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LA
CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO DECIMOTERZO
VOL. II.
DELLA SERIE QUINTA

ROMA
COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA
1862.
Regno delle Due Sicilie. 1. Conflitto sanguinoso in Napoli fra scolari e popolani — 2. La reazione contro gli usurpatori si ravviva nelle province — 3. Bandi ferocissimi del Maggiore Fumel; crudeltà bestiale di un Napolitano della Guardia mobile; ricompensa al Pinelli — 4. Speranze poste dal Mazzini negli studenti di Napoli; sua lettera.

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1.Predicava in S. Severino di Napoli un valoroso sacerdote di quella città, e Ira gli altri argomenti trattò con molto calore del dovere che correva ai genitori di guardarsi dal mandare i loro figliuoli a quelle scuole di immoralità e di irreligione, che il protestantesimo vi aprì all'ombra del l’Articolo dello Statuto, per cui la sola religione cattolica dovrebb'essere religione dello Stato. Ciò dispiacque a’ moderni ristauratori dell'ordine morale; e furono aizzati, gli studenti dell'Università a rivendicare i diritti del progresso contro lo zelo apostolico di quel predicatore. Nel giorno di Sabato 15 Marzo, in cui dovea aver luogo la consueta predica, una mano di giovinastri si appostò in chiesa, e nel meglio del discorso presero a beffeggiare, in isconci modi, il predicatore. Questi li esortò a rispettare il. santo luogo in cui stavano. Risposero con fischi ed urli da maniaci, e con profanazione così sacrilegamente stomachevole, che il popolo ivi adunato ne venne in altissima ira; e dato di piglio agli scanni ed a bastoni, li cacciò subito di chiesa come cani arrabbiati. Ma fuori stavano altri scolari, in numero di oltre a cento, pronti alla riscossa. Si accese una fiera battaglia, accorrendo da ogni parte i popolani alla difesa con mazze; e cominciò a piovere una grandine di sassi. Gli scolari ripararono nel!’Università, d'onde presero ad offendere i popolani a colpi di revolver. Male ne incolse loro; poiché quelli infuriati recarono legna da ardere le porte chiuse di-M’edilìzio e fare strage degli studenti. Accorse la Guardia nazionale ed a gran pena riuscì a separare i combattenti. Ma varie zuffe a più riprese rinacquero in quello stesso giorno, e una ventina rimasero tra morti e feriti, de’ quali il maggior numero fu degli scolari. Questi ricorsero al Prefetto La Marmora, che rifiutò di ricevere la loro deputazione, facendo loro dire che andassero a studiare. Ma per altra parte furono arrestati molti popolani, e, per meglio appagare le ire dei settarii, anche il predicatore che era stato la prima vittima di quella ribalderia. Così si fa la giustizia. Il sig. Rattazzi nelle Camere di Torino allegò questo atto di vigore, per sedare gli sdegni, risentili da parecchi di quegli umanissimi legislatori, all'udire che in Napoli non fosse lecito a’scolari d'insultare i preti in pergamo senza esporsi a pericolo di toccare qualche legnata dagli astanti.


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2. Oltre a questo tafferuglio, avvennero in Napoli più altri tumulti, di cui il segnale fu dato con lo scoppio di bombe onde rimasero ferite più persone. Naturalmente queste ribalderie furono attribuite a borbonici, e parecchi innocenti, designati come tali al furore della plebaglia, ne furono assai malconci.

Ma egli è agevole ad intendere che il Governo si trovi impaccialo a frenare i disordini in Napoli, quando tutte le sue forze militari, adoperate senza posa, pur non bastano a domare la reazione delle province. I giornali della rivoluzione van tutti d'accordo in deplorare i progressi, che di giorno in giorno va facendo la resistenza armata contro i presenti dominatori del Regno. La Democrazia se ne mostra spaventata, e grida: «La guerra civile ricomincia nelle travagliate province meridionali. Le nostre dolorose previsioni sulla reazione si vanno verificando.» Il Nomade anch’egli si duole d’essere stato verace profeta, e dice: «Come già accennammo, la reazione precocemente risolleva il capo nelle nostre province, e segnatamente nel circondario di Vasto, presso Gravina in terra di Bari, nel lenimento di Matcra, in Basilicata e nel Bosco di Lato in quel di Laurenzano.» Né queste sono vane paure, poiché il Giornale ufficiale dovette ricominciare a dar notizie dei trionfi riportati dalla Guardia mobile, dagli sgherri ungheresi e dai bersaglieri contro le bande di insorti, che vennero arditamente allo scontro, massime nella Puglia ed in Capitanata. Onde la Democrazia confessa che: «la reazione cresce a dismisura ogni giorno. La Basilicata è corsa e pressata dalla banda di Crocco, forte di più di dugento uomini, molli dei quali a cavallo. In un recente scontro questa banda sorprese delle Guardie nazionali che perlustravano i monti di Aqualella e Monticchio. Ne seguì un forte combattimento, e la Guardia nazionale, malgrado il suo valore, dovette ripiegare, lasciando parecchi morti e dieci prigionieri, che furono messi a morte.»

