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BARI, QUARTIERE LIBERTA' MAGGIO 2004
Era un bel giorno di maggio
il sole coceva coceva
il fringuello cantava cantava…
(Piripicchio ballando al suono della fisarmonica nei paesi del Sud)
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GLI ANGELA I TAVIANI E LA NAZIONE ELITARIA

Nino Gernone

 Non merita alcuna valutazione critica la video – biografia retorica e bugiarda dedicata a Giuseppe Garibaldi condotta recentemente da Piero Angela su Rai Uno.

Noi meridionali ben conosciamo i tradimenti dei generali borbonici, le alleanze tra gruppi massonici - espressione della borghesia sorgente e affamata di potere – e gli schieramenti politici moderati risorgimentali.

Ben conosciamo le trame per il potere di Francesco Crispi e di Liborio Romano a capo dei camaleontici gattopardi che non difesero la dignità storica del Sud.

Noi ben conosciamo i furti delle casse comunali da parte dei garibaldini in Sicilia, i loro aspetti squadristi, le fucilazioni dei contadini che occuparono le terre credendo nei falsi e strumentali editti di Garibaldi, eroe massone al servizio dei Savoia senza alcun dubbio, a maggior conferma citiamo una sua lettera indicativa, scritta da Caprera il 24 aprile 1872:

 “ Mio caro Mazzoni (Giuseppe Mazzoni, ndr),

che la Massoneria incarni in sé stessa tutto quanto c’è di onesto, di generoso, di aspirante al miglioramento umano in Italia  prima, poi nel mondo, ove le sue ramificazioni benefiche si estendono: - Non è questa la missione degna della più autentica, della più grande delle società umane?…”

 Il primo dei Mille se da un verso elogiava la consorteria affaristica della Massoneria  - i loro “riti iniziatici”(sic) e i loro riferimenti culturali d’occasione da Pitagora a Giordano Bruno e a tradizioni diverse, sono ridicoli – da altro scriveva con doppiezza alla rivista socialista La Plebe alla fine del 1871 intorno al problema contadino come “la più importante di tutte le questioni”  e intravedeva le ragioni sociali del brigantaggio meridionale  alimentato dal malgoverno che sospingeva nelle bande “  gli infelici contadini che morivano anche di fame”: il Nostro eroe nazionale è con i padroni vincenti e con i contadini – briganti, appunto un Santo onnipresente soprattutto dove la sua Gloria e Mito si amplificavano. Dopo la mitizzata impresa dei Mille, Garibaldi ritornò nel Sud – infiammato dalle rivolte contadine contro i conquistatori – e nell’agosto 1862 si appellò in Aspromonte inutilmente a tutti i meridionali, immiseriti e già impegnati nella guerriglia (“guerra civile” la definisce lo stesso Garibaldi in quei giorni) e nella resistenza agli effetti disastrosi delle nuove leggi nazionali (tasse, servizio militare obbligatorio per cinque anni ecc…).

L’eroe non più carismatico voleva essere affiancato dalla popolazione del Sud nella per lui prioritaria marcia su Roma (sic); in pochi scontri militari il suo drappello di uomini fu sconfitto, e uccisi alcuni dei suoi anche da truppe militari ex – borboniche opportunisticamente confluite nel novello esercito nazionale che inveirono contro i garibaldini con rabbia gridando: “ Nel ‘60 a noi ora a voi! ”; lo stesso Garibaldi ferito ritornò mestamente a Caprera ormai eroe inutile alla politica della nazione aristocratico – borghese italiana.

Gli stessi Bakunin, Engels e Marx suoi contemporanei e leader dei nascenti movimenti rivoluzionari proletari, ben lo conoscevano e infine denunciarono il falso mito strumentalizzato dai vincitori e i limiti rivoluzionari borghesi di Garibaldi; così come furono delusi alcuni giovani garibaldini dal trasformismo vanaglorioso del falso eroe popolare; e lo stesso Mazzini – pur limitatamente al tradimento dei suoi ideali di confuso e misticheggiante nazionalismo repubblicano – derise il nizzardo.

