto alla segreteria questo compendio brevissimo; dove non poteron essere compresi certi punti, che diedero origine ad alcune osservazioni. Però, come si è fatto già altre volte, registriamo quelle osservazioni, affinché la storia dell'adunanza sia, per quanto ci è possibile, intiera.

Primieramente il M. E. dott. P. G. Maggi fece notare che forse un altro milanese era tra' dissidenti, non ricordato ne' libri da lui veduti intorno a quelli. Viveva pure a' tempi del cardinale Morone, o no' minavasi Girolamo de’ Capitani d'Arzago. Fu egli preposto della Mirandola; abate di Brema; vescovo di Nizza, e limosiniere della Regina di Francia. L'Ughelli (Italia Sacra, tom. IV. 1114) inclinerebbe a chiamarlo d'Anzago, ma l'inscrizione nella chiesa della Mirandola da lui citata ben lo poteva accertare come dovesse scriversi quel cognome, preso da una nostra terra in Ghiaradadda. U medesimo Ughelli poi asserisce ch'egli diem suum extra romanam curiam obiìt nell'anno 1542. Or il Brucioli gli dedicava in Venezia (coi torchi del milanese de Bindoni) nel 1544 le prediche fatte dal Savonarola nell’avvento del 1493 in Santa Maria del Fiore, e questa data ci mostra erronea l'asserzione dell’Ughelli.


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Successe quindi il M. E. prof. Poli osservando, 1.° Non potersi dire intervenuti al Concilio di Trento tanti vescovi, prelati e legati della cattolicità estera; quando consta che ve ne furono tra gli Italiani 187, mentre di tutti i forestieri se ne contarono in complesso soli 86, tra i quali 26 Francesi, 31 Spagnuoli, ed il resto Polacchi, Croati, Greci e Illirici (1). 2.° Come conciliare l’accusa ed il processo di eretico contro il cardinale Morene, quando egli fu eletto ad uno dei presidi del Concilio, in luogo del defunto cardinale Di Mantova; e quando il vescovo Girolamo Ragazzoni, nella sua orazione recitata dinanzi al Concilio nel giorno 4 dicembre 1563, che fu quello della sua chiusura, salutava il cardinale con queste precise parole: — In quo praecipuam quamdam oc propriam laetitiam habere, tu, Movane, illustrissime atque ornatissime, deJies, qui cum vigesimo ab hinc anno primam praeclaro huic aedificio, posueris extremam nunc manum post alias multos, etc. Riletti dal cav. Cantù que' passi cui si rivolgevano le fatte osservazioni, il Poli se ne tenne pago e soddisfatto.

Al segretario della Classe parve che il cav. Cantù rappresentasse il cardinal Morone soltanto come personaggio religioso, mentre dovrebbe forse considerarsi assai più come personaggio politico. E fondò quel suo dubbio sul fatto, che la fortuna, come suol dirsi, del cardinal Morone andò sempre alternando secondo che i molti papi succedutisi in quel secolo inclinarono all'Imperio o alla Francia. Anche nell’imprigionamento del cardinale, l'eresia potrebb'essere stata un pretesto, sotto cui Paolo IV ricoperse la sua avversione alla corte di Spagna; e questo dubbio par che riceva qualche conferma da ciò che accadde sotto il pontificato di Pio IV, di parte imperiale: quando non fu soltanto dichiarato innocente il Morone (come è da credere che la giustizia esigesse), ma perseguitaronsi i congiunti di Paolo IV, per gagliardi impulsi (dice il Muratori)


(1) Numerus Prealatorum cujuscumque nationis, qui ad Ecumenicam Tridentinam Synodum convenere, a pag. 298. Sacrosanctum Concilium Tridentinum ultima hac editione absolutissimum Venetiis 1786 sumptibus Antoni! Astolphi.


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venuti dalla Corte di Spagna; e fu strangolato in prigione il cardinale Carlo Caraffa; del quale Pio volle poi ristorare la fama, facendone rivedere e dichiarar difettoso il processo. A proposito poi di quel cenno dei cardinali francesi fatto dal prof. Poli, il segretario citò Bernardo Segni contemporaneo, secondo il quale il papa accettò che si tenesse il concilio in Trento, perché supponeva che quei prelati non vi concorrerebbero, e così rimarrebbe imperfetto.

Il Cantù dice aver espressamente indicato che di un pretesto politico al processo del Morone non trovò cenno altrove, che in un insulso annotatore di fra Paolo Sarpi.

Terminate le letture, il segretario informò il Corpo accademico delle cose d' ufficio trattate nel corso dello ferie autunnali. Diede notizia che venne spedita al Ministero dei lavori pubblici la Memoria del-fu generale Vaccani Sulle Lagune venete, che il signor ministro Jacini si propone di far pubblicare, offertosi gentilmente alla restituzione del manoscritto originale, ed anche al dono degli esemplari occorrenti al R. Istituto. Recitò quindi la seguente Nota del signor ministro dell'Istruzione Pubblica risguardante il Rapporto letto nell’ultima adunanza precedente alle ferie:

All’Ill.mo sig. Presidente del R. Istituto Lombardo

di Scienze e Lettere

«Lo scrivente ha ricevuto il Rapporto della Commissione deputata da codesto R. Istituto all'esame delle opere di Storia e Letteratura italiana presentate per concorrere al premio della Medaglia d'oro.

«Nell'encomiare la somma diligenza e il sicuro giudizio onde siffatto esame fu condotto, lo scrivente prega la S. V. Ill.ma di voler testificare all’illustre Consesso ch'Ella presiede la soddisfazione del Governo per l'accettato incarico e pel modo col quale venne adempiuto.

«Per il Ministro, NAPOLI».

Finalmente annunziò che la Presidenza, facendosi interprete dei sentimenti comuni, inviò all’Istituto Veneto uno scritto di congratulazione per le circostanze presenti d'Italia e dei due Corpi accademici.






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