3. È manifesto che le ire di parte son venute a tale da doversene temere atrocissimi falli. I reazionarii, avendo oggimai sperimentato che niuna pietà possono sperare da' lor nemici, cominciano ad imitarne i procedimenti, e fucilano i prigionieri che lor vengono alle mani, se appartengono a’ corpi di Guardie mobili. Per contro i piemontesi eseguiscono alla lettera gli ordini ricevuti da’ lor capi; e si commettono crudeltà da far ribrezzo a’ Drusi. Abbiamo riferito il bando del Tenente Colonnello Fantoni, di cui la filantropia inglese per bocca di lord Bussell studiayasi di rivocare in dubbio l'autenticità. Ora non solo quel bando è autentico e pubblicato per ordine del Prefetto, cioè per ordine della Suprema autorità di Governo; ma fu anche eseguito in modo al tutto degno di barbari. Quattro donne furon trovate alla campagna con alquanti pani addosso; furono credute avviate a portarli a’ reazionarii; e senza tener conto veruno di quella naturale giustizia che obbliga la moglie o la figlia a sovvenire d'aiuto il marito o il padre che ne sia in estrema necessità, furono condannate a morte. Tre di esse caddero senza indugio sotto le palle de’ moschetti de’ liberatori d'Italia. La quarta, per effetto dello sgomento, era vicina al parto; le si lasciò tempo da sgravarsi; poi subito appresso fucilata. Tutti i diarii di colà riferirono i particolari del fallo, né l’ebbe chi osasse dir parola di mentita.

Del resto, che bisogno c’è di conferma, quando un nuovo bando ufficiale d'un Comandante di truppa regolare supera in barbarie perfin quelli dei Cialdini, dei Pinelli, dei Calateci, dei De Luca, dei Fantoni?

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Eccolo qui testualmente, quale si riferisce dal giornale il Paese di Napoli, che mi può essere sospetto a lord Russell, siccome quello che è italianissimo, nel numero 22, del 27 Febbraio 1862.

«Avviso. Il sottoscritto incaricato della distruzione del brigantaggio diffida, che sarà immantinente fucilato chiunque da ricovero o mezzo qualunque di sussistenza o difesa ai briganti, o vedendoli, e savendone luogo, ove sono rifuggiati, non dia tosto avviso alla forza o alle autorità civili e militari. Per la custodia degli animali sarà bene che si facciano più centri con competente forza armata, perché non sarà valevole scusa la forza maggiore. Tutte le pagliaie debbono essere abbruciate; le torri e le case di campagna, che non sono abitate, o custodite dalla forza, debbono, fra lo spazio di tre giorni, venire scoperte, e le aperture murate; scaduto tal termine, saranno bruciate, come saranno pure uccisi gli animali trovati senza la necessaria forza.

«Resta pure proibito di portar pane o viveri qualunque fuori l'abitato del comune, e sarà tenuto complice dei briganti il contravventore. Provvisoriamente e per questa circostanza i signori si ridaci sono autorizzati di concedere il porto di armi, sotto la risponsabilità del proprietario, che ne fa la richiesta. L'esecuzione della caccia è provvisoriamente pure vietata, e perciò non si può sparare, se non per dare avviso ai posti armati della presenza o fuga dei briganti. La Guardia nazionale è risponsabile del territorio del proprio comune.

«Alcuni proprietari di Longobucco hanno posto un taglione sulla comitiva Palma, di ducati 600,00. Il sottoscritto non intende vedere in questa circostanza che due partiti: briganti e contro briganti; perciò trai primi è chi voglia tenersi indifferente, e contro questi si prenderanno misure energiche, perché, quando il bisogno generale lo richiede, è delitto il rifìutarvisi. Circ, 12 Febbraio 1862. Firmato: Il Maggiore Fumel».