 Noi ben conosciamo il furto dei depositi monetari, dell’intera riserva aurea del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, delle finanze, dell’economia con la distruzione della sorgente industria meridionale da parte degli invasori, e il declassamento delle nostre tradizioni militari e dell’importante Accademia della "Nunziatella" da parte dei  conquistatori al servizio del tiranno Vittorio Emanuele II con l’insulto  e il disprezzo razzistico incivile alle popolazioni meridionali , il tutto ben pianificato dal partito dei moderati di Cavour, in accordo con gli interessi politici – economici  delle potenze internazionali d’Inghilterra e Francia.

Noi ben conosciamo gli eccidi dei bersaglieri a Pontelandolfo, Casalduni e in tutto il Sud dei militari a noi stranieri con paesi distrutti e bruciati, fucilazioni di decine di migliaia di ribelli, di civili, con stupri (un simbolo per il Sud: Concetta Biondi 16 anni stuprata e uccisa dai bersaglieri a Pontelandolfo nell’agosto 1861) e assassinii ingiustificati, e deportazioni al nord di divisioni militari, di contadini,  di meridionali resistenti ai conquistatori.

Noi ben conosciamo i generali invasori, i criminali di guerra e dell’umanità Cialdini, Lamarmora, Pinelli e tanti altri a tutt’oggi onorati dalla Repubblica italiana.

Si badi bene che a noi non sono sconosciuti i limiti, i soprusi nei confronti dei contadini oppressi, sfruttati e condannati alla fame dal regime feudale borbonico che spremeva i braccianti, i coloni e i piccoli possidenti meridionali utilizzando i proventi per l’esercito e per i propri lussi: ma era affare nostro ribellarci, fermo restando come scrisse lo stesso Pisacane – meridionale ignobilmente strumentalizzato dalla propaganda risorgimentale – "… che il governo costituzionale del Piemonte sia più nocevole all’Italia, che non la tirannia di Ferdinando II. Credo fermamente che, se il Piemonte fosse stato governato nella stessa maniera che gli altri Stati italiani, la rivoluzione d’Italia a quest’ora si sarebbe fatta " (da ‘ Il Testamento’ di Pisacane, 24 giugno 1857 Genova).

 Così com’è vero d’altronde – complessità della Storia che già si era manifestata nel 1799 nella saldatura tra reazione popolare e ancien régime - quanto affermò anni dopo l’ultima regina del Sud, Maria Sofia di Borbone: " Quasi tutto il popolo delle Due Sicilie era fedele al suo Re legittimo ma il conte di Cavour riuscì a corrompere alcuni generali del nostro esercito, che si ritirarono senza combattere, lasciando la via aperta dinanzi a Garibaldi. E la fortezza di Gaeta non si sarebbe arresa se non fossero giunte le artiglierie del Re di Sardegna, il quale, poco tempo prima aveva offerto alleanza al Re mio consorte. Ma il popolo rimase fedele alla dinastia. "

Quella che gli storici italiani chiamano "guerra del brigantaggio" fu la generosa rivolta degli umili contro il regime piemontese. Se il mio sposo, invece di rimanere a Roma, avesse varcato i confini del Regno e si fosse messo a capo degli insorti, raccogliendo le bande sparse in un solo esercito, saremmo rientrati vittoriosi nella Reggia di Napoli.". Lo stesso Carmine Crocco ‘Donatelli’, pastore e contadino, il più noto brigante dopo la conquista del Sud da parte dei Savoia scrisse nelle sue memorie raccolte  dal capitano Massa:

“Oh, perché il Borbone non seppe utilizzare tanto valore e tanto eroismo così spontaneo, nei figli di questa forte regione, cosicché il potente esercito borbonico  fu messo in fuga da un pugno di giovinetti e questi furono chiamati eroi, e vili quelli? La verità di quelle facili vittorie, la causa delle fughe, il facile sbandarsi…e chi noi sa!”.

