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LA
CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO DECIMOSETTIMO
VOL. VI.
DELLA SERIE SESTA
ROMA
COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA.
1866.
3. Conseguenze del corso obbligatorio dei biglietti della Banca nazionale — 4. Provvedimenti straordinarii di sicurezza pubblica; facoltà chiesta dal Ministero; giunte fatte dal Crispi; legge approvata dalle Camere — 5. Carcerazioni e deportazioni di Vescovi o persone sospette del Regno di Napoli — 6. Deportazione del Vescovo di Guastalla — 7. Rigori contro i diarii cattolici; risoluzione presa dall'Associazione cattolica di Bologna — 8. Dibattimenti nella Camera e voto sopra i provvedimenti finanziarii — 9. Dichiarazioni ufficiose sopra l'alleanza con la Prussia, e pretensioni dell’Italia in un Congresso.

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3. Il muovere degli uomini dalle loro case, il metter loro in ispalla un fucile e farli marciare a suono di tamburo, non è gran fatto difficile; e sia pure che l'ardore patriottico, suscitato dai Tirtei ministeriali, basti a renderli soldati prodi ed invincibili. Ma ci vogliono anche denari per mantenerli. Ora il Governo disperava di trovare nuovi imprestiti, e dovette impossessarsi delle somme metalliche della Banca nazionale. Questo fatto diede il tracollo al credito pubblico, sì dentro e sì fuori d'Italia; né l’aver renduto obbligatorio, il corso dei biglietti della Banca poté rimediare al male. In pochi giorni i fondi caddero fino al 37 per 100, e l'agio sull'oro, anzi pure sull’argento, e perfino sopra i biglietti da lire 20, crebbe in proporzioni enormi. Da ogni parte le operazioni commerciali si trovarono incagliate e sospese. Fallimenti e sospensioni di pagamenti furono annunziati ogni giorno. Anzi le più necessario faccende domestiche delle singole famiglie divennero assai difficili, mentre a comperare le derrate e gli alimenti quotidiani non si riusciva, che con denaro sonante; perché i venditori si rifiutavano a ricevere i biglietti da lire 100 e da lire 1000, che avrebbero loro imposto la gravezza di restituire in moneta, che non hanno, il di più del prezzo delle derrate stesse.

Il Governo decretò che i biglietti della Banca siano ricevuti come moneta sonante, pel loro valore nominale, nei pagamenti da farsi allo Stato. Ma ciò non toglieva la difficoltà proveniente dalla mancanza di biglietti, equivalenti a moneta spicciola. Quindi universale il malcontento che, prima di pubblicare obbligatorio il corso di quella carta, non si fosse coniala, almeno in copia sufficiente, la moneta di bronzo, e non si fossero stampati i biglietti da 10 e da 5 lire. Ora si è comincialo a supplire con biglietti da lire 10, e si attende a coniare soldi di bronzo; e così, a poco a poco, scemeranno forse gli ostacoli che si incontrano in tutti gli atti della vita, fino in quello di spedire una lettera o di riscuotere un vaglia postale, per difetto di moneta spicciola.

4.Ma il Governo dovea occorrere ad altri pericoli d'indole ancora più grave. Benché esso si vanti sempre del consenso unanime degli Italiani al presente ordine di cose, sa tuttavia che grandissimo è il numero dei malcontenti, e potea ragionevolmente paventare che, offerendosi l'opportunità, ai consueti brontolamenti si aggiungesse qualche fallo ardilo. Intese pertanto a premunirsi per tal cimento, chiedendo alle Camere ampia facoltà di provvedere, nel modo che gli paresse più efficace, alla sicurezza pubblica; e nella tornata del 4 Maggio, esposto il bisogno di mantenere il buon ordine contro i moli incomposti, ed egualmente pericolosi, dei patrioti troppo ardenti e dei nemici d'Italia, propose si approvasse il seguente unico articolo di legge:


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«Fino a tutto Luglio del corrente anno sono accordate straordinarie facoltà al Governo del Re, per provvedere con Decreti reali alla difesa ed alla sicurezza pubblica dello Stato».