Questa fiera in membra umane, che non sappiamo da qual selva sia sbucata, non solo non fu ammusolata dal Governo, sì che non avesse ad effettuare gli strazii così minacciati; ma tre settimane dopo ripubblicò a Celico, sotto il dì 1.° di Marzo, lo stesso Avviso, premettendo alle atroci denunzie, testé riferite, le seguenti promesse. «II sottoscritto, incaricato della distruzione del brigantaggio, promette una mancia di franchi 100 per ogni brigante, vivo o morto, che si presenterà. Tale mancia sarà pure data a quel brigante che ucciderà un compagno suo, oltre di avere salva la vita.» E tenne parola in tutto. Sotto il dì lì Marzo fu scritto da Cosenza allo Stendardo Cattolico di Genova che il Fumel «in Bisignano fucilava nove individui, dopo che si erano presentati volontariamente; in Acri altri due; in Corigliano una donna vecchia, perché non facea presentare la propria figlia che seguiva un brigante; in Longohucco altri quattro; in Crucolo sei; e così m diversi altri paesi, incendiando e diroccando le case di campagna, i pagliai, i ricoveri per uomini ed animali, e carcerando ecc.»

Or bene il Governo di Torino è così lontano dal riprovare tali nefandezze o vietare che siano effettuate, come falsamente asseriva, con solenne menzogna, Lord Russell alli 17 Marzo nel Parlamento inglese; che anzi pur testé la Gazzetta ufficiale del Regno pubblicò un elenco di ricompense proposte dal Cialdini, ed approvale dal Consiglio dell'Ordine militare di Savoia, per la repressione del Brigantaggio.


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Il primo premiato, in capo alla lista, è l'esecrando Pinelli. Ecco le parole del diario ufficiale. «Medaglia d'oro al valor militare. Pinelli Cavaliere Ferdinando, Maggior Generale comandante la Brigata Bologna, pei soddisfacenti risultati ottenuti col suo coraggio ed instancabile operosità nella persecuzione del brigantaggio.»

I filantropi francesi e inglesi che nel Congresso di Parigi del 1856, e nei diarii a’ ogni ragione, piangevano a calde lagrime gli atti severi che calunniosamente attribuivansi al Re Ferdinando II, ora non trovano una parola di biasimo contro queste infamie scritte a caratteri di sangue. Quelli stessi che, -quando fu assassinalo in Parma l'Anviti, minacciavano di romperla con l'Italia, se pronta giustizia non si facesse contro i malfattori che n’erano colpevoli, non che pensassero a mantenere l'impegno tolto, sono ora, e si gloriano d'^essere patroni armati e formidabili d'una rivoluzione, al coi trionfo furono già immolate, noi solo regno delle Due Sicilie, più migliaia di vittime, non meno innocenti certo che l'Anviti, e con egual barbarie trucidate. Né l'Europa se ne commoye! Ed assiste impassibile a scene da cannibale, come quella che qui riferiamo, pubblicata già da molti giornali, e da niuno pur rivocata in dubbio. Ecco quanto fu scritto all’Osservatore Romano (N.° 65) da Napoli sotto il di 15 Marzo «Udite questo atrocissimo fatto che io vi garantisco. Un capitano della Guardia mobile in Basilicata perlustrava, or son pochi giorni, un bosco, che è nel lenimento dej comune di Bernalda. All’imboccatura del bosco incontrò una dozzina di pastori, che guardavano le loro greggi. Domandò loro se sapessero di qualche banda di briganti, che fossero nel bosco. I pastori risposero, che nol sapevano, essendo stranieri a quei luoghi. Fatto sta, il Capitano della compagnia, intromessosi nel bosco v'incontra veramente taluni briganti, coi quali ebbe uno scontro. Ritornato, dopo qualche giorno, al luogo dove avea incontrati i pastori, non più li trova, ma in loro vece trova un dieci o dodici contadini con le loro Famiglie. Immediatamente cattura quegl’infelici, li lega mani e piedi, li chiude in un pagliaio. Poi fa tirare dai suoi moschettate contro al pagliaio, e per giunta vi fa accendere il fuoco intorno; e cosi brucia vivi dieci o dodici innocenti, in presenza delle famiglie. Denunziate all'Europa, anzi al mondo intero il nome di questo mostro, il quale per disgrazia nostra non è piemontese, ma delle nostre province, e si chiama Luigi Franco di Monte Scaglioso.»