Ancor più fa luce sul trasformismo e sulle sfaccettature della lotta politica – economica di quegli anni, lo scritto autografo e non “italianizzato” dello stesso Crocco riportato da Cascella:

"La Signoria da prima tutti oppressori, poi divisi in due. L’una liberale, l’altra realista, questi, conoscendo il male che loro cadeva sopro, volendo tendari l’ultimo colpo di vendetto aizzava la misera plebba, la quale con facilità si precipita nella voragine, terribile sono le sue prime mosse, ma codarda nel sostenere il fine…La cecità del governo il quale faceva passare per le armi le Locertole, e metteva nel suo seno i Serpenti velenosi i quali avuto il pieno loro indente finivano di sterminare le Serpungole, uno dei quali sono io…Guai ai prepotenti se L’uomo conoscesse che la forza sta nelle sue mani, guai agli oppressori se l’uomo conoscesse i suoi diritti e suoi doveri".  Crocco ergastolano non risparmia la Chiesa dal suo giudizio e a proposito degli ultimi giorni della sua vita da generale dei briganti così ci ricorda (in Massa cit.):

“Sciagurati dove andate? A chi prestate fiducia? Qual pensiero vi guida? Tornate alle vostre selve, alle macchie vostre, ite lungi dai principi dei sacerdoti imperocchè dessi sono più vili e traditori degli antichi giudei!…

Dei dodici cavalieri sette caddero malati per via e assagiarono il piombo del governo, io ed altri quattro scendemmo a Roma.

Da uno dei sette colli spedii ad un diplomatico una raccomandatizia avuta da un signorone meridionale, che non nomino per non offendere la sua memoria.

Quegli mi rispose dandomi consiglio di presentarmi al governatore del Papa Re, cosa che io feci tosto.

Che fece il gran Pio IX, ci seppellì alle carceri nuove di Roma, poscia ci trasferì alle carceri di San Michele a Ripa sempre chiusi in cella di rigore.

Alle tante e reiterate mie suppliche per essere consegnato al governo d’Italia, non fu risposto mai. Chiesi di avere un po’ di denaro del mio (sequestratomi all’atto dell’arresto) per supplire al magro vitto, n’ebbi in risposta dall’ esecrato monsignore Randi Lorenzo, governatore di Roma, “e quando sarai libero come farai a vivere se ora consumi i tuoi denari?… Il Santo Padre ricevendo nel suo regno la mia persona doveva dire ‘Tu hai toccato le mie vesti, hai baciata la mia pantofola ti siano rimossi i tuoi peccati"...Ciò non fece, quindi ho il diritto di maledire la sua memoria, il suo triregno e la sua scellerata curia".

Crocco, da acuto contadino qual’ era , capì di essere stato con tutti i meridionali subalterni massa di manovra di uno scontro di potere, e si vide rinchiuso nella cella romana  finanche ignorato e disprezzato sia da Pio IX  che da Francesco II che non gli concessero nessun onore, al contrario delle importanti esequie che furono organizzate quando ritornò a Roma il corpo del generale carlista Borges che tentò di riconquistare inutilmente il regno meridionale ai Borboni non seguito dai contadini, capeggiati da Crocco e  dalla spia francese De Langlois che sempre  ostacolò Borges.

Crocco aveva una competenza diretta e unica dei fatti : insieme a Ninco – Nanco e altri contadini briganti combatterono con i garibaldini contro i borbonici finanche nella battaglia finale del Volturno, dopodiché si ricredettero e contrastarono l’invasione dei Savoia.

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 Ma cosa fu il nascente Stato italiano in quegli anni?

Gramsci rispose il 20 febbraio del 1920 su Ordine Nuovo:

 " Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di ‘briganti’ . "

 Noi ben conosciamo le responsabilità della Destra risorgimentale e della Sinistra Storica ottocentesca, dei governi liberali giolittiani, del Fascismo, dei partiti "appunto" nazionali che trasformarono e sacrificarono all’idea –nazione le nostre sette regioni – l’Abruzzo, la Calabria, la Campania, la Lucania, il Molise, la Puglia, la Sicilia – umiliandole in uno status da colonie subalterne.