Questo parve troppo alla Commissione della Camera, deputata all'esame di tal proposta; e gli sostituì un altro disegno di legge, che il Ministero si contentò di accettare, dopo udita la relazione fatta dal Crispi. Invece degli amplissimi poteri, chiesti dal Governo, furono determinati i reati, contro i quali potrebbe esercitare una repressione straordinaria, e prefisse le pene da infliggere; ed inoltre fu bandita l'atroce legge dei sospetti. Ecco il tenore di questa legge, sancita dal Re, e pubblicala alli 18 Maggio e che, dal nome del suo precipuo autore, si appella Crispina.

«Art. 1.° È vietato d'ora innanzi di pubblicare, per mezzo della stampa o di qualsivoglia artificio meccanico, atto a riprodurre il pensiero, notizie e polemiche relative ai movimenti delle armi nazionali, salva la riproduzione delle notizie, che siano ufficialmente comunicate o pubblicale dal Governo. Ari. 2.° Il reato, di cui all'articolo precedente, sarà punito col carcere da 6 giorni a 6 mesi, e con una multa estensibile sino a 500 lire, oltre la soppressione dello scritto o dello stampato. Il giudice potrà applicare una sola delle suddette pene, ove lo esiga l'entità del reato. L'azione penale contro il medesimo reato potrà essere esercitata cumulativamente contro l'autore dello scritto, l'editore ed il tipografo che l'abbia stampalo o pubblicalo, il direttore ed il gerente del giornale incriminato. Art. 3.° Il Governo del Re avrà la facoltà di assegnare, per un tempo, non maggiore di un anno, il domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, ai camorristi ed a tutte le persone ritenute sospette, secondo le designazioni del Codice penale del 20 Novembre 1839, le quali saranno pubblicate ed avranno forza di legge nelle province toscane. Le stesse disposizioni saranno applicabili alle persone, per cui ci sia fondalo motivo di giudicare, che si adoprino per restituire l'aulico stato di cose, e per nuocere in qualunque modo all'unirà d'Italia e alle sue libere istituzioni. Art. 4.° In caso di trasgressione alle ingiunzioni, date dall'autorità nei termini dell'articolo precedente, il tempo dell'allontanamento o del confino sarà convertito nella pena del carcere. Art. 5.° Il giudizio dei reati, menzionati negli articoli 2 e 4, è devoluto ai tribunali correzionali. Art. 6.° La presente legge avrà vigore sino a tulio il 31 Luglio 1866.»

Questa legge, di cui possono riuscir crudeli gli effetti, e che resterà memoranda negli annali del regno d'Italia e nella storia del Parlamento, veniva approvata dai Deputati nella tornala del 9 di Maggio e dai Senatori in quella del 14 dello stesso mese.

I Deputati presenti e votanti erano 231. Approvarono la legge 203; la disapprovarono 48. I Senatori presenti erano 18. Approvarono la legge 70; la disapprovarono 6, e si astennero 2.


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L'articolo terzo della legge, che è il più terribile, come quello che colpisce le persone ritenute sospette, fu votato nella Camera dei Deputati per appello nominale; ed ecco il risultato di questa votazione: presenti e votanti, 278 onorevoli; voti favorevoli, 234; voti contrarii 44.

Nel Senato il Guardasigilli dichiarò che il Governo si servirebbe di questa straordinaria facoltà con accorgimento e con prudenza.

