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Fonte:
https://www.telestreetbari.it/ - gruppo creativo telestreetbari

Omaggio a Mario Merola

di Sebastiano Gernone

Nei quartieri soprattutto popolari di Bari (Barivecchia, Libertà, Japigia, Cep ecc...), nei paesi della provincia, nelle carceri, in tutto il Sud Mario Merola era seguito da decenni.

La canzone napoletana di cui Merola è una voce nota in tutto il mondo è cantata nelle nostre regioni duosiciliane da tempi lontani, accostandosi e poi sostituendosi agli stornelli dialettali con la diffusione della radio e della televisione. Invero, la cultura espressa da Merola è sempre stata oltraggiata e disprezzata e mai compresa nella sua complessità dagli intellettuali limitati e limitanti che salgono in cattedra nella stampa nazionale (salvo i pochissimi tra cui il geniale Carmelo Bene che di Merola fu sempre sostenitore).

A noi di lor signori poco importa, per loro i quartieri popolari non devono autoesprimersi, sta di fatto che in tempi recentissimi ogni mercoledì e venerdì tutte le case popolari, i detenuti  del sud seguivano la tramissione "Piazzetta Merola", e qualsiasi sia il giudizio che si ha è un dato di fatto reale. Merola rappresentava anche retoricamente la vecchia guapparia ma nulla a che fare con quel che succede di questi giorni a Napoli, come egli stesso disse:

«Guappi? Camorra? Per carità, oggi le uniche cose di cui potrei cantare sono i figli, la famiglia, Padre Pio. Ma in realtà è sempre stato così: io la guapparia l'ho cantata in un periodo in cui veniva richiesta dal pubblico, per ragioni soprattutto commerciali. Ma vi pare che uno come me, che ha visto il fratello ucciso perché faceva il marioncello per farci campare, può mai avere il mito, la fissazione del guappo? E dove stanno più, questi guappi? Io quelli veri, molti, li ho conosciuti. E che hanno da spartire con questi violenti di oggi? La guapparia è una cosa e la delinquenza di oggi, per carità, è un'altra. Adesso padri, fratelli e amici fanno a gara a portare 'sti guagliuncielli dint'a malavita. Per carità, che schifo!».

Riportiamo per rendere omaggio a Merola l'articolo pubblicato dal Messaggero di Roma il 14 novembre 2006, scritto da Goffredo Fofi - tra i pochissimi scrittori del belpaese che riflettono con una testa e un cuore non asservito - e di cui trascriveremo appena possibile alcune sue pagine di grande acume sul nostro Totò. Buona lettura


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Fonte:
https://www.ilmessaggero.it/

 "Lacrime Napulitane" per Merola

di GOFFREDO FOFI


NEGLI anni Settanta del Novecento a Napoli era possibile vedere ancora le sceneggiate “classiche” al 2000, dalle parti della ferrovia. Al Trianon la sceneggiata era invece ibridata di cinema poliziottesco, era meno rigida e tradizionale, ed era di conseguenza meno affascinante, affidata a un cantante “divo” e non a una compagnia dove contava più il coro del protagonista.

Mentre però il 2000 era uno “stabile” che andò languendo fino a chiudere i battenti - il suo era un pubblico molto bonario, persone sbarcate a piazza Garibaldi dall’entroterra e famiglie dei vicoli non ancora aggrediti dalla mutazione (e dal terremoto), il Trianon e le tournées che di lì si dipartivano avevano un pubblico più sanguigno e diverso, notevolmente diverso. E il divo di questo pubblico fu Merola. Pino Mauro era più immediatamente riconoscibile come cantante dei margini, ed era meno abile a muoversi, meno bravo, meno potente fisicamente.

La seconda metà dei Settanta e i primi anni Ottanta videro Merola trionfare sulle scene e sullo schermo, e naturalmente in quello che era il suo medium privilegiato, il disco (e le radio locali nate da poco), in sceneggiate tecnicamente approssimate e rozze, ma certamente efficaci perché in sintonia con un pubblico che si identificava fortemente con le storie e i sentimenti che la sceneggiata (teatrale e cinematografica) raccontava. 

Il poliziottesco forniva gli “esterni”, le scene d’azione (e anche, in molti film di Merola, il suo antagonista Maurizio Merli) ma era la tradizione della sceneggiata a dominare negli “interni”: nei conflitti o negli amori tra padri e figli (I figli so’ piezz’e core! è un film del 1981, ma vi si parla di un figlio adottato, mentre Zappatore, cavallo di battaglia di tanti, rinvigorito dal massiccio Merola, è un residuo contadino, sul figlio che studia e si scorda dei suoi), tra mariti traditi o che si credono traditi e le loro spose (Lacrime napulitane, il film più ambizioso di Merola, con Angela Luce e Regina Bianchi), tra amici o soci che prendono strade diverse, più spesso un adulto (Merola) e un giovane (Nino D’Angelo o Gigi D’Alessio, ma con D’Angelo le strade si divisero davvero).

Il ruolo di Merola non era sempre quello del camorrista o del carcerato o del vendicatore di torti subiti, a volte era quello di un magliaro onesto (contro un camorrista che vuol fargli le scarpe) o di un brav’uomo trascinato in brutte storie dalla mala sorte, ma aveva sempre a che fare con la legge e aveva sempre a che fare con l’Onore, e nelle sue sceneggiate il concetto dell’onore che hanno la malavita o la vita buona finiscono per somigliarsi molto. 

Non era un grand’attore, Merola, ma era una presenza efficace, portava sul volto e nel corpo i segni della fatica, dell’ostinazione a sopravvivere, ma non dell’arroganza, piuttosto di una onestà tradita - o che doveva tradire - per colpa di circostanze avverse. Sotto certi aspetti, poteva far pensare a un Jean Gabin partenopeo, solo che Gabin era evidentemente diventato un attore borghese e Merola non sarebbe mai riuscito a diventarlo. Era così che un’intero ceto napoletano (la sua parte maschile) amava vedersi, in parte idealizzandosi e in parte reagendo a una società che certo non permetteva molte vie decenti che lo aiutassero a emanciparsi e a crescere degnamente i propri figli.

Molta “recita” e molta “immagine”", insomma, ma su un fondo dell’amara constatazione di una disparità sociale molto vera. Con Zappatore, Carcerato, Il Mammasantissima, Cient’anne (che è forse il suo film migliore, il più confuso ma anche il più bizzarro e intrigante), Merola ha lasciato un suo marchio nella cultura popolare napoletana, nel mezzo di una mutazione che non è riuscita a distruggere le vecchie mitologie ma le ha spinte su un terreno confuso, moralmente ambiguo, più ambiguo che mai. Ma soprattutto Merola è stato un grande personaggio e un cantante di valore, e la sua voce roca e possente, sempre o quasi sopra le righe, è tra i più bei lasciti della tradizione dei “cantanti di giacca”, una tradizione che ha saputo resistere grazie a lui fino agli ultimi decenni del Novecento. 

Dopo Merola c’è D’Alessio, esile ed educato, romantico e comune, delle cui apparenze da “bravo giovane” non è sempre facile fidarsi, mai esplicito e mai radicato come lo è stato Merola. 

Altri tempi, altro stile, altro presepe.

 

 







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