Noi ben conosciamo l’ennesima rapina che è in atto in questi anni da parte dei gruppi finanziari settentrionali – intrecciati al capitalismo internazionale – i quali hanno la direzione della stragrande maggioranza delle banche del Sud: lor signori indirizzano il risparmio dei meridionali al nord sottraendolo alle imprese, al commercio, al lavoro, allo sviluppo del Mezzogiorno.

Noi ben sappiamo che questi gruppi di potere sono presenti in tutti i partiti nazionali italiani – e non è casuale che compaiano con le loro consorterie bancarie tosco – padane – massoniche nei titoli di coda tra i finanziatori del Garibaldi televisivo propagandato da Angela – ; essi perpetuano uno sfruttamento del Sud che intendono continuare a mantenere in Europa, al di là di ogni strategia politica della stessa unione multinazionale rispetto all’imperialismo americano.

Anche l’operazione d’invenzione cine - televisiva e di basso profilo dei fratelli registi Taviani, incentrata sul falso mito di Luisa Sanfelice, segue e rafforza il progetto di condizionamento culturale e pianificazione di un’identità "nazionale", traendo spunto dalle vicende del 1799 napoletano non per evidenziare il carattere subordinato ed esterofilo dei giacobini meridionali asserviti a quelle che già ben si profilavano le mire imperialistiche napoleoniche, ma per rimarcare il ruolo ideologico della èlites dei gruppi dirigenti e la loro manipolazione egemonica dell’identità del Paese, che a tutt’oggi si perpetua di là dagli schieramenti governativi che si alternano.

I giacobini meridionali della Repubblica Partenopea difatti tentarono opportunisticamente di porsi al seguito dei “fratelli maggiori che avevano fatto la Rivoluzione” – ha scritto acutamente Luciano Canfora - “ mentre loro la trovavano bella e fatta e tentavano di assumerne la guida sulla scia delle armate della ‘ Grande Nation ’. I giacobini europei, infatti, e quelli italiani in particolare, entrano in scena proprio quando il clima politico e l’assetto politico cambiano: la guerra rivoluzionaria cambia codice genetico e diventa guerra di conquista mirante, per questo tramite a garantire alla Francia la ‘sicurezza’; e intanto si fa strada, apertamente col 18 brumaio 1799, il potere personale”.

 Il rapporto dipendente dei giacobini napoletani dai francesi del “Paese – guida” si fa giocoforza nel tempo debole deteriorandosi, e l’alleanza tra il Popolo e il Re Ferdinando di Borbone sconfigge la Repubblica “elitaria” Napoletana. Canfora ci chiede di analizzare entrambe le esperienze : - mancanza di capacità progettuale e autonomia dai giacobini francesi ormai quasi imperialisti, e incapacità a creare comuni alleanze reali con i subalterni - che impongono “ drammaticamente ai giacobini tutti (e direi ai giacobini di tutte le epoche) la domanda autocritica per eccellenza , che è sempre aperta : dove abbiamo sbagliato? ”

Il loro essere elitari –antico e nuovo – è il loro limite, a nostro avviso, e il loro giudizio nei confronti dei popolani – come tutti i giudizi calcolatori - di masse spoliticizzate, ignoranti e plebee,   è una scusa che non li giustifica: l’ascolto e la lettura delle ragioni degli “Ultimi” quando è confronto crea solidarietà, percorsi comuni, patrie reali. Il concetto giacobino di Libertà è astratto e prigioniero sin dalla dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1789 della gabbia ideologica degli Stati Nazione, successivamente Imperialisti e Totalitari come ci indicò saggiamente Anna Harendt. La vera Libertà di uomini e donne si basa sui concreti diritti di Lavoro, Casa, Cultura, Creatività, Relazioni Umane, Partecipazione – Responsabilità al governo del Paese che si vive: queste garanzie ci difendono dal sorgere di sempre nuovi dominatori. Nella lotta politica risorgimentale – ma non solo – la contesa tra élites per costituire o conservare la propria potenza di dominio si attuò strumentalizzando le masse e costruendo e agitando miti che sono autentiche falsità (Garibaldi, come inviato di Santa Rosalia in Sicilia, e poi ancor più in tutto il Sud che da sempre aspettava il Salvatore taumaturgo, ci ricorda si badi simbolicamente il conquistatore spagnolo Francisco Pisarro - biondo dagli occhi azzurri e a cavallo anche lui- idolatrato dai nativi ma astuto dittatore e distruttore dei popoli e delle civiltà preispaniche peruviane).