5. Prima ancora che la legge Crispina fosse approvata dal Senato e promulgata dal Governo, già in Napoli i Pascià ministeriali l'applicavano con forme d'iniquità sì risentite, che ricordano i più brutti tempi della rivoluzione francese. Chiamati alla Questura alcuni Vescovi, ed altri degnissimi ecclesiastici ed illustri personaggi, si udirono intimare l'ordine di partire subito, quali alla volta di Roma, quali per Marsiglia, senza dar loro tempo di provvedere alle proprie faccende domestiche, senza riguardo allo stato di sanità, senza poter addurre un minino motivo, che giustifichi colai violazione d'ogni diritto. Anzi lo stesso Delegato della Questura, che facea l'intimazione, dichiarava di non aver nulla a ridire sul contegno loro; ma solo, con quella vernice d'ipocrisia che da' liberali di Napoli si stende sopra ogni loro bricconata, aggiunse che il Governo erasi risoluto a questo provvedimento, affine di preservarli dai tristi nei prossimi perigliosi avvenimenti. I diarii ufficiosi al contrario, come l'Opinione, colorirono la cosa con una delle solite calunnie, cioè che questi personaggi fossero complici d'una cospirazione, felicemente scoperta, ed intesa a ristaurare il legittimo Sovrano sul trono di Napoli!

Infatti perché niuno osasse prendere le difese degli innocenti sbandeggiati, s'inventò una congiura, di cui si disse anima e capo il Direttore del Conciliatore, che fu carcerato; e come lui furono chiamati alla Questura, poi, o sostenuti in carcere o mandati in esilio fuori d'Italia, o relegati a domicilio coatto, molti altri ragguardevoli personaggi ecclesiastici e laici. Oh se il Governo pontificio usasse il suo diritto, e cacciasse di Roma certi pochi mestatori, che abusano della benignità del Governo per ingannare i semplici, per comperare settarii, per preparare la rivoluzione! Quali non sarebbero le sollecitudini di certa diplomazia! Quanti gl'impegni per gl'innocenti perseguitati! Quanti i clamori contro la tirannide pretesca!

6. Per contrario ogni eccesso si approva, si commenda, si protegge all'uopo, quando è perpetrato da un Governo massonico! Ecco, per cagione d'esempio, come si narra dal Difensore di Modena, il trattamento usato verso Monsignor Vescovo di Guastalla.

«Ieri (13 Maggio) dopo le 3 pom. presentavasi nella campestre Canonica di san Rocco, presso Guastalla, il delegato di P. S., il tenente dei R. carabinieri di quella città ed una squadra di cavalleria, coll'ordine


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presente di perquisire il carteggio dell’Illmo e Rmo Monsignor Pietro Rota, quivi residente, e d'intimargli l'immediata partenza per una delle città che gli proposero. Monsignore ricevette colla solita imperturbabilità la nuova tribolazione, emettendo per altro la seguente protesta, che per telegrafo fu mandata alla Prefettura di Reggio:

«S. Rocco, 13 Maggio 1866. Pressato da ordini governativi ad allontanarmi dalla Diocesi senza conoscerne i motivi, premesse le proteste contro la violazione della immunità personale come Vescovo e come libero cittadino, cedendo unicamente alla forza, eleggo per mio domicilio provvisorio Torino, insistendo per la mia pronta restituzione in Diocesi, dove ho diritto e dovere di risiedere. + Pietro, Vescovo di Guastalla».

Dopo un'ora e mezza di perquisizione che, come era da supporre, non aveva nessun risultato di sfavore, il veneratissimo Prelato partiva nella sua carrozza per Reggio, accompagnato dal Delegalo e dal Tenente suddetto; e questa mattina colla ferrovia, scortato sempre da un addetto alla Pubblica Sicurezza, recavasi a Torino.»

7.È agevole intendere che i cattolici, gli uomini onesti ed in particolare i giornalisti non venduti alla Frammassoneria, stiano in non poco timore d'essere fatti bersaglio alle prepotenze della setta, e di essere trattali come sospetti. Quindi è che alcuni giornali cattolici già dichiararono, come il Patriota Cattolico di Bologna, di sospendere le loro pubblicazioni, finché la decantata libertà non serva più di velo al dispotismo della setta dominante. Anzi, anche la Direzione centrale dell'Associazione cattolica italiana, di cui abbiamo parlalo ampiamente nel primo quaderno del passalo Aprile, riputò di dover cessare, fino a tempi men tristi, dalle sue operazioni, ed interrompere perciò le sue relazioni con le Direzioni locali; alle quali ne diede avviso con sua circolare, riferita nel n. 109 del mentovato Patriota, che dal giorno 15 Maggio si condannò saviamente al silenzio.