4. Il Governo piemontese capisce molto bene che oggimai le soldatesche non gli basteranno a conquidere popoli così tiranneggiati e che d'ogni parie già si levano in alto di prorompere a terribili vendette. Per non perdere le sue conquiste egli scatena colà la guerra civile, aizzando i Mazziniani di quelle province a farsi custodi delle sorti italiane. Inoltre i diarii di Piemonte e di Napoli parlano di grossi drappelli di giovinastri condotti nel Regno da Marsiglia e da Genova, ed ascritti alla Guardia mobile, alla Legione ungherese ed alla milizia nazionale. Questi si tolgono volentieri le parli di carnefice, aspettando che il Garibaldi giunga a prendere le parti di Comandante supremo dell'esercito Mazziniano. Ed il Mazzini ha riposte le precipue sue speranze negli studenti di Napoli e in quell’accozzaglia di malandrini che in ogni paese e in ogni tempo si trovò sempre pronta a prestare il suo braccio ai demagoghi rivoluzionarii. Chi dubitasse di ciò, legga il seguente brano d'ima lettera del Mazzini, pubblicata dalla Democrazia di Napoli, e scritta alla gioventù di colà,


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arrotola alla bandiera dell'anarchia sotto nome di Falange Sacra, e «composta di giovani studenti d'ogni città italiana.» Il Mazzini, sotto il di 12 febbraio 1862, cosi scrisse. «Ciò che importa è, ripeto, non la mia fama e altro che individualmente mi riguardi, ma l'Italia tradita in mani inette, e data nel primo periodo della sua rigenerazione a una scuola d'immoralità e di menzogna, d'opportunismo ipocrita e codardo, fatale e disonorevole. Bisogna sottrarrà a quella scuola, e fido per questo in voi, giovani amici. Io guardai, fin da quando io fui in Napoli, il Sud, come la base, d'operazione pel molo emancipatore. Il Sud, in Sicilia e nelle province di Terraferma, ha clementi abbondanti per questo: ha una capacità sua tutta di correre spedito al fine una volta posto in molo; quello ha in oltre, e deve sentirlo, debito di rendere all’Italia ciò che le altre province italiane hanno fatto per esso. E necessario coordinar gli elementi più capaci d'azione, e quali descrivete voi stessi, in una associazione, specie di Falange Sacra, che alleandosi per quanto concerne i doveri generali d'apostolato con la conciliazione di tutte le società unitane patriottiche, che ha sede dall’Assemblea del lo Dicembre in poi in Genova, rimanga nondimeno devota a un lavoro speciale preparatorio e in corrispondenza diretta con me. Questa falange dovrebbe, come dissi, raccogliere in sé i giovani capaci d'azione, e nostri davvero per la fede politica: dovrebbe stendere le fila di città in città, di località m località, fino alla estrema provincia. Dovrebbe ordinarsi, in certo modo, militarmente; tanto da essere pronta ad agire: 1. nel caso di seria minaccia borbonica o separatista; 2. nel caso d'intervento straniero, da qualunque parte venga; 3. nel caso di nuove alienazioni territoriali a beneficio dello straniero; 4. nel caso di colpi di Stato e sospensioni illegali delle libertà costituzionali: 5. e finalmente nel caso in cui diventasse urgente e possibile l'azione popolare pel Veneto e su Roma.

«Voi siete già numerosi abbastanza per assumere missione siffatta e lavorare ad assimilarvi gli elementi a’ quali io accenno. Lasciate adunque che io, dopo le nobili vostre dichiarazioni, faccia calcolo per questo su voi. La circolare unita, v'indica in parte la mente mia. Ma inoltre, sia che, come io credo, debba operarsi prima sul Veneto, sia che si possa, a Roma; è chiaro che il Sud deve essere anche militarmente base d'operazione e riserva per noi. Bisogna che, data una iniziativa popolare verso un punto dei due, gli elementi particolari materiali di guerra, che vi sono, siano a disposizione del moto. E a che questo sia, unica via per ora è che Garibaldi, ripresentandosi a Napoli, venga dal popolo rimesso a capo delle forze vive del paese. Il vostro nucleo dovrebbe dunque, quanto all'oggi, lavorare il terreno in quel senso. Se vorrete corrispondere con me, e darmi esatto ragguaglio progressivo delle condizioni del Sud, de’ vostri congressi, delle vostre intenzioni, potrete indirizzare la vostra lettera… ecc. Addio, fratelli. Amate chi vi ama. Vostro tutto — Giuseppe Mazzini.»

Il Governo, di Torino sembra aver accettato il mandato di eseguire questi ordini del vero Sovrano della presente Italia libera; di che si ha indizio negli arrotamenti di volontarii e nella formazione d'un settimo Corpo d'esercito meridionale da essere comandato in persona dal Garibaldi, come ci fauno sapere i giornali del Piemonte.










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