A parere del Croce e dei suoi discepoli, tra le élites in lotta ve n’è una che fa valere gli interessi del bene generale: l’aristocratica e democratica classe degli intellettuali. E l’uomo e la donna comune non sono degni di Libertà? Le ragioni ben concrete di Libertà e di Giustizia dei contadini – briganti (la Terra! Con i diritti di semina, raccolto, far legna, l’usufrutto e il guadagno del proprio lavoro) non furono considerate nello scontro di Potere tra clerico – borbonici, democratici (garibaldini e mazziniani neppure uniti) e moderati di Cavour. E alla fine vinse l’alleanza, sottolineata dall’ergastolano Crocco, tra i potenti che esclusero la ormai non più funzionale Casa Borbonica e i contadini. Il problema della Terra dopo il 1860 rimase irrisolto anzi si acuì con la nascita di agrari che ancor più sfruttarono le masse bracciantili meridionali. Ed è d’obbligo e veritiero constatare che quando fu respinto anni prima dai rurali meridionali il tentativo insurrezionale dei mazziniani Fratelli Bandiera che volevano imporre la loro Libertà, astutamente Ferdinando II di Borbone ricompensò i contadini locali con favorevoli e speciali concessioni per l’utilizzo della Terra.

Paradossalmente lo stesso Croce - maestro riconosciuto dei nostri custodi della memoria risorgimentale, e tra l’altro autore del ‘La Rivoluzione napoletana’ in cui ravvisava nei popolani che contrastarono l’entrata delle truppe francesi a Napoli nel 1799, il pericolo maggiore per l’affermarsi dell’Italia risorgimentale e liberale -, considerava nello scritto apparso sul ‘Manifesto per la chiamata dei volontari, affisso in Napoli il 10 ottobre 1943’ gli stessi ‘lazzari ’ quali precursori della difesa e resistenza contro i fascismi europei: "E già il nostro popolo, in ogni parte d’Italia, nei più vari modi, combatte e contrasta; e uomini, donne e fanciulli di Napoli hanno dimostrato, pur con le scarse armi che sono riusciti a procurarsi, quel cuore e quello spirito pugnace e quello spontaneo eroismo che in passato rifulse in famose difese della nostra città contro gli stranieri"- in: B. Croce, ‘Quando l’Italia era tagliata in due. Estratto di un diario (Luglio 1943 – Giugno 1944), Bari, Laterza,1948,pp.155.

 E’ un uso strumentale e cinico della "Cultura" da parte del latifondista don Benedetto e si rispecchia questa sua doppiezza quando in momenti storici tranquilli affermò che la rivoluzione dei giacobini napoletani aristocratici fu più nobile di quella degli stessi francesi perché giurarono per la Libertà (elitaria, s’intende; N.d.R.), la Filosofia e la Repubblica: quante parole retoriche per mascherare la lotta di potere delle élite.

Il progetto culturale attuale inneggia sui mass - media "dall’Italia all’Europa" - ma si badi bene non mettendo fine alla Colonia del Mezzogiorno -, ed è complice con gli storici al servizio della Repubblica che hanno istruito Angela (i proff. Talamo e Scirocco su Garibaldi) e i Taviani ; per noi rimane misterioso il perché i fratelli cineasti sensibili in passato agli sconfitti e nobili anarchici e ai subalterni, si siano svenduti e trasformati in filmaker dei gruppi di potere coi loro dignitari: en passant , forse veleggiano verso un buon pacifico e dolce rincoglionimento senile. Ci dispiace per loro.

