THE BEGGAR’S OPERA la celebre ballad - opera di John Gay scritta nel 1727, si è arricchita nel tempo degli apporti al testo di Tyrone Guthrie e dall’ottobre 2005 a Bari dall’innovativa regia di Moni Ovadia, con la versione musicale di Benjamin Britten che già nel 1948 ne diresse la versione modernizzata a Cambridge.
La nuova rappresentazione conferma l’amore per la vita nella sua
cruda istintività, durezza delle periferie malfamate: “ I
ladri rubano a chi accumula soldi e non sa
goderseli…”recitano i delinquenti, in una spudorata e
sincera derisione delle usuraie finanze della borghesia con i suoi
capitali in accumulo e al servizio dei nascenti stati nazionali.
La vita in questa mise en scène sale sul palco con le sue
doppiezze, astuzie, trappole, non ingabbiate in alcuna retorica ma
avvolta nei piaceri dei sensi e del vino, nello sbeffeggio
dell’ordine sociale.
E’ il punto di vista dal “basso” che sfronda la
mediocrità misurata del teatro borghese: l’Opera del
Mendicante è autentica nella sua aggressività che nasce
dall’esperienza quotidiana.
Una gran bella presenza scenica e d’allestimento, con corpi sensuali, esuberanti, movimentati in abiti colorati, in una coreografia curatissima; con canti d’opera, arie e melodie popolari a braccetto armonioso con cori e musica orchestrale, mai ordinati meccanicamente ma ispirati e coinvolgenti (irridono a ragione il noioso senso della perfezione di maniera).
Inoltre, i leitmotiv che incidono la presenza e il recitato or aspro or
poetico degli accattoni, prostitute, ladruncoli, borseggiatori in un
arcobaleno stilistico ed estetico di costumi, spostamenti scenici
illuminati in un’atmosfera da truce osteria e lampi invernali.
Canti melodici, recitato, corpi, emozioni, poesia, invettive,
sbeffeggio, lingue e dialetti che si contaminano e si amalgamano nello
svolgersi dell’opera che ci coinvolge.
Mrs. e Mr. Peachum, Polly, Captain Macheath, Filch, Lochit, Lucy, Mrs.
Trapes sono i nomi dei papponi, ruffiane, mignotte, ladri presenti
sulla scena con il narratore Beggar - Ovadia, travolto egli stesso
dalla banda seppur sempre testimone in ogni scena e spesso silenzioso:
quasi ad ordinare lo svolgersi della trama in una centratura artistica
teatrale, che ricorda le cerimonie dei maestri sufi che al volteggiare
dei dervisci rimangono fermi, o si spostano or qui or là a dare
energia ed equilibrio all’inno di danza e musiche, scomparendo
infine tutti insieme nel richiamo stesso dell’Armonia.
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