Ringraziamo l'amico e collaboratore Nino Gernone, per averci inviato queste pagine tratte dal testo scritto dal maggiore storico della 'ndrangheta, Enzo Ciconte. Noi ribadiamo quanto già scritto altrove: se fosse vera la filiazione brigantaggio-ndrangheta in Lucania ci dovrebbe essere la mafia più potente della terra: fu la patria di Crocco!
Se è dubbio che la 'ndrangheta sia stata una sorta di filiazione della mafia e della camorra, allora da chi trae origine? Di chi è figlia? In questa ricerca — a volte affannosa, spesso improduttiva — di una paternità, si rischia di finire in un vicolo cieco. C'è chi ha ritenuto di trovare una derivazione della 'ndrangheta dal brigantaggio (418, p. 25; 545, p. 119; 333, p. 29). Questo fatto non deve stupire, poiché per lungo tempo, e in particolari congiunture sociali e storiche, la Calabria era stata sicuramente terra di briganti — «produttrice di briganti quanto di seta», dirà Braudel (285, p. 791; 349) — e a lungo il mito del brigante, inizialmente con valenze positive, in seguito con connotazioni decisamente negative, era stato direttamente collegato alla Calabria (490, pp. 587-650). Il mito del brigante calabrese che — solitario, cocciuto, testardo, ma capace anche di suscitare reazioni di massa — si ribella all'ingiustizia e alle ingiustizie offriva un'occasione troppo ghiotta perché non venisse presa come esempio, come un possibile precedente che potesse fornire una qualche spiegazione delle immediate ascendenze della 'ndrangheta.
Eppure tutte le fonti coeve segnalavano come oramai, a partire dagli
anni Settanta, il brigantaggio poteva essere considerato un capitolo
chiuso. Dai circondari di Rossano e di Castrovillari, e da tutte le
zone che erano state teatro delle azioni brigantesche arrivavano
notizie confortanti (321, p. 10; 497, p. 7; 369, p. 25). Si era oramai
agli sgoccioli (482, p. 22). Il brigantaggio era praticamente spento,
distrutto.
Era possibile, dunque, che, debellato il brigantaggio, su quella
medesima pianta che l'aveva generato germogliasse la 'ndrangheta? Molti
lo credettero. A rafforzare questa opinione arrivò, proprio a
cavallo fra Ottocento e Novecento, un nuovo episodio che si impose
all'attenzione nazionale, quello del brigante Musolino. In
realtà, già allora, a un attento osservatore non poteva
sfuggire il fatto che il fenomeno di Musolino era atipico, una vicenda
a se stante rispetto alla storia del brigantaggio. Colse bene questo
aspetto Lorenzo Repollini, sostituto procuratore generale presso la
Corte di appello di Catanzaro, il quale, nel corso della sua relazione
per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 1906, ebbe ad affermare che
«Giuseppe Musolino fu un'apparizione sporadica, che fece molto
chiasso, ma non valse a far risorgere l'estinto mondo
brigantesco» (505, p. 34). E non a caso, uno che se ne intendeva,
lo scrittore calabrese Nicola Misasi, noto autore di scritti sul
brigantaggio, rifiutò, secondo noi giustamente, di inserire
Musolino nel pantheon dei suoi briganti.
La scelta di Misasi rimase però solitària e l'episodio
Musolino rappresentò, ancora una volta, una ghiotta occasione
per collegare 'ndrangheta e brigantaggio; in verità, con molta
approssimazione, e con non poche improvvisazioni. Né
mancò una certa confusione, che portò alcuni giornalisti
a prendere clamorosi abbagli identificando la Sila con l'A-spromonte
(461, p. 164) e quel che è peggio, soprattutto
«picciotteria con brigantaggio» (306, p. 248), due fenomeni
sociali di ben diverso spessore. Confusione, in verità, non del
tutto scomparsa neppure in tempi recenti (508; 309): ulteriore segno
del permanere, ancora a distanza di tanto tempo, della convinzione che
tra brigantaggio e 'ndrangheta ci sia stato un rapporto diretto, di
filiazione.
Ma che c'entra il brigantaggio con la 'ndrangheta? La risposta è
semplice: praticamente nulla. I due fenomeni non sono assimilabili o
paragonabili in alcun modo (329, pp. 44-47; 499, pp. 64-67). Abbiamo
già visto alcune caratteristiche della 'ndrangheta, altre le
vedremo in seguito. Queste la differenziano nettamente dal
brigantaggio. Innanzitutto il brigantaggio è un prodotto del
latifondo e dei particolari rapporti di produzione in esso vigenti, la
'ndrangheta no.