E ‘ dato di fatto, ad ogni modo, che programmatori dei mass – media e i loro collaboratori sono quelli che Alfieri definiva gli intellettuali del Principe, i "prezzolati" di regime li chiamava Antonio Gramsci, coloro che ingannano la gente come li definiva Danilo Dolci, giusto a proposito quest’ultimo delle terre promesse e non concesse da Garibaldi in Calabria. Tutti insieme (il Potere con i suoi servi) sono i veri briganti come scriveva Don Milani, e ancora riecheggiano in noi le sue toccanti parole in polemica con i cappellani militari:

 "Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei. Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa. Mi riferirò piuttosto alla Costituzione. Articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...". Articolo 52 "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino". Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia. Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese più la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo? E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari? Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verità in faccia ai vostri "superiori" sfidando la prigione o la morte? Se siete ancora vivi e graduati è segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la più elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza. Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi l'anno) l'esercito, è solo perché difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà, la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all'obiezione che all'obbedienza. L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco. L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche troppo. Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare. 1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d'Italia un monumento come eroe della Patria. A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa è alle porte. La Costituzione è pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei."

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Conclusione:

La memoria collettiva sappiamo "ha costituito un'importante posta in gioco nella lotta per il potere condotta dalle forze sociali. Impadronirsi della memoria e dell'oblio è una delle massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno dominato e dominano le società storiche" (in Jacques Le Goff, Memoria, in Storia e Memoria, Torino, Einaudi,1986, p.350).

 Noi già anzitempo avevamo dedicato delle riflessioni ad alcuni uomini simbolo dei comitati retorici d’indottrinamento storico, finalizzati alla conservazione dei rapporti di sfruttamento esistenti nel Bel Paese.

E’ nostro dovere e ci diletta l’intelligenza difendere la Memoria e le Ragioni degli esclusi dalla Storia dei vincitori, dei contadini ribelli – briganti, degli emigranti; dei soldati meridionali costretti nelle trincee dalla loro Nazione padrona, dai loro imperialismi, totalitarismi, dalla loro democrazia finta che offende la dignità, la prospettiva futura del Sud e di gran parte della gente italiana, emarginandoli in un ruolo subalterno ai loro desideri e volontà di comando e dominio.

Noi sappiamo chi siete. Ben vi conosciamo.

Nino Gernone maggio  2004

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Note:

Oltre ai documenti citati, siamo debitori ad alcuni studiosi incontrati nel nostro percorso di ricerca : Franco Molfese e Tommaso Pedio la cui Memoria ci è cara.

Tra gli studi utilizzati in questo articolo vogliamo ricordare: Luciano Canfora, “VITA TRIBOLATA DEL GIACOBINISMO ITALIANO”, in “Quaderni di Storia”, Anno XXIX, numero 58 luglio – dicembre 2003 pp. 6 – 12 ; Franco Della Peruta, “GARIBALDI TRA MITO E POLITICA”, in “Studi Storici”, Anno XXIII, n.1 gen. – marzo 1982 pp. 19-20.

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DOCUMENTI

Gli editti di Garibaldi e i tragici equivoci

 Col decreto del 17 maggio erano stati aboliti i dazi per il granone, i cereali, le patate ed i legumi, soppressa la tassa sul macinato; il 2 giugno 1860, da Palermo:

GIUSEPPE GARIBALDI, Comandante in Capo le forze nazionali in Sicilia DECRETA:

art. 1 - Sopra le terre dei demani comunali da dividersi, giusta la legge, fra i cittadini del proprio comune, avrà una quota certa senza sorteggio chiunque si sarà battuto per la patria. In caso di morte del milite, questo diritto apparterrà al suo erede.

art. 2 - La quota di cui è parola all'articolo precedente sarà uguale a quella che sarà stabilita per tutti i capi di famiglia poveri non possidenti e le cui quote saranno sorteggiate. Tuttavia se le terre di un comune siano tanto estese da sorpassare il bisogno della popolazione, i militi o i loro eredi otterranno una quota doppia a quella degli altri condividenti.

art. 3 Qualora i comuni non abbiano demanio proprio vi sarà supplito con le terre appartenenti al demanio dello Stato o della Corona.

E’ da notare con attenzione che si parla di terre “demaniali “, non di quelle di proprietà dei baroni; inoltre il decreto rimase, subito dopo, inosservato e cancellato.

 

Il proclama di Garibaldi

Siciliani!

"Io vi ho guidati una schiera di prodi accorsi all'eroico grido della Sicilia, resto delle battaglie lombarde.

Noi siamo con voi! Noi non chiediamo altro che la liberazione della nostra terra. Tutti uniti, l'opera sarà facile e breve. All'armi dunque!

Chi non impugna un'arma è un codardo e un traditore della patria. Non vale il pretesto della mancanza d'armi. Noi avremo fucili; ma per ora un'arma qualunque basta, impugnata dalla destra d'un valoroso. I municipi provvederanno ai bimbi, alle donne, ai vecchi derelitti.

All'armi tutti! La Sicilia insegnerà ancora una volta, come si libera un paese dagli oppressori colla potente volontà d'un popolo unito".

 

I proclami di Bixio

(originali conservati negli archivi del collegio Capizzi)
Bixio, appena arrivato a Bronte, col bando del 6 Agosto dichiara il paese colpevole di lesa umanità

AVVISO

Affinchè tutti conoscano come l'ordine pubblico intenda dal Governo ristabilirsi ne' Comuni ove si oserà turbarlo, il Governatore della Provincia di Catania deduce a pubblica conoscenza il seguente Decreto:

Il Generale G. N. BIXIO in virtù delle facoltà ricevute dal dittatore decreta il Paese di Bronte colpevole di lesa umanità è dichiarato in istato d'assedio. Nel termine di tre ore da cominciare alle 13 e mezza gli abitanti consegneranno le armi da fuoco e da taglio, pena di fucilazione pei retentori. Il Municipio è sciolto per organizzarsi ai termini di legge.

La guardia Nazionale è sciolta per organizzarsi pure a termine di legge. Gli autori de' delitti commessi saranno consegnati all'autorità militare per essere giudicati dalla commissione speciale.

E' imposta al paese una tassa di guerra di onze dieci l'ora da cominciare alle ore 22 del 4 corrente giorno, ora della mobilizzazione della forza militare in Postavina e da avere termine al momento della regolare organizzazione del paese.

Il presente Decreto sarà affisso e bandizzato dal pubblico Banditore. Bronte 6 Agosto 1860.

IL MAGGIORE GENERALE G. N. BIXIO

 

La Commissione mista eccezionale di Guerra pubblica la sentenza del 9 Agosto, che fa affiggere in tutti i comuni della Sicilia

IL GOVERNATORE DELLA PROVINCIA DI CATANIA

Rende di ragion pubblica la Decisione emessa in Bronte, dalla Commissione mista eccezionale di Guerra, pei reati ivi avvenuti, cosi concepita:

La Commissione mista eccezionale di guerra all’uopo eretta, residente in Bronte, composta dai Signori Francesco De Felice Maggiore Presidente, Biagio Cormagi, Alfio Castro, Ignazio Cagnotti Giudici, coll’intervento dell’Avvocato Fiscale Michelangelo Guarnaccia, assistita dal Segretario Cancelliere Niccolò Boscarini nella seduta d’oggi stesso ha emesso la seguente decisione.

Nella causa a carico di D. Niccolò Lombardo, D. Luigi Saitta, D. Carmelo Minissale, Nunzio Longhitano, Nunzio Spitaleri Nunno, Nunzio Saperi Spirione, e Nunzio Ciraldo Fraiunco da Bronte, imputati di guerra civile, devastazione, saccheggi, incendi con seguiti omicidii, e di detenzione d’arme vietate pei solo Lombardo, Longhitano, e Spitaleri, avvenuti in Bronte dal 1 Agosto e seguenti del 1860 in danno di rosario Leotta e compagni, e dell’ordine pubblico.

ha dichiarato

1. Non constare abbastanza che Luigi Saitta e Carmelo Minissale siino colpevoli dei reati loro addebitati, difformemente alle conclusioni dell’avvocato fiscale.