8.Intanto nella Camera dei Deputati era ardentissimo il disputare che faceasi sopra la legge ideala dai Quindecemviri, per provvedimenti finanziarii. Sarebbe opera gittata il venire qui recitando gli articoli di codesto schema, e lo stendersi in riferire i dibattimenti a cui diede luogo; giacché è assai probabile che la legge, in tutto od in parte, debba essere o reietta o modificala. In fatti l'articolo 5.° di essa, che stabiliva una tassa o ritenuta dell’8 per 100 nel pagamento semestrale degli interessi delle Cedole dello Stato, fu vivamente combattuto dal ministro Scialoja; il quale dimostrò: che il solo annunzio di tale spediente basterebbe a mettere in fondo il credito dello Stato; e perciò lo respinse assolutamente. La Camera sospese la sua deliberazione, alli 16 Maggio; sentendosi scossa dall'evidenza dei discorsi falli dallo Scialoja.


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Ma il dì seguente il Correnti, relatore della Commissione, tornò ad insistere che si dovesse ad ogni palio, attese le condizioni presenti, decretare quel gravoso balzello; e la Camera assentì. Si venne ai voti, e risposero sì 145 onorevoli, risposero no 141; si astennero soli 2. Sicché per soli i voti quell'articolo fu approvato.

Lo Scialoja ne fu così indegnato, che voleva ad ogni costo uscire dal Ministero; ma, ad istanza de’  suoi colleghi, rimase. Ora è probabile che il Governo si valga del Senato per Fare annullare quel voto della Camera, e così respingere quella odiosa proposta della Commissione. Intanto la rendita italiana che, a forza di maneggi e di impegni, era risalila a 39, 70, appena si seppe del voto dalla Camera, del 17 Maggio, per quella tassa dell’8 per 100 sugli interessi della rendita inscritta nel Gran libro del Debito pubblico, tornò a scadere fino al 37.

9. Ma il precipizio è aperto dai due lati, e l'Italia preferisce gittarsi a capo fitto in quello che le sta dinanzi, anziché rotolare giù in quello che le sta dietro. Pertanto è certo che volendo ad ogni costo, e dovendo fare la guerra all'Austria, bisognerà pure fare d' ogni erba fascio per fornirsi di denaro. E che la guerra si debba fare, apparisce dalle dichiarazioni ufficiose dell'Opinione. La quale, nel n.° 127, dicea chiaro e tondo: «Il Governo di Berlino ha dichiarato, che un attacco in Italia sarebbe da esso riguardato come un attacco contro di lui medesimo. L’accordo dei due Stati è per tal guisa stabilito e solennemente annunziato. Il Governo di Italia ha finora taciuto, ma il suo silenzio non può cagionare alcuna incertezza rispetto alla sua politica. Per l'Italia un attacco dell'Austria contro la Prussia dev'esser consideralo come un attacco diretto contro di lei. La reciprocità è completa, non potrebbe essere altrimenti... Le Potenze, che fanno dei grandi sforzi per prevenire la guerra, debbono essere persuase, che per l'Italia è una necessità la definizione della quistione de’ Ducati dell'Elba».

E, venute fuora le notizie della proposta d'un Congresso e delle pratiche perciò avviale in Parigi, l’Opinione, nel n.° 134, non si peritò di dire alto: « Se mai la proposta del Congresso verrà fatta formalmente, crediamo che l'Italia abbia ad accettarla, ma a condizione: 1.° di rimanere armati e di proseguire gli apparecchi militari; 2.° Che nel programma del Congresso sia ammessa la cessione del Veneto».

Or siccome o inverosimilissimo che l’Austria, solo. per avere le buone grazie del Gabinetto di Firenze e di quel di Parigi, voglia rinunziare senz'altro al Veneto, così è manifesto che la guerra è irrevocabilmente decisa.














































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