L'Aspromonte conobbe la 'ndrangheta, fu comodo e spesso inviolato
rifugio per 'ndranghetisti latitanti, fu teatro di reati rurali, di
omicidi, di fatti di sangue, di sequestri di persona, ma sicuramente,
tranne la vicenda di Musolino, non conobbe briganti. L'intera provincia
di Reggio — e con essa l'Aspromonte — fu esclusa
dall'elenco delle province dichiarate in stato di brigantaggio quando
fu promulgata la legge Pica (456, p. 285). E si può star certi
che con i tempi che correvano e con il terrore che si aveva dei
briganti, sarebbe bastata l'attività di una sola banda per
dichiarare l'intera provincia come infestata dal brigantaggio. Questo
invece rimase rinchiuso nei territori delle attuali province di
Catanzaro e di Cosenza, non valicò mai i confini di quella di
Reggio. Lo notava Cosimo Ratti, reggente la Procura generale presso la
Corte di appello delle Calabrie, nel suo discorso inaugurale per l'anno
giudiziario 1873 quando osservava come «la provincia di Reggio
non è stata travagliata dal brigantaggio; lo soffocò in
sul nascere» (501, p. 24).
Il brigantaggio è un fenomeno legato alla lunghissima e
lentissima crisi del latifondo iniziata già nel Settecento e
alla lotta sociale e di classe che su di esso si svolgeva e che vedeva
come protagonisti l'aristocrazia agraria, le masse contadine e i nuclei
di una borghesia in ascesa. Una lotta di classe aspra, dura, a tratti
anche violenta, che si combatteva su quelle terre, per il possesso di
quelle terre: i baroni per la difesa di antichi privilegi, la borghesia
per la conquista di nuovi spazi economici e di potere, le masse
contadine per la sopravvivenza, per scacciare miseria e fame. Non a
caso su quelle stesse terre si alternavano bande di briganti e folle di
contadini, intere popolazioni che si riversavano sulle terre dei
latifondisti per occuparle, per metterle a coltura.
C'è bisogno di una controprova? Si prenda una cartina geografica
della Calabria e si segnino i comuni che furono teatro del brigantaggio
durante l'occupazione francese, il dominio borbonico e il primo
decennio unitario (288; $06; 456; 470); si segnino poi, su un'altra
cartina, i comuni dove si verificarono occupazioni di terre
particolarmente nei momenti di acuta tensione sociale e politica: nel
1848, al momento dell'unità d'Italia, dopo la prima guerra
mondiale, in alcuni anni durante il periodo fascista, dopo la seconda
guerra mondiale (558; 278; 454; 542; 279; 304). Si noterà che i
comuni sono gli stessi, combaciano e si sovrappongono perfettamente.
Sono tutti in provincia di Ca-tanzaro e di Cosenza. Lo scenario delle
gesta brigantesche è identico a quello delle lotte contadine.
Unica eccezione è Nicastro dove ci saranno briganti, lotte
contadine e 'ndrangheta. Si può arrivare a dire che, almeno fino
alla seconda guerra mondiale, briganti e moti contadini scacciarono da
quelle terre la 'ndrangheta, ne impedirono la formazione.
Tuttavia, nonostante ciò, l'idea che la 'ndrangheta abbia, in
qualche modo, a che fare con il brigantaggio è opinione diffusa
ancora oggi. Come mai una tale sopravvivenza? La spiegazione è
duplice. Da una parte, chi ritiene la 'ndrangheta un fenomeno puramente
delinquenziale si rifa alla valenza negativa del brigantaggio;
dall'altra parte, chi considera la 'ndrangheta — almeno quella
dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento — come fenomeno
di protesta o come onorata società in grado di amministrare
quella giustizia che lo Stato non riusciva a garantire, si rifa alla
concezione del brigante ribelle nei confronti di tutte le ingiustizie.
Come si vede, due facce della stessa medaglia, a volte fra loro confuse
e sovrapposte, che fanno riferimento a idee, a sedimentazioni nel senso
comune, a opinioni che hanno avuto, e ancora hanno, una larga
circolazione. Ma che non poggiano su solide basi.
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