2. Constare che D. Nicolò Lombardo, Nunzio Samperi Spirione, Nunzio Spitaleri Nunno, Nunzio Ciraldo Fraìunco, e Nunzio Longhitano Longi siino colpevoli dei reati loro addebitati, giusta l’atto d’accusa, ed uniformemente alle orali conclusioni dell’avvocato fiscale.

ordina

Prendersi una più ampia istruzione sul conto dei sudetti Saitta e Minissale, rimanendo sotto lo stesso modo di custodia.

Condanna D. Nicolò Lombardo. Nunzio Samperi Spirione, Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Spitaleri Nunno, e Nunzio Longhitano Longi alla pena di morte da eseguirsi colla fucilazione, e col secondo grado di pubblico esempio nel giorno di oggi alle ore 22 d’Italia, li condanna altresì alle spese del giudizio in solido in favore della cassa delle finanze da liquidarsi come per legge.

Ordina infine che della presente decisione se ne affissino tante copie in istampa per quanto sono i comuni dell’Isola per la debita pubblicità.

Fatto, deciso, e pubblicato in Bronte lì 9 Agosto 1860 alle ore 20.

Per estratto conforme - Niccolò Boscarini
PER IL GOVERNATORE Il Segretario Generale

CARLO DE GERONIMO

 

Il 12 Agosto Bixio annuncia agli abitanti della provincia di Catania che a Bronte giustizia è stata fatta

ABITANTI DELLA PROVINCIA DI CATANIA

Gli assassini, ed i ladri di Bronte sono stati severamente puniti -- Voi lo sapete! la fucilazione seguì immediata i loro delitti -- Io lascio questa Provincia -- i Municipi, ed i Consigli civici nuovamente nominati, le guardie nazionali riorganizzate mi rispondano della pubblica tranquillità!... Però i Capi stiino al loro posto, abbino energia e coraggio, abbino fiducia nel Governo e nella forza, di cui esso dispone -- Chi non sente di star bene al suo posto si dimetta, non mancano cittadini capaci e vigorosi che possano rimpiazzarli.

Le Autorità dicano ai loro Amministrati che il governo si occupa di apposite leggi e di opportuni legali giudizi pel reintegro dei demanî -- Ma dicano altresì a chi tenta altre vie e crede farsi giustizia da se, guai agli istigatori e sovvertitori dell'ordine pubblico sotto qualunque pretesto.

Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole.
Il comandante militare della Provincia percorre i Comuni di questo distretto.
Randazzo 12 Agosto 1860.

IL MAGGIORE GENERALE G. NINO BIXIO

 

Vedi www.bronteinsieme.it

 

Iniziano i misteri italiani…:

Nella notte tra il 4 e 5 marzo 1861, il poeta Ippolito Nievo, capo dell’intendenza di Garibaldi e quindi responsabile di tutti i fondi (e di importanti documenti sull’operazione dei Mille), viaggiava sul piroscafo Ercole da Palermo a Napoli, ci fu una esplosione delle caldaie e tutti gli ottanta passeggeri annegarono; nell’occasione ci furono la misteriosa perdita di contatto con la nave che lo precedeva ed il ritardo nei soccorsi, si parlò subito di sabotaggio e comunque fu l’unico battello ad affondare tra tutti quelli, ed erano numerosi, che avevano solcato il Tirreno per i ripetuti sbarchi in Sicilia.(dal sito il Brigantino).

Giovanni Corrao siciliano che con Rosalino Pilo aveva preparato il terreno a Crispi e Garibaldi per l’operazione dei Mille, subito dopo l’annessione forzata del Sud protesta per il servizio militare imposto ai siciliani e con i Borboni inesistente, protesta per lo scioglimento dell’esercito dei garibaldini e denuncia sostanzialmente il carattere di conquista e colonizzazione della Sicilia che sta avvenendo …viene misteriosamente assassinato a Palermo dopo essere sfuggito qualche mese prima a un agguato…

Nino Gernone maggio